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Prima Puntata☜
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
Era irriconoscibile. La bambina sempre graziosa, coi boccoli lucenti e il vestitino stirato, dai lineamenti aggraziati e la pelle di porcellana, non c’era più. La testa era china sul petto, quasi a volersi nascondere, e gli occhi si muovevano a scatti, sfuggenti. I capelli erano ammassati in ciocche sudicie e la pelle sembrava persino invecchiata. La bocca era distorta in una smorfia di disgusto, che lasciava scoperti i denti ingialliti, e due solchi d’espressione scendevano dalle narici ai lati della bocca.
«Ah Lellé!», la chiamò Renzo a mezza bocca.
Gli occhi di lei saettarono, con uno scatto della testa, e si piantarono in quelli di Renzo in modo così aggressivo che fecero tutti un passetto indietro.
«Lelletta…», la chiamò piano Nannina, e subito l’altra spostò lo sguardo su di lei. «Ma che stai male…?».
La bocca di Lelletta si deformò in un’espressione rabbiosa, il labbro superiore si alzò fino alle gengive. Però esitava a parlare, aveva lo sguardo di chi è stato sorpreso in un nascondiglio. Infine sibilò:
«Che te ne importa? Vi è mai importato qualcosa di come sto?». Si mise a fissare tutti a uno a uno, con occhi sgranati che sembravano al tempo stesso furiosi e terrorizzati. Poi tornò a fissare Nannina: «Volevo tornare a casa mia, ma tu dovevi giocare a fare la strega! Ci hai trascinati tutti in questo posto stregato!». Le labbra le tremavano, come costrette in un balbettio silenzioso. Sembrava sul punto di mettersi a piangere, invece esplose in un grido furente: «E allora me la prendo per me un po’ di magia! Faccio pure io la strega! Così forse riesco a tornare a casa e salvare mamma e papà!».
Finì di sputare le sue parole e poi si zittì, tutta tesa, pronta a scattare come se si aspettasse una reazione violenta da parte dei suoi amici. Quelli invece stavano tutti a bocca aperta e senza parole, quasi più spaventati che stupefatti.
«Ma la salvamo la famiglia tua, le salvamo tutte!», intervenne alla fine Ettore, «Ce aiuta sto folletto…»
«Sì certo, fate quello che volete! Io faccio da me», rispose Lelletta, che poi si rivolse al folletto: «Posso tornare indietro dalla porta da cui siamo entrati?»
«Assolutamente sì!», disse lui senza battere ciglio. E Lelletta si voltò e si incamminò.
«E non je dici niente?!», gridò Nannina all’essere fatato. Ma quello fece spallucce e rispose serafico:
«È libera di andare dove vuole!»
«Col cavolo!», gridò Renzo, che corse dietro a Lelletta e l’afferrò per una manica, strattonandola. Quella si voltò di scatto e con occhi di brace sibilò:
«Non mi devi toccare, non sei niente, non siete niente!». E gli posò una mano sul braccio. Fu solo un attimo, Renzo si sentì immediatamente bruciare come se avesse toccato una pentola sul fuoco:
«Ahio! Ma che m’hai fatto? Me brucia!»
«È diventata pericolosa, la fanciulla», commentò il folletto con un mezzo ghigno. Ettore e Nannina corsero da Renzo. Lui sollevò la manica e vide che la pelle dell’avambraccio era tutta rossa.
«Ma che sta a succede?», fece Nannina, rivolta al folletto.
«A cosa ti riferisci? Al braccio del ragazzo lupo? Niente di grave, mi pare, ma fossi in lui eviterei di provocare la giovane strega, mi sembra un tantinello suscettibile».
Nannina, sconcertata, guardò Lelletta che si allontanava, poi si volse di nuovo al folletto:
«Ma ch’ha fatto Lelletta? Perché è diventata così?»
«Nulla di diverso da ciò che avete fatto voialtri. Ha desiderato qualcosa, quando è giunta qui, e il suo desiderio s’è avverato».
«Ma che stai a ddì?», replicò Nannina, «Nessuno de noi è diventato come lei!»
Il folletto la guardò perplesso per qualche secondo, poi puntò l’indice verso il proprio viso:
«Alludi al suo aspetto? Sì, effettivamente è un po’ peggiorato, era decisamente più gradevole prima. Capita, quando si desiderano certe cose».
«Che cose? C’ha desiderato Lelletta?»
«Ah, sono onestamente piuttosto deluso, aspirante strega», sospirò lui, «Da quanto conosci quella ragazzina? Da sempre? Eppure non hai mai compreso quale peso le grava nel cuore? Quella poveretta è incapace di essere bambina! Tutti voi, appena siete giunti in questo luogo, avete desiderato di essere diversi, forti come lupi, capaci di volare come rondini o… come dire…», indicò Nannina con un gesto della mano: «più in sintonia con alberi e sassi… Ma la vostra amica no, non ha pensato a se stessa: agognava di avere il potere di salvare la propria famiglia, di sconfiggere qualsiasi nemico, insomma…».
Nannina corse dietro a Lelletta.
«…Adesso è capace di uccidere qualcuno semplicemente toccandolo…», continuò il folletto rimasto solo. «…Mmh, avrebbe fatto meglio ad ascoltare, prima di correre via…»
Streghe
«Aspetta Lellé…», gridava Nannina con la voce affannata.
Lelletta si fermò e si voltò, ma non sembrava aver voglia di ascoltare.
«Non mi devi chiamare così!», disse tra i denti.
Più la guardava, più Nannina trovava sconvolgente come s’era trasformata. La bambina più bella del mondo! Aveva sempre trovato odiosi i suoi capelli spazzolati, il suo viso pulito, le unghie senza un filo di sporcizia. Eppure a vederla così, ora, provava un’infinita pena.
«Sì ma aspetta, non te ne andà!», le disse.
«Che vuoi? Ti servo? Però tu a me non servi. Non ci volevo venire qui, mi avete costretta! Tu mi hai costretta! Fanno sempre tutti quello che dici tu! Ma io no, basta, non mi servi tu e non mi serve nessuno!». Aveva gli occhi rossi e le guance rigate di pianto. «Torno a casa e uccido il Nasone Incappucciato, uccido anche l’Oniromante, se lo vedo! Non mi fa paura nessuno!»
«Ma non lo pòi fà! Non pòi fà così! Non lo vedi che t’è successo? Non sei più te!»
Lelletta sgranò gli occhi in un’espressione furiosa:
«E perché non sono più io? Perché sono diventata brutta? E allora? Da quando ti importa di queste cose? Sarò pure brutta, però sono forte! Non volevate che fossi forte? Adesso posso distruggere chiunque!». Mentre gridava la voce le si strozzò in gola e le parole si confusero in un singulto.
A Nannina si strinse il cuore, perché capiva che era proprio come diceva il folletto: conosceva Lelletta da quando erano nate ma non l’aveva mai guardata davvero. Si sentiva meschina e crudele, saccente e prepotente, perché si vedeva con gli occhi di lei. Non trovava niente da dire che non suonasse inutile e se ne stava immobile come un tronco secco. Ma se la lasciava andare ora, pensava, sarebbe senz’altro successo qualcosa di irreparabile.
«Lo so», disse avvicinandosi, «però aspetta ‘n attimo, non te ne andà, famme dì una cosa».
Lelletta la guardò con la bocca contorta in una smorfia di rancore e il viso pieno di lacrime. Quello fu il momento in cui pensò di mettere una mano sul viso di Nannina. L’avrebbe uccisa, il suo tocco era diventato mortale. Forse non la odiava così tanto o forse ebbe pietà, fatto sta che non fece niente. Non la aggredì, non si voltò per andarsene e nemmeno parlò, la guardò e basta.
«A me me dispiace che t’ho trascinata in questo posto», disse Nannina. «lo so che non ce volevi venì. Però l’hai sentito il folletto? È perché ce stavi pure te che siamo riusciti a venì qua! Perché ce stavate tutti… Guarda andó semo arrivate insieme, mó perché devi fà da sola?
«Pure se ce l’hai co me, rimani. Ma poi davero vòi ammazza il Nasone? Ma pensa a mamma e papà tuoi quando sanno c’hai ammazzato un cristiano…»
«Tu stai qua solo perché ti servo», la interruppe Lelletta.
«Rimani co noi. Se il folletto non ce aiuta, se non fa quello c’ha promesso, famo come dici te. Guarda, te seguo in capo al mondo! Giuro!», disse Nannina. Ma non fu tanto importante quello che disse quanto quello che fece: prese la mano raggrinzita di Lelletta, la mano dal tocco mortale, e la strinse. E per la prima volta da quando si conoscevano, le due bambine si guardarono. Lelletta pianse, diceva:
«Non ci dovevo venire qua, ho fatto tutto sbagliato…»
«Famo tornà tutto come prima, te lo giuro», diceva Nannina e la abbracciò.
Non dissero niente per alcuni istanti, poi, quando si fu calmata, Lelletta mormorò:
«Ti potevo uccidere…».
«Vabbè, ma se vede che non volevi», rispose Nannina.
Rimediare a un guaio
Arrivarono in questo modo, mano nella mano, tra gli sguardi stupefatti dei loro amici, che mai in vita loro avrebbero immaginato di vedere quelle due ragazzine camminare tenendosi così, come due sorelle.
Lelletta aveva il volto scuro e le spalle curve; i capelli, un tempo di un lucente castano chiaro, erano anneriti, striati di grigio e untuosi; aveva gli occhi arrossati e guardava in basso.
Nannina veniva con la schiena dritta e un’espressione determinata; i capelli lunghissimi erano scossi dal vento, spettinati ma splendidi; gli occhi erano fissi in direzione del folletto. Appena fu abbastanza vicina, disse:
«Allora? Ciài na promessa da mantené».
«Bisogna fare le cose per bene», rispose quello con sussiego.
«Volemo che finisce la magia delle clessidre che te sei inventato», rispose Nannina. «Volemo che rimedi al guaio c’hai combinato».
«E sia! Ma non qui. Si torna a casa, bimbi, e io verrò con voi. Ho un conticino da regolare».
Detto questo, il folletto fece una carezza di saluto all’unicorno e si alzò. Allungò una mano, come per afferrare qualcosa, e appena la strinse i bambini videro che effettivamente stava girando la maniglia di una porta. Non era una porta bianca e scrostata come quella che avevano fatto apparire loro, era di legno pregiato finemente intagliato e la maniglia era di un metallo che sembrava oro. Il folletto l’attraversò.
I bambini si guardarono incerti. Renzo disse:
«Chi va per primo…?».
Guardarono tutti Nannina.
«Sei tu il capo…», disse Ettore.
Nannina girò istintivamente gli occhi in direzione di Lelletta, che ricambiò il suo sguardo; poi disse:
«Io non sò il capo! Non ce stanno capi, qua, semo tutti uguali».
«Vabbè, allora vado io e buonanotte!», fece Renzo, che prese un respiro profondo, come se dovesse immergere la faccia in un catino pieno d’acqua, e imboccò la porta. E gli altri lo seguirono.
Si ritrovarono nella piazza del paese. Era notte fonda e faceva molto freddo. C’era un silenzio cimiteriale.
Il folletto sedeva sul gradino più alto della scalinata della chiesa. Disse:
«Bene, fanciulli, qui inizia la parte che compete a voi: andate nelle vostre case e recuperate le collane con le clessidre dei vostri genitori. Dovete portarmele tutte. Poi ci penserò io.
I bambini si agitarono:
«Io non lo so dove la tiene papà!», disse Marietta.
«Io forse sì», rispose il fratello.
«Intanto qua ce n’è una», disse Nannina tirando fuori dalla tasca quella che Renzo aveva rubato al padre.
«Io faccio a pezzi tutto finché non la trovo», disse Lelletta, che si voltò e s’incamminò a passi lunghi verso casa sua, seguita dagli sguardi stupefatti degli amici.
«Annamo pure noi», disse Nannina, che prese la strada per casa sua, insieme al fratello.
Buio e fuochi
«Che freddo…», brontolò Ettore.
«E che buio», commentò la sorella. «Ciài fatto caso che alle finestre non se vede manco un po’ de luce? Nessuno che accende il camino?»
«Ma come pò esse? Se battono le brocchette!»
«E infatti è strano…», rispose Nannina.
Percorsero veloci nel buio il vicolo contorto che portava alle scalette di casa, che salirono a balzi. L’aria era gelida, anche da loro il camino era spento. Ma c’era un debole alone di luce che veniva dalla camera da letto.
«Ah Nannì, io ciò paura!», disse Ettorino aggrappandosi alla manica della sorella. Il silenzio era assoluto e tutto era immobile, eccetto la lucina tremolante che dalla soglia della camera s’affacciava su uno spicchio di pavimento. Neanche a lei quella situazione piaceva, ma le toccava il ruolo di sorella maggiore, non poteva far altro che fingersi coraggiosa. Così avanzò.
Quando entrarono nella camera da notte, il cuore balzò loro in gola. Seduto sul letto c’era il papà, immobile, morto-addormentato e con gli occhi rovesciati, la collana magica appesa al collo. La lucina veniva da una lampada appoggiata in terra e sul punto di spegnersi. La situazione era più complicata del previsto.
«Secondo te che succede se je levamo la collana mentre sta così?», chiese Ettore bisbigliando.
«E che ne so?», rispose la sorella. «Però il folletto ha detto de pijalla… Che altro potemo fà?». Esitò qualche istante, poi aggiunse: «Vado io, che sò più alta». E si avvicinò al padre in punta di piedi. Fortunatamente, la clessidra non era infilata sotto la camicia come quando l’aveva vista Ettore la prima volta, stava in bella mostra sul panciotto. Trattenendo il fiato, Nannina afferrò con una mano la catenina dietro al collo del padre, con l’altra la clessidra e poi sollevò entrambe, cercando di non toccare la testa del genitore. Ci riuscì. Scambiò uno sguardo stupefatto col fratello e poi se la diedero a gambe.
Corsero a perdifiato lungo il vicolo buio. Ma quando stavano per sbucare sulla piazza si fermarono di colpo, perché si accorsero che stava succedendo qualcosa. Improvvisamente sentirono il vociare di molte persone e videro che una forte luce stava invadendo il selciato.
«Ah Nannì, ma che sta a succede in piazza?»
«Zitto!». Nannina appoggiò le spalle al muro e spinse il fratello perché si accostasse pure lui. Si avvicinarono quatti quatti, fino a far spuntare le teste oltre l’angolo. E videro che c’era tutto il paese riunito nella piazza che fino a pochi minuti prima era deserta. Molti portavano lampade o torce. Avevano fatto un semicerchio, al centro del quale stavano Renzo, Gianni, Marietta e qualcun altro che non riuscivano a vedere. Il vociare era molto confuso, ma poi fu intimato il silenzio e allora sentirono chiara e squillante la voce di mamma, che diceva:
«Andó stanno Nannina e Ettore?»
Non capirono la risposta dei bambini, che parlavano a voce tropo bassa. Nannina fece cenno al fratello di non parlare e gli mostrò che si nascondeva la collana in una tasca del vestito. Poi gli prese la mano e insieme stavano per avanzare nella piazza, quando sentirono emergere su tutte la voce del Nasone Incappucciato:
«Scommetto che lei lo sa! Dove sono gli altri ragazzini, vecchia strega?»
«Nullo sò, e pure se lo sapevo non te lo dicevo certo a te!». Questa era la voce della Vecchia delle Pentole.
«A me però me lo devi dì!», gridò la madre di Nannina e Ettore.
«Ve fate infinocchià da sto furfante!», ribatté la Vecchia. «Ma nun lo capite che ve farà morì a tutti?»
«Io dico di lasciarla qui legata in piazza, al freddo e senza cibo, finché non dice cosa ha fatto ai ragazzi!», incalzò il Nasone. Al che, Nannina e Ettore videro due uomini salire la scalinata: trascinavano la Vecchia tenendola per le braccia e la fecero inginocchiare davanti all’ingresso della chiesa.
«Oddio, ma che je vonno fà?», disse Nannina.
La donna sembrava più malmessa del solito. Non la si vedeva mai gironzolare dopo il tramonto e il fatto che fosse lì come una prigioniera, circondata dai paesani riuniti con lumi e fiaccole, fece intuire ai ragazzini cosa fosse capitato:
«La sò andati a prende nella grotta, Nannì?»
«Me sa proprio de sì, Ettorì. Hanno acceso le torce e sò andati su al pascolo. L’hanno tirata fòri dalla grotta e l’hanno trascinata qua».
«Ma perché?», chiese il fratello.
«Te lo dico io: siccome non ce trovavano, j’è venuto in testa che ciaveva rapiti lei, o quarcheccosa del genere».
Ettore guardò la sorella, poi sgranò gli occhi e disse:
«Ho capito! Je l’ha messo in testa er Nasone, maledetto!»
«Pò esse. Er Nasone la odia, la Vecchia delle Pentole», rispose lei. «E pure lei lo odia».
«Avete portato la collana?»
I due bambini si voltarono di soprassalto e videro il folletto lì, alle loro spalle. Aveva in mano tre collane: quella di Gianni e Marietta, quella di Renzo e quella di Lelletta. Nannina prese la sua dalla tasca del vestito e gliela diede.
«Andó sta Lelletta?», chiese.
«La tua amica se ne sta nascosta dall’altra parte della piazza. È diventata davvero irruenta, la fanciulla, ho faticato non poco a convincerla ad aspettare. Stava per rovinarmi lo spettacolo».
«Che spettacolo?», chiesero i bambini.
«Oh, adesso vedrete… Ma prima ho una promessa da mantenere». Detto questo, chiuse la quattro collane tra le mani, le agitò come se stesse per fare un lancio di dadi, facendole tintinnare… Finché non si sentì più alcun suono. Allora aprì le mani e le collane erano scomparse.
«Adesso state a guardare, che c’è da divertirsi», disse. E si avviò verso il centro della piazza.
☞OTTAVA e ULTIMA PUNTATA
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Ginestra says
Delizioso. Ricorda la bella, antica e ricca tradizione favolistica, ogni regione ne ha suppergiù una propria (da pugliese, conosco quelle daune, japigie, messapiche e salentine), menzionate anche da, mi sembra, Calvino (oltre che studiate da de Martino).
Ma… e l’ottava puntata?
Caro, interessante e commovente troubadour Lucaricatti – non vedo l’oea si sciolga il plot della Clessidra.
Un abbraccio da Roma, a poca distanza, credo, da te
Luca Ricatti says
Ginestra graize per queste bellissime parole!
C’era un errore nel link all’ottava (e ultima) puntata, ora l’ho corretto, grazie per avermelo segnalato!
Comunque sta qui ☞Ottava Puntata.