La storia di Franco Mastrogiovanni deve essere raccontata e ripetuta, scritta e letta, cantata e diffusa. Perché ci riguarda tutti.
Ogni volta che eseguo dal vivo il Ballo del Matto, mi prendo un paio di minuti per riassumere la vicenda di Franco Mastrogiovanni.
Prima di tutto perché in effetti, se non si conosce la storia, la canzone risulta un tantino ermetica. E poi perché repetita iuvant.
Allora era giusto che scrivessi qualche riga anche qui.
Non mi entusiasma l’idea di riassumere la vita di una persona in un articolo, è una cosa assurda, in effetti.
Ma Franco è diventato anche una figura tragicamente iconica. Perché sappiamo per certo che il suo non è un caso isolato.
E perché Mastrogiovanni non è stato solo vittima di malasanità, ma di un male molto più profondo, una nauseabonda miscela di persecuzione, cinismo, distrazione, perbenismo, fascismo strisciante e omertà.
Chi era Franco Mastrogiovanni
Tanto per cominciare, Franco Mastrogiovanni (nome di battesimo Francesco) non era affatto un matto. Di mestiere faceva il maestro elementare. Di lui i suoi alunni dicevano che era il maestro più alto del mondo. Doveva essere una persona di intelligenza vivace, curiosa, molto sensibile. Sua nipote, la giornalista Grazia Serra, mi ha scritto di essere felice che si scrivano canzoni per ricordare suo zio, perché lui «viveva di musica». E amava i libri. E il cinema.
E poi aveva da sempre simpatie anarchiche.
Per le forze dell’ordine in effetti era un «noto anarchico», definizione che per loro equivale a dire che era una sorta di portatore di peste. La peste del libero pensiero. Ed è proprio la libertà di pensiero la causa scatenante delle disavventure che hanno segnato la sua vita.
Il passato tragico
Nell’estate del ’72 rimane coinvolto involontariamente in una rissa con alcuni militanti del FUAN, associazione giovanile del Movimento Sociale Italiano (per i più giovani: il MSI era un partito di estrema destra, guidato da Giorgio Almirante). Sta sul lungo mare di Salerno con due amici, Giovanni Marini e Gennaro Scariati.
Su questi fatti si è scritto molto, si è addirittura ipotizzato che il suo amico Giovanni Marini fosse nel mirino della destra perché si interessava alla strage degli anarchici della baracca (un giorno magari parleremo di questa storia). Ad ogni modo, la rissa finisce molto male: Marini accoltella a morte Carlo Falvella, secondo alcuni per difendere lo stesso Mastrogiovanni, che si è beccato una coltellata. Non si è mai fatta davvero chiarezza su quei fatti, ad ogni modo Franco non ha un temperamento incline alla violenza, probabilmente è finito in mezzo nel goffo tentativo di placare gli animi.
Comunque, pur non avendo nessuna responsabilità nella morte del neofascista, si fa diversi mesi di carcere, prima di essere assolto.
Per le forze dell’ordine resterà sempre un pericoloso sovversivo.
Nel 1999 finisce di nuovo in carcere per l’indicibile colpa di aver contestato una multa.
Il cognato di Franco, Vincenzo Serra, racconta che quell’arresto avviene «con ricorso alla forza, manganellate e calci». A riportare questa testimonianza è il giornalista Daniele Nalbone, tra i primi a rendere pubblica la morte di Franco, ad agosto del 2009, su Liberazione.
Per quella storia Mastrogiovanni viene assurdamente arrestato, processato e condannato in primo grado a ben tre anni di carcere.
Ci vuole il processo di secondo grado perché venga assolto e risarcito per ingiusta detenzione.
E tanto per non farsi mancare niente, subisce due Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), nel 2002 e nel 2005.
Sì perché, per tutto quello che ha passato, pare che Franco abbia sviluppato una vera fobia per le divise. Segue delle cure psichiatriche. In più di un’occasione, alla sola vista di una pattuglia di forze dell’ordine, fugge a nascondersi.
Nonostante alcuni periodi di depressione, comunque, col tempo riesce e riprendere una vita normale e lavora. Gli piace fare il maestro. Sta finalmente per entrare in ruolo (cioè diventerà maestro “titolare”).
Ma arrivano quelle maledette vacanze.
I fatti del 2009
2009, Franco Mastrogiovanni ha ora 58 anni e trascorre le ferie in un campeggio del Cilento. La notte del 30 luglio attraversa con l’automobile l’isola pedonale di Acciaroli, una frazione di Pollica.
I vigili urbani segnalano che guida a forte velocità ed è in stato di agitazione. Eppure non provoca incidenti e d’altra parte non è chiaro come un vigile possa dedurre lo stato mentale di un guidatore che passa veloce, di notte.
Ma tanto basta affinché il Sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, firmi l’autorizzazione all’ennesimo TSO.
Si dirà in seguito che aveva tamponato ben quattro vetture. Ma le auto tamponate non si sono mai viste e nessuno ha mai sporto denuncia all’assicurazione.
Viene il sospetto che se uno è bollato come «noto sovversivo» e ha già subito ben due TSO, sia fin troppo facile dire che ha dato di matto, anche se magari ha solo sbagliato strada.
La mattina successiva Franco Mastrogiovanni è al mare, nello stabilimento balneare dove è in villeggiatura.
Arrivano i vigili urbani.
Franco rifiuta di consegnarsi, scappa e si getta in mare. A riva ci sono forze dell’ordine, Guardia Costiera e infermieri. La Guardia Costiera dice ai bagnanti che si sta svolgendo una caccia all’uomo. Sì, dice così. E dice ai bagnanti di allontanarsi. I bagnanti ovviamente non si allontanano, restano lì a guardare.
Quando alla fine, sfinito, Franco esce dall’acqua e si consegna agli uomini in divisa, la sua unica forma di protesta consiste nel cantare una canzone anarchica, Addio Lugano bella.
Chiede di poter prendere un caffè, si fa pure una doccia, poi sale tranquillamente sull’ambulanza.
Prima di essere portato via, dice alla titolare dello stabilimento, con la quale ha un rapporto di amicizia:
«Se mi portano all’ospedale di Vallo della Lucania, mi ammazzano.»
Lo portano all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania.
Nonostante le sue preoccupazioni, Franco Mastrogiovanni non protesta. E si lascia sedare.
Appare evidente che non ha alcuna intenzione di creare problemi.
Eppure, quando cade addormentato per i sedativi, lo legano mani e piedi a un letto e lo lasciano lì, nudo. Per quasi novanta ore. Ottantasette, per essere precisi.
Franco chiede aiuto, scalcia, sanguina da polsi e caviglie.
Ma niente, per quasi quattro giorni rimane in questo stato.
I medici lo guardano ogni tanto, gli infermieri cambiano le lenzuola, puliscono il sangue che cola sul pavimento dai suoi polsi straziati dai lacci. Ma a nessuno viene il dubbio che la contenzione vada interrotta.
Sua nipote Grazia – racconta – va a chiedere di poterlo vedere. Non le fanno superare la soglia d’ingresso dell’ospedale, le rispondono che no, non si può, che lo zio sta bene e si sta riposando.
Non è vero, sta lentamente morendo.
Sulla cartella clinica non è riportata la contenzione a cui è stato sottoposto.
Ma nella stanza dove è stato messo Franco Mastrogiovanni c’è una telecamera di sicurezza.
La telecamera filma tutto. Filma l’agonia, la bocca aperta per la fame d’aria.
E filma la sua morte.
Le sentenze
Con la sentenza del processo di primo grado sono stati condannati i sei medici che erano di turno durante quelle tragiche ore: dai 2 ai 4 anni e interdizione dai pubblici uffici per 5 anni per sequestro di persona, falso ideologico e morte in conseguenza di altro reato.
Tutti assolti gli infermieri, perché hanno obbedito a un ordine.
Con la sentenza del processo d’appello, sono stati condannati anche gli 11 infermieri, ma sono state ridotte tutte le condanne, sospese tutte le pene ed è stata revocata l’interdizione.
Durante il processo d’appello, l’avvocato della difesa ha sostenuto che Franco Mastrogiovanni doveva essere contenuto per tutelare la sua salute.
L’operazione è riuscita perfettamente, ma il paziente è morto.
Di questa storia si è parlato su alcuni giornali e in rarissime trasmissioni televisive, per lo più solo dopo anni e grazie all’attivismo di Grazia Serra e del Comitato Verità e Giustizia per Franco Mastrogiovanni.
Vuoi perché Franco era anarchico e gli anarchici, si sa, sono impresentabili.
Vuoi perché di TSO e malattie mentali non sta bene parlare in TV.
Vuoi perché l’autorizzazione al TSO l’ha firmata Angelo Vassallo, il quale è considerato un eroe, e non sta bene raccontare storie che macchino la memoria degli eroi.
Per questi o chissà quali altri motivi, del caso Mastrogiovanni si è parlato poco. E allora ogni tanto qualche cantastorie gli dedica una canzone. L’ho fatto pure io.
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Gianfranco says
Ciao, volevo ringraziarti per aver raccontato la storia di quest’uomo, la storia di Franco. Io sono campano, sono andato tante volte in Cilento, conosco Acciaroli e quei luoghi … ho provato dispiacere e, ti confesso, anche un po’ di vergogna per non aver mai sentito parlare prima di Franco e della sua morte. A volte certi luoghi, specie quelli che frequentiamo abitualmente, nascondono storie di vite spezzate (per esempio quando ho scoperto che sui binari, vicino la banchina della stazione ferroviaria dove ogni mattina prendo il treno per andare al lavoro, Gilda Ambrosino di 16 anni fu uccisa da un ufficiale tedesco perché aveva cercato di portarsi via un po’ di legname): questo mi da molto da pensare su come sia importante fermarsi a riflettere. … e mostrare gratitudine per chi ti aiuta a farlo! Grazie per avermi fatto conoscere e fermare sulla storia di Franco
Luca Ricatti says
Geazie a te per il bellissimo commento, Gianfranco!
Giovanni says
Una bella storia. Diciamo bella nel senso raccontata bene ma, ovviamente, una brutta storia, purtroppo, per il povero e ora defunto Franco. Tuttavia non conoscevo assolutamente questo personaggio. Mi riferisco chiaramente alla sua vicenda. Ti posso assicurare, sono un lettore abbastanza assiduo in tema di cronache, costume, società, politica e quant’altro. Grazie x avermi dato la possibilità di allargare le mie conoscenze comunque.
Luca Ricatti says
Grazie Giovanni,
lo so purtroppo la sua vicenda meriterebbe spazio sui mass media.
Anonimo says
Conoscevo la storia, ma nn i luoghi, rimango atterrita. Con quanta malvagità si decide la sorte di un uomo. Ora vedo il Cilento con occhi diversi.
Luca Ricatti says
Grazie per il tuo feedback.
Con quanta indifferenza, anche!
Lucia says
Sono infermiera e ho sentito il nome di mastrogiovanni per la prima volta ad un corso sugli aspetti giuridici della contenzione. Sono andata a cercare la sua storia prima che il relatore la raccontasse e ho trovato questa.
Tristissima e bellissima
Grazie
Luca Ricatti says
Grazie mille Lucia,
che la storia di Franco sia di esempio per nuove generazioni di medici e infermieri dà speranza che queste cose non accadano più.
Lucia says
Non conoscevo la storia.
Vi ringrazio di averla raccontata.
Io sono una coetanea di Franco, ma ho avuto più fortuna di lui.
Si dovrebbe raccontare per farla conoscere.
Mi dispiace Franco!
Luca Ricatti says
Grazie Lucia!