Questo è un racconto a puntate, per leggerlo integralmente devi partire dalla
☜Prima Puntata
La casa dei due vecchi era avvolta dalle fiamme.
L’Orco sbuffava dal naso, grugniva forte e Giovanni era dietro di lui.
L’Orco avanzò in mezzo al fuoco a grandi passi, Giovanni gli urlò di fermarsi. L’Orco ritornò dopo pochi minuti trascinando due corpi, li teneva per i piedi e se li portava dietro come fossero sacchi.
L’Orco s’allontanò con i cadaveri. Giovanni lo seguì in silenzio.
Alle loro spalle l’incendio continuava a crescere.
L’Orco mise i corpi uno a fianco all’altro e rimase a guardarli, stesi sull’erba.
«Li conosco», disse Giovanni.
L’Orco si voltò verso di lui.
Per la prima volta, Giovanni vide un’espressione feroce sul suo volto. Con due lunghi passi gli fu addosso e lo afferrò per il collo, sollevandolo da terra come fosse stato un bambino.
Giovanni pensò di stare per morire. Dalla camicia sudicia e strappata ciondolò fuori l’amuleto che gli aveva dato la Vecchia.
L’Orco lo vide.
«Dove hai preso questo?», grugnì.
«Me lo diede lei», disse Giovanni indicando il cadavere della donna.
«Bugia!», sbuffò l’Orco.
«È lo vero! Camminai per uno intero giorno nello bosco, col cadavere de uno bambino tra le braccia, arrivai a quella casa, quella che brucia. La Vecchia mi fece riposare e mangiare e mi diede questo amuleto. Mi disse che mi avrebbe salvato»
L’Orco lo guardò per un attimo. Poi disse:
«È lo vero che ti salva». E lo lasciò andare.
Dopo una breve pausa parlò ancora: «Però qualcuno oggi muore. La Vecchia era buona con me. Li òmini dello villaggio la odiavano perché era buona con me. Oggi li òmini dello villaggio hanno ragione ad avere paura di me».
Una trappola
Il cielo diventava scuro.
Il Brutto osservava l’alone rosso che si alzava dal bosco, lontano. Cresceva lentamente un immenso rogo.
La bambina sarebbe tornata solo a notte fonda. E lui l’avrebbe aspettata con pazienza, come faceva sempre.
Aspettava sempre in quel punto che i bambini tornassero dalla casa del Governatore.
Li mandava tutti dal Vicario Pontificio con una lettera, dove stava scritto solo: «Questo è l’omaggio del popolo alla Vostra Signoria».
E poi attendeva ore, seduto su una pietra, sempre la stessa. A volte doveva attendere fino all’alba.
Tornavano feriti, portavano sempre addosso segni. Dai segni sarebbero nate domande e dalle risposte sarebbe nata una rivolta.
Ma i bambini tornavano sempre da lui, per avere altre monete.
E il Brutto li aspettava con un sorriso e un coltello.
Passava il coltello sulle loro gole e si riprendeva la moneta.
A volte, lasciava i cadaveri spogliati, perché fosse più facile dare la colpa al bosco e alle sue creature.
Gli abitanti del Villaggio dovevano credere che l’assassino fosse l’Orco.
Ora era il momento di andare oltre.
Il Governatore aveva pagato molto bene i suoi servigi. Non si interessava al destino dei bambini. Pagava con sacchetti gonfi di monete.
Ora al Brutto non bastava più la ricchezza, voleva afferrare il potere.
Lui sarebbe stato l’eroe che avrebbe guidato il popolo alla vittoria contro la belva assassina.
Quando vide l’ombra dell’Orco stagliarsi in controluce davanti al fiammeggiare del bosco, seppe che la sua trappola stava funzionando. Ma poi vide una seconda ombra, più piccola.
Non gli piacque, ma rimase al suo posto.
E l’Orco arrivò, a passi così grandi che in un attimo gli fu addosso.
Tutto storto
Quando gli uomini del villaggio sbucarono da dietro le rocce con le armi, il Brutto era già nelle mani del mostro.
L’agguato andò storto.
Il Brutto stava per gridare all’Orco di stare fermo, che gli abitanti del villaggio volevano giustizia per le sue…
Ma fu solo un rumore sordo di ossa che si frantumavano.
Il Brutto sgranò gli occhi e il fiato gli si mozzò.
L’Orco gli aveva preso lo sterno fra le braccia e gli aveva fracassato le costole con un stretta furiosa.
Poi lo aveva sbattuto a terra come uno straccio bagnato.
Giovanni vide che alcuni uomini erano subito saltati alle spalle della bestia, chi con un falcetto, chi brandendo una zappa come una mazza da guerra. Vide la mascella di un uomo saltare via e la testa di un altro schiacciata a terra come fosse stata una prugna.
Gli altri si diedero subito alla fuga.
Uno non ce la fece, l’Orco lo raggiunse con una zampata, gli affondò gli artigli nella schiena e quello crollò a faccia in giù nell’erba.
Poi vide la bestia correre dietro gli altri assalitori. E vide che aveva un falcetto infilzato profondamente dentro la schiena.
Belve
Giovanni si chinò sul Brutto. Respirava ancora e lo guardava.
«Siete stati voi a mettere la casa della Vecchia allo foco?», chiese Giovanni.
«Io li mandai!», disse il Brutto. «Paesani creduloni… Io guidai e raggirai lo popolino… Loro ammazzavano la Vecchia e la Bestia… E i bambini andavano allo sacrifizio in casa dello Signore… »
Giovanni fu confuso.
«Allo sacrifizio…?», balbettò. «Dallo Signore…? Quale Signore?»
Lo Brutto si mise a ridere:
«Io li sgozzavo… Io li sgozzavo e loro vanno a caccia della Bestia… » Una risata sfiatata e ansimante.
Poi la risata si trasformò in un rantolo.
L’Orco stava tornando indietro. Barcollava. Cercava di toccarsi la schiena e grugniva. Il falcetto era ancora in mezzo alle sue spalle.
Poi cadde su un ginocchio.
Giovanni lo guardò:
«Dove vanno i bambini?», gli gridò.
L’Orco sollevò un attimo lo sguardo su di lui:
«Vanno dalla belva, allo sacrifizio», disse.
«E dov’è la belva?»
«Nella casa dello padrone vostro», disse l’Orco.
Allora Giovanni abbassò lo sguardo sul Brutto e disse:
«Questo qui è ancora vivo. È stato lui ad appiccare lo foco alla casa della Vecchia».
L’Orco si alzò in piedi e arrivò al Brutto. Gli schiacciò la testa con il piede, poi con gli artigli fece scempio del suo corpo.
Giovanni guardò l’Orco tirargli fuori le viscere e si voltò a vomitare.
Poco dopo, lo vide allontanarsi, barcollante, col falcetto infilato nella schiena.
L’Orco camminò in direzione del bosco in fiamme e nessuno ne sentì più parlare.
I guardiani
Era calata la notte.
Davanti al cancello c’erano tre soldati. Uno stava raccontando della sua ultima visita al bordello. Gli altri due sembravano presi dal racconto, ma uno si voltò verso il buio:
«Chi va là?», gridò. In una mano stringeva la lancia, nell’altra una lampada a olio.
Dal buio emerse un’ombra.
Avanzava a passi lenti, stanchi. Man mano che si avvicinava appariva sempre più orrenda e spaventosa.
«Fermo là!», gridò un altro dei soldati. «Fatti riconoscere!»
L’ombra si fermò ad alcuni passi di distanza da loro.
La fioca luce della lampada ne mostrò le sembianze bestiali.
La testa era un ammasso di capelli e una folta barba gli copriva la faccia. Non aveva camicia né calzature e le brache erano luride e piuttosto stracciate.
Stringeva in mano qualcosa di viscido che giocciolava in terra.
«Fatti riconoscere», gridò ancora una delle guardie.
«Io sò Giovanni Benforte, de nome e de fatto. Fui mandato dallo Governatore a caccia dello Orco gigante che fa strage de bambini».
I soldati rimasero zitti.
«Io sò Giovanni Benforte de nome e de fatto. La bestia assassina è morta e queste sono le sue viscere».
Sollevò davanti alla faccia dei tre soldati l’intestino gocciolante del Brutto. I soldati si ritrassero inorriditi.
«E ora fateme passare, debbo parlare con lo Signor Governatore».
Non attese una risposta, avanzò in mezzo ai soldati.
Spinse il cancello ed entrò.
Una lampada si accese, qualcuno si mise a correre.
Un insolito vociare si diffuse nel cortile del palazzo.
Si raccolse un capannello di servi, stallieri e soldati.
«Che state a guardare!», fu l’urlo che scosse tutti.
Il Comandante delle Guardie del Governatore arrivò a passi lunghi e veloci.
«Tu, ubriacone e puzzolente de uno straccione! Come osi entrare nello palazzo dello Signore tuo in codesto arnese?»
Giovanni si fermò a guardarlo.
Sollevò i visceri sanguinolenti che teneva nel pugno e disse fissando il Capitano dritto in faccia:
«Lo mostro assassino è morto. Lo mostro vero».
Il Capitano rimase senza parole. Dovette pensare in fretta.
Se si fosse saputa la verità sarebbe scoppiata una rivolta.
Sguainò il lungo coltello che teneva sempre al fianco e in un attimo fu addosso a Giovanni.
La lama era lunga, affondò nel ventre di Giovanni come fosse mollica di pane.
Giovanni sussultò.
C’era stato un tempo in cui era un giovane rissoso, svelto a tirare pugni.
C’era stato un tempo in cui neanche un soldato grosso come quello lo avrebbe colto di sorpresa.
Afferrò la testa del Capitano, schiacciandogli i visceri molli sulla faccia. Quello provò a indietreggiare, ma Giovanni lo colpì con una violenta testata sul naso.
Il soldato barcollò.
Giovanni si tolse la lama dalla pancia.
Il Capitano era cieco per il sangue gelatinoso sparso sulla faccia.
Giovanni lo afferrò per la giubba e gli infilò il coltello nel cuore.
Nessuno mosse un dito. Nessuno fiatò.
Giovanni avanzò fino al portone e bussò forte.
Nella tana della belva
Fiammelle dondolanti.
Il salone di ingresso del palazzo era pieno di torce e candele.
Giovanni stava sulla soglia con una mano sul ventre sanguinante. Tossiva. Era sudicio, i pochi vestiti che aveva indosso erano ridotti a stracci. La sua puzza arrivava a metri di distanza. Si sentiva vecchio e stanco.
Il Governatore stava ai piedi di una scalinata di marmo con una vestaglia. Lo fissava impassibile.
«Vostra Signoria, lo assassino dei bambini è morto», disse Giovanni.
Il Governatore parlò:
«Sei venuto a riscuotere la ricompensa? Ebbene sei libero, Giovanni Benforte. Porta li tuoi stracci maleodoranti lontano da questa dimora».
«Non venni qui a cercare ricompense, Vostra Signoria, venni a cercare… »
Il Governatore alzò una mano per comandare silenzio:
«Lo straccione imbriacone è venuto infine a cercare una morte che gli faccia onore».
C’era stato un tempo in cui Giovanni Benforte raggirava i ricchi signori. Apriva le loro borse con piccoli rasoi per farne sgorgare monete tintinnanti. Seduceva le loro figlie in età da marito. Inventava canzoni su di loro con gli amici all’osteria.
Sputò in terra:
«Lo onore è roba per i signori come Voi. Io venni a cercare una bambina. Venni per riportarla alla casa sua».
«Quello che cerchi, qualunque cosa sia, sta allo piano superiore. Va’ a fare quello che devi e infine porta la tua carcassa di moribondo lontana abbastanza affinché non ne senta più lo puzzo mortifero».
Ogni scalino sembrava più alto del precedente.
La ferita nel ventre pulsava e buttava sangue. Giovanni aveva voglia di lasciarsi cadere.
Arrivato al piano superiore attraversò una stanza. C’erano pavimenti lucidi, mobili intarsiati e grandi quadri alle pareti. Giovanni lasciava impronte di terra e sangue.
Arrivò a una porta chiusa.
La aprì.
Davanti a lui c’era un tavolino. Sopra c’erano due bottiglie di vino, una vuota e l’altra mezza piena.
Quante settimane erano passate da quando era stato gettato nelle galere del Governatore?
Da quanto tempo desiderava bere vino, così tanto da avere attacchi di rabbia e crisi di pianto?
Oltre il tavolino con le bottiglie c’era una poltrona e sulla poltrona c’era un uomo stravaccato.
Davanti alla poltrona c’era una bambina seminuda. Tremava.
Giovanni guardò le due bottiglie.
Afferrò quella vuota.
«Vattene», disse alla bambina. «Esci da qua subito».
L’uomo sollevò la schiena e si voltò verso di lui.
Non disse niente. Si chinò a raccogliere qualcosa a terra dietro la poltrona.
Quando si alzò, impugnava una lunga spada.
Era alto e aveva braccia lunghe e nervose. Puntò la spada verso Giovanni, senza parlare, e si mosse verso di lui.
Ma inciampò.
Imprecò e di nuovo si rivolse a Giovanni. Barcollava, doveva essere del tutto ubriaco. Ma in un attimo fu a alla distanza di un colpo di spada.
La bambina fuggì dalla stanza.
Giovanni lanciò la bottiglia vuota in faccia al Vicario Pontificio.
Lo centrò in pieno.
Quello cadde all’indietro.
Giovanni afferrò l’altra bottiglia, quella mezza piena. La teneva per il collo, sottosopra, e il vino colò tutto fuori.
Quando arrivò sopra al Vicario, vide che teneva ancora la spada in mano. L’agitò e colpì Giovanni facendogli un taglio che andava dalla bocca all’orecchio.
Giovanni diede una bottigliata alla mano che impugnava la spada, facendola volare via.
Poi si chinò sul Vicario e lo colpì in faccia diverse volte col fondo della bottiglia.
Per qualche secondo il Vicario continuò a muoversi, a scatti.
Poi non si mosse più.
E Giovanni cadde a sedere a terra stremato.
Scese le scale insieme alla bambina.
Arrivarono nel cortile. C’erano persone tutto intorno.
«Qualcuno porti questa bimba alla casa sua», disse Giovanni.
Poi crollò carponi. E poi finì con la faccia a terra.
Mentre era in quella posizione, Giovanni pensò.
C’era stato un tempo in cui era un giovanotto svelto di mano. Sempre pronto a fare a pugni. Abile con le chiacchiere.
C’era stato un tempo in cui sapeva come parlare a una ragazza, dove rimediare soldi per pagare da bere a tutti, comprare regali e procurarsi vino di annata buona.
Ora Giovanni Benforte era vecchio, ferito, seminudo, orrendo a guardarsi, il lurido e puzzolente relitto di se stesso.
E per la prima volta in vita sua fu felice.
E quella fu la notte in cui Giovanni Benforte morì.
Eroi
Furono indetti festeggiamenti per la morte dell’Orco.
Fu mandata una lettera a Roma, in cui si spiegava come un mostro sconosciuto, mai visto prima, folle e furioso, fosse riuscito a introdursi in casa del Governatore e di come l’eroico Signor Vicario l’aveva affrontato, perdendo infine la vita.
Il Governatore fece leggere un proclama, in cui dichiarava Giovanni Benforte, di nome e di fatto, eroe, salvatore e cittadino esemplare.
Per molte contrade si diffuse la notizia della morte di un Orco orrendo.
Ancora oggi, da qualche parte, c’è chi racconta una vecchia leggenda, in cui un certo Giovanni Benforte, svelto di mano e abile con le chiacchiere, ingannò un grosso Orco e lo uccise.
+++ FINE +++
Approfondimenti
La leggenda di Giovanni Benforte l’ho letta sul libro a cura di Cecilia Gatto Trocchi dal titolo Le più belle leggende popolari italiane.
È la storia, diffusa in Abruzzo nella zona di San Paolo di Iesi, di come un tizio astuto, abile a far credere di essere quello che non è, viene mandato ad affrontare un uomo-belva. E di come riesce a raggirarlo e a farlo morire grazie all’astuzia.
+++FINE+++
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Anonimo says
Buono il finale anche se speravo che l’Orco si sarebbe salvato ma almeno Giovanni si è riscattato e ha messo fine a quello scempio di bambini
Bravo scrivi proprio bene
Elisabetta
Luca Ricatti says
Grazie mille!
Iva Rossi says
Molto bello. Bellissimo linguaggio letterario, immediato intenso e poetico.
Luca Ricatti says
Grazie per queste belle parole, Iva!