Mariasilvia Spolato veniva da una buona famiglia, era colta e intelligente. Eppure è stata rifiutata, estromessa e ridotta al rango di scarto della società.
Mariasilvia Spolato ha attraversato l’Italia, dormendo dove capita, cercando rifugi di fortuna e rimediando pasti. Ha affrontato decine e decine di inverni vivendo in strada.
La storia di Mariasilvia Spolato ci riguarda tutti indistintamente, che siamo ricchi, poveri, colti o ignoranti come l’asfalto.
La strada
Quando si tratta di barbonaggio, la prima cosa a cui pensa l’individuo medio è l’igiene personale.
Nelle nostre vite fatte di piccole certezze senza senso, il nostro timore più grande è puzzare. La puzza è la materializzazione dell’esclusione.
Ma la prima cosa a cui devi pensare se vivi in strada è un’altra.
La violenza.
In qualsiasi momento qualcuno potrebbe massacrarti di botte per prenderti una coperta o un panino rimediato chissà come.
Per strada si può impazzire. E quel tipo con cui hai appena condiviso una birra schifosa, all’improvviso potrebbe offendersi a morte per una sciocchezza e tirare fuori un coltello.
Se vivi per strada le relazioni sociali non sono una cosa scontata. Se rivolgi la parola a qualcuno, che sia una signora in tailleur o un senza tetto come te, potrebbe giudicarti o disgustarsi.
O spaccarti una bottiglia in faccia.
Se sei donna, la violenza è un problema ben peggiore.
Per strada impari a vivere in solitudine, a parlare quel poco che basta per chiedere, a chiedere il minimo indispensabile per sopravvivere.
Impari a fare scelte che per gli altri, per i normali, sembrano assolutamente incomprensibili.
La notte
Di notte la città è seducente, sensuale, misteriosa. Di notte la città ti chiede di essere svelata.
Perlomeno se hai una vita normale e di solito, quando è buio, sogni al sicuro tra le mura domestiche.
Ma se la tua casa è la strada, la notte è completamente diversa.
È il momento del freddo, della follia e della paura.
D’inverno la notte uccide.
Scegliere dove dormire non è facile.
La scelta sbagliata può costarti cara.
Non so se ti è mai capitato di dormire su una panchina. A me sì, nei miei vagabondaggi giovanili. Le panchine sono tremendamente scomode. E i parchi di notte sono spaventosi. Io l’ho fatto in compagnia di due amici, ma per una donna sola è molto diverso.
Un altro amico, uno che ha vagabondato molto, molto più di me, mi raccontò che una notte stava dormendo su una panchina, a Bologna. Si è fermata una volante della Polizia, sono scesi in due, l’hanno pestato e poi l’hanno scaricato davanti all’entrata di un Pronto Soccorso.
Mariasilvia Spolato ha dormito per diversi anni nelle stazioni e nei treni in corsa.
Hai mai dormito in una stazione? Io ho fatto anche questo, un paio di volte.
Le stazioni sono posti freddissimi, il continuo via vai dei treni muove tanta aria, così fredda da riuscire a passare attraverso tutti gli strati di vestiti possibili.
Gli androni delle stazioni sono enormi saloni vuoti, troppo freddi e troppo luminosi. Se riesci a trovare una piccola sala d’aspetto con le panchine, forse ci sono altre persone che già ci dormono. Ma non sai chi sono e cosa potrebbero volere da te.
Per Mariasilvia ci sono state notti fatte di botte, risate malvagie e sigarette spente sulla pelle, per sadismo.
Bolzano
Una mattina, Mariasilvia Spolato è scesa da un treno alla stazione di Bolzano e ha deciso di rimanere lì.
Chissà perché Bolzano.
A me viene da pensare che, se vivessi per strada, sceglierei una città con un clima mite. Non un posto dove l’estate si crepa di caldo e l’inverno si congela e nevica.
Ma questo è il punto: io non vivo per strada.
Io non so niente.
Bolzano è in cima alla classifica italiana delle città più vivibili e probabilmente chi non ha una casa certe cose le nota anche di più.
Ha trascorso anni tra le strade della città altoatesina e molti avevano imparato a riconoscere la barbona col cappello di lana. Col cappello di lana anche d’estate.
Quanto ci fanno ridere i barboni col cappello di lana anche d’estate?
Chissà perché la gente non trova altrettanto ridicolo girare con una jeep in città o tenere un cane del Polo Nord in un appartamento.
Chissà quali e quante strategie di sopravvivenza deve aver testato, Mariasilvia Spolato, per affrontare tanti inverni di Bolzano.
Mi riesce difficile immaginarlo. Oltre a trovare posti sicuri dove dormire e cibo per riempirsi lo stomaco, andava continuamente in cerca di cose da leggere.
Libri, soprattutto, ma anche riviste. Leggeva le riviste e forse sapeva più cose di me sull’attualità.
Strano, vero? Anche tu pensi sempre ai barboni come gente fuori dal mondo e dall’attualità?
Sono passati molti, troppi inverni.
E Mariasilvia Spolato si è ammalata. Una cosa seria, un’infezione alla gamba che è degenerata fino alla cancrena.
Una stanza tutta per sé
Mariasilvia Spolato si fa ricoverare in un ospedale.
A quel punto i servizi sociali si accorgono di lei.
La mandano a Casa Margaret, una struttura gestita dalla Caritas che si occupa di donne senza fissa dimora.
Da lì, viene mandata in una casa di riposo, Villa Serena.
A Villa Serena trova un ambiente confortevole, ha una stanza tutta per sé. Eppure esce ogni giorno e torna solo la sera a dormire.
E succede che il personale si incuriosisce.
Incuriosiscono le sue buste bucate piene di roba da leggere, i suoi modi garbati, la sua insolita proprietà di linguaggio.
Da molti anni Mariasilvia non è più abituata a condividere i suoi pensieri con gli altri. È gentile, sorride a tutti, saluta e ringrazia.
Ma non va oltre. Esce la mattina e torna al momento di coricarsi.
Ci voglio tre anni perché finalmente qualcuno riesca a farle raccontare la sua storia.
La storia di Mariasilvia Spolato
Mariasilvia Spolato era una ragazza colta e intelligente.
Era nata a Padova nel 1935 da una famiglia alto borghese. Si era laureata a pieni voti in Scienze Matematiche. Era stata assunta all’Ufficio Tecnico della Pirelli, ma poi aveva lasciato l’impiego per dedicarsi all’insegnamento. Svolse delle collaborazioni con l’Università e divenne insegnante alle scuole superiori, prima a Milano, poi a Roma.
Era molto impegnata politicamente. Ed era omosessuale.
A Milano aveva fatto il ’68, a Roma aveva continuato la sua attività politica.
Divideva il suo tempo tra l’insegnamento e l’attivismo.
Nel 1970 aveva pubblicato un manuale di Matematica per gli studenti liceali con l’editore Zanichelli, Gli Insiemi e la Matematica.
Nel 1972 aveva dato alle stampe un testo dal titolo I movimenti omosessuali di liberazione. Si tratta di un libro che ha fatto epoca tra gli attivisti gay, lesbo e transgender.
Ma nel 1972, in Italia, parlare di omosessualità era un totale tabù.
Nel 1972 c’erano Giulio Andreotti alla Presidenza del Consiglio, Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica e Riccardo Misasi al Ministero della Pubblica Istruzione.
Tutti democristiani.
Uscire FUORI
Nel 1971, Mariasilvia Spolato fondò il Fronte di Liberazione Omosessuale.
Il FLO confluì in un’altra organizzazione nata in quegli anni, il F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano).
Nel 1972 nacque anche la Rivista Fuori!.
Sul primo numero del giornale apparve un suo articolo dal titolo Lesbiche uniamoci!.
Era la prima volta che in Italia gli omosessuali si dichiaravano apertamente e invitavano altri omosessuali a fare altrettanto.
Mariasilvia Spolato fu tra le prime donne a contestualizzare nel femminismo la lotta per i diritti delle lesbiche.
Sosteneva che gli omosessuali dovevano sposare la causa femminista e che le lesbiche in particolare subissero una doppia discriminazione: in quanto donne e omosessuali.
Nella sede del FUORI!, però, erano quasi tutti uomini.
E allora Mariasilvia invitava le lesbiche che passavano di lì a frequentare il circolo femminista di Via Pompeo Magno, nel quartiere Prati. Per lei la battaglia per i diritti delle lesbiche era inscindibile dal femminismo.
8 Marzo 1972
Per la Festa della Donna del 1972, partecipò a una manifestazione a Piazza Navona.
Portava un enorme cartello appeso al corpo.
A caratteri scandalosamente grandi, c’era scritto: LIBERAZIONE OMOSESSUALE.
Era la prima lesbica in Italia a dichiararsi pubblicamente.
Un fotografo la immortalò e Panorama pubblicò l’immagine.
Quale oscenità.
Bisognava mettere un freno a questa immoralità dilagante.
Un’insegnante, poi!
A cosa vogliamo educare i nostri ragazzi? Alla tolleranza? Alla libertà? Alla comprensione dell’altro?
Per quella foto, batterono pugni su tavoli importanti e squillarono telefoni.
Pochi giorni dopo Mariasilvia Spolato ricevette una comunicazione dal Ministero degli Interni.
Una lettera di licenziamento.
Alcune compagne la accompagnarono a chiedere spiegazioni. Fu mostrato loro un fascicolo. Sì, era stato fatto un fascicolo su di lei. E in quel fascicolo c’era allegata la foto di Panorama.
La sua compagna la lasciò.
La sua famiglia la ripudiò.
Senza più stipendio, fu costretta a lasciare la casa.
Tagliata fuori
Per un breve periodo Martiasilvia Spolato venne ospitata in casa di amici.
Poi arrivò la prima notte in strada. Poi la seconda, poi la terza.
Non è solo una faccenda di soldi, se ti capita una cosa così.
Devi affrontare una frattura.
Ma per lei la frattura non arrivò in modo brusco. Anche se viveva per strada, continuava a frequentare il Circolo di via Pompeo Magno, partecipava all’attività politica. Arrivava con due grosse buste piene di libri e fogli scritti da lei.
Era presente. Nonostante le difficoltà continuava la sua attività politica.
Ma sempre meno.
Piano piano, le compagne persero le sue tracce.
Ben presto la priorità divenne sopravvivere. E d’altra parte non doveva essere facile mostrarsi sempre più male in arnese.
Mariasilvia Spolato iniziò a vagabondare sui treni, a dormire nelle stazioni.
Passarono anni.
E arrivò a Bolzano.
Quando poteva, si appartava in un angolo tranquillo, per scrivere e leggere.
A volte dormiva presso la Biblioteca, altrimenti si rifugiava dove poteva.
A volte si addormentava dentro un treno fermo in stazione e si svegliava la mattina dopo in Puglia.
Ma tornava sempre a Bolzano.
E diventò la barbona col cappello di lana anche d’estate.
Il riposo
Mariasilvia Spolato è morta il 31 ottobre del 2018, aveva 83 anni.
È morta a Villa Serena.
Lì, dopo decenni di vita di strada, ha trovato finalmente un po’ di calore umano.
Dopo anni di vagabondaggio ed esclusione, passati nell’invisibilità, è tornata ad avere delle amicizie.
La sua storia aveva iniziato a circolare e lei stessa aveva chiesto a un fotografo professionista, Lorenzo Zambello, di immortalarla in qualche scatto.
A volte riceveva lettere di attivisti per i diritti degli omosessuali che conoscevano la sua storia, avevano letto il suo libro o avevano sentito parlare di lei.
Lettere in cui la ringraziavano per il contributo che aveva dato alla causa. E che le era costato così caro.
Alla sua morte, il quotidiano di Bolzano, l’Alto Adige ha raccontato la sua storia, che ha fatto rapidamente il giro del web.
I suoi funerali si sono svolti il 16 novembre e sono stati a carico del Comune. C’erano un centinaio di persone a renderle omaggio.
È stata una cerimonia laica.
Approfondimenti
Per quanto ne so, il primo giornale a raccontare la storia è stato il quotidiano di Bolzano, l’Alto Adige.
Alcune delle fotografie che le ha scattato Lorenzo Zambello sono facilmente reperibili con una ricerca su Google.
Esiste un breve servizio del TG della RAI sui suoi funerali, lo trovi qui.
Qualche anni dopo la pubblicazione di questo racconto è uscito un podcast dedicato alla storia di Mariasilvia Spolato, scritto da Sara Poma, questo qui ☞Prima.
Il suo testo I movimenti omosessuali di liberazione fu edito da Samonà e Savelli, nel 1972.
Credo sia introvabile.
________________
Corso Musica says
bellissimo e partecipato ritratto
Luca Ricatti says
Grazie!
Titti says
Ho scoperto la storia e la vita di Mariasilvia Spolato solo recentemente e mi ha subito affascinata. Bello il tuo articolo, struggente. Grazie.
Luca Ricatti says
Grazie, Titti!