Non dovremmo iniziare così. Forse nessuna storia dovrebbe iniziare così, in una stanza da letto buia, in una notte di fine inverno, tra persone ostili e in condizioni tanto tragiche, orrende e inconcepibili. Forse dovremmo cominciare da un mattino assolato di tanti anni prima. Ma non sarebbe lo stesso. I fatti che stiamo per narrare segnarono così profondamente l’animo del protagonista di questa storia, che non avrebbe senso rimandarne il resoconto. No, non possiamo che prendere le mosse da quella notte e sappiamo che lettrici e lettori ne converranno, quando saremo alla conclusione della storia.
Abbiamo parlato di una stanza buia, ma non è il termine più adatto. Forse dovremmo definirla «tetra». Sì, era una stanza tetra.
S’intravedeva un’ombra, disegnata dalla fredda luce lunare che attraversava la finestra dalle tende aperte, l’ombra di qualcuno seduto con le spalle verso i vetri. Questa persona mormorava una giaculatoria incomprensibile, china su un cadavere che stava disteso su un letto a baldacchino. Il cadavere era certamente vestito di tutto punto, anche perché la prima cosa che si notava, entrando nella camera, la cui porta dava sui piedi del letto, erano le suole delle scarpe. E doveva avere le mani incrociate sul petto, si intuiva da un paio di gemelli sui polsini che riflettevano il fioco chiarore. Si udiva il fischio di uno spiffero che s’insinuava in qualche pertugio e poi lo sbattere di una persiana, da qualche parte, fuori. Era una notte molto ventosa. [Read more…]