Tutto ha inizio giovedì alle 5;50: ho il turno di mattina al lavoro. Viaggio in metro, caffè, poi attacco. Quanti altri caffè bevo durante la mattina? Due? Tre?
Esco alle 13;00 passate, il pranzo consiste in due pizzettine bianche, una barretta di frutta secca e un succo di frutta. E caffè. Il tutto consumato mentre cammino per tornare a casa.
Arrivo, un po’ di prove veloci, carico chitarra e altra roba in macchina e parto per Latina. Mi è stato offerto un piccolo spazio all’interno di un concerto degli Hemingway, formazione rock del capoluogo pontino.
Arrivo, palco allestito in un parco pubblico, stand per bere e mangiare, gli Hemingway stanno facendo il soundcheck. Ottimo service, impianto fichissimo.
Ma il mio concertino non va bene.
Non è la prima volta che dimentico di portarmi uno sgabello. Me ne rimediano uno, ma mi rendo conto troppo tardi di non sapere come si regola. Mi trovo a suonare con la chitarra che scivola verso le ginocchia. Come se non bastasse, quando metto il capostasto i bassi fanno innesco: un fischio costante accompagna la mia esibizione. Ovviamente perdo la concentrazione, ovviamente mi impappino più di una volta. Capita, quello che non strozza ingrassa. No, volevo dire un’altra cosa. Però in effetti rimedio un panino alle verdure squisito. E una birra gelata.
A notte fonda mi rimetto in macchina per tornare a Roma. Devo accompagnare delle persone, imposto il navigatore per Via Taranto. Senza un navigatore o almeno una carta stradale, il mondo è per me un luogo molto complicato.
Io mi fido dei navigatori.
Ma succede che a un certo punto mi ritrovo sulla Cristoforo Colombo in direzione Ostia, col navigatore che dice: arrivo previsto tra 3 minuti. Impossibile.
Infatti mi porta a Via Nino Taranto, che sta tipo dopo Vitinia, a quasi venti chilometri di distanza. Arrivo a casa tardissimo.
Venerdì, sveglia alle 5;50, ho il turno di mattina al lavoro. Viaggio in metro, caffè, poi attacco. Quanti altri caffè bevo durante la mattina? Due? Tre?
Esco alle 13;00 passate, il pranzo consiste in due pizzettine, stavolta al pomodoro, una barretta di frutta secca e un succo di frutta. E caffè. Il tutto consumato mentre cammino per tornare a casa.
Arrivo, non ho tempo di fare prove, carico chitarra e altra roba in macchina e parto per Ferentino. Devo suonare all’Open Mic.
Arrivo facilmente, accompagnato da alcuni familiari. Trovare Via Consolare 360, dove sta il cortile di Palazzo Giorgi-Roffi Isabelli è facilissimo: ho il navigatore sul telefono. Senza un navigatore o almeno una carta stradale, il mondo è per me un luogo molto complicato.
Posto meraviglioso, atmosfera rilassata, pubblico attentissimo. Leonardo Baldassarri, organizzatore e anfitrione, è ospitale e spigliato, tutti sono a loro agio.
Prima di me si esibisce Titti Conce’ Mignola, accompagnata da un ottimo chitarrista. Voce splendida, si merita gli applausi.
Turno mio.
Non solo fila tutto liscio. Mi rendo conto di non aver mai suonato in vita mia per ascoltatori così partecipi e in un luogo così suggestivo. In questi casi si tende sempre ad assolutizzare, però è davvero emozionante. Non capita mica tutti i giorni un pubblico che sta attento a non perdere una sola nota di quello che suoni.
Un paio di volte campane lontane fanno da sottofondo ai miei strimpellamenti. Strani personaggi di pietra spuntano dai muri del cortile. L’edera, il cielo azzurro. Sono ispiratissimo. Tutti applaudono, qualcuno mi chiede il CD.
Dopo di me si esibisce lo stesso Baldassarri, che accompagna alla chitarra le voci delle sue due figlie, giovanissime. E sarà che sono ancora emozionato, ma mi sembra una cosa molto bella.
Poi arriva Girolamo Sansosti, che reinterpreta in chiave strumentale, per chitarra fingerstyle (corde di nylon), classici della canzone romana e napoletana. E qualche brano di musiche di film Disney. Il suo arrangiamento di Spazzacamin (Mary Poppins) mi piace un sacco, ma non solo quello.
Si fa ora di cena e coi miei familiari andiamo a mangiare un boccone in una trattoria lì accanto. Poi in piazza Mazzini, alle 21;00 suona la serie A [la direzione del Festival ci tiene a precisare che non considera l’Open Mic una serie B.].
La piazza è gremita. Centinaia di persone sono lì per sentire concerti di chitarre. Meraviglioso.
Iniziano gli Akira Manera, duo acustico composto da Luca Morisco (voce, ukulele e percussioni) e Davide Lomagno (chitarra e voce), che propongono brani originali in inglese e cover di pezzi celebri arrangiati in modo originalissimo e divertentissimo.
Segue Paolo Sereno, chitarrista eccezionale dalle sonorità jazz-fusion. Mi colpisce più di tutti il suo brano ispirato al folle viaggio di un amico nel deserto, in cui imita il suono della darabouka percuotendo la cassa della chitarra.
Faccio in tempo a sentire parte del concerto di Luigi Grechi-De Gregori, che porta sul palco di Ferentino la sua estetica di Stivali e tequila e i suo approccio rude, un po’ cantastorie un po’ cowboy. Ma si è fatto davvero tardi.
E Bob Bonastre? Sei scemo che ti perdi Bob Bonastre? Sì, ma sono anche distrutto e domattina ricomincia il tran-tran. Il guaio di essere al tempo stesso musicisti e membri della working class.
Un caffè e mi rimetto alla guida verso Roma.
Sabato, sveglia alle 5;50: ho il turno di mattina al lavoro. Viaggio in metro, caffè, poi attacco. Quanti altri caffè bevo durante la mattina? Due? Tre?
Esco alle 13;00 passate, il pranzo consiste in due pizzettine bianche, una barretta di frutta secca e un succo di frutta. E caffè. Il tutto consumato mentre cammino per andare a un appuntamento. Vorrei essere a Ferentino dal pomeriggio, per sentire gli altri artisti che si esibiranno all’Open Mic. Ma questo appuntamento l’ho già rinviato due volte in due mesi, non posso mancare.
Torno a casa nel tardo pomeriggio, una doccia, mi butto sul letto per riposare mezz’ora. Un occhio al telefono e scopro un messaggio che non avevo visto. Una persona che non conoscevo mi ha scritto una email facendomi dei complimenti meravigliosi per il mio album Fumo al vento.
Se fai musica per passione, senza guardare al soldo, cose come questa sono il carburante che ti fa andare avanti nonostante tutto. Perciò niente riposino, gli devo una risposta.
Scrivo, mi vesto e riparto per Ferentino.
Arrivo, parcheggio, esco dalla macchina, rovisto nella borsa in cerca del cellulare. Ho bisogno del navigatore per trovare Piazza Mazzini. Ormai lo sapete che senza un navigatore o almeno una carta stradale il mondo è per me un luogo molto complicato. Ma dove cazzo è il telefono? A casa. Diobono.
Alzo lo sguardo e scopro di essere rincoglionito, ma con una fortuna sfacciata: ho parcheggiato esattamente davanti a un cartello con la mappa di Ferentino. Non solo: a pochi metri da me inizia Via Consolare, l’unica strada di Ferentino che conosco, perché ci ho suonato ieri pomeriggio.
Eppure, cammina cammina, anziché in Piazza Mazzini mi ritrovo in cima al paese. Panorama stupendo, ma non ho tempo da perdere. Mi rifaccio tutta la discesa, torno al parcheggio, riguardo la mappa e capisco che Via Consolare prende una curva strana, se non stai attento ti ritrovi su Via Don Giuseppe Morosini, che appunto arriva in cima al paese.
Alla fine devo chiedere indicazioni a un gruppo di signore sedute in strada a godersi il fresco.
Arrivo in tempo.
Tonino Tomeo, che apre il concerto di sabato, è un eccezionale chitarrista dalle sonorità jazz, con un fingerstyle funky davvero divertente. Usa un pedale sampler per creare sovrapposizioni ritmiche e splendidi assolo.
Poi tocca a Giorgio Cordini, che si esibisce in trio con il chitarrista Antonio Mantovani e un geniale batterista-clarinettista di nome Alberto Venturini. Eseguono i brani dell’ultimo album di Cordini, canzoni che raccontano storie vere, in gran parte ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale. Cordini è un eccellente chitarrista fingerstyle, anche se stasera concede più spazio alla sua voce roca e calda che alle sue mani.
Il Chitarrista Giovanni Pelosi è presentatore-organizzatore del festival. Ogni sera si è ritagliato un breve intermezzo in cui si esibisce accompagnato dalla cantante Esther Oluloro. Oggi suona prima di Riccardo Zappa. Il quale Zappa, quando arriva, mi investe coi suoi suoni epici, world, accompagnato da un grande batterista-percussionista che si chiama Federico Bragaglia. La sua performance è un viaggio, qualcosa di onirico. Il vento agita i capelli di questo signore dall’aria placida, le sue corde mi trascinano in un paesaggio immaginario.
Poi arriva lui, Peter Finger.
E che vi devo dire. Un concerto di Peter Finger è un’esperienza che non ti dimentichi. Nelle sue mani si mescola tutto: musica classica, flamenco, jazz, folk, blues e rock. La sua sembra una totale devozione alla musica. E dico musica nel senso di note, armonia, ritmo. In ogni singolo passaggio sembra mettere tutto quello che la musica di tutto il mondo e di tutte le epoche potrebbe metterci. Oh, non so descriverlo, è una cosa che dovete sentire e dovete sentirla così, dal vivo, mentre la fa davanti a voi. Guardare questo video in cui suona Gateway e immaginare di ascoltarlo di persona, sotto un cielo stellato, magari vi aiuta a farvi un’idea.
Nel presentarlo Pelosi ha detto che Finger non è solo uno dei più grandi chitarristi del mondo, è anche uno dei più grandi musicisti del mondo. Ecco, questo forse aiuta a capire.
Fine, qualche saluto a persone interessanti che ho conosciuto. Poi caffè e di nuovo in viaggio per Roma.
E domenica ci sono Reno Brandoni, Carlo D’Angiò, Antonio Forcione, il Graziano Accini Ethnos Trio.
Ma succede che sono distrutto. E non è più questione di caffè. Ho le gambe pesanti e una sensazione costante di sonno. Per tre giorni ho dormito circa 4 ore a notte, lavorato, suonato e guidato in giro per il Lazio. Lunedì ho ancora turno di mattina, sveglia alle 5;50 e una giornata di lavoro più pesante del solito.
Cascasse il mondo, di Ferentino l’anno prossimo non mi perdo un concerto. Finger ha detto: «Ferentino is one of my favourite places». Eh, pure per me, Peter.
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