Riassunto della puntata precedente
Nella Prima Parte abbiamo raccontato brevemente la storia editoriale in Italia de La Storia Infinita e la vita del suo autore Michael Ende. Poi abbiamo iniziato ad analizzarne il tema principale, cioè il rapporto tra essere umani e narrazioni e abbiamo visto che nelle opere di Ende «realtà» e «fantasia» sono presentati come due mondi paralleli, attraverso i quali è possibile spostarsi (in particolari condizioni).
È il mannaro Mork a spiegare che questi due mondi sono connessi e interdipendenti, che gli esseri umani ne hanno perso la consapevolezza e che per questo il mondo della fantasia sta andando in rovina: le sue creature vengono risucchiate dalla realtà, trasformandosi in una loro versione «perversa»: le menzogne.
A sua volta, questo porterà anche la «realtà» alla rovina.
Abbiamo anche accennato al fatto che la narrazione è una forma di «magia» e come ogni magia può essere buona o cattiva: un modo per riconoscere una magia cattiva è la presenza o meno del finale.
Ma di questo parleremo meglio più avanti.
Governare gli imperi
Facciamo un passo indietro.
Il Mannaro Mork la fa facile, ma in realtà descrive un processo non così facile da credere e la maggior parte delle persone sarà convinta che si tratti di assurde esagerazioni nate nella testa tra le nuvole di un autore di libri per bambini.
Non è così.
Ci sono tre elementi chiave del discorso di Mork.
1) La fantasia sta scomparendo dal nostro mondo.
2) A causa di questa scomparsa, personaggi e storie fantastiche si pervertono e diventano strumenti di propaganda, inganno e marketing.
3) Perdendo la fantasia, gli esseri umani diventano facili prede delle menzogne.
Questi tre passaggi sembrano frutti di un primitivismo antirazionale, ma vedremo che hanno basi più che solide.
Chiave di Mork 1: scomparsa della fantasia
È un processo che ha caratterizzato la trasformazione dell’Occidente almeno dalla nascita della corrente filosofica positivista ed è collegata allo sviluppo dell’industrializzazione. Abbiamo abbandonato miti, credenze, fiabe in un percorso che ci ha però resi schiavi di nuovi regimi, del mercato, di una falsa logica che sta distruggendo il mondo.
L’antropologa Stefania Consigliere ha efficacemente sintetizzato tutto questo col termine «disincanto».
Lo spiega in modo illuminante in un recente libro che ha fatto parecchio parlare di sé, Favole del Reincanto – Molteplicità, immaginario, rivoluzione. Ecco come riassume la devastante supremazia del reale sul fantastico nel mondo di oggi:
«Ciò che esiste è positivo ed è quindi oggettivo, vero e buono; ciò che non esiste si carica di tutte le qualità negative e sarà quindi anche non oggettivo, falso e cattivo. […] Al di fuori della razionalità logico-deduttiva non ci sono alter-razionalità, ma solo irrazionalità e superstizione»
In questo modo, tutto ciò che non è logico viene sottomesso (compresi gli esseri umani non-razionali: dagli indigeni dell’amazzonia ai pazzi, passando per i bambini).
Folletti, spiriti della Natura, ninfe, divinità, antichi miti sono fuori dal campo della realtà, siamo d’accordo. Ma questo significa che non devono esistere?
Nelle società antiche o non occidentali, queste creature irreali hanno una funzione precisa, sono il tramite tra gli esseri umani e la Natura, perché danno anima ad alberi, fiumi, montagne, erbe, animali, venti.
Non sto promuovendo qualche forma di neopaganesimo.
Il punto è che ciò che appare illogico alla moderna mentalità occidentale risponde invece a logiche diverse.
Ma nel mondo disincantato in cui viviamo oggi tali creature devono essere rimosse perché, scrive ancora la Consigliere:
«Questo processo è funzionale alla nuova dinamica produttiva: solo in un cosmo inerte il plusvalore può macinare senza ostacoli. Togliendo ogni limite etico allo sfruttamento delle terre, delle acque, dei cieli e dei viventi, il disincanto rende accettabili le spoliazioni che incrementano i godimenti fungibili. Senza la de-personalizzazione del cosmo, agroindustria, fracking, centrali nucleari e filiere estrattive apparirebbero per quello che sono: imprese distruttive e mortifere; e lo spargimento di veleni, tossici e inquinanti si mostrerebbe immediatamente angoscioso e criminale».
A me viene da aggiungere: sarà un caso se, da Tolkien in poi, la narrativa fantastica è spesso andata a braccetto con l’ambientalismo? In Michael Ende l’ambientalismo è un tema ricorrente, vedi Momo, oppure quell’altra godibile fiaba per bambini che è La Notte dei Desideri.
Ma non andiamo fuori tema.
Sostanzialmente abbiamo relegato l’irrazionale, il sogno e il fantastico in un cantuccio nascosto delle nostre vite troppo indaffarate, per trasformare il mondo in una macchina che ci sta stritolando.
Come?
Veniamo al secondo passaggio del processo descritto da Mork.
Chiave di Mork 2: personaggi e storie fantastiche si pervertono
Secondo il mannaro, questa cultura del disincanto fa sì che personaggi e storie fantastiche si pervertano in menzogne, in propaganda, in false promesse e nel peggiore marketing.
Abbiamo già parlato dello slittamento semantico del bellissimo termine inglese storytelling, che si è ridotto a indicare uno strumento per far passare messaggi di qualsiasi tipo.
E abbiamo anche anticipato che da tempo ormai lo storytelling è ampiamente usato in politica
Ecco come sintetizza il francese Christian Salmon nel libro La Politica nell’Era dello Storytelling:
«Le campagne elettorali sono diventate dei “festival di narrazione” durante i quali si affrontano dei personaggi più che delle ideologie, e in cui l’elezione sanziona l’efficacia della performance di un attore/candidato».
Per Salmon, la politica è da tempo affetta da una sindrome da Mago di Oz; il mago/capo di stato è solo un imbonitore da fiera, che costruisce un personal-brand attraverso messe in scena e narrazioni.
Salmon fa risalire la genesi di questa sindrome al successo della campagna elettorale di Barack Obama, ma in Italia avevamo già sperimentato l’autonarrazione di Berlusconi: chi si ricorda la sua biografia di 125 pagine dal titolo Una Storia Italiana, spedita gratis a casa di milioni di elettori?
Lo «storytelling» non si limita alle singole biografie dei politicanti, siamo continuamente immersi in un sistema di narrazioni funzionale al meccanismo di produzione e consumo. E più ci lasciamo disincantare, più questo meccanismo ci stritola.
Tutte le più importanti operazioni politiche vengono anticipate da una propaganda narrativa: un qualche tipo di cattivo (i terroristi, Saddam Hussein, un virus personificato), vuole distruggere il mondo, ma la nostra eroica classe dirigente lo fermerà.
Il compianto Valerio Evangelisti ha coniato un concetto secondo me potentissimo: quello di colonizzazione dell’immaginario.
Il sistema capitalistico consumista ha svuotato le nostre vite dal sogno e dal fantastico e ha riempito questo vuoto con nuove narrazioni, che sono noiosissime, spesso ansiogene e ancora più spesso false ma che condizionano le nostre vite e ci spingono a consumare in modo compulsivo, ad accettare politiche repressive, a pensare inevitabili la guerra, la crisi climatica, lo sfruttamento.
Questo significa colonizzazione dell’immaginario.
L’appiattimento delle nostre vite su narrazioni brutte e soffocanti ha anche effetti paradossali.
In quel trascinante tomo tutto dedicato alla nascita e allo sviluppo dei complottismi che è La Q di Qomplotto, lo scrittore Wu Ming 1 spiega chiaramente quanto bisogno ci sia di nuove forme di incanto (usa il tempo passato, ma sta parlando del presente):
«Le fantasie di complotto non davano risposte solo alla rabbia, alla frustrazione, all’insofferenza nei confronti del mondo così com’era, ma anche al bisogno di incanto e meraviglia, di angolature da cui guardare il mondo e sentirsi diversi».
Perché – spiega Wu Ming 1 – piuttosto che accettare vite orrendamente piatte e senza speranza, molte persone preferiscono credere ad assurde fantasie di complotto: che fanno apparire il mondo un luogo orribile, certo, ma comunque vi reintroducono la follia, il sogno, la meraviglia:
«La meraviglia non risiedeva solo nel bello, ma anche nel perturbante […]».
Insomma, dovremmo esserci capiti, a questo punto.
Abbiamo bisogno di irrazionalità.
Però le narrazioni fantastiche sono relegate al ruolo di futili passatempi, oppure di sottoletteratura o di arte di serie B, perché ci distraggono dal quotidiano, dalle ultime notizie su qualche «nemico» vero o immaginario, dalle scadenze, dal Pil, dal ciclo di produzione e consumo, dal messaggino whatsapp del capo.
Dominano invece narrazioni finto razionali, spesso del tutto illogiche ma funzionali al sistema economico in cui viviamo.
Ma perché mai la fantasia dovrebbe salvarci?
Si potrebbe pensare che dovrebbe essere un razionalismo più razionale la vera fonte di salvezza.
Chiave di Mork 3: gli essere umani senza più fantasia diventano facili prede delle menzogne
La teoria proposta da Ende e altri frickettoni della sua risma è che, per salvarsi, gli esseri umani devono tornare a giocare con la fantasia.
Che la narrativa fantastica, il mito o la fiaba possano salvarci dalle autodistruttive leggi del mercato sembrerà senz’altro a molti un’assurdità.
Solo artisti e poeti possono credere a simili baggianate, dirà una persona assennata.
Per la relazione tra fantasia e capacità di interpretare la realtà, ci viene in aiuto sempre Valerio Evangelisti in Le Strade di Alphaville, secondo cui il lettore di sottoletteratura (gialli, fantascienza, horror, eccetera) ha:
«minori probabilità di essere sedotto e addomesticato del consumatore abituale di letteratura “alta”. È abituato a immergersi in piccoli o grandi inferni metropolitani, a penetrare in galassie rette da regole pazzesche, a esplorare mondi alternativi, a scorgere l’incubo nascosto dietro la normalità apparente. La sua narrativa preferita è narrativa del coinvolgimento: è fatta apposta per non lasciare indifferenti».
E questo perché:
«Tematiche come il razzismo, la fame, il disagio urbano, l’invadenza dei mass media, l’autoritarismo, l’arroganza del potere eccetera sono per la narrativa “di genere” pane quotidiano. Si può dire lo stesso della letteratura che da noi è considerata “alta”? Ma mi facciano il piacere, avrebbe risposto Totò».
Ecco perché è così dolorosamente vera la scoperta di Atreiu: se noi esseri umani ci lasciamo disincantare perdiamo letteralmente la capacità di pensare ai grandi temi della vita: smettiamo di confrontare il presente con le sue possibili alternative.
Ed ecco perché, come dice Valerio Evangelisti, la narrativa deve essere narrativa del coinvolgimento!
Perché solo una immersione profonda negli universi fantastici, utopici, distopici, ucronici e fantascientifici ci permette di fare confronti con la realtà che viviamo. Come un viaggio in paesi diversi ci permette di fare confronti col nostro.
Ecco perché la narrazione deve essere incanto, ecco perché deve essere magia!
Il lettore/spettatore di narrazioni fantastiche deve essere stupito, deve meravigliarsi come difronte a una magia.
E dunque il narratore deve essere un mago?
Beh, in effetti Ende avrebbe voluto che il suo romanzo fosse confezionato in modo da sembrare un antico libro di magia.
Diciamo che l’autore deve essere almeno un po’ prestigiatore, con un discreto arsenale di trucchi da sfoderare.
Il narratore è un mago
All’inizio di questo viaggio abbiamo anticipato che la narrazione è una forma di magia e che questa può essere esercitata con buone intenzioni o no.
Abbiamo visto che le narrazioni (pervertite) possono essere usate per fondare e governare imperi, vendere prodotti e idee politiche. Ma abbiamo anche anticipato che esiste un modo per riconoscere la magia «nera» da quella buona: la presenza o meno di un finale.
Come vedremo tra poco, il finale de La Storia Infinita ruota attorno a questo concetto, in una delle intuizioni più geniali di Michael Ende.
Dopo averci accompagnati nel mondo parallelo del sogno, un racconto dalle buone intenzioni ci riconduce alla realtà.
Il ritorno alla realtà è realizzato attraverso un finale, che risponde efficacemente a tutte le domande aperte dalla narrazione e consente serenamente di chiudere il libro, uscire dalla sala, spegnere lo schermo e tornare alle relazioni umane.
I racconti malvagi, al contrario, spesso non hanno alcuna conclusione, oppure la rinviano all’infinito proiettandola in un futuro irraggiungibile. E così continuano a chiederci all’infinito di comprare il prodotto, di votare il candidato, di sopportare la privazione di qualche libertà, di sacrificarci in nome di qualche dio.
Una storia senza finale si comporta come lo scrolling infinito dei social media, è un moltiplicarsi di promesse senza fine.
Il suo scopo è irretire la volontà e non lasciarla più andare. Dunque è importante saper riconoscere una magia con cattive intenzioni.
Il gioco dell’Incanto
Il prestigiatore compie davanti ai miei occhi qualcosa che è fisicamente impossibile, dicendo di essere un mago. So che non è vero e che la sua magia è un trucco e lui sa che io lo so.
Stiamo giocando insieme, né più né meno di un romanziere col suo lettore.
Anche il romanziere presenta il racconto come reale, ben sapendo che il lettore non ci crede davvero, almeno non del tutto.
Dai Promessi Sposi ai libri di Tolkien passando per il Nome della Rosa, quanti romanzi dichiarano falsamente di derivare da un precedente manoscritto?
È un gioco fin troppo facile e si può spingere verso frontiere ben più avanzate.
Basti pensare alle bufale costruite dal Luther Blisset Project (poi sempre rivelate e la rivelazione era parte stessa del gioco mediatico).
A volte il gioco consiste nel mettere in crisi la mente del pubblico: basta il verso di una canzone, come in Centro di Gravità Permanente di Franco Battiato, a lasciare milioni di italiani con un dubbio irrisolto: che cavolo è il free jazz punk inglese?
Si tratta di usare la creatività per mettere la mente in bilico, in una condizione di dubbio, di curiosità, di ricerca di nuove idee.
E così torniamo all’arte surrealista, da cui eravamo partiti.
Personalmente posso guardare questo quadro di Magritte all’infinito, la testa mi va in cortocircuito alla ricerca di un senso: è notte o giorno? E in che senso il titolo Impero delle Luci?
Dove si ferma l’opera d’arte e dove comincia la mia mente? I pensieri che si scatenano in me davanti a questo genere di opere sono stati certamente previsti dall’autore, dunque sono parte dell’opera?
Ma questo è niente! La Storia Infinita è un caleidoscopio in cui realtà e finzione si riflettono a vicenda su più livelli, al punto da diventare una sorta di paradosso filosofico.
Il confine si dissolve
Ende ci porta direttamente nel dominio della Surrealtà, come diceva Breton.
Il confine tra realtà e sogno si dissolve definitivamente.
La Storia Infinita è al tempo stesso il titolo del romanzo che teniamo tra le mani, il titolo del libro che legge Bastiano e il titolo del libro scritto dal Vecchio della Montagna Vagante.
Tu lettrice o lettore leggi un libro in cui si racconta che Bastiano legge un libro in cui si racconta che l’Infanta Imperatrice e il Vecchio della Montagna Vagante leggono un libro che si sta scrivendo in quello stesso istante. E quello è esattamente il libro che tu tieni fra le mani!
Sono tre libri contenuti uno dentro l’altro eppure, al tempo stesso, l’ultimo è il primo!
E tu chi sei?
A questo punto, tu sei solo lettrice/lettore o sei anche personaggio del libro?
Lo Specchio nello Specchio
La chiave di questo collegamento tra realtà e finzione è l’essenza stessa de La Storia Infinita e viene spiegata proprio dal Vecchio della Montagna Vagante all’Infanta Imperatrice.
Per come la vedo io, lei è giovane e femmina, rappresenta la creatività pura; lui è vecchio e maschio e rappresenta la sacra dedizione di un autore alla sua opera.
Quando lei gli chiede se tutti loro, tutta Fantàsia siano solo «apparenza e riflesso», lui risponde con una domanda:
«Che cosa mostra uno specchio che riflette uno specchio? Lo sai tu, Occhi d’Oro, Sovrana dei Desideri?»
Questa frase non può essere compresa col pensiero logico.
Ma qui c’è il significato di Auryn, qui sta il senso dei due serpenti che si mordono la coda formando un ovale: i due serpenti rappresentano la realtà e la fantasia, che sono una nutrimento dell’altra e al tempo stesso nascono una dalla bocca dell’altra.
E quindi spieghiamo che questo qui sotto non è l’Auryn.
Questa è un’inutile complicazione che è stata inserita nel film.
L’Auryn come è descritto nel romanzo (e in realtà si scrive AURYN, tutto maiuscolo) è un semplicissimo ovale. Ed è così per un motivo: perché deve richiamare l’Urobòro, un simbolo antichissimo (pare che fosse usato già dagli antichi egizi) che rappresenta la ciclicità della vita.
Michael Ende ha ripreso questo simbolo ma lo ha diviso in due serpenti, per rappresentare la reciproca interdipendenza tra realtà e fantasia. Attraverso il Vecchio della Montagna Vagante, ci spiega che realtà e fantasia si riflettono l’una nell’altra, come due specchi posti uno di fronte all’altro.
Che sia un concetto chiave della poetica di Ende lo dimostra il fatto che Lo Specchio nello Specchio è il titolo di una delle sue raccolte di racconti (tra le sue poche opere destinate a un pubblico adulto).
Il romanzo stesso è una rappresentazione concreta di questo rispecchiarsi di realtà e fantasia.
In effetti, noi stiamo a Bastiano come Bastiano sta ad Atreiu. E questa sovrapposizione tra il piano reale e quello narrativo l’hanno vissuta sulla pelle tutti i bambini che negli anni ’80 hanno visto il film per la prima volta. La scena più emozionante fu vedere Bastian che pronunciava le parole:
«Che sia proprio io…?»
L’immedesimazione per una bambina o un bambino era potentissima. Il sogno di essere chiamati personalmente a far parte di un’avventura fantastica sembrava realizzarsi lì, in quel momento. Solo chi l’ha vissuto sa quanto è stato emozionante.
Oggi quei bambini cresciuti possono prendere tra le mani il libro e scoprire che è ancora in grado di abbattere il confine tra realtà e sogno, in tanti modi e così articolati che il romanzo è al tempo stesso una favola leggerissima, un gioco interattivo e un rompicapo filosofico, tutto nello stesso momento.
Tutto il romanzo non fa che chiamarci in causa, continuamente, grazie all’immedesimazione tra noi e Bastiano.
Quando l’Infanta Imperatrice obbliga il Vecchio della Montagna Vagante a ricominciare a leggere il libro daccapo crea una storia circolare che, giunta a quel punto, riparte ogni volta dal momento in cui Bastiano entra nella bottega del Signor Coriandoli.
L’Imperatrice imprigiona se stessa, tutta Fantàsia, Bastiano e anche noi in un ciclo infinito.
(A proposito, notare la finezza: il romanzo si apre con l’insegna scritta sul vetro della bottega mostrata al rovescio, come riflessa in uno specchio. Ende sembra metterci da subito oltre lo specchio, dentro la storia e insieme ai suoi personaggi.)
L’Infanta Imperatrice fa questo gesto estremo per convincere Bastiano a saltare dentro il mondo di Fantàsia.
Se lui non troverà il coraggio, anche noi potremmo restare intrappolati a leggere una storia che ricomincia daccapo all’infinito.
Dunque, quando Bastiano finalmente si convince, salva Fantàsia e anche noi, permettendoci di proseguire nella lettura.
E dopo? Cosa avviene dopo?
Dopo avviene la caduta del lettore nella storia.
La caduta nella storia
Questa è l’idea da cui parti Michael Ende quando iniziò a scrivere La Storia Infinita: quella di un bambino che, leggendo una storia, ci finisce letteralmente dentro e non riesce più a uscirne.
A questo punto del racconto, l’Infanta Imperatrice scompare, diviene introvabile e lascia Bastiano in balia di se stesso, con un solo messaggio, quello scritto dietro Auryn: «Fa’ ciò che vuoi».
Un messaggio che era solo per lui, perché Atreiu, che pure ha portato Auryn per molto tempo, non poteva leggerlo, essendo analfabeta.
A ben guardare l’Imperatrice, dall’aspetto così dolce e affascinante, si comporta come una sirena, un’irresistibile ammaliatrice, una maga ingannatrice che attira gli esseri umani per dare forma al suo impero e poi li abbandona al proprio destino, tanto che la maggior parte di loro non torna più alla realtà e finisce a condurre un’esistenza di follia nella cosiddetta Città degli Imperatori.
Bastiano, al culmine di un percorso di perdizione, alla fine si salva, ma non grazie a lei, che non compare più. Bastiano ha rischiato di restare intrappolato per sempre nel mondo della fantasia, perdendo se stesso in un delirio di onnipotenza che porta alla perdita di tutti i ricordi e, quindi, di se stessi.
Perché se è vero che gli esseri umani hanno bisogno di restare in contatto col sogno e la fantasia, è vero anche che non possono prescindere dal contatto con la realtà. E in particolare, con l’amore (che nel caso di Bastiano si concretizza in quello per il padre).
Per questo i due serpenti: perché è un gioco di equilibrio.
Senza il contatto con la realtà si finisce col perdere il senno.
Il «ritorno alla realtà» come «finale»
Quando decide di deporre Auryn, Bastiano rinuncia ai propri desideri e così ha accesso alle Acque della Vita:
«Noi, le Acque della Vita
da se stesse generate
fonte tanto più arricchita
quanto più vi dissetate»
Aveva dimenticato tutto di se stesso, trasformato dai propri desideri in un vuoto superuomo senza ricordi, senza nome e destinato a vagare senza scopo e senza senno nella Città degli Imperatori.
Senza: nonostante tutti i desideri che ha potuto esaudire, è la mancanza il concetto più adatto a descriverlo. Non ha più niente.
Niente tranne Atreiu, l’eroe del racconto fantastico che tanto lo aveva appassionato all’inizio di tutto.
Atreiu non no lo ha mai abbandonato e ora accompagna Bastiano a bere l’acqua magica. Così il nostro torna a essere se stesso e può finalmente correre ad abbracciare suo padre: la porta della realtà si schiude di fronte a lui.
Il protagonista del racconto fantastico (Atreiu) ha assolto il suo compito, ha impedito al lettore (Bastiano) di restare imprigionato per sempre nella fantasia (come invece succede con le storie malvagie) e lo ha condotto alla fine della storia, al ritorno alla realtà.
Per concludere
La Storia Infinita ci mostra l’universo diviso in due mondi, quello della realtà e quello della fantasia. Questi due mondi sono interdipendenti: nascono l’uno dall’altro e si nutrono l’uno dell’altro.
Il mondo della fantasia ha bisogno dell’immaginazione e dei desideri degli esseri umani per crescere e prosperare; mentre gli esseri umani hanno bisogno della fantasia, altrimenti perdono la capacità di interpretare gli eventi che li circondano e diventano facili vittime di inganni, propaganda e di una logica autodistruttiva.
La nostra è un’epoca che ha estromesso la fantasia dal discorso pubblico e ha pervertito il nostro bisogno di narrazione: il mondo della fantasia è dunque in uno stato di emergenza, l’equilibrio tra realtà e fantasia è rotto.
Tutto parte da un assunto molto simile a quello posto da André Breton alla base del surrealismo: solo la connessione tra realtà e fantasia rende l’essere umano completo
Affinché sia raggiunto questo stato di completezza, il mondo della fantasia deve chiamare l’essere umano, costringendolo a compiere un’immersione totale: perciò la narrativa fantastica deve essere una narrativa del coinvolgimento e il narratore deve essere un vero e proprio incantatore.
Ne La Storia Infinita questa immersione è possibile grazie a una sovrapposizione tra il piano fantastico (in cui vivono le creature di Fantasia) e quello reale (in cui viviamo noi), che vengono mescolati al punto di non poter più distinguere l’uno dall’altro.
Per non cadere nell’estremo opposto, però, un buon racconto deve condurci alla conclusione, permettendoci di tornare alla realtà, perché si è completi solo nelle relazioni umane, cioè nell’amore.
Col passare dei decenni, anche la critica letteraria, che l’ha bistrattato e insultato per anni, ha dovuto accettare che La Storia Infinita è un capolavoro.
È probabilmente uno dei più bei libri mai scritti sul rapporto tra esseri umani e narrazioni, perché affronta l’argomento mettendolo in scena, operando una vera e potente forma di reincanto, con una storia coinvolgente e appassionante per bambini e adulti, costruita su molteplici livelli e che continua a svelare la sua profondità a ogni rilettura.
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Peppe says
Grazie per questi 2 Fantastici articoli. Davvero molto utili. Mi hanno aperto a nuovi mondi ovvero a nuovi campi di studio. Ho già comprato uno dei libri citati.( Momo) . A breve comprerò i saggi che hai citato rispetto al reincanto e alle relazioni tra fantasia e realtà.
Luca Ricatti says
Grazie a te Beppe, se ti va fammi sapere cosa ne pensi di queste letture, mi farebbe molto piacere!