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Prima Puntata☜
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
Il folletto s’era incamminato verso il centro della piazza affollata dai paesani, Nannina e Ettore lo avevano visto chiaramente. Eppure all’improvviso non riuscirono più a scorgerlo, come se non fosse mai stato lì. I due bambini si stavano stropicciando gli occhi, quando si udì una voce squillare nel cielo notturno, più forte degli schiamazzi della folla.
L’inconfondibile tono nasale del folletto sembrò giungere rimbalzando tra le pietre da chissà quale distanza, eppure le parole erano nitide. I paesani sussultarono tutti assieme, stringendo i corpi infagottati con scialli e pelli di pecora.
«Vi chiedo umilmente perdono, nobilissime signore e notabili signori!»
«E che d’è sta voce?»
«Je pijasse ‘n colpo, ma chi è?»
«Oddio che mammatrone!»
Quelli che avevano lampade e torce si sforzavano di schiarire le tenebre per vedere chi fosse a parlare.
Dal fondo della piazza, Nannina e Ettore si fecero avanti, pur restando in disparte.
«Sono davvero spiacente di interrompervi nel bel mezzo di un’esaltante cerimonia di linciaggio!», continuava la voce. Poi, nel silenzio sgomento, si udì riecheggiare un cigolio, come di vecchi cardini. E nell’aria fredda e buia sopra le teste dei paesani, tre metri circa sopra il selciato, si aprì dal nulla una finestra, alla quale s’affacciò un essere piccolo e vestito come un ricco signore, che salì sul davanzale e vi si accomodò, con le gambe ciondoloni sopra le facce sconvolte della piccola folla. A quel punto iniziarono le grida di terrore, qualcuno fuggì e molti brandirono mazze e forconi.
«Vi prego, signore e signori, non avete motivo di agitarvi! Non ho alcuna intenzione di fare alcunché di male! Non a voi, per lo meno».
«Perché stai lassù?», si udì la voce di Marietta. Tutti si voltarono a guardare la bambina che s’era rivolta al folletto. «Hai fatto quello c’hai promesso?»
«L’ho fatto, rondinella, l’ho fatto. La magia delle clessidre non esiste più».
«Allora sei stato bravo!», rispose la bambina.
«Grazie, rondinella».
Nella prima fila del corteo si trovavano i genitori dei bambini.
«Zitta!», gridò la madre di Marietta, portandosi le mani alla bocca. «Zitta! Che parli?»
«Tu fija conosce sto diavolo!», gridò scandalizzato uno lì accanto.
«Nun è un diavolo! Io lo so che è!», urlò un altro tutto infervorato. «È ‘n folletto!»
«Non si dice che è», lo rimproverò quello dall’alto, con occhi spaventosamente luminosi, «si dice chi è, brutto zotico!». E questo rimbrotto provocò ulteriore raccapriccio, spintoni e un alzarsi di armi improprie in direzione dell’essere magico.
«Adesso smettetela di agitarvi come gallinacci, non sono la vostra volpe! Sono qui per quel signore lì», disse indicando il Nasone Incappucciato. E poi aggiunse, diretto alla sua vittima: «Ciao, caro Rodolfo, come stai? Potrai notare che io mi sento meglio del solito!».
Quelli che stavano accanto al Nasone si allontanarono, facendogli il vuoto intorno.
«Ma sono molto felice di trovare anche te, Annarosa!», aggiunse il folletto voltandosi verso la Vecchia Pazza delle Pentole, prostrata in ginocchio in cima alle scale, davanti all’ingresso della chiesa. La poveretta aveva un’aria stravolta, sembrava ancora più vecchia e quasi non sembrava lei, senza l’arsenale di casseruole, brasiere e padelle che era solita portarsi dietro; soltanto due piccoli coperchi, legati da uno spago che le passava dietro al collo, le pendevano sui fianchi. Quando il folletto si rivolse a i lei, i due uomini che la tenevano per le braccia si scostarono di colpo, come se fosse diventata un’appestata. «Ti ricordavo così giovane e bella!», proseguì la creatura fatata. «Sei orrenda! Che guaio orribile t’è capitato? Che pena! Ma immaginerai che questo non mi farà meno severo nei tuoi confronti».
«Io ho passato er guaio de diventà vecchia», rispose la donna, «Te ‘nvece sei sempre ‘n fenomeno! Andó la tieni tutta sta cafonaggine, che sei arto ‘n tappo e ‘n barattolo?»
Un grido interruppe lo scambio di battute. Squillò acuta e chiarissima la voce di Renzo:
«Scappa er Nasone! Scappa er Nasone!»
Dapprima si girarono tutti a guardare il bambino, ma poi qualcun altro indicò l’Incappucciato, che col mantello sventolante se ne fuggiva verso un vicolo buio.
Per lo meno avrebbero tutti giurato di averlo visto andare da quella parte, eppure all’improvviso se lo trovarono in mezzo a loro, che correva a perdifiato nella direzione opposta, verso la scalinata. Inciampò nel primo gradino e cadde bocconi, sbattendo la faccia. Era chiaramente avvenuto qualcosa di soprannaturale che provocò altro spavento tra i presenti. Quando si rialzò, guardandosi attorno confuso, il Nasone mostrò una bocca imbrattata di sangue. Aveva lo sguardo di un animale braccato e cercava aiuto negli occhi dei paesani, ma era evidente che non ne avrebbe trovato, perché quelli lo guardavano con un misto di orrore, disprezzo e scandalo, avendo capito che era invischiato col diavolo-folletto.
«Volevi già lasciarci, Rodolfo?», disse la creatura fatata. «Ma lo spettacolo è appena iniziato! Si comincia col numero dell’appeso!»
E dopo che ebbe detto questo fece un breve gesto della mano e il povero Rodolfo si vide sollevare verso l’alto, a testa in giù. E così rimase, a penzoloni, col mantello e la tunica che scendevano in basso e i mutandoni in bella vista.
«Ecco a voi un imbroglione, signore e signori!», eslcamò il folletto. «Un truffatore che s’è fatto dare anni delle vostre vite in cambio di qualche moneta!»
«Come hai fatto a liberarti?», gridava Rodolfo il Nasone.
«Oh, non ci crederai mai! Sono stati questi bambini!», rispose il folletto indicando Marietta, Gianni e Renzo. E poi si rivolse a Nannina e Ettore, che stavano ancora nascosti alle spalle della folla: «Ma che fate lì, voi due? Venite avanti, non siate timidi!»
In prima fila, tra i paesani, c’era anche la madre di Nannina, che alle parole del folletto si fece subito largo a spallate, vide i figli e corse verso di loro:
«Andó siete stati, disgraziati? Andó siete stati?», strillò con tono di rimprovero, ma stringendoseli fortissimo al petto. «Sò tre giorni che ve cercamo! Tre giorni!»
«Come tre giorni…?», chiesero i bambini, ma le loro parole furono sovrastate dagli strepiti del Nasone:
«Tu, sei stata tu!», diceva rivolto alla Vecchia delle Pentole. «Hai mandato quei piccoli ratti a liberarlo!»
Questa frase fece sgranare gli occhi al folletto:
«Come hai detto?»
Siccome non ricevette risposta, agitò un poco la mano e il disgraziato appeso a testa in giù prese a oscillare violentemente, come se un gigante invisibile lo tenesse per i piedi e si divertisse a scuoterlo.
Verità
«Aiuto!», gridava disperato Rodolfo, «Aiutooo!».
Il folletto sbuffò spazientito e si rivolse alla Vecchia-Annarosa:
«È vero quello che ha detto? Hai mandato tu quei deliziosi bambini sull’Arcobaleno?»
«Sò tipi svegli, j’ho solo dato na mano…», rispose lei bofonchiando.
«Per… liberare me…?»
«Te e i genitori loro».
Il folletto sembrava molto stupito.
«Lei m’ha detto la formula magica e m’ha dato na mappa!», intervenne all’improvviso Nannina. Si voltarono tutti verso di lei. «M’ha sempre detto che non ce dovevamo fidà der Nasone, che era pericoloso e che era servo de un mago cattivo!»
«Invidiosa… Maligna… Come tutte le donne…», sbraitava Rodolfo il Nasone verso la Vecchia.
«È tutto vero…?», chiese ancora il folletto strizzando gli occhi in direzione di Annarosa, come se cercasse di capire se lo stavano imbrogliando.
«…Il Maestro l’ha cacciata tanti anni fa… È mossa dall’odio…!», continuava Rodolfo.
«M’ha cacciata perché volevo liberà sto tappetto!», rispose lei.
Il folletto sgranò gli occhi:
«Tu? Volevi liberare me? E sei stata cacciata per questo? È per questo che non ti ho più vista…? Pensavo fossi morta… Perché volevi liberare me?»
«Embè perché, perché… Perché sei insopportabile e te odio, però nessuno deve da esse schiavo de qualcun altro, è proprio na cosa che non me andava giù…»
Ettore tirò la manica di Nannina:
«Nannì, hai capito…? Te ricordi che il folletto ha detto che l’Ogni Mante ciaveva due apprendisti ma uno era scomparso, che forse era morto…?»
«Nun era un omo…», rispose la sorella, «Era lei… L’altro apprendista era la Vecchia delle Pentole!»
Intanto il folletto scrutava Annarosa tutto assorto. Finché disse:
«Dunque hai cercato di salvarmi quando eri giovane e ora che sei una vecchia decrepita hai fatto in modo che questi bambini venissero a liberarmi… Questo infine cambia la tua posizione… Temo di non poterti più uccidere…»
«Scusa signor diavolo… signor folletto… ‘nsomma, quello che sei». A parlare fu la madre di Nannina e Ettore. Tutti si voltarono a guardarla, non senza un certo scandalo, sentendo che si rivolgeva direttamente all’essere fatato.
«Mi dica, splendida signora», rispose quello.
«Prima hai detto na cosa… hai detto che sto signore qua, questo che tieni appeso a sta maniera, è un imbrojone. Hai detto che s’è preso anni de la vita nostra in cambio de qualche moneta. Ma che significa…?»
Un ghigno malefico si aprì sul volto del folletto:
«Hai sentito Rodolfo?», disse al disgraziato a testa in giù. «Sembra che ci sia una certa confusione sull’intesa che avete stipulato! Mi offro di fare le tue veci, fosse mai che il gran flusso di sangue nella fronte ti facesse confusa la favella!». Poi si rivolse alla madre di Nannina e Ettore: «Nobile dama, parlerò per dar risposta a lei e per profitto di tutti i qui presenti.
«Ebbene, ogni volta che vi addormentate indossando una delle collane magiche fornitevi da questa orribile canaglia, ne ottenete in cambio una piccola somma di denari. Vi svegliate agitati, stanchi, rabbiosi e angosciati e, ahimè, vi illudete che queste sgradevoli sensazioni siano tutto ciò che dovete subire in cambio di quelle monete. Ma non è così! La merce che vendete a questo ignobile farabutto è il vostro tempo, mia cara signora! Ogni volta che vi sottoponete a quell’incantesimo accorciate un pochino la vostra vita. E allungate quella di qualcun altro».
Le parole del folletto furono seguite da un silenzio attonito.
«Ma c’ha detto?», chiese infine uno.
«Ha detto che ce s’accorcia la vita!»
«Vole dì che morimo prima?», chiese la madre di Nannina e Ettore.
«Ha esattamente centrato la questione, dolce signora. E mentre voi vi avvicinate al momento della dipartita, c’è chi se ne allontana!»
Ci fu un momento di bailamme. Qualcuno era rimasto a bocca aperta, troppo confuso per pronunciare frasi coerenti, ma molti si agitavano e dicevano che non era possibile, altri che invece sì che lo era, che la magia porta sempre guai, mentre altri ancora sostenevano con vigore che non c’era da credere a un diavolo, a un folletto, insomma quello che era.
«La Vecchia l’aveva detto!», gridò una donna. «La Vecchia delle Pentole l’aveva detto che sto Nasone ce faceva morì a tutti!»
«È impossibile! Sò tutte frescacce!», rispose un uomo.
«E ‘nvece è tutto vero!», gridò Renzo. «Noi avemo visto na clessidra! È grossa così! E dentro ce sta tutto er tempo che v’hanno rubato!»
«Scusa signor folletto», intervenne la madre di Nannina e Ettore. «Hai detto che a noi ce s’accorcia la vita e invece a qualcun altro je s’allunga. A chi? A chi è che je viene vantaggio de facce morì prima del dovuto?»
Il folletto indicò il Nasone:
«Al maestro e padrone della turpe carogna che vedete qui appesa! E veniamo così all’argomento che più mi preme, caro il mio Rodolfo! Sta bene attento, voglio una risposta chiara quanto immediata: dove sta quella infame canaglia del tuo maestro?»
«Non lo so!», rispose sprezzante il Nasone. Al che, il folletto fece un rapido gesto della mano e il misero appeso precipitò improvvisamente al suolo, dando una sonora testata, per poi tornare immediatamente a levitare sopra la piazza. La ferita che gli si aprì sul cranio fu così orrenda che quelli in prima fila gemettero di angoscia.
«Ahio, oddio che dolore!», gridava piangendo Rodolfo, mentre cercava di tamponare con le mani la fronte sanguinante. «Maledetto che sei, m’ammazzi!». Ma il folletto lo incalzò, del tutto indifferente:
«Dove si trova quel viscido del tuo padrone? Ho una certa urgenza di scuoiarlo vivo».
«Non lo so, dannato omuncolo!», fu la risposta. E giù, un’altro schianto della testa al suolo.
A quel punto il povero Rodolfo piangeva e singhiozzava così forte da coprire la voce del folletto. Ma quello si fece capire benissimo. E siccome una terza testata l’avrebbe senza dubbio ammazzato, Rodolfo decise di parlare.
Furono molto confuse le sue parole, tra sangue che gli colava dalla testa e dal naso, lacrime, singhiozzi e muco. Perciò riassumeremo il suo racconto.
Vendetta
Annarosa era stata cacciata quando era ancora in giovane età, ma Rodolfo rimase a fare da apprendista presso l’Oniromante per oltre mezzo secolo. In tutto questo tempo aveva imparato molti rituali magici, ma non tutti dalla bocca del maestro. Alcuni li aveva appresi di nascosto, sbirciando tra i libri o facendo domande al folletto, che qualche volta (ma solo qualche volta) gli rispondeva, tanto per alleviare la noia della prigionia con qualche chiacchiera.
Dopo molti anni di indagini e sotterfugi, Rodolfo riuscì ad apprendere l’incantesimo col quale era possibile appropriarsi del tempo accumulato nella grande clessidra. L’apprendista s’era fatto vecchio pure lui e bramava di allungarsi la vita, non voleva morire servendo il suo maestro che invece guadagnava l’immortalità.
Così, un giorno che l’Oniromante era lontano, effettuò il sortilegio alla clessidra e tutto il tempo dello stregone divenne suo. Aveva poi l’intenzione di assassinare il vecchio non appena questi fosse tornato al castello.
L’Oniromante era un mago ben più esperto del suo allievo e, appena rientrato, capì subito cos’era successo. Scovò il traditore e gli lanciò contro ogni genere di incantesimo omicida. Ma nessuno poteva avere effetto, perché Rodolfo aveva allontanato la propria fine di molti secoli, essendo divenuto il nuovo padrone della clessidra. Invece il vecchio maestro, che ne era stato derubato, sarebbe trapassato come chiunque altro alla prima occasione.
Avvenne così che, preso da un accesso di rabbia, l’Oniromante tentò un rimedio estremo, fece ricorso a una difficile e potente formula di distruzione e lanciò addosso all’allievo terrorizzato l’intero solaio del piano superiore del suo castello. Tuttavia, padroneggiare correttamente quell’incantesimo era al di sopra delle possibilità di un mago umano, per quanto capace, e così gran parte dei detriti investì l’anziano stregone, che in quella devastazione trovò la morte, seppellito dai pavimenti di marmo e dalle colonne scolpite che il folletto aveva realizzato per lui. Rodolfo, invece, con immenso stupore, ne uscì indenne.
Tutto questo era avvenuto meno di un anno prima.
«È morto!», esclamò sconvolto il folletto, al termine della confessione. «Il vecchio mentecatto è dunque morto!» Passò un lungo momento in cui la creatura fatata rifletté sulla sconcertante notizia. «È tutta colpa tua…», infine ringhiò. «Tu, miserabile imbecille… Tu mi hai privato della sola cosa che desideravo, di ciò che m’avrebbe ripagato di tanti anni di prigionia. Torturare e ammazzare quel vecchio balordo! Solo questo desideravo! Pagherai anche ciò! Ti prenderai anche la sua parte di punizione!»
Rimase alcuni secondi in silenzio e siccome gli occhi gli brillavano e aveva l’aria di voler uccidere il primo che gli capitasse a tiro, nessuno fiatava in tutta la piazza. Poi, nel silenzio irreale la creatura sospirò e iniziò a declamare:
«Ebbene, signore e signori cittadini di questo borgo, ascoltate tutti con grande attenzione, perché ora vi dirò cosa succederà nel futuro. Queste sono le mie promesse. Ricordatele bene, poiché ciò che prometto non può essere infranto.
«La mia pregevole persona, finalmente libera, tornerà a vivere nella foresta che nasce al confine della valle e porterò con me alcuni dei miei parenti. Vivremo in pace e non vi arrecheremo danno, a meno che voi non ne portiate a noi.
«Per ciò che riguarda questa vecchia piegata e così tragicamente imbruttita dagli anni, che io conosco col nome di Annarosa, colpevole di aver partecipato in giovane età al rituale della mia cattura, dichiaro di averla perdonata, non le infliggerò alcun male e semmai qualcuno dovesse fargliene ne risponderà a me.
«Per quanto concerne i bambini che hanno partecipato alla mia liberazione, dichiaro che sono amici della mia gente e saranno sempre sotto la mia protezione. Ma sappiate che difficilmente ne avranno bisogno, poiché hanno già dimostrato doti di acume e ardimento e perché hanno guadagnato altre qualità nel viaggio che hanno compiuto per salvare me e voi tutti. Ammirateli, lodateli e seguiteli!
«E sebbene il mio debito nei loro confronti sia già stato pagato, dichiaro che qualora i loro figli o i figli dei loro figli o i figli dei figli dei loro figli, eccetera eccetera… Dichiaro insomma che se mai uno dei loro discendenti si trovasse in grave pericolo, mi farò carico di supportarlo con un dono e un consiglio.
«Infine me ne vado, ma porto con me questo infingardo, schiavista, truffatore, traditore e assassino del proprio maestro, allo scopo di torturarlo e infine ammazzarlo nella maniera che riterrò opportuna. Ho in mente di sfruttare le centinaia di anni di cui s’è indebitamente appropriato. Per esempio spellandolo con lentezza, impiegando un secolo o due, per poi rimettergli la pelle e ricominciare…»
A quel punto un clangore esplose nella piazza. Era un fastidioso rumore di metalli che sbattevano e sorprese tutti. Ma il folletto ebbe una reazione incredibile! Si spinse fortissimo le mani sulle orecchie, cadde a terra con un tonfo, si raggomitolò tutto e prese a frignare, rotolandosi e scalciando come un bambino in preda a una crisi di capricci. In effetti, è questa l’unica cosa che può fermare una creatura fatata dai poteri illimitati e assetata di vendetta: rumore di metallo che sbatte, il più forte possibile. Nelle vecchie storie si consiglia l’uso di campanelli, ma pare che funzioni anche il pentolame.
Salvezza
«Vattene, ‘mbecille, prima che ce ripenso!», gridò Annarosa, la Vecchia delle Pentole. E tutti videro che brandiva i due piccoli coperchi di metallo che portava appesi al collo. «Scappa, ‘mbecille!», ripeteva, sbattendo quei cembali con quanta più forza poteva: si rivolgeva a Rodolfo. Essendo venuti meno la concentrazione e i poteri del folletto, l’appeso era lentamente sceso al suolo e ora si guardava intorno incredulo. Probabilmente non ci vedeva bene, con gli occhi e la faccia impastati di sangue e altri liquidi, comunque s’alzò in piedi e fuggì caracollando verso un vicolo. Ma i bambini gli andarono dietro.
«Vecchia idiota!», sentirono gridare il folletto verso Annarosa. «Che t’è saltato in testa?»
Nannina, Ettore, Renzo, Gianni e Marietta s’infilarono nel vicolo imboccato dal Nasone, ma se lo trovarono davanti fermo.
«Cosa vuoi tu? Fammi passare, ragazzina!», diceva con la sua voce impastata. Davanti a lui stava Lelletta.
«Nun te ne vai così!», disse la bambina, che poi guardò oltre l’uomo, avendo visto sopraggiungere i suoi amici. Nannina notò che la compagna non aveva più l’aspetto terrificante di quando erano sull’arcobaleno: la sua pelle sembrava tornata normale, i capelli erano ancora nerissimi, ma non più così sudici.
«Nannì, viè qua», le disse Lelletta, che poi si rivolse di nuovo al Nasone. Lo guardò dritto negli occhi con una smorfia di profondo disprezzo: «Pensà che me facevi così paura… E invece sei ‘n pupazzo! Comunque ce devi ridà quello che te sei preso!» A quel punto gli strinse una mano attorno al collo e Rodolfo emise un gemito orribile. Il disgraziato era destinato dalla magia a vivere centinaia d’anni, perciò la bambina, nonostante fosse dotata di un tocco mortale, non poteva ucciderlo. Ad ogni modo il nasone restava come paralizzato, riusciva solo a emettere un ripugnante piagnucolio. Nannina si avvicinò e prese la mano di Lelletta rimasta libera. E così rimasero per alcuni minuti.
Quando le ragazzine lo lasciarono andare, Rodolfo corse come non aveva mai fatto e pensò che forse l’avrebbe scampata definitivamente. Non sapeva di non possedere più i secoli di vita che aveva rubato al suo maestro e che provenivano, in definitiva, da tanta povera gente truffata e condannata a morte prematura.
Nannina e Lelletta lo guardarono scappare traballando oltre l’angolo di un vicolo.
«Ahó, ma ch’è successo? Che j’avete fatto?», chiese Ettore.
«Se semo riprese quello c’ha rubato», rispose Nannina. «Quello c’hanno rubato lui e l’Ogni Mante».
«Il tempo…?», chiese Renzo.
«Pe aridallo ai genitori nostri, pe aridallo a tutti».
Ettore, Renzo, Gianni e Marietta si guardarono. Poi Ettore disse:
«Ma come…? Come avete fatto…?»
«Nullo so… È stata Lelletta… Cioè lei gliel’ha preso, però adesso ce l’ho io».
Nannina non seppe spiegarsi meglio di così e i suoi amici non fecero altre domande
Nella piazza, nel frattempo, la Vecchia delle Pentole era ancora in cima alla scalinata della chiesa, ma aveva smesso di fare chiasso coi coperchi e si preparava ad affrontare l’ira del folletto. Questi, dopo essersi rotolato a terra ululando e piangendo con le mani premute sulle orecchie per tutto il tempo che era durato il fracasso, s’era rimesso in piedi e cercava di ritrovare un contegno dignitoso. Mandava lampi di furia dagli occhi.
«Ebbene ti ho promesso protezione», disse tra i denti ad Annarosa mentre si spolverava l’abito con le mani, «perciò mi è impossible ucciderti, nonostante quello che hai fatto. Le mie promesse non possono essere infrante. Non so che diavolo ti ha detto il cervello e perché hai voluto salvare quel miserabile. Che oltretutto ti disprezza! Ad ogni modo sappi… Sappiate tutti che ho grande motivo di rancore! Se mai qualcuno di voi dovesse venire a disturbare me o i miei parenti nella foresta, la nostra vendetta sarà perfida e sadica e mieterà moltissime vittime! Ora me ne vado perché sono stanco, avrò modo di trovare quel malnato nei prossimi giorni».
Ciò detto, salì degli scalini invisibili, aprì nel cielo notturno la finestra dalla quale era entrato, vi si infilò e non fu più visto da quelle parti.
Non poté mai mettere in atto la sua vendetta su Rodolfo. Il Nasone Incappucciato tentò di fuggire lontano, ma era troppa la paura di essere riacciuffato dal folletto. E così, il pomeriggio seguente, mentre arrancava sulla strada per la città, solo, affamato, pallido per il troppo sangue perso e terrorizzato come un coniglio braccato, morì di crepacuore. Fu trovato da un viandante a pochi chilometri dalla periferia cittadina, fu raccolto dai beccamorti e messo in una fossa anonima, perché nessuno da quelle parti lo conosceva.
Ricucire
Gli abitanti del borgo rimasero molto impressionati dai fatti di quella notte. Tutti i presenti ne parlarono per anni e col tempo alcuni pettegolezzi raggiunsero anche i borghi vicini. Nessuno dimenticò gli avvertimenti della creatura fatata, specie quello di non disturbare la foresta. E così ci fu un lungo periodo di pace. Ma si sa che gli ammonimenti degli anziani sbiadiscono col tempo e le generazioni successive prestarono poca attenzione ai vecchi racconti.
Molti anni dopo, infatti, gente in cerca di terre da coltivare profanò la foresta, bruciò, abbatté e mise recinti a terre che non erano sue. E la vendetta arrivò proprio come aveva detto il folletto: perfida e sadica.
Accadde decenni più tardi, quando i bambini protagonisti della nostra storia erano ormai anziani. Nannina provò ad avvisare quegli sconsiderati, ma non venne ascoltata. Ironia della sorte, quando ormai lei non c’era più, fu suo nipote Antonio a porre rimedio a quei danni e a riportare pace nella valle. Ma di questo si è parlato altrove. Ora dobbiamo tornare a quella notte.
Nonostante l’ora tarda, nessuno andò a dormire, erano tutti troppo turbati. Le discussioni proseguirono fino al mattino e anche nei giorni seguenti. I bambini furono interrogati a lungo su dove erano stati, come avevano incontrato la creatura fatata e quale fosse stato esattamente il ruolo della Vecchia delle Pentole in tutta la faccenda. Nonostante a loro sembrasse di essere stati via soltanto poche ore, erano scomparsi dal paese da ben tre giorni. I loro parenti li avevano cercati nella valle, nella foresta e sul monte, senza quasi mai chiudere occhio, fino a decidere di andare a trascinare Annarosa fuori dalla grotta, convinti che avesse rapito i ragazzi.
Ciò che destava maggiore sconcerto era l’aspetto dei bambini. I tre maschietti erano evidentemente più alti e robusti, avevano strani peli sulle orecchie e anche petto e braccia mostravano una peluria insolita per la loro età.
Era incomprensibile come i capelli di Nannina potessero essere cresciuti fino a sfiorare il suolo in così breve tempo, ma il cambiamento più stupefacente era quello di Lelletta, che seppure aveva riacquistato gran parte della sua bellezza, era decisamente una bambina diversa: non tanto per i capelli corvini quanto per il suo sguardo, profondo e penetrante, a tratti inquietante.
L’unica a passare inosservata fu Marietta, che sembrava in tutto e per tutto la stessa bambina di sempre. E questo avvenne per un saggio proponimento della piccola, che né quella notte né per il resto della vita svelò il suo segreto: soltanto quando era sola o in compagnia dei suoi amici si avventurava in lunghi voli sopra la valle e sempre dopo il calare del sole.
Ma dicevamo di come si concluse quella notte.
Dopo essere stati tartassati di domande dagli adulti, quando era ormai l’alba, i bambini se ne andavano per9′ uno dei vicoli, stanchi e infreddoliti.
«Sò preoccupati, i grandi», disse Gianni.
«Sò preoccupati sì!», rispose Renzo. «Sto fatto che il folletto va a vive nella foresta coi parenti suoi…»
«Mica è solo quello», lo interruppe Ettore. «Hanno saputo che se sò accorciati la vita a forza de sta morti-addormentati co le collane maledette. E sò preoccupato pure io».
«Ma Nannina ha detto che l’ha ripreso, quello c’ha rubato il Nasone!», intervenne Marietta
«E allora?», disse Renzo voltandosi verso Nannina. «Che significa? Pòi riallungà la vita ai genitori nostri?»
«Penso de sì», rispose lei. «Piano piano, uno pe volta».
«T’aiuto io», disse Lelletta. «E poi anche la piccola ce darà na mano», aggiunse indicando Marietta. Questa guardò le amiche più grandi con tanto d’occhi:
«Me insegnate la magia?», disse piena di entusiasmo. E senza aspettare una risposta le tirò per le gonne e strinse loro le braccia intorno alla vita, affondando la faccia tra i loro corpi. Nannina e Lelletta si trovarono così improvvisamente avvinghiate. Lelletta inizialmente s’irrigidì tutta, ma durò solo un attimo, poi le tre ragazzine si abbracciarono.
Mentre tornavano verso casa, Nannina e Ettore si tenevano per mano. A Nannina sembrava strano, non era abituata a vedere il fratello così alto. Ma quando si voltò a guardarla, vide che i suoi occhi, illuminati dai raggi dell’alba, erano ancora quelli di un bambino:
«Hai salvato tutti, ce sei riuscita!», le disse tutto emozionato.
«Nun dì così, l’avemo fatto insieme!»
Ettore saltò letteralmente addosso alla sorella e la travolse in un abbraccio. E quando la strinse, lei sentì che il fratello aveva forza a sufficienza per sradicare un albero.
«Te vojo bene, Nannì!», le disse. Era la voce di un bambino felice.
La sera successiva, Nannina sedeva a casa con tutta la famiglia, vicino al focolare, dove una fiamma abbondante crepitava sui ciocchi inondando l’ambiente raccolto di luce calda. Avevano cenato e di lì a poco si sarebbero coricati, perché non riposavano da giorni ed erano tutti davvero stanchi. Ma erano sereni. Il papà era l’unico a non godere di quella pace. L’ultima volta che aveva indossato la collana stregata non s’era più svegliato: quando i figli gliel’avevano sfilata, la notte precedente, stava bloccato nel mortale incantesimo da due giorni e mezzo e si sarebbe certamente spento così, se i ragazzi non gli avessero tolto il monile dal collo per consegnarlo al folletto, che poi l’aveva distrutto insieme agli altri.
Nannina teneva le mani sulla fronte del padre che, seduto vicino al fuoco, sonnecchiava e mormorava parole senza senso. Ogni volta che lei gli posava le mani sulla testa, l’uomo sembrava stare meglio. Si sarebbe ripreso nel giro di pochi giorni.
«Domani mattina vado dalla Vecchia delle Pentole», disse la bambina rivolta alla madre. Intanto aveva lasciato suo padre a riposare e aveva preso una piccola cesta posata in terra contenente un bene di lusso della famiglia: i calzini. «Lelletta e Marietta vengono co me», aggiunse.
Sua madre la guardò con aria evidentemente preoccupata, ma non disse niente. Aveva trascorso gran parte della giornata a parlare con le comari e tutte erano d’accordo: le tre bambine erano destinate a conoscere i segreti. Dovevano essere istruite dalla Vecchia.
«Ce stanno ancora sti pedalini da rammendà», disse Nannina.
«Ho comperato il filo», rispose sua madre. «L’ho messo nella scatola».
Nannina prese una cassettina di legno dalla mensola sopra il camino e ne tirò fuori un ago e del filo. Impiegò un po’ di tempo a infilare il filo nella cruna. Non era mai stata brava con l’ago, però voleva imparare. Prese un calzino bucato e iniziò a cucire.
+++FINE+++
Vai al terzo Racconto della Foresta d’Oro ☞Il Figlio dello spettro
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Francesca says
Fantastico! Sono stata fortunata ad imbattermi in questo racconto quando era già quasi concluso così da evitare di restare troppo sulle spine ed invece poterlo leggere tutto d’un fiato.
Grazie mille per questo piacevole momento di lettura.
Luca Ricatti says
Grazie infinite per queste parole, Francesca!