NB: Questo articolo è il seguito della Parte prima. Viene meglio se li leggi in ordine.
La giornata si apre con un TIIINNN.
Sapete quanto è forte il rumore di un piccolo anello d’acciaio che cade da un metro di altezza alle 6;00 della mattina? Abbastanza da svegliarmi.
Avevo messo l’allarme alle 6;30, per concedermi una mezz’ora in più di riposo, ma una delle mie tre gatte ha pensato che non era il caso e ha buttato quello stramaledetto anello giù dal mobile.
Mi alzo con circa quattro ore di sonno alle spalle, colazione, metropolitana e di corsa al lavoro. Buona parte della mattinata la passo a scaricare cassette di ortofrutta.
Esco per l’ora di pranzo, torno a casa, monto in macchina e torno a Ferentino, stavolta accompagnato dalla mia famiglia.
Oggi al Palazzo Giorgi-Roffi Isabelli c’è già qualcuno. Si suona nel cortile, c’è pubblico, insomma tutto regolare.
Se non fosse per le campane. Don Andrea (pare si chiami così) è scatenato. Gira voce che ci sia qualche ricorrenza legata a Sant’Ambrogio martire, patrono di Ferentino. E quindi le esibizioni sono funestate da continui scampanamenti. A un certo punto parte pure una litania sparata da qualche altoparlante, che si diffonde per tutta Ferentino.
La prima cosa che ho fatto, appena arrivato, è stata andare dalla mia chitarra. Ciao bella, tutto ok? Quanto ci voglio bene alla mia chitarra, sono taaanto orgoglioso di lei.
Per primo si esibisce Nello Cerrato, giovanissimo, ma quanti anni ha? All’età sua io stavo ancora a fare su e giù sulla pentatonica con una yamaha elettrica da centomila lire. E invece Nello è già un chitarrista fingerstyle molto preciso. Non so se ho capito male, ma mi sa che è allievo di Tonino Tomeo, uno dei migliori chitarristi fingerstyle italiani. Che in effetti è lì nel pubblico in prima fila.
Poi Giorgio Fioretta canta le sue canzoni in dialetto ciociaro.
E ora tocca a me. Prendo la chitarra, mi siedo. Ho già detto che c’è Tomeo in prima fila? Va bene, prendo il jack e lo infilo nella chitarra.
C’è anche Giovanni Pelosi, organizzatore del festival, che fa su e giù.
Dicevo, prendo il jack e lo infilo nella mia chitarra, quella che ci voglio bene e che sono taaanto orgoglioso di lei.
ZZZZZZZZZ.
Cosa cazzo è sto rumore?
ZZZZZZZZZ.
Non facciamoci prendere dal panico.
È il jack? No, non è il jack.
È la batteria? No, non è la batteria.
È la chitarra? La mia chitarra?
ZZZZZZZZZ.
C’è Giovanni Pelosi che si offre di reggere il jack attaccato alla chitarra per tutta l’esibizione. Cioè, una roba che sentirsi onorati non è abbastanza.
Ma io riesco a pensare solo a una cosa: alla mia chitarra. Mi ha abbandonato. Così, senza un perché, senza un’avvisaglia.
E poi penso tutta un’altra serie di cose che hanno a che fare col mondo ultraterreno e che non è il caso di scrivere, che se mi legge Don Andrea poi l’anno prossimo mi aspetta con lo scopettone.
Si opta per il microfono, messo davanti a me, ci suono e ci canto dentro. Non ho idea di come si sentirà. Comincio.
Ho già detto che ci sono Tonino Tomeo e Giovanni Pelosi? Suona e non rompere, vaffanculo, ieri volevi esibirti per Darragh O’Neil.
Suono.
E partono le campane. Don Andrea deve avermi letto nel pensiero.
Non ho davvero suonato al meglio, anzi. Poi mi sono impappinato sul brano finale. Una roba assurda, perché il Ballo del serpe l’ho suonato dal vivo diverse volte, è un pezzo che sta nel disco, lo suono da un sacco di tempo, l’ho scritto io.
Ma che cazzo.
Ecco, su questa cosa dello sbagliare ci rifletto da un po’ di tempo.
Vorrei capire il meccanismo alla base di questo fenomeno. Mi spiego: se sono in grado di suonare un pezzo in modo perfetto almeno una volta, è segno che i muscoli e i neuroni sanno come eseguire quei movimenti correttamente. Dunque perché non lo eseguono in modo perfetto sempre? Cos’è che interferisce e come?
Dire che è solo questione di esercizio è troppo facile.
Sospetto che i grandi strumentisti mettano in atto delle strategie inconsce, dei meccanismi psicomotori sviluppati nel corso degli anni, probabilmente in modo inconsapevole, che permettono loro di non lasciarsi influenzare da eventi esterni, paranoie o problemi fisiologici, lasciando fluire l’intenzione dalla mente alle dita senza interferenze.
Insomma, ho deciso che prima di tornare qui il prossimo anno avrò studiato a fondo questa faccenda.
Dopo di me s esibisce Giuseppe Tropeano, che è un chitarrista di stoffa, solido come una roccia.
«Lo conosco, sto pezzo», dico a Leonardo Baldassarri.
«Mi pare si chiami Mississipi Blues» risponde lui.
Ma certo, avevo in mente la versione di Stefan Grossman. Probabilmente l’abbiamo tutti sentita da lui.
Tropeano fa anche un duetto con Tonino Tomeo. Che poi esegue qualche brano suo, tra cui la cover di Kiss di Prince, che aveva suonato anche l’anno scorso sul palco grande.
Chiude Marco Baxa col suo trio acustico. Marco è simpatico e bravo, fa una sorta di canzone pop d’autore con forti influenze jazz. Abbiamo fatto amicizia e ci siamo scambiati i CD.
Finite le esibizioni, i signori Roffi-Isabelli ci propongono la visita guidata del palazzo. Lo stanno restaurando tutto, nel corso degli anni, tra grandi difficoltà. In questo paese per fare o diffondere cultura devi essere sempre un eroe coraggioso.
Sono venuti anche i miei genitori, così andiamo tutti insieme in trattoria. E poi al concerto grande.
E succede che i miei, che sono del tutto a digiuno di chitarra acustica, si siedono e si guardano tutte le esibizioni. Ecco i miracoli che riescono a fare quelli che si sbattono per fare e diffondere cultura: adoro Ferentino Acustica.
Io mi guardo Gabriele Posenato, che suona pezzi romanticissimi per acustica fingerstyle e lapsteel (la lapsteel è una sorta di chitarra che si suona poggiata sulle gambe, facendo scorrere una barretta di metallo sulle corde). Il suo è un perfetto esempio di spettacolo in cui musica e narrazione si fondono e rapiscono l’attenzione degli spettatori.
Poi viene François Sciortino, francese di origini italiane (parla benissimo l’italiano) che diverte il pubblico con i suoi ritmi stravaganti. Tipo il cha cha cha per chitarra fingerstyle. Mi piace un sacco, ha questo stile minimalista e pulito, con chiare influenze dal jazz manuche.
Ma mi sta salendo la crisi di sonno pesante. Devo guidare di notte fino a Roma. E sta volta c’è la mia famiglia con me, non posso proprio rischiare di incollarmi un guardrail.
Adesso arriva Darragh O’Neill.
No, mi sto proprio addormentando.
Caro Darragh, ieri te ne sei andato appena prima che mi esibissi. Ti ricambio il favore.
Col cavolo, ci morivo per sentirlo suonare dal vivo.
Mi sparo l’ennesimo caffè, al solito bar. Oggi le signore alticce non ci sono.
Di ritorno dal bar, sulla piazza, incrocio Peter Finger che sorseggia una birra mentre aspetta il prossimo concerto. Lo guardo e gli faccio:
«Hi!»
Lui mi sorride e mi fa un cenno di saluto, pensando:
«Chi cazzo è questo qua?»
Vabbè, non proprio così, lo pensa in tedesco.
C’è mia figlia di tre anni che dorme da un pezzo, nel passeggino. Montiamo tutti in macchina. E torniamo a casa sani e salvi.
La mattina dopo sento mia madre al telefono. I miei sono rimasti fino alla fine.
«Certo erano tutti bravissimi», dice mia madre. «Però quel tizio irlandese era proprio forte!»
Grazie Mamma. Hai mica da prestarmi un cilicio?
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Raffaele says
Veramente potresti essere un grande scrittore: sei preciso, ironico e veritiero. Bravo.
Raffaele
Luca Ricatti says
Grazie Raffaele,
sei troppo gentile.
Raccontare la verità è divertente, per la finzione bisogna essere bravi sul serio.