Anche quest’anno ho partecipato al Open Mic Ferentino Acustica. L’Open Mic è una manifestazione collaterale al Ferentino Acustica, festival tutto dedicato alla chitarra acustica e soprattutto al fingerstyle.
Anche quest’anno è stata un’esperienza entusiasmante. Anche quest’anno situazioni tragicomiche, corse, sveglie all’alba e rientri a notte fonda.
Ecco il racconto di questi due giorni di chitarre, concerti, incontri, insonnia e troppi caffè.
L’ho diviso in due parti, se no veniva una cosa chilometrica.
Open mic Ferentino acustica 2016: Venerdì 15 luglio
Sveglia alle 5;50, a lavorare. Le previsioni del tempo dicono che a Ferentino diluvierà.
Sono settimane che fa un caldo da crepare, il sole arroventa i sanpietrini di Roma e le strade di tutto il centro Italia. Ma oggi no, fa quasi freddo e minaccia pioggia. Comunque, esco dal lavoro alle 13;30, torno a casa, tiro fuori dal frigo mezza pizza margherita della sera prima e me la ingoio così, gelata. Infilo la chitarra nel fodero e monto in macchina.
A Ferentino è nuvolo, ogni tanto qualche goccia, ma tiene.
Mi faccio tutta Via Consolare e incontro Leonardo Baldassarri, organizzatore dell’Open Mic, in compagnia del signor Roffi Isabelli (l’Open Mic si tiene all’interno dello storico Palazzo Giorgi – Roffi Isabelli). Al momento sono l’unico artista arrivato.
Ci si prende un caffè, si chiacchiera di musica, si medita sul dafarsi e alla fine decidiamo di suonare all’interno della Biblioteca, anziché nel cortile.
Nel frattempo arriva anche il chitarrista classico ed ex colonnelo meteorologo televisivo Girolamo Sansosti. Al momento non c’è pubblico, il maltempo ha scoraggiato tutti.
Si finisce a fare jam session. Poi arriva Umberto Sansovini, accompagnato dalla famiglia e dal suo chitarrista arrangiatore. Ci ritroviamo a fare una tavola rotonda parlando di musica, della diatriba SIAE- Soundreef, a scambiarci pareri sulle rispettive chitarre. Con mio grande piacere tutti mi fanno i complimenti per la mia Taylor 514 CE: la adoro, è la cosa più bella che abbia mai acquistato in vita mia. Ne sono taaanto orgoglioso.
Si uniscono i Signori Roffi Isabelli e decidiamo di esibirci tra di noi, lì nella biblioteca, senza neanche bisogno di amplificarci. Arriva anche Giorgio Fioretta.
E poi si presenta un ragazzo con la barbetta e il cappello nero, che sembra De Gregori da giovane: parla in inglese, chiede se stiamo facendo un workshop di chitarre. Gli spieghiamo la faccenda e lui prende posto in mezzo al pubblico. Dice che si esibirà domani sera al concerto grande: si chiama Darragh O’Neill. E ora vi spiego la situazione.
Si dà il caso che Darragh O’Neil sia un chitarrista classico di fama internazionale, uno abituato a suonare nelle grandi sale da concerto, quei posti dove per salire sul palco ti devi mettere il frac, non so se mi spiego.
Darragh O’Neill è irlandese.
Ora, sapete cosa ho preparato per la mia esibizione di oggi?
I miei arrangiamenti per chitarra fingerstyle di brani tradizionali irlandesi.
Ovvio che a questo punto ho due opzioni:
A) fuggire a gambe levate, senza manco rimettere la chitarra nella custodia;
B) accettare la sfida e chissenefrega, o la và o la spacca, si vive una volta sola, meglio un giorno da leoni, eccetera.
Ovviamente opto per la B.
Iniziamo a esibirci. Sansovini canta le sue canzoni, Giorgio Fioretta le poesie ciociare che mette in musica, Sansosti i suoi arrangiamenti per chitarra classica di canzoni famose.
Poi tocca a me. Mi alzo, tiro fuori la chitarra, mi rammarico di aver preso un caffè al bar, anziché un superalcolico, ma sono pronto al salto mortale. Ho deciso che presenterò i pezzi in italiano e in inglese, apposta per Darragh. Prendo posizione davanti al piccolo pubblico selezionatissimo. Ecco, sto per attaccare. E Darragh che fa?
Si alza, sorride a tutti, dice «Thank you, thank you, good bye», fa ciao ciao con la manina e se ne va.
Che facciamo, commentiamo?
No, non commentiamo.
Comunque, mi esibisco, ci divertiamo, prendo quelle due o tre toppe che ci stanno sempre bene, ma chi se ne importa. (No, in realtà non ci stanno bene, ma di questo ne parliamo domani).
Ho suonato Banish misfortune, The Butterfly e una cosa che non ho mai fatto sentire a nessuno: una traduzione in romanesco della celebre canzone irlandese The Wild rover, che è diventata, ovviamente, Er Vagabbonno.
Finito tutto ci salutiamo. Baldassarri ci tiene a precisare che di solito gli Open Mic non si svolgono così, che c’è sempre pubblico. Ed è vero. Ma per me è stata comunque una bella occasione di confronto.
Lascio la chitarra in casa Roffi-Isabelli, tanto domani torno per suonare di nuovo. Mi dispiace un po’ lasciarla lì da sola, poverina. Quanto ci voglio bene a quella chitarra. Sono taaanto orgoglioso di lei.
Vado a mangiare in trattoria, scrocco il wi-fi, chatto con famigliari e amici, bevo vino e caffè.
Poi vado a vedere i concerti sul palco grande. Che è stato spostato nella Biblioteca comunale, casomai piovesse.
Serata memorabile. Si parte a razzo con Nazzareno Zacconi, che pesta la chitarra come un pazzo (mi sa che l’ha pure sfondata) e infiamma il pubblico. Zacconi è una chitarrista della madonna e davvero fa uno spettacolo pazzesco. Però ecco, sono sempre più convinto che le tecniche percussive non fanno proprio per me: ché io alla mia chitarra ci voglio bene, non voglio rischiare di sfondarla.
Poi arrivano in duo Reno Brandoni e Gavino Loche; non potresti immaginare due chitarristi più diversi: il primo chiacchierone (e con la battuta sempre pronta) placido e rilassato, una versione sorniona di Stefan Grossman; Gavino Loche… Beh, se non lo conoscete per le sue celebri cover di Sultans of Swing e Another Brick in the Wall vuol dire che non seguite molto il mondo della chitarra fingerstyle. Loche conclude la sua esibizione suonando un pezzo di sua maestà Peter Finger, ovviamente difficilissimo: che già solo avere il coraggio di fare una cosa del genere sei un grande; farla poi con Peter Finger che ti guarda e che subito dopo salirà sul palco al posto tuo, beh, hai vinto.
Poi arriva Finger e niente, l’ho già raccontato l’anno scorso: vedere un suo concerto è un’esperienza pazzesca. Tra l’altro sto scoprendo progressivamente la sua discografia e resto esterrefatto ad ogni ascolto. Di recente ho perso la mia copia del CD di Rock acoustic guitar: in vita mia ho smarrito solo due compact disc, l’altro è The Dark side of the moon. Si vede che certi capolavori devi avere il piacere di acquistarli due volte, perché una non basta.
L’ultimo concerto (Vittorio de Scalzi e Andrea Maddalone) ahimé non lo vedo, è troppo tardi, devo guidare fino a Roma e domattina devo lavorare.
Passo al bar a prendere un altro caffè. Ci sono alcune signore un po’ in là con gli anni che hanno alzato il gomito. C’è questa che mi guarda e fa al barista:
«È lui quello che suona?»
Gli dico che sì, suono, ma non credo di essere quello che pensa lei.
Non mi è chiaro cosa voglia e non è chiaro neanche al barista.
«Ma non è quello dei New Trolls, vero?»
Il barista gli fa notare che forse sono troppo giovane.
«Ma quello dei New Trolls ci viene qui?»
Gli dico che sta iniziando a suonare proprio ora, alla Biblioteca Comunale.
«Ma ci viene qui?»
«Sta suonando ora, vai lì e lo senti»
«Ma quindi qua non ci viene?»
Vorrei fare una salto in bagno, ma le sue amiche lo hanno colonizzato. Pago e me ne vado. Domani di nuovo sveglia presto, lavoro e poi di corsa qui. >>>Vai alla Seconda Parte>>>
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