Psst: di questa storia ho fatto la Prima Stagione del mio podcast di racconti, che è un audio show con musiche originali ed effetti sonori.
Lo trovi qui ☞I Racconti di Luca Ricatti.
Campi d’oro oscillavano al vento, immensi campi d’oro.
Milioni di foglioline scintillavano tremolando nella luce obliqua del tramonto. L’oro ricopriva tutta la vallata e se uno sventurato viandante si fosse trovato a passare da lì, le pianticelle lampeggianti lo avrebbero accecato.
Ma se fosse riuscito ad attraversare quei campi baluginanti, forse sarebbe arrivato a una casetta di pietra grigia circondata da un praticello. Sul praticello pascolavano alcune pecore, c’erano quattro filari di vite e una dozzina di alberi da frutta.
Era una piccola isola verde in uno sconfinato mare d’oro.
Dentro quella casetta c’erano tre persone, una adulta e due bambini.
È in questo luogo che comincia la nostra storia, proprio in quell’ora del tramonto in cui l’oro scintillava più forte, prima di spegnersi nella notte.
Da una finestrella quadrata nel muro grigio, già si intravedeva la luce danzante di un camino acceso. Anche la piccola lampada appesa accanto alla porta era accesa. Quelle lucine erano le uniche in tutta la valle e se il viandante si fosse trovato in quella terra dopo il calare del sole, vedendole avrebbe ringraziato il cielo.
Sempre che fosse riuscito ad arrivarci sano e salvo.
Ma il nostro viandante conosceva bene la strada. E non si muoveva a piedi, ma su una bicicletta, per quanto vecchia. Percorreva una stradina di terra battuta che saliva da sud e sulla schiena portava una borsa e una chitarra.
Il sole scendeva sempre più velocemente e gli accecanti riflessi d’oro si stavano spegnendo.
L’uomo sulla bicicletta cercava di pedalare più forte, mentre il buio saliva da est e le stelle si accendevano. E quando l’ultimo spicchio di sole scomparve, sentì un brivido lungo la schiena.
Non un brivido di freddo.
Circondato dal buio, spinse ancora più forte sui pedali, ansimando per lo sforzo e guardandosi intorno.
Nell’ultima fioca luce gli parve di vedere un’ombra muoversi alla sua destra.
Dovette smontare di sella. L’ultimo tratto di strada era impraticabile per la bicicletta, pieno di buche e sassi.
Sentì muoversi qualcuno attraverso un campo alla sua destra. Ma non si voltò a guardare, d’altra parte non sarebbe riuscito a scorgere nulla, nell’oscurità. Il vento aumentò all’improvviso.
Arrancando arrivò in cima alla salita e si trovò finalmente davanti alla porta della casetta di pietra grigia.
La lampada appesa fuori dondolava forte per il vento, illuminando ora a destra ora a sinistra.
L’uomo bussò nervosamente.
La lampada oscillò verso sinistra e per un attimo mostrò una figura nera in piedi nella notte.
Poi la porta si aprì e il viandante ci sgusciò dentro, subito richiudendola.
Un addio alla luce del fuoco
Nel camino dentro la casetta di pietra grigia c’erano due ceppi. Si udiva il fischio del vento sempre più forte che entrava dalle fessure delle finestre.
Prima di togliersi la logora giacca di fustagno, l’uomo s’era tastato le tasche, come faceva sempre. Di solito ne tirava fuori una bella manciata di grosse monete. Non quella volta, le tasche erano vuote.
Con una stretta allo stomaco, appese il berretto sopra la giacca. La chitarra e la borsa giacevano in un angolo accanto alla porta d’ingresso. Era stato fuori tutto il giorno per niente. Al collo teneva ancora la sciarpa di lana infeltrita e aveva il naso rosso e le labbra secche e screpolate.
La moglie gli aveva messo in tavola una scodella di zuppa fumante, un misto di legumi racimolati nella dispensa: fagioli, qualche cicerchia. I due bambini, un maschietto e una femminuccia, si rincorrevano attorno al piccolo tavolo di legno graffiato.
«Ancora nun dormite, voi due?», disse mentre si sedeva e si slacciava la sciarpa.
«Papà! Guarda c’ho fatto oggi!», disse la grande correndogli incontro e sventolando un pezzo di giornale che aveva ritagliato a forma di bambola.
«E guadda io, io, io!», gridava il piccolino correndo senza sventolare niente.
Dalla scodella arrivava un invitante profumo di erbette di campo e cipolla, ma l’uomo girava intorno al tavolo coi bambini urlanti in braccio.
Dopo proteste, qualche risata e una storia della buonanotte, i bambini si addormentarono.
«Antò, hai sentito de Compare Nanni?»
La donna sedeva dall’altro lato del tavolo, la schiena curva, la fronte corrucciata.
«No. C’ha fatto Compare Nanni?», rispose l’uomo.
«Ha venduto pure lui. Ce semo rimasti solo noi, Antò».
«C’erano pure stanotte», cambiò discorso il marito: «Almeno tre, m’hanno seguito»
La moglie trasalì: «E c’hai fatto?»
«E niente, c’ho fatto? Ho tirato dritto. Erano qua vicino a casa nostra, Adè. Cercano de spaventarci.»
Affondò il cucchiaio nella zuppa. Era fredda da un pezzo.
«Dice che non ce la faceva più», proseguì la donna.
Antonio la guardò sovrappensiero:
«Ma chi?»
«Compare Nanni! Dice che c’ha venduto perché s’era ‘ndebbitato fino ar collo, ché nessuno je comprava più niente.»
«E certo», rispose Antonio: «Stanno tutti a fà la fame. Adè, all’osteria nun ce stava nessuno. Pe chi sòno? Nessuno! Non ciànno più manco i soldi pel vino! Pé nun parlare de quelli che stanno a casa co la tosse.
«Sò andato in piazza, ho pensato: sòno qualche canzoncina pe chi passa. Ho incontrato solo la sora Franca. Dice che il marito s’è preso pure lui la tosse e perciò nun lavora da un mese. E dice che sta sempre peggio».
Adele sgranò gli occhi: «E come fanno, se nun lavora?»
«E come fanno?», rispose il marito: «Come tutti, se morono de fame. Hanno voluto vende la terra pe fare i braccianti, pe fare li schiavi dove prima camminavano liberi. E mó se ritrovano co na mano davanti e una de dietro.»
«Sì ma noi mica stamo mejo!», replicò Adele. «Nun semo schiavi ma se morimo de fame lo stesso! Nessuno compera quelle quattro caciotte che famo noi, nessuno te paga pe sentitte sonà… Antò, i ragazzini se sò stufati de magnà zucchine e carote tutti i giorni. Vojono er pane!»
Il cucchiaio non s’era più alzato dalla zuppa fredda. Antonio stava chino sulla scodella e rimuginava.
Sapeva qual era l’unica soluzione, ma gli si torcevano le budella solo a pensarla.
Infine alzò gli occhi sulla moglie:
«Devo andà in città.»
Adele lo guardò senza dire niente. Lo sapeva anche lei che non c’era altro da fare per racimolare qualche soldo, ma non era sicura che fosse una buona idea. E non le piaceva dover restare da sola coi bambini per chissà quanto tempo.
«Trovo un lavoretto pe qualche giorno, qualche settimana al massimo e poi torno. Nel frattempo pò essere che la situazione migliora»
Allungarono le mani sul tavolo e se le strinsero. Si guardarono negli occhi, Antonio non trovava il coraggio di rompere il silenzio e lo fece lei:
«Ne parliamo domani. Nun prende decisioni così, de notte. La notte deve passà. Certe cose bisogna pensarle co la testa riposata». Si alzò, mise la sedia sotto il tavolo e chiuse il discorso:
«Viè a letto, nun stare qua a rimugginà.»
Invece Antonio rimase a rimuginare, solo.
L’aria s’era fatta fredda, i ceppi erano diventati brace. Avrebbe messo su un altro ciocco, ma poi aveva pensato al costo della legna. Come avrebbe scaldato i figli fino all’arrivo dell’estate?
Decise di andare a infilarsi sotto le coperte. Ma mentre ancora stava finendo di salire la scala che portava al piano superiore, sentì uno scalpiccio di piccoli piedi nudi. Sua figlia gli saltò in braccio.
«Voglio un pezzo di pane», disse la piccola.
Ad Antonio si strinse lo stomaco. La tenne tra le braccia e la cullò, finché non si fu riaddormentata. Poi la portò nel lettino, la adagiò piano. E lei, con gli occhi chiusi mormorò:
«Quando avremo i soldi per un po’ di pane, papà?»
Non attese una risposta, stava già dormendo. Ma Antonio non poteva lasciare quella domanda in sospeso. E così, lì nel silenzio e nel buio, davanti ai lettini dei suoi figli, prese la sua decisione.
Attraverso la notte
Aveva chiuso gli occhi per alcune ore, poi s’era alzato col buio.
Avrebbe dovuto essere rapido e silenzioso, perché gli Spettri Neri vagavano per i campi fino all’Alba. Non poteva prendere la bicicletta, Adele ne avrebbe avuto bisogno. Doveva percorrere oltre trenta chilometri a piedi.
Ripose i suoi pochi stracci nell’unica borsa che aveva. Indossò la giacca di fustagno e il berretto e infilò nelle tasche quattro fette di caciotta e due pere. Da un barattolo della dispensa prese una manciata di lire, quelle che sarebbero bastate a comprare un biglietto di sola andata. Si mise a tracolla la borsa e si sedette al tavolo: scrisse un biglietto per Adele.
Poi aprì il chiavistello della porta, fece un respiro profondo e uscì.
La notte era fredda, il vento si era calmato ma era ancora più gelido. Non s’incamminò al centro del sentiero, dove la fredda luce delle stelle poteva tradirlo. E non si voltò a guardare la piccola lampada appesa fuori della porta di casa: se l’avesse fatto il coraggio l’avrebbe abbandonato. Si muoveva al bordo dei campi, a testa china nel buio, cercando di posare i passi sulle zolle d’erba che ne attutivano il suono.
Nelle tenebre, il sentiero si distingueva a malapena.
Animaletti invisibili gli tagliavano la strada fuggendo nelle tenebre. Sicuramente topi.
Lontani ululati arrivavano di tanto in tanto dalle colline più remote. Dove ora correvano lunghe distese di campi, un tempo sorgeva una foresta.
Quando era bambino, nella foresta scomparsa Antonio ci andava a cercare gli scoiattoli. C’erano immensi alberi secolari e a volte si trovavano i gigli selvatici: sua nonna ci faceva un decotto per la tosse.
E poi di notte si udivano i gufi: scrutavano il buio appollaiati sui rami della foresta.
Ora in quelle terre si incontravano i topi. Non c’erano topi, quando era bambino, erano comparsi da quando erano spariti i gufi.
Ad accompagnare la notte non era più il bubolare dei rapaci, ma il continuo, ossessivo tintinnare delle foglioline d’oro.
Tutto intorno, ettari e ettari di campi d’oro coprivano le colline. E alla minima folata di vento, le foglie fitte e leggerissime battevano le une contro le altre in un incessante scampanellio.
Antonio camminava da oltre un’ora, quando improvvisamente, qualche decina di metri dietro di lui lo scampanellio divenne più forte: un corpo si muoveva attraverso le piante d’oro. Si voltò a guardare, ma nel buio non poteva distinguere nulla. Accelerò il passo.
Gli Spettri Neri si muovevano lentamente e silenziosamente. Nessuno sapeva esattamente come fossero fatti. Chi li aveva incontrati da vicino non era tornato per raccontarlo.
Voleva correre, ma era troppo difficile distinguere il sentiero nel buio, doveva fare attenzione a dove metteva i piedi. Sentì altri corpi uscire dai campi tintinnanti.
E allora spiccò la corsa. Il sentiero si arrampicava su una collina, sdrucciolevole. Un orrendo sospirare alle spalle gli mise forza nelle gambe: corse più che poté fino alla cima della collina.
E lì fu sorpreso dai primi raggi del sole.
Una luce pallida inondava il paesaggio e il suo volto stravolto.
Si girò di scatto, ma non vide nessuno: gli Spettri Neri sparivano alla luce del sole. Si prese un attimo per guardare la strada che aveva percorso e che si perdeva nella tenebra. Poi si voltò verso il sole e si rimise in cammino.
In poche decine di minuti sarebbe arrivato alla Stazione.
La Stazione dei dannati
Tirò fuori tutte le lire che aveva in tasca. Le diede all’uomo dietro il bancone di legno col vetro alto e quello gli passò il biglietto dal buco. Era fatta.
Non poteva più tornare indietro.
Non c’era posto sulle panchine di legno rotte, la stazione era piena di gente. Tutti uomini, perlopiù ragazzi. Nessuno parlava, tutti erano soli come lui. Il silenzio era rotto solo da accessi di tosse qua e là.
Antonio aveva quasi voglia di piangere, ma non aveva più l’età per queste cose. Guardando le facce cupe di quei ragazzi, pensava a quanta paura avrebbe avuto lui, alla loro età. E a quanto dolore si risparmiavano loro, che non lasciavano moglie, figli e una casa costruita col sudore, pietra dopo pietra. Poi i suoi pensieri furono interrotti da una voce che gridava:
«Tutti quelli in cerca di un lavoro in città da questa parte!»
Tutti erano lì perché cercavano un lavoro in città e tutti si mossero da quella parte, generando una ressa. Antonio si ritrovò pressato in un’orda di ragazzotti più alti di lui che spingevano senza sapere perché. Dovette sopportare spinte, gomitate e puzza di sudore. Ogni tanto qualcuno imprecava ad alta voce. Spesso si sentiva tossire.
Fu una lunga, estenuante ora. Poi Antonio si ritrovò improvvisamente davanti al tizio che aveva chiamato tutti a raccolta.
«Nome?», chiese meccanicamente il tizio. Era di statura media, con le spalle quadrate e un grosso naso schiacciato pieno di porri.
«Antonio».
«Cognome?»
«Malamente»
«Che lavori hai fatto?»
«Sòno canzoni nei paesi e faccio il contadino. Ciò pure qualche pecora, so fare il formaggio»
L’uomo col naso schiacciato alzò gli occhi e lo guardò incuriosito:
«Ma quanti anni hai?», chiese con aria vagamente stupita.
«Quarantadue».
«Sei vecchio… ». Poi accennò uno strano sorriso storto e disse: «E sòni le canzoni? E non te sei portato nessuno strumento, però. Hai fatto male, me piace sentì le canzoni. Sei ‘n po’ piccoletto ma sembri robusto. Qualcheccosa te posso trovà. Me sei simpatico. E perché vieni in città, se ciài la terra e le pecore?».
«Perché me servono soldi, non c’è più nessuno che compra il formaggio o me paga pe sentì le canzoni. Ciò moglie e due figli».
L’Uomo col naso schiacciato annuiva, come a dire che conosceva quel tipo di problemi. Lo prese sotto braccio, lasciò la lunga fila di ragazzi in attesa e lo condusse verso l’entrata di uno dei vagoni del treno.
«Vieni, vieni, che qualcosa te trovo… », disse con tono affettuoso. «E dove ce l’hai sto pezzo de terra co le pecore… ?»
Antonio era sul vagone e il treno stava per partire, stipato all’inverosimile di poveracci, straccioni e ragazzini, tutti con la morte nel cuore e una vaga speranza di alzare un po’ di soldi in qualche modo.
L’Uomo col naso schiacciato invece non era ancora salito. Quando rimase solo si avvicinò a un altro uomo e gli disse qualcosa all’orecchio. Indicava il vagone sul quale aveva fatto salire Antonio.
L’altro uomo era alto e magro e con un naso troppo lungo. Annuì, mormorando:
«Deve essere quel pezzo di terra con la casetta di pietra grigia, in mezzo ai campi d’oro. È piccolo ma è sempre buono». Poi si rovistò in un tasca e tirò fuori alcune lire. Le mise in mano al tizio col naso schiacciato dicendo: «Sei stato bravo».
Poi naso schiacciato salì su uno dei vagoni e il treno partì sferragliando, in una nuvola di vapore puzzolente.
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Aldus says
Bel racconto.
Molto malinconico, un po’ come mi viene una musica dolce e triste…
Luca Ricatti says
Grazie Aldus,
è solo la prima parte, le prossime puntate arriveranno presto!
Claudio De Pietro says
Bello Grazie.
Luca Ricatti says
Grazie Claudio!
Gianni says
Bellissima storia e bellissime le immagini nella quale si svolge.
Luca Ricatti says
Grazie!
Elisabetta says
Aspettiamo il seguito con impazienza! Bello!
Elisabetta
Luca Ricatti says
Grazie!
adriana says
suggestivo, evocativo, amaro, bello
Luca Ricatti says
Grazie mille, Adriana!
Detto da te è un doppio complimento!
Marco vitale says
Questo racconto, storia, è profondo, ben strutturato, i capitoli si legano bene fra di loro in un susseguirsi di eventi molto vicini alla realtà, una sorta di documento quasi storico che rasenta la realtà del quotidiano con le sue difficoltà, non lontano dagli eventi che ci accompagnano oggi. Complimenti all’autore!
Luca Ricatti says
Grazie mille Marco!
FATIMA says
BELLA LA STORIA!
Luca Ricatti says
Grazie Fatima!
alex says
il libro è molto bello
Luca Ricatti says
Grazie mille Alex!
(Specifico che non esiste un “libro” vero e proprio, almeno non ancora, Alex si riferisce al testo pubblicato qui su blog)
graciela mercanti says
Luca Ricatti é come una documentazione della realta; miei nonni vivevano questa misera vita fino a viagggiare a Buenos Aires, e quello che mi raccontavano!
Luca Ricatti says
Grazie mille Graziella,
è sempre un’emozione sapere di arrivare anche a persone che si trovano così lontane.
Beatrice says
bello, ma molto triste sono molto commossa con il racconto
Beatrice says
Miei antenati sono venuti in Argentina sfuggendo della miseria e la mancaza di lavoro
Luca Ricatti says
Ciao Beatrice,
grazie per i tuoi commenti!