Primavera del 2000. Sono tutto preso dal corso di Etnomusicologia a La Sapienza. Devo dare la seconda annualità e sono seriamente intenzionato a prendere il massimo dei voti. Non so ancora che un anno dopo abbandonerò il corso di laurea in Lettere. Oggi trovo interessantissime cose che a quell’epoca mi annoiano al punto da essere una tortura. L’unica cosa che adoro studiare, in quei giorni, sono i testi di etnomusicologia. E così, 2 o 3 volte a settimana, vado tutto gasato a sentire le lezioni del Professor Giannattasio.
Occasionalmente ci sono degli incontri extra, delle specie di concerti/lezioni. I più belli sono due dedicati alla musica sarda. Uno sulle launeddas, con musicisti tradizionali e contemporanei che declinano in vario modo le potenzialità dello strumento.
L’altro è con un quartetto di canto tradizionale a tenore: i Tenores di Oniferi. In questa occasione viene con me un carissimo amico, profondo conoscitore della Sardegna e convinto indipendentista. Viene con alcuni amici sardi, anche loro indipendentisti.
I Tenores sono bravissimi e il concerto/lezione è stupendo. Alla fine c’è il consueto dibattito. Uno degli amici del mio amico fa una domanda sull’indipendentismo ai cantanti. Non ricordo assolutamente la domanda né la risposta, ma ricordo i Tenores chiaramente in imbarazzo riguardo al tema indipendenza. Alla fine uno di loro dice questa frase, in tono rassicurante, come per dire che sono persone impegnate anche loro:
«Ma guarda che noi siamo di sinistra!»
«E che c’entra?»
Estate del 2000. Sto uscendo dalla stanza del Professore. Ho appena dato l’esame. Un po’ sono contento, un po’ mi sto mangiando le mani. Ho preso 30, ma mi sono giocato la lode incespicando proprio su una domanda riguardo il mio testo preferito: Origine degli strumenti musicali di André Shaeffener. Fuori ci sono gli altri studenti che attendono di essere esaminati. Tra di loro c’è un sardo, che si avvicina per chiedermi delle cose e farmi i compliementi per il voto. Evidentemente non ha confidenza con la calata romanesca, perché alla fine mi fa:
«Ma sei sardo?»
Ha scambiato la mia tendenza ad abusare delle consonanti doppie, tipica di noi romani, per una parlata sarda snaturata dalla vita sul continente. E io, preso alla sprovvista, balbetto:
«No, sono italiano!»
Credo di essere diventato bordò mezzo secondo dopo, terrorizzato all’idea di essergli sembrato il tipico idiota razzista. Ancora mi chiedo il motivo di quel lapsus, anche perché di tutto mi si può accusare tranne che di non avere simpatie per i sardi.
Qualche giorno dopo, chiacchierando col mio amico indipendentista, gli racconto l’episodio. E lui, imprevedibilmente, scoppia a ridere e dice:
«Stupendo! E lui che ha risposto?»
E solo allora mi rendo conto che, involontariamente, ho dato a quello studente sardo una risposta indipendentista.
Ma veniamo a quello che vi state chiedendo tutti voi che avete letto questo articolo. Perché cavolo stai parlando di queste cose adesso? Così, pour parler. Mi sembravano episodi degni di essere raccontati. E poi l’argomento è tornato di moda.
Come perché di moda?
Per due motivi, santa miseria! la Scozia e la Crimea!
A settembre prossimo in Scozia ci sarà un referendum indipendentista: gli scozzesi dovranno decidere se diventare uno stato indipendente o restare nel Regno Unito.
Beh, circa un mese fa, durante una cerimonia di premiazione, David Bowie ha pronunciato questa frase:
«Scozia resta con noi!»
Anzi, per la precisione non l’ha neanche pronunciata questa frase, l’ha fatta dire alla modella Kate Moss, andata a ritirare il premio al posto suo.
Beh, io proprio non lo capisco che gliene frega a Bowie. E a un sacco di altra gente. Cioè, io non so dire se i Sardi, i Sudtirolesi, gli Scozzesi, i Ceceni, i Crimeani, gli Irlandesi del nord, i Baschi, i Catalani, i Fiamminghi, i Corsi, i Curdi, etc. farebbero bene a staccarsi dalle loro attuali madrepatrie e se gli converrebbe o meno. Dico semplicemente che non sta a me metterci bocca. E che se un popolo non ha diritto di decidere da che parte stare, allora bisogna riscrivere tutti i libri di storia e stabilire, che so, che le Cinque Giornate di Milano furono un grave episodio di terrorismo interno all’Impero Austriaco.
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