Questo è un racconto a puntate, per leggerlo integralmente devi partire dalla
☜Prima Puntata
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
Un’aria gelida spazzava i vicoli deserti. Qua e là un lampione apriva un piccolo varco nell’oscurità, segno che qualche lampionaio ancora si dava da fare; ma appariva come un faro nel mare notturno. La tenebra sembrava espandersi dagli anfratti più nascosti come un vapore malsano, invadendo le strade.
Gli Spettri Neri si aggiravano in cerca di disperati che violavano il coprifuoco: qualche sciacallo si avventurava nelle case di morti e moribondi in cerca di oro e denaro, ma c’era anche gente che semplicemente non aveva un riparo sicuro per la notte.
Antonio era uno di questi.
Il giorno in cui il banditore aveva declamato l’editto straordinario, era tornato al magazzino insieme al ragazzo di Rocca Bianca e l’avevano trovato ridotto a un lazzaretto. Avevano aspettato nella stanza dell’uomo col naso schiacciato per alcune ore, ma nessuno degli altri facchini ancora in salute era più tornato.
Naso Schiacciato era arrivato a sera, era pallido e tossiva. Senza salutarli aveva gracchiato ordini di sgomberare il magazzino dai morti e dai moribondi, di scaricarli in strada e poi di rimettersi subito al lavoro. Dopodiché, era crollato a sedere dietro la sua scrivania.
Antonio lo aveva guardato un attimo e poi aveva detto piano:
«Dacce la paga che ci devi, noi se ne annamo».
Naso Schiacciato aveva emesso una risata sfiatata e aveva risposto:
«Vòi i soldi, vòi? Beato a te! I tuoi colleghi se sò presi tutto e sò scappati. Nun ciò niente, nun ciò!»
Antonio aveva detto al ragazzo di uscire fuori. Poi aveva trascinato in avanti la scrivania e l’aveva girata, per rovistare nei cassetti senza avvicinarsi a Naso Schiacciato:
«Stamme lontano, nun t’azzardà!», gli aveva detto. E quello, che aveva a malapena la forza di stare seduto, non si era alzato.
Ma nei cassetti Antonio non aveva trovato neanche mezza lira.
Aveva detto al ragazzo di andare a cercarsi un rifugio per la notte, che la mattina dopo si sarebbero incontrati lì davanti e, se fossero stati bene, sarebbero andati insieme alla stazione a cercare un treno che li riportasse a casa.
Dopo aver lasciato il magazzino, Antonio aveva girato alcune ore in cerca di un vicolo o un portone aperto dove mettersi a dormire. Poi aveva visto gli Spettri Neri aggirarsi silenziosi in una piazza. Così, aveva deciso che il modo più sicuro di arrivare sani e salvi al sorgere del sole era continuare a spostarsi attraverso i vicoli meno battuti.
La mattina dopo, il ragazzo non si era presentato all’appuntamento.
Antonio era andato alla stazione da solo, ma aveva trovato tutto sprangato e c’erano due guardie armate che presidiavano l’ingresso. Una delle due tossiva rumorosamente e l’altra si teneva a distanza.
L’unica cosa che aveva mangiato era un grosso tocco di pane raffermo, nel pomeriggio: aveva forzato la porta di un panificio chiuso.
Ora, per la seconda notte Antonio si ritrovava a vagare per la città.
Vagava guardingo e affamato, col cuore che gli saltava in gola a ogni rumore. Più di una volta gli era capitato di paralizzarsi per lo spavento sentendo un gemito nel buio, per poi accorgersi che proveniva da qualche moribondo sbattuto in terra. I lati delle strade erano infestati di cadaveri. Durante il giorno i pochi beccamorti in attività ne caricavano a dozzine sui carretti, ma non ne raccoglievano mai abbastanza.
Giunto all’incrocio tra due stradine, s’infilò in quello che nel buio pareva un vicolo. Faceva una gran fatica a riconoscere le strade senza illuminazione. Il vicolo si rivelò essere una lunga strada dritta che incrociava molte traverse: davvero pericolosa, perché da ogni angolo poteva sbucare uno Spettro. Antonio camminava rasente al muro, acquattato il più possibile nell’ombra.
Quando udì la voce chiamarlo dall’alto, rimase congelato dal terrore:
«Guarda che ti vedono lo stesso! Vedono nel buio meglio dei gatti!»
Antonio sollevò lo sguardo e lo vide seduto a gambe incrociate sul davanzale di una finestra del primo piano. Non poteva capire se fossero il buio e la distanza a ingannarlo, ma gli pareva incredibilmente piccolo, non più alto di un bambino di tre o quattro anni. L’unica cosa assolutamente evidente erano i denti, scoperti in un sorriso che scintillava in modo innaturale.
«In verità non si può dire che vedano in senso stretto: loro più che altro ti sentono. Sentono la paura che emani e che diffondi attraverso il buio. Lo sapevi che quando ti muovi nel buio è come se ci strusciassi attraverso? La paura ci rimane appiccicata. E loro la sentono. Ma non col naso, è più una cosa di pelle, potremmo dire. O meglio, lo potremmo dire se avessero una pelle».
Esprimere un desiderio
Antonio si voltò a controllare i vicoli, convinto che la voce di quell’essere avesse già attirato l’attenzione degli Spettri.
«Tra qualche minuto ne sbucherà uno da quell’angolo laggiù», disse l’omino con tono quasi canzonatorio, indicando oltre le spalle di Antonio. «Ma devi aspettare qui, perché se avanzi ora ne incontrerai due che vengono da quella parte», proseguì. Sembrava che la faccenda lo divertisse.
«E te?», disse Antonio. «Te nun ciài paura che te prendono?»
L’omino lo guardò sorridendo, come distratto a pensare a qualcos’altro. Infine disse:
«Se esprimi un desiderio, io lo posso esaudire». I denti scintillarono ancora di più, come illuminati da un’improvvisa luce spettrale. Poi, oltrepassando Antonio con lo sguardo, cambiò improvvisamente espressione e disse:
«Oh, eccolo che arriva. Adesso è meglio che scappi. Però hai ancora tempo per esprimere un desiderio!»
Antonio si voltò e vide avanzare dal fondo della strada una massa più scura del buio. Senza pensarci due volte, si mise a correre nella direzione opposta.
Arrivato all’incrocio con la prima traversa si fermò a sbirciare velocemente da dietro l’angolo e poi sgusciò verso sinistra. Buttò un’occhiata al primo vicolo che trovò sulla destra e, vedendo che sembrava deserto, ci si infilò.
Per poco non cadde, incespicando nei piedi di un corpo riverso a terra.
«Guarda che puoi chiedermi quello che vuoi!»
Alzando lo sguardo, Antonio lo vide appollaiato su qualcosa, davanti a lui, i denti bianchissimi che lampeggiavano nelle tenebre. Un carretto, stava seduto a gambe incrociate sopra un carretto abbandonato e lo fissava con penetranti occhietti a mandorla. Ora lo vedeva leggermente meglio: era effettivamente molto piccolo, aveva il viso glabro e appuntito.
«Vuoi essere salvato dagli Spettri Neri?», disse l’omino in tono assolutamente affabile. «Vuoi un treno che ti riporti subito a casa tua, da tua moglie e dai tuoi figli? Anzi meglio, posso fartici arrivare in volo! Non ti piacerebbe volare?»
«Ma che vòi da me?», rispose brusco Antonio, parlando più piano che poteva. «Lasciame in pace e pensa a li fatti tuoi. Guarda che te beccano pure a te, se continui a strillà così! Pure se schizzi veloce come un gatto, te pijano!»
«Io non schizzo!», rispose l’omino accigliandosi. Poi sorrise di nuovo: «Veloce? Che tonto! Essere veloci è una perdita di tempo! Basta scavare nel buio e uscire da un’altra parte».
Fissò Antonio negli occhi, improvvisamente serissimo: «No, non sei tonto, tu. Fai finta di essere uno zotico di campagna, ma la sai più lunga di tanti fessi di città… ». Ora a scintillare erano gli occhietti, ridotti a due fessure bianchissime. «Tu non vuoi solo scappare, tu lo sai che tua moglie e i tuoi bambini sono assediati. Non dovevi venire in città e ora lo sai: vuoi correre dalla tua famiglia per proteggerla… Come se fosse in tuo potere… Ma lo sai che se ci vai gli porti il morbo della tosse?».
La luce si spense negli occhietti e tornò ad accendere il sorriso gelido: «Un bel problema: se non ci vai, li lasci da soli ad affrontare i nemici. Se ci vai gli porti il morbo dentro casa… Che brutto guaio!»
«Ma che morbo? Ma che vòi?», fece Antonio più preoccupato che arrabbiato. «Io nun ce l’ho la tosse! E che ne sai te, de la famija mia? Ma chi sei?»
L’omino continuò senza badargli:
«Vediamo, se fossi in te che desiderio esprimerei? Mhh… La forza? La forza di sconfiggere tutti i mali, per esempio: saresti così forte da sconfiggere ogni malattia che ti assale, arrivare a casa in un lampo e scacciare tutti i cattivi dalla tua terra! Bello, no?»
Lo Spettro Nero aveva girato l’angolo del vicolo, gli dava la caccia e l’aveva trovato. Antonio guardò un attimo l’omino e disse, prima di darsi alla fuga:
«Non me serve niente da te. Lasciame sta.».
Un premio nelle tenebre
La terza volta che incontrò l’omino fu sotto la luce di un lampione. Se ne stava con la schiena appoggiata al palo.
Antonio stava correndo, aveva seminato lo Spettro. Si fermò a guardare il piccolo essere e ansimando farfugliò:
«Ma perché nun me lasci in pace?». S’interruppe per riprendere fiato, poi, fissandolo meglio aggiunse: «Che sei? Una specie de essere magico, uno spirito? Che vòi da me? Io nun t’ho chiesto niente!»
«Spirito?», rispose l’omino in tono offeso. «Ti sembro uno spirito?». Poi tornò a sorridere: «Io faccio questo, è questo che sono: vado in cerca di persone che hanno bisogno di aiuto e le aiuto! E, scusa se te lo dico, ma si vede da lontano che tu hai bisogno di aiuto: perciò eccomi qua!»
Antonio lo guardò soppesando le parole, prima di parlare:
«Io nun so niente di queste cose… de magie… desideri… Quando ero bambino e m’avventuravo nei boschi, mì nonna me diceva: statte attento alle creature magiche! Nun te devi mai fidà! Pure se te promettono cose, nun te fidà! Così me diceva»
Ma l’omino continuava a sorridere e insistette:
«Non vuoi la forza? Hai ragione, i forti vincono le battaglie, ma non hanno il controllo, sono sempre in balìa degli eventi… Il potere è quello che ci vuole! Anzi meglio: ricchezza e potere!»
Antonio ora era fermo e guardava l’omino dritto in faccia:
«Io nun lo so se sei vero o me sto a sognà tutto. Ma mì nonna me diceva proprio de quelli come te: folletti ve chiamava. Diceva che ve divertite alle spalle della gente, fate promesse de tesori e poi mandate i poveri cristi alla rovina… »
«Questo è davvero un giudizio sommario e immeritato!», disse il Folletto con aria incuriosita. «Se tua nonna fosse ancora viva andrei a farci due chiacchiere. I poveri cristi si rovinano assolutamente con le loro mani. Non è certo colpa mia se le persone nei guai mi chiedono la corda per impiccarsi!
«Guarda i Signori di questa città», proseguì lisciandosi gli abiti. Ora Antonio si accorse che indossava un elegante completo verde scuro, la giacca chiusa da bottoni d’oro. «Erano un mucchio di morti di fame che cercava di cavare tuberi da pezzi di terra pietrosa.
«Ho detto: vi serve aiuto? Chiedetemi qualunque cosa e ve la darò. Beh, sono stati lì a pensare per giorni! Parlavano e parlavano e si prendevano a pugni e poi ancora parlavano. Quasi una settimana di discussioni infinite!
«Poi sono venuti da me con questa bella pensata: dacci dei semi che fanno spuntare l’oro! Vogliamo coltivare l’oro come fossero piante di ortica! Che crescono veloci! Ho detto loro: siete sicuri? State qui a spaccarvi la schiena tutto il giorno e l’unica cosa a cui sapete pensare è un altro modo per spaccarvi la schiena! Sai cosa mi hanno risposto? Ma quando saremo ricchi faremo lavorare gli altri al posto nostro!
«Ed ecco cos’hanno ottenuto: altri morti di fame, che per sopravvivere mangiano topi malati e portano malattia a tutti. E ora i Signori se ne stanno nelle loro stanze d’oro a morire tossendo: muoiono loro, le loro mogli, i loro figli, i figli dei loro figli, i loro servi, i medici che li curano, i becchini che se li caricano.
«Perciò non dare a me la colpa! Io ti dico solo: puoi scegliere qualsiasi cosa, chiedimi qualunque cosa. Non sarò io a darti la rovina, sarai tu a fare di te quello che vuoi».
Antonio rimase in silenzio per un bel po’.
Alla fine rispose: «Io sò un contadino, so fà il formaggio, sò cantà le canzoni, sò legge e scrive… Da dove vengo io mica tutti sanno fare queste cose e tanti pensano che io sò un tipo intelligente. Ma io penso: se ero tanto intelligente me trovavo qua?
«Un desiderio, dici te. Ma quanto cervello ce vorrebbe pe sapé tutte le conseguenze? No, nun fa pe me. Lasciame perde, che de guai ce n’ho già troppi. Già è tanto se arrivo alla fine de sta nottata».
E detto questo voltò le spalle e s’incamminò.
«Sei un bel tipo!», disse il Folletto. «Lo dicevo che non sei tonto come sembri. Aspetta, che una cosa te la voglio dare lo stesso. Anzi due: un regalo e un consiglio. Non li hai chiesti, ti sono capitati, perciò non darti pena a pensare se ti daranno guai.
Si avvicinò ad Antonio e gli porse un fiore dicendo:
«Questo lo conosci, ma forse non te lo ricordi. Ed ecco il consiglio: c’è ancora un bosco, sulle montagne, vallo a cercare».
Detto questo, il Folletto infilò una mano nel buio, lo allargò come fosse una grande tasca e ci si infilò dentro, sparendo all’improvviso così come era arrivato.
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Elisabetta says
Il racconto è sempre più coinvolgente e man mano che la storia si sgrana viene fuori la tua capacità di affabulare il lettore
Attendiamo la 4a parte
Luca Ricatti says
Grazie!
Lord Hume says
Molto carino. A me la quarta puntata.
Luca Ricatti says
Grazie Lord Hume!