La faccina del cavaliere al centro è quella di John Renbourn, un personaggio chiave del folk inglese.
Tra gli anni ’50 e ’60, nel Regno Unito si accavallarono due fenomeni musicali: il folk revival (il secondo folk revival inglese) e l’invasione della musica americana. Conciliare giri blues e accordi di settima con la tradizione folclorica autoctona non era impresa facile.
A quell’epoca, gli amanti del folk nel Regno Unito erano piuttosto conservatori e non guardavano di buon occhio i giovanotti esterofili appassionati di musica afroamericana. Questi dovevano perciò frequentare i pochi locali aperti alle novità.
Il più importante per John Renbourn e tutta la leva dei chitarristi degli anni ’60 fu il Les Cousins, che si trovava nella cantina di un ristorante a Londra, nel quartiere di Soho. Col tempo divenne un punto di riferimento imprescindibile, tanto che sul suo palco passarono i più celebrati personaggi inglesi, da Cat Stevens a Nick Drake, e pezzi da 90 americani come Paul Simon e Joni Mitchell.
In quel club gli amanti della sei corde e del fingerstyle si conoscevano tra loro e imparavano gli uni dagli altri. I più anziani erano Davy Graham, Wizz Jones, Martin Carthy.
Nel ’65, al Les Cousins, John Renbourn conobbe il chitarrista Bert Jansch e iniziò una lunga amicizia che sfociò prima nell’album Bert and John (1966), disco simbolo del cosiddetto folk baroque, e poi nella formazione The Pentangle, band che ebbe successo anche oltre oceano.
John Renbourn iniziò a suonare la chitarra a scuola, nella seconda metà degli anni ’50, prendendo lezioni di armonia e contrappunto. In questo periodo lesse Jeoffrey Chauser e altri classici della letteratura inglese antica, come il romanzo del ciclo arturiano Sir Galvano e il Cavaliere Verde.
In un primo periodo si limitò a riecheggiare il blues americano. Poi, nel 1968, lo stesso anno in cui uscì il primo disco dei Pentagle, John Renbourn pubblicò il suo terzo album solista, quello della svolta stilistica: Sir John Alot.
John Renbourn: Sir John Alot
A volte viene scritto Sir Johnalot, tutto attaccato, ma il titolo vero è Sir John Alot of merrie englandes musyk thyng & ye Grene Knyghte.
L’illustrazione di copertina è una rielaborazione di un’antichissima raffigurazione in ottone di un cavaliere delle crociate, tale Sir Trumpington, conservata nella chiesa di un villaggio omonimo, vicino Cambridge. Il Grene Knyghte del titolo è il Cavaliere Verde del romanzo di Sir Galvano.
Il lato A (le prime quattro tracce) è composto di brani originali ispirati alla musica medievale (a parte la traccia 2, The trees they grow high, che è un brano tradizionale). È la parte più originale dell’album e anche quella cui si deve la sua fama, un filone già abbozzato nel disco precedente e che verrà sviluppato ulteriormente in successivi lavori, su tutti The lady and the unicorn. Le parti improvvisate richiamano chiaramente l’atmosfera di fine anni ’60 e le commistioni tra jazz, rock, folk e musica classica. Ma quello che spicca maggiormente è il tentativo di ricreare musica modale e di staccarsi dai pesanti debiti col folk americano, per dare vita a uno stile chitarristico nuovo, estraneo alle mode.
John Renbourn ha affermato di «non aver mai suonato musica propriamente medievale» e «tutto quello che ho fatto con la chitarra è roba fatta in casa, un guazzabuglio». Secondo lui Sir John Alot «ha avuto influenza su novellini della new age e revivalisti proto-celtici».
Al di là della sua ironia auto denigratoria, queste tracce sono molto belle. La lunga Morgana, che chiude il lato A, mescola in modo raffinato il folk con le tendenze progressive che stavano nascendo in quel periodo.
Da notare che John continuerà a coltivare l’interesse per la musica colta fino a conseguire, negli anni ’80, una laurea in composizione, dopo la quale si dedicherà alla scrittura di musica classica vera e propria.
Il lato B, invece, spariglia le carte. Si apre con uno spigoloso accordo di sesta (Transfusion) e quello che viene dopo è una collezione di raffinati brani di sapore jazz-blues, suonati con tecnica eccellente e piuttosto divertenti. Spiccano in particolare la breve ma intensa My dear boy e l’orientaleggiante Seven up, che chiude l’album.
Sir John Alot fu registrato nel 1968 per la Transatlantic Records. La moderna edizione in CD è della Castle Music, che fa parte del gruppo Sanctuary Records, ed è ben curata. Contiene un testo introduttivo tratto da uno libro di Colin Harper dedicato a Bert Jansh. Unica ma grave pecca: mancano completamente i crediti e non è possibile leggere i nomi dei musicisti che vi hanno lavorato (sul sito di Renbourn c’è una lista: Terry Cox, Ray Warleigh, Roddy Skeeping, David Munrow).
Qui puoi trovare il Compact Disc di Sir John Alot.
C’è un interessante libro di spartiti e tablature pubblicato dalla Stefan Grossman Guitar Workshop.
Qualche spartito con tablatura gratis (ma poca roba), si trova sul suo sito ufficiale.
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