Qualche giorno fa si è concluso il baraccone del Festival di Sanremo. Io non guardo mai il Festival, non da quando sono libero di scegliere quali programmi vedere (cioè da quando avevo 10 anni), quindi non faccio commenti sulla qualità dell’intrattenimento o delle canzoni. Però questa trasmissione televisiva si presta a un discorso che mi interessa: la crescente dipendenza della musica dall’ immagine. Ovviamente prima ho chiesto informazioni, giusto per capire se ci avevo visto giusto.
Credo siano in pochi, in Italia, a conoscere le AKB48. Sono un gruppo musicale femminile giapponese, composto da svariate decine di ragazze (chi dice 88, chi 64, chi 92, cui si sommano diverse aspiranti), suddivise in varie squadre che fanno spettacoli quotidiani in più posti contemporaneamente, sempre affollatissimi. Sono ragazze del tipo che in Giappone chiamano idol, cioè giovani, carine, aggraziate, popolari e ammirate dai coetanei, ragazze tra i 14 e 20 anni, che si muovono e si vestono in modo sessualmente allusivo ma sempre un passo prima del limite della decenza. Non suonano strumenti, non scrivono le canzoni che cantano né hanno particolari doti canore: cantano in coro, sorridono e fanno coreografie.
In effetti non le conoscevo neanche io, ma di recente una delle leader di questa mega-girl-band è balzata ai disonori delle cronache perché immortalata da un giornale giapponese mentre usciva dalla casa di un uomo: fatto gravissimo, perché le AKB48 non sono autorizzate ad avere relazioni. L’immagine della poveretta ne è uscita tanto distrutta che lei ha pubblicato un video messaggio su Youtube nel quale si scusa pubblicamente in lacrime, con la testa rasata in un momento di disperazione autolesionista.
Ora, senza impelagarmi in una (noiosa) storia del pop, mi sento di poter dire che si è passati da una situazione in cui il mercato discografico selezionava musicisti che fossero anche belli e/o alla moda, perché così era più facile vendere la loro musica, a una fase in cui seleziona persone belle e alla moda che sappiano anche cantare, perché così è più facile vendere la loro immagine. C’è stato un tempo in cui le ragazzine amavano i Beatles. Oggi amano la proiezione di come vorrebbero apparire. Senza parlar male di nessuno, si noterà una certa differenza. Insomma, l’immagine ha progressivamente soppiantato la musica come elemento per la valutazione qualitativa di un evento musicale.
Credo che dovremmo fermarci a riflettere su quanto l’immagine sia arrivata a influenzare le nostre scelte, al punto di condizionarci anche in ciò che riguarda le sole orecchie.
Ovviamente la storia non è mai lineare. Le AKB48 saranno una novità in Giappone e forse nel mondo, ma in Italia già un ventennio prima abbiamo avuto il programma televisivo Non è la Rai di Gianni Boncompagni, in cui decine di lolite altrettanto scollacciate si alternavano in balli e canzonette. Per di più non facevano mai spettacoli dal vivo e si limitavano a fingere di cantare in playback tracce incise quasi sempre da altre.
Si dirà che questi sono fenomeni ascrivibili al mondo degli adolescenti, mentre gli adulti sono di gusti più raffinati. E qui veniamo al Festival di Sanremo. Seppure pesantemente influenzata nelle premiazioni finali dal gusto dei giovanissimi, la più celebre manifestazione canora italiana è seguita da un pubblico di tutte le età.
Nella serata finale, 7 televisori italiani su 10 erano sintonizzati su quel programma. A trionfare è stato Marco Mengoni un 25enne indubbiamente molto bello. Vincitore di non so quanti dischi di platino, il ragazzo ha inciso il suo primo album 3 anni prima, dopo aver vinto un famoso talent-show, molto seguito dagli adolescenti, che gli ha garantito un contratto da 300 mila euro con una major; per tale merito, quello stesso anno è stato arruolato di diritto nel circo sanremese e si è classificato terzo. 3 anni dopo (settimana scorsa) partecipa ancora e vince, soprattutto grazie al televoto di quei quasi 300.000 ragazzi che comprano i suoi dischi. A parte il fatto che il 3 deve essere il suo numero fortunato, a me pare che in tutta questa faccenda televisione, soldi e audience hanno un ruolo assolutamente dominante.
Si dirà che non è colpa degli organizzatori del Festival, che così va il mercato e che, d’altra parte, la giuria di qualità si era espressa altrimenti. En passant si fa notare che detta giuria era composta per il 30% da musicisti, poi c’erano un attore, una ballerina, un enigmista, un disk jokey, una presentatrice, uno scrittore e la vedova di un cantante lirico: dal che si può dedurre che, per dare un giudizio di qualità il Festival riserva alla musica un valore uguale a meno di un terzo.
Questa giuria aveva preferito la canzone di Elio e le storie tese: una band di tutto rispetto, formata da musicisti eccellenti. Ma sarà un caso che Elio e i suoi occupano più o meno ininterrottamente gli schermi televisivi da circa 20 anni, spostandosi da uno all’altro dei più importanti gruppi mediatici pubblici e privati? Recentemente, poi, Elio ha fatto parte della giuria di quello stesso talent-show da cui qualche anno prima è uscito il 25enne che ora gli ha soffiato il primo posto a Sanremo. Sempre gli stessi personaggi che si rimpallano da un canale televisivo all’altro.
Si dirà che questo fenomeno riguarda i prodotti musicali di massa, che la musica di qualità, indipendente, non si presta a certi giochi. Io non credo che sia più così.
Chi come me è stato un adolescente rockettaro negli anni ’90 avrà notato che alcune delle band che in quel periodo portarono un po’ di musica fresca nella stantia italietta (quelle che non si sono sciolte), negli ultimi anni hanno calpestato il palco sanremese. Cantanti apparsi più volte al Teatro Ariston sono considerati esponenti della discografia indipendente. Questa gente non vince mai, però ci prova, cosa che 20 anni fa era impensabile.
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