– Una musica onesta deve incessantemente lavorare per non essere la brutta copia di qualcos’altro. Fare ricerca nelle proprie radici culturali è il primo, essenziale passo per esprimersi compiutamente dal punto di vista artistico.
– La musica, come ogni altra espressione culturale, è legata alla geografia.
Varcare, abbattere i confini è legittimo e giusto, a patto che lo si faccia col rispetto dovuto agli altri e alle loro culture.
– Non sono un contadino né un pastore di un’altra epoca: una musica onesta, per quanto legata alla geografia e alle radici culturali, deve essere figlia del suo tempo e contaminata da tutti gli stimoli culturali tipici della sua epoca.
– La cultura è un fluido in continua trasformazione, che non può e non deve essere fossilizzata, cristallizzata in alcun modo; ogni forma di purismo è una gabbia mentale, la cui prima vittima è chi lo propone. Il purismo deve essere disertato, sempre.
Parla come magni
L’altro giorno stavo guardando un programma sul canale Sky Arte, una puntata della serie 33 Giri, Italan Masters, dedicata ad alcuni grandi album della musica italiana.
La puntata era su Crêuza de mä di Fabrizio de André.
Ora, per chi non lo sapesse, quel disco è considerato non solo un capolavoro apprezzato anche a livello internazionale, è soprattutto uno dei primissimi esperimenti di World music mai realizzati.
Dice che è la World music.
Contaminazione di musica pop con stili e strumenti musicali etnici.
A un certo punto della trasmissione, Cristiano de André (figlio di suo padre e cantautore a sua volta) dice questa cosa (la trascrizione è letterale, ma i grassetti ovviamente sono miei):
Brutte copie
«Credo che sia un disco che ha cambiato molto la visione delle cose. Ci ha allontanato dalla brutta copia di quello che possiamo fare degli americani, degli inglesi, eccetera e ci ha dato l’opportunità, invece, di essere qualcosa di… capace per quanto riguarda la nostra cultura. E ha dato spazio anche a un sacco di altri gruppi, di altri artisti che sono usciti… di cantare in dialetto, quindi di… riscoprire le tradizioni»
Vabbè, di gruppi e artisti che cantavano in dialetto e riscoprivano le tradizioni in Italia ce n’erano già da molto tempo prima, per fortuna (basti pensare al Nuovo Canzoniere Italiano, alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, al Canzoniere del Lazio, a Caterina Bueno, a Graziella di Prospero e tanti altri).
Ma quello che è interessante, per me, è il discorso della brutta copia.
Musica e Geografia
Ora non volgio divagare, il tema è complicato e tocca nervi scoperti di molta gente.
Ma resta il dato di fatto che se vado in un ristorante in Puglia io non chiedo i bucatini alla amatriciana. Chiedo le orecchiette con le cime di rapa (ma tu non chiederle, perché in Puglia ci vai solo d’estate e in estate le cime di rapa non ci stanno).
La musica è anche viaggio e scoperta.
Dico che esiste un legame storico tra una musica e la terra che l’ha prodotta.
Non porsi questo problema è come pensare al cibo in termini di hamburger e patatine. Quando viaggio voglio assaporare i gusti dei territori.
La musica deve essere così.
Attenzione però a creare dogane. Tutta la musica migliore a cui riesco a pensare è il risultato di qualche tipo di sincretismo.
Il punto è avvicinarsi alle musiche degli altri con il rispetto che gli è dovuto. Gli esotismi fatti tanto per dare colore sono offensivi e inutili.
Contadini
Non sto dicendo neanche che dovremmo metterci tutti a suonare ciaramelle, organetti e mandolini.
Anche questa sarebbe una forma di purismo inaccettabile.
Quando uscì il mio album Fumo al vento, ne mandai una copia a un musicista che avevo conosciuto, membro di una storica formazione di musica tradizionale del Lazio. Pertaltro una persona di cui ho grande stima per il suo lavoro e per la grande competenza.
Mi scrisse un gentilissima e-mail di risposta, facendomi i complimenti, ma mi mosse anche un paio di critiche.
Una delle quali – che mi aspettavo, prima o poi, da qualcuno – riguardava il fatto che cantavo i brani tradizionali in modo “cantautorale”, cioè moderno.
Cioè, non usavo le tecniche di emissione vocale del cosiddetto canto contadino.
Sono in molti a fare discorsi di questo tipo.
Ecco, non sono un contadino dell’800 e non voglio cantare come un contadino dell’800.
Voglio dire che il contadino dell’800 cantava in mezzo alla campagna, senza amplificazione, invece io, mentre incido un disco, canto dentro un microfono. E nella mia formazione musicale c’è talmente tanta roba che non avrebbe alcun senso seppellire tutto per mettermi a scimmiottare il suddetto contadino.
Folk da museo
L’omaggio più onesto che posso fargli, al contadino, è di ripescare il suo repertorio e riproporlo a modo mio, con i miei strumenti, la mia sensibilità e tutto il mio background culturale fatto di dozzine di stili musicali diversi.
E d’altra parte, perché non obiettarmi, semmai, che uso una Chitarra steel string? Perché nessuno mi ha contestato che uso uno strumento tipicamente americano per suonare musica folk italiana?
Qualunque tentativo di fossilizzare il materiale musicale con la pretesa di mostrarlo nella sua purezza è un controsenso.
Nessun fenomeno culturale è fisso nel tempo e nello spazio. La musica si contamina, si sporca, si evolve.
Disertare il purismo
Quando ho pubblicato il video della mia versione de I Disertori, ho scritto di essere consapevole del fatto che la chitarra folk (cioè acustica a corde di metallo) non c’entra assolutamente niente col folklore italiano, ma che non me ne importa niente.
Fra le altre cose, il brano voleva essere anche un tributo alla formazione dei Barabàn (ho scoperto il brano grazie a un loro disco).
Scrissi che i Barabàn, nelle note del loro album, sostenevano che questa che facciamo noi oggi è musica moderna, non un documento autentico della tradizione.
Immagina la sorpresa quando tra i commenti mi sono trovato i complimenti da parte di Aurelio Citelli, membro fondatore del gruppo.
L’articolo con il commento sono qui I Disertori.
Disertare gli obblighi, i dogmi non è solo giusto, è doveroso per chi pretende dei fare arte.
Come musicisti abbiamo il dovere di permettere alla nostra cultura di appartenenza di evolversi, di crescere. Altrimenti morirebbe.
luca de lucia says
Sono d’accordo sul tuo punto di vista. Non sono un esperto, ma abbiamo dei tipi di musica tradizionale, come la tarantella che suona in levare anzichè in battere, che sono solo nostri e vanno riadattati per non perderli.
Luca
Luca Ricatti says
Grazie Luca.
Guido says
Per la stessa ragione del viaggio viaggiare….
Luca Ricatti says
Esatto Guido.
E possibilmente in direzione ostinata e contraria.