John Fahey è un gigante. In questo articolo parliamo della sua vita, di uno dei suoi album più famosi e vediamo dove e come reperire materiale che lo riguarda, tablature comprese.
John Fahey è uno dei vari personaggi del folk rimasti più o meno in ombra per una vita e poi improvvisamente assurti a fari per le nuove generazioni, non solo di appassionati di chitarra fingerstyle. È passato per la povertà, la malattia, l’alcolismo. Poi, prima di morire nel 2001 a soli 62 anni, ha fatto in tempo a vedere la riscoperta della sua enorme produzione discografica (36 album di studio), grazie anche al supporto di alcune band indie rock come i Sonic Youth.
John Fahey aveva una conoscenza e un’esperienza diretta della tradizione musicale americana fuori dal comune. Della sua infanzia si dice sempre che nei fine settimana la sua famiglia si riuniva per suonare bluegrass. A proposito, la sua autobiografia (mai tradotta in italiano, che io sappia) si intitola How bluegrass music destroyed my life (Come la musica bluegrass ha distrutto la mia vita).
Non solo, come padre del cosiddetto american primitivism, e fondatore della prestigiosa Takoma Records, è stato editore e mentore di tutta la leva dei primitivisti americani, come Leo Kottke, Robbie Basho, Peter Lang.
John Fahey: The transfiguration of Blind Joe Death
The transfiguration of Blind Joe Death è considerato uno dei capolavori di John Fahey. Il titolo si riferisce a un personaggio inventato ma spacciato per vero da John. Già il suo primo album si intitolava Blind Joe Death. Nei dischi della Takoma Records (l’etichetta da lui fondata) venivano incluse note biografiche che raccontavano la vita di questo tizio fantomatico. Fra l’altro si diceva che avesse insegnato a suonare a John.
Questa cosa della trasfigurazione non deve suonare strana. C’è un lato mistico religioso in tutta la produzione di Fahey. All’università aveva studiato filosofia e religione e poi si era si specializzato in folklore, con una tesi sul bluesman Charlie Patton.
Le sue composizioni sono intrise di blues tradizionale e anche la sua tecnica chitarristica è rigorosamente legata alla tradizione del folk americano (vedi il tipico fingerpicking col dito mignolo puntellato sulla cassa e la posizione della chitarra, il cui fondo poggia all’interno della coscia destra, come fosse un banjo). Ma vi si trovano molti elementi di diversa provenienza, non da ultimi i raga indiani. L’influenza della musica indiana si nota in certi brani improvvisativi, caratterizzati da un’atmosfera a metà tra il meditativo e l’estasi mistica. (Tuttavia Fahey non arriva mai agli orientalismi di un Robbie Basho: anche la sua musica più meditativa ed estatica è sempre puramente americana.)
Lui stesso ha paragonato la sua scoperta del blues tradizionale a una conversione religiosa. Così oscilla tra il sacro (Saint Patrick’s hymn) e il profano (Beautiful Linda Getchell, Bicycle built for two, Come back baby). C’è del misticismo in Orinda Moraga, I am resurrection, On the sunny side of the ocean, My station willl be changed after while.
Ci sono tracce (Oringa Moraga, Tell her to come back home) che partono leggere e finiscono come trascinate dalla trance, con le note strappate via dalle corde in preda al furore esecutivo.
The transfiguration of Blind Joe Death è il quarto album di John Fahey e il primo a non essere stato inciso per l’etichetta da lui stesso fondata, la Takoma Records. Fu prodotto nel ’65 da un suo amico, Barry Hansen, e pubblicato sotto etichetta Riverboat Records. L’edizione originale era di appena 50 copie e conteneva un opuscolo con un lungo testo surreale scritto a mano, firmato da un misterioso Egregio Charles Holloway, in realtà opera del coinquilino di Fahey, Alan Wilson (chitarrista dei Canned Heat, deceduto nel 1970). Per fortuna si trova online il testo integrale firmato Charles Holloway.
Nel 1968 l’album è stato riedito dalla Takoma e numerato come John Fahey Volume 5, in barba al reale ordine cronologico delle sue opere.
Per mancanza di fondi, le tracce furono registrate in gran parte con un apparecchio che Barry Hansen si fece prestare da un conoscente, il quale mise a loro disposizione anche una casa con una stanza silenziosa. John incideva con un cane accoccolato ai piedi della sedia. All’inizio di Poor boy lo si sente abbaiare forte. L’esecuzione si interrompe e uno ssshhhh zittisce il cane. E la musica ricomincia.
Oggi è possibile trovare l’edizione rimasterizzata nel 1997 ed edita in CD sempre da Takoma, con un ricco corredo di note e tre diverse presentazioni, anche se manca il testo originale di Alan Wilson. La copertina leggermente modificata valorizza meglio il disegno di David Omar White.
Lo stile di John Fahey è stato definito American Primitivism. In The transfiguration of Blind Joe Death c’è blues tradizionale, trance mistica, canzoncine e inni sacri, tutto tenuto insieme dalle mani di un tipo schivo e stravagante, un colto musicologo che parla la lingua dei poveri neri del sud e improvvisa i suoi raga blues fregandosene delle sciccherie. Facendo scuola come pochissimi altri.
John Fahey: materiale vario
Qui puoi trovare l’album The Transfiguration of Blind Joe Death.
Se sei un chitarrista e vai cercando tablature di fingerpicking da suonare, ci sono molte tablature di John Fahey messe a disposizione gratuitamente sul sito johnfahey.com. Sono in versione ASCII e non comprendono il pentagramma.
Se cerchi qualcosa di meno grezzo, ci sono questi libri editi dalla Stefan Grossman Guitar Workshop:
→ Fingerstyle and Slide Guitar in Open Tunings
Johhn Fahey ha raccontato la sua vita in due libri:
→ How Bluegrass Music Destroyed My Life
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Canziano says
Ho lavorato per lui come fonico di palco negli anni 80.Un’esperienza Magica,un Uomo e Artista con una umiltà disarmante.
Ad un certo punto si alza dalla sedia e viene da me porgendomi la chitarra, dicendomi…sei tu che suoni.
Brividi x tutta la serata bellissimo concerto,poi mi ha chiesto di seguirlo in America….non l’ho fatto e me ne pento.È stato Un Grande.
Luca Ricatti says
Grazie mille per questa bella testimonianza, Canziano!
Marco says
Bellissimo articolo
Luca Ricatti says
Grazie Marco!
DARHER says
Grazie per questa coinvolgente introduzione alla vita di Fahey. Da quando ho scoperto le sue opere negli scorsi anni, mi sono entrate dentro e ultimamente ho deciso di imbracciare una chitarra proprio partendo da una sperimentazione autodidatta di esse.
Dario Hermes
Luca Ricatti says
Ciao Darher,
grazie per questa testimonianza.
Io ho avuto un’esperienza simile, ero già un chitarrista quando l’ho scoperto, ma la sua musica è stata la principale spinta a dedicarmi seriamente al fingerstyle.