Non è vero che Halloween è una moda importata dall’America. O almeno è vero solo in parte. La festa di Halloween in Italia è una cosa antichissima.
A conoscere queste cose sono solo gli appassionati di folklore.
C’è chi ne ha sentito parlare ma crede che si tratti di fenomeni limitati al nord Italia. Invece i travestimenti macabri, le storie di spettri, le processioni di bambini (ma anche di adulti) e le zucche intagliate, esistono (o sono esistiti fino a pochi decenni fa) in tutta Italia. Si tratta di sopravvivenze di riti pagani antichissimi.
Ma non è solo questo.
La festa che oggi chiamiamo col termine inglese Halloween in Italia ha fatto facilmente presa anche (e forse ancora di più) laddove quelle antiche tradizioni contadine erano scomparse da tempo: nelle grandi città. Perché?
Cosa c’è di così affascinante nello scherzare con la morte, nel mischiare il sacro e il profano?
E perché questo legame tra i morti e i bambini?
In questo articolo ho raccolto molte informazioni. Credo sia importante che la maggior parte di persone possibile venga a conoscenza di queste cose, perché sono la nostra storia, un pezzo importante di noi.
Qui troverai:
– Come e perché un’antica festa celtica è diventata americana
– Come e perché si è evoluto Halloween negli Stati Uniti
– Come è arrivato Halloween in Italia
– L’origine delle tradizioni popolari italiane identiche a quella celtica
– Perché per il mondo contadino era fondamentale il culto dei morti
– Cosa lega i bambini alla festa dei morti
Si tratta di un viaggio impegnativo, me ne rendo conto.
Se ti va di intraprenderlo, ti auguro un grande in bocca al lupo.
L’origine di Halloween
Anticamente, nelle isole britanniche la vigilia di Ognissanti si festeggiava con grandi falò, si facevano scherzi (soprattutto i ragazzi) e i poveri giravano di casa in casa chiedendo l’elemosina, portando delle lampade ricavate da rape intagliate in forma di teschio.
Queste rape venivano chiamate Jack O’ Lantern, dal nome del protagonista di una leggenda irlandese.
Il nome Halloween viene da All Hallows Evening, letteralmente sera (o vigilia) di tutti i Santi.
La festa era particolarmente sentita in Scozia e Irlanda.
Nel 1800 l’Irlanda era abitata da circa due milioni di individui. La popolazione (molto povera) basava gran parte della sua alimentazione sulle patate.
Nel 1845 un fungo attaccò le colture di patate. La Grande carestia durò per anni.
Con il popolo ridotto alla fame, le epidemie mietevano ancora più vittime.
Si è calcolato che in quei pochi decenni siano morti circa un milione di irlandesi.
I poveri decisero che era meglio abbandonare la verde isola.
Fecero rotta per il Nuovo Mondo.
Alla fine del secolo, gli Stati Uniti d’America avevano accolto un milione e mezzo di irlandesi.
Halloween sbarca in America
Gli Irlandesi continuarono a festeggiare Halloween. Ma, col passare degli anni, i connotati religiosi della festa si sbiadirono fino a perdersi quasi del tutto: non si festeggiavano più i Santi della Chiesa cattolica e non si pregava più per le anime del Purgatorio.
Halloween divenne sempre di più una festa in cui si andava di casa in casa a chiedere doni ballando e cantando e si facevano scherzi al vicinato (che a volte erano veri e propri atti vandalici).
Questo tipo di celebrazione si estese molto presto anche ad altri gruppi di immigrati, che nelle terre di origine facevano festeggiamenti simili. Come gli italiani: tra la fine del ‘800 e i primi del ‘900 gli immigrati italiani negli USA erano circa quattro milioni; con tutta probabilità, tra questi ce ne erano molti che conoscevano rituali simili ad Halloween in Italia.
In brevissimo tempo, la festa irlandese si estese a tutta la società americana: si festeggiava persino nei Rotary club e nei festini di imprenditori e politici a Washington.
Roba per bambini, ma attenzione!
Quello che non poteva andare erano le follie notturne dei giovani che si divertivano a scardinare le porte dei vicini, ostruire i comignoli, rompere lampioni e vetri delle finestre.
Ci fu una spinta da parte delle istituzioni a trasformare Halloween in una festa per bambini, più innocente e controllata.
Negli anni ’50 esplose la moda delle questue infantili: gli scherzi esagerati dei giovani adulti furono ridimensionati alla giocosa minaccia dei bambini; se non davi loro qualche leccornia, ti avrebbero fatto uno scherzo: trick or treat?, ovvero dolcetto o scherzetto?.
Ma successero delle cose.
Iniziarono a girare dicerie su dolcetti manomessi con lamette e aghi.
Probabilmente si trattò di leggende metropolitane ingigantite dai giornali, ma qualche reale caso di cronaca ci fu: un dentista californiano fu accusato di aver messo del lassativo nei dolcetti.
I genitori iniziarono a vietare ai bambini di effettuare le questue e molti comuni le resero addirittura fuorilegge.
Negli anni ’80 la festa era sul punto di scomparire, ma i genitori presero l’abitudine di accompagnare i bambini, salvando il loro gioco a mascherarsi da creature malefiche e dell’oltretomba.
In questa forma di festa addomesticata e per bambini, attraverso il cinema e le serie TV, è arrivato Halloween in Italia.
Rape e zucche
Jack era arrivato a New York da quattro anni. Luigi invece era sbarcato da appena sei mesi e parlava malissimo l’inglese. Non che sarebbe cambiato molto, se pure avesse padroneggiato la lingua: nessuno aveva voglia di parlare con quell’italiano. Gli italiani avevano una fama persino peggiore degli irlandesi, si diceva che portassero malattie, fossero rissosi e avessero l’abitudine di stuprare le donne.
Ma a Jack quel ragazzo piccolo dai capelli ricci e nerissimi era simpatico. Lo aveva incrociato un paio di volte nell’unica chiesa cattolica dei dintorni.
Era tutta la mattina che scaricavano casse di ortofrutta al mercato. Avevano a disposizione una pausa di mezz’ora per mangiare qualcosa e se ne stavano seduti uno accanto all’altro sul bordo del marciapiede.
Jack disse:
«Nel mio paese questa notte si festeggiano i morti»
Luigi fu sorpreso che l’altro gli avesse rivolto la parola. «Prendiamo delle rape – proseguì l’irlandese – e le intagliamo per farci delle lanterne, così i morti possono trovare la strada di casa. Ma qui siamo troppo lontani da casa. I nostri morti non possono attraversare l’oceano. E poi qui non ci sono le rape.»
Luigi non sapeva rispondere in inglese, ma aveva capito benissimo di cosa parlava l’irlandese. Fece grandi gesti con le mani e disse solo:
«Wait, wait!», si alzò e andò verso una grossa cassa rimasta in terra.
Tornò indietro con un’enorme zucca arancione.
«In mai cauntri – disse – in Italia, uì iùs dis! Au du iu coll it?»
«Pumpkin – rispose Jack – in inglese si chiama pumpkin.»
Plausibile?
Ok, questa storiella me la sono inventata.
Ma un dialogo simile tra un qualche Jack irlandese e un Luigi italiano potrebbe esserci stato. E non sono certo il primo a ipotizzare che sia stato qualche italiano a dare agli irlandesi l’idea di usare le zucche al posto delle rape.
D’altra parte rape e zucche sono entrambi ortaggi che si trovano in terra (la dimora dei morti).
Ma, rispetto alle rape, le zucche hanno molti vantaggi: sono facilissime da intagliare, sono grandi e coloratissime e sono ricche di semi: i semi sono carichi di simbolismo, rappresentano la vita che dovrà rinascere alla fine della stagione fredda.
Halloween in Italia: scopriamo la morte in versione pop
Le prime testimonianze della festa americana di Halloween in Italia apparvero negli anni ’60, nelle traduzioni dei fumetti d’oltre oceano (primo fra tutti I Peanuts).
Ma la vera “invasione” di Halloween in Italia è iniziata molto più tardi, a occhio croce direi non prima della metà degli anni ’90.
Si cita spesso L’omonimo film horror di John Carpenter, ma a diffondere Halloween in Italia sono state soprattutto serie TV, fumetti, giochi e film per adolescenti.
A far venire voglia di festeggiare Halloween in Italia sono state le immagini di bambini e ragazzi che si divertivano a mascherarsi da mostri, guardare film horror in televisione e girare di notte per la città.
Perché queste cose, per bambini e ragazzi, sono divertenti.
Laddove la tradizione del carnevale (un tempo molto forte nel nostro paese) ha via via perso la sua forza trasgressiva fino ad essere ormai sull’orlo dell’estinzione, i giovani hanno trovato una nuova occasione per trasgredire le regole sociali. Cosa c’è di più trasgressivo di impersonare mostri e demoni?
Halloween in versione a stelle e strisce è una goliardata che profuma di riti ancestrali, un film horror da guardare sgranocchiando noccioline, una canzone di Alice Cooper, è il fantasma Bettlejuice di Tim Burton che racconta una barzelletta sporca prima di terrorizzare qualcuno.
Insomma, lo Halloween americano è un culto dei morti in versione pop.
Quando, alla fine del secolo scorso, arriva Halloween in Italia, sui mass media si trovano principalmente due tipi di reazione.
Americanate!
1 – Quella prevalente è: Halloween in Italia non ha senso, è un’americanata, una moda importata senza alcun legame con la nostra cultura.
A dire così sono opinionisti a cavallo tra l’area cattolica e la sinistra intellettuale. Che sia il diavolo del consumismo americano o quello del neo-paganesimo, destra e sinistra sono allineate sulla demonizzazione della festa americano-pop-pagana.
2 – Poi c’è quella minoritaria dei simpatizzanti della Lega Nord, i quali dicono: in Padania facciamo feste simili da sempre, infatti noi siamo gli eredi dei celti, come gli irlandesi che hanno portato Halloween in America. Quindi – dicono i leghisti – è vero che Halloween in Italia non si deve festeggiare: dobbiamo festeggiarlo solo noi padani!
Chi per un verso, chi per l’altro, gli opinionisti di giornali e TV si schierano contro la sempre più vasta diffusione della festa americana nei locali nelle case degli italiani.
Del fatto che ai giovani italiani cresciuti nelle metropoli e soprattutto ai bambini piaccia festeggiare Halloween, non riescono a farsi una ragione.
Ma se proviamo a fare un passo indietro e chiediamo agli esperti di tradizioni popolari, scopriamo che Halloween in Italia c’era già, anche se non si chiamava così. Solo che poi ce ne siamo dimenticati.
La stagione dei morti
Anticamente, nel mondo agro-pastorale, esistevano fondamentalmente due stagioni, quella calda e quella fredda.
Con l’arrivo dei primi freddi, finivano tutte le attività agricole: si completavano le ultime semine e gli ultimi raccolti. I pastori riportavano mandrie e greggi nelle stalle. Tutto si fermava.
Questa stasi delle attività lavorative era il riflesso della stasi della Natura. Tutto diventava freddo, buio e immobile.
La stagione fredda era la stagione dei morti.
All’inizio di questa stagione, si credeva che ci fosse un breve periodo in cui i morti potevano tornare nel mondo dei vivi.
Un periodo di dodici giorni, a cavallo tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre.
Perché proprio dodici giorni?
Il Dodekaemeron
Le attività agricole si basavano soprattutto sui cicli lunari.
Ora, un anno lunare è composto di 12 mesi di circa 29 giorni e mezzo.
Quindi è più corto dell’anno solare di circa 11 – 12 giorni.
Ma le stagioni, i solstizi e gli equinozi si calcolano in base all’anno solare.
In sostanza, il mondo contadino misurava le sue attività in base al calendario lunare, ma la Natura faceva il suo corso in base al calendario solare.
Come far coincidere le due cose, se i due calendari hanno durate diverse?
Ci voleva una pausa di 12 giorni, in cui le attività umane si fermavano e si riallineavano all’andamento della Natura.
Chiaramente, per la mentalità dei nostri antenati, questo vuoto temporale non poteva non caricarsi di significati simbolici.
Questo periodo “magico” di dodici giorni è detto dagli studiosi dodekaemeron (che viene dal greco e vuol dire proprio dodici giorni).
Il dodekaemeron coincideva quasi sempre con un capodanno.
Dodici giorni per i Morti
Un tipico caso di Dodekaemeron andava dalla Vigilia di Ognissanti (31 ottobre, l’odierno Halloween) a San Martino (11 novembre).
Il giorno di San Martino era considerato il termine ultimo delle attività agricole.
Ancora oggi si dice: a San Martino ogni mosto è vino.
Le sementi che non erano state piantate entro quella data dovevano essere portate al mulino per farne farina; piantarle più tardi dell’11 novembre era considerato uno spreco, in quanto non avrebbero mai prodotto germogli.
Il giorno di San Martino era spesso un giorno di festa.
In questa fase magica dell’anno – dalla Vigilia di Ognisanti a San Martino – i morti potevano fare ritorno nel mondo dei vivi.
I morti erano custodi della terra, dove riposavano i semi che avrebbero generato i raccolti dell’anno successivo.
Ma i morti erano anche terrificanti e pericolosi.
Per questo si dovevano attuare rituali volti ingraziarsi i favori dei trapassati e a scongiurare la loro ira.
Culto dei Morti, anzi dei Santi, anzi dei Morti
La prima festa dedicata dalla Chiesa Cattolica di Roma alla celebrazione di Tutti i Santi fu istituita nel 610 da Papa Bonifacio IV. La festa fu istituita per il giorno 13 maggio.
Bonifacio IV decise anche di dedicare alla Vergine Maria e a tutti i Martiri l’antico edificio romano del Pantheon (costruito dai Romani come tempio per tutti gli dei; oggi si trova nel centro storico di Roma).
Il modo più semplice per la Chiesa di sradicare le antiche credenze pagane è sempre stato quello di sovrapporre i propri edifici di culto a quelli antichi o di convertire i templi pagani in chiese (come aveva fatto Bonifacio IV col Pantheon di Roma); nel caso delle ricorrenze festive, ha fatto la stessa cosa: ha cristianizzato i rituali precristiani.
Per secoli, in piena epoca cristiana, il popolo continuava a far celebrazioni di origine pre-cristiana. Tra queste una delle più importanti era quella dedicata ai morti, all’inizio della stagione buia.
Per questo nel 731 si decise di spostare la ricorrenza di Ognisanti al 1° novembre (inizialmente solo a Roma, divenne universale solo nel 1475), per soppiantare e cristianizzare l’antica festa pagana.
I Papi volevano che il popolo celebrasse i morti “buoni”, quelli fatti santi.
Ma il popolo continuava a fare i suoi festeggiamenti dei morti. I morti comuni, non i santi della Chiesa. La gente voleva celebrare, tra ottobre e novembre, il nonno stroncato dall’infarto, il neonato morto in culla, gli zii ammazzati dalla peste.
Così la Chiesa provò a infliggere il colpo di grazia alle usanze pagane, istituendo un’altra ricorrenza, dedicata ai defunti comuni. E la impose per il giorno successivo a quello dei Santi, il 2 novembre.
In questo modo, il culto pagano dei morti, attraverso i secoli, si è mescolato con la religiosità cristiana.
Il culto dei morti nel folklore italiano
I rituali erano diversi da regione a regione, anche solo da un paese all’altro della stessa provincia.
Ma quasi ovunque, dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, si riscontravano le stesse caratteristiche.
Era credenza comune che nella notte di Ognissanti i morti vagassero in processione per la campagna. La loro visione era vietata ai vivi (chi contravveniva andava incontro alla morte o alla pazzia).
Il compito dei vivi era di imbandire la tavola per i defunti, che sarebbero tornasti nelle loro case di notte, senza essere visti.
Si accendevano lumi per mostrare loro la via di casa. Lumi che in diverse regioni erano ricavati da zucche intagliate in forma di teste di morto. In qualche paese della Tuscia (provincia di Viterbo) le chiamavano le morte o beccamorte.
Il significato della testa di morto è duplice:
1 – rappresentare i morti visivamente attraverso un frutto della terra ricco di semi (terra = dimora dei defunti; semi = promessa di rinascita)
2 – spaventare eventuali presenze malvagie.
Altra caratteristica erano le queste rituali: i poveri andavano di casa in casa a chiedere doni.
A volte non erano solo i poveri, a volte erano i ragazzi a girare di casa in casa.
A volte erano i bambini, che chiedevano dolci, frutta o piccoli regali.
Tutti si presentavano come incarnazione dei morti. Anche i bambini.
E ovviamente tutti promettevano vendetta (vedi l’odierno dolcetto o scherzetto?), se non si fosse fatta loro una piccola offerta.
Perché la vendetta?
Perché i morti sono pericolosi, bisogna ingraziarsi i loro favori per scongiurare carestie e altre sciagure.
E perché i bambini dovrebbero rappresentare i morti?
Fare zucche
Intagliare una zucca di Halloween è facilissimo. Bastano una zucca tipo mantovana, un coltello, un cucchiaio e meno di mezz’ora di tempo.
Quella nella foto in alto l’ho fatta per mia figlia per l’Halloween del 2016.
Beh, forse è una scusa e l’ho fatta per me. Comunque lei mi guardava mentre la preparavo e le è piaciuto molto.
All’epoca aveva tre anni e mezzo, le ho detto:
«Hai visto che faccia spaventosa?»
Mi ha risposto:
«Ma no, è bellissima!»
Ai bambini piacciono i mostri e le cose spaventose, è un dato di fatto. Secondo me danno loro sicurezza. È come la cosa delle gargolle messe a guardia degli edifici gotici: se un mostro è mio amico, gli altri mostri non possono farmi niente.
Halloween e I bambini
Oggi i morti vengono per lo più sepolti dentro loculi di cemento, senza alcun contatto con la terra.
Anche noi viviamo per lo più in mezzo al cemento, senza contatto con la terra.
Ma per i nostri antenati contadini e pastori non era così.
I morti stavano dentro la terra. Erano la vita che si era appena spenta e i loro corpi tornavano a rendere fertile la terra, affinché questa generasse nuova vita.
I bambini, dal canto loro, sono la vita che è appena rinata.
Anticamente, il legame tra i bambini e i defunti era simile a quello che c’è tra il frutto appena colto e il seme che lo ha generato.
I bambini hanno paura del buio, sono più vicini di noi al mondo delle tenebre perché è come se ne fossero usciti da poco.
Vogliono capire cosa sia la morte, pur essendone ovviamente spaventati. E i bambini conoscono un solo modo per interpretare il mondo e capire come affrontarlo: il gioco.
Per questo amano giocare con i mostri e le paure.
Ci chiedono solo di accompagnarli in questo gioco. Il nostro compito di adulti è quello di tenerli per mano mentre esplorano il mondo, anche nei suoi aspetti più raccapriccianti.
Che non vuol dire forzarli ad affrontare le paure. Significa solo dare il sostegno che ci chiedono quando e come decidono di farlo.
Il senso in Halloween in Italia oggi
Se dici Halloween in Italia, salta ancora oggi fuori l’intelligentone che sentenzia:
«A me ste cose americane non mi piacciono».
Pare ci siano gruppi di attivisti cristiani e parrocchie che fanno campagne anti-Halloween, tipo: No al paganesimo!
Sono quelli che strillano satana satana solo se ti scappa di aver visto mezzo film di Harry Potter.
Certe zucche sarebbe bello poterle svuotare per accenderci dentro un lumino.
I rituali di scherzo macabro sono essenziali nella vita di una società sana. Non che la nostra lo sia, anzi. Ma è buon segno che riusciamo a recuperare cose come questa.
Certo, Halloween in Italia oggi è davvero una ricorrenza piuttosto vuota, ma quali ricorrenze sono davvero cariche di significato, nell’odierna società dei consumi?
Ci sono buone probabilità che questa ricorrenza risalga a un periodo talmente antico che non c’erano ancora neanche i celti, neanche i greci, i romani e gli etruschi.
Questa qua è una roba che risale a tempi preistorici. Che ci appartiene in modo davvero profondo. Invece che scandalizzarci per la sua mancanza di significato, potremmo provare a recuperarlo questo significato.
Prendendo esempio dai bambini.
Approfondimemnti
Se il tema ti appassiona e vuoi saperne di più, ti consiglio questa lettura, piacevole e documentatissima: Halloween, Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia, di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi, Società Editrice il Ponte Vecchio.
Come intagliare una zucca di Halloween
Ah, volevi sapere come si fa la zucca di Halloween?
Facilissimo: intagli la calotta superiore per fare il coperchio, infilzando la zucca con un coltello appuntito. Meglio una forma geometrica, è più facile che farla tonda.
Con un cucchiaio togli via tutti i semi.
Per fare gli occhi fai due triangoli. Per fare il naso ne fai uno solo. Per fare la bocca fai una fila di triangoli.
Punto.
Falla in casa, una zucca costa pochi euro.
Ah, ricordati che devi morire.
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Mira says
F antastico. In Molise, Castelpizzuto (IS) si festeggiava la vigilia della commemorazione del 2 novembre intagliando delle zucchine molto grandi di colore verde mettendo al loro interno una candles e i ragazzi travestiti da fantasmi cercavano di spaventare i compaesani che si recavano in processione al cimitero la sera del primo novembre per portare fiori e lumini ai propri defunti.Mentre sulle finstre veniva lasciato del cibo per i morti. Questo rituale purtroppo non vie ne piu’ practicato da circa trent’anni. Il piccolo pavesini o rmai e’ quasi spopolato.
Luca Ricatti says
Bellissimo, un vero peccato!
Grazie per la tua testimonianza!
Elisa says
Articolo molto interessante che offre diversi punti di vista. Nella mia infanzia di bambina veneta, Ognissanti (e i santi) non veniva considerato, era semplicemente “Il giorno dei morti”, quello in cui si andava al cimitero a trovare i morti e si visitavano le tombe dei nonni ( gli anziani di famiglia) e dei bambini del paese che avevano gli angioletti sulle lapidi. Poi a casa, con la famiglia allargata, si cenava con “rostro de ‘osei e polenta onta”, ma prima la bisnonna recitava una versione ridotta del Rosario, in un latino casalingo dalle s strascicate, a cui tutti rispondevamo. Con l’arrivo di halloween mi sembrava che il mio “giorno dei morti” venisse dimenticato, ora capisco che torna ad essere celebrato. Io comunque porto ancora i miei bambini a vedere le tombe e ad accarezzare gli angioletti.
Grazie per la tua ricerca e la condivisione.
Elisa
Luca Ricatti says
Ciao Elisa,
bellissima la condivisione di questa tua esperieza!
Grazie mille!
Alessandra says
Ma che bello quest’ articolo!
Mi ci sono imbattuta perché ne volevo scrivere uno così.
Dopo aver letto il tuo penso invece di citare il tuo e approfondire il senso che ha nella vita di ciascuno il ricordo dei momenti di appartenenza a un gruppo e condivisione con la mia visione e nel contesto che tratto 🙂
Complimenti e grazie!
Luca Ricatti says
Grazie Alessandra,
sono curioso di leggere il tuo articolo, allora!
Carlo Santagostino says
Grazie Luca per questo articolo. Io sono nativo della provincia di Milano, per la precisione Settimo Milanese, situato ad ovest di Milano e direzionato verso il pavese e anche io sono anni che con l’occasione di Halloween spiego che mia zia, la sorella di mia nonna, mi raccontava che da piccola (stiamo parlando dei primi del ‘900) si ricordava che la sera prima del giorno dei morti venivano create le luminarie per le strade con le zucche svuotate e intagliate per sembrare teschi di morti, da qui ero certo che la tradizione fosse in qualche modo arrivata dall’Italia. Negli anni poi ho raccolto anche molte altre testimonianze da amici di queste antiche tradizioni che ricordano molto Halloween anche dal sud d’Italia, come i festeggiamenti Siciliani o i “”cic’cuott per l’anima re li muort” Pugliesi.
Luca Ricatti says
Ciao Carlo,
interessantissima questa tua testimonianza, ti ringrazio molto!
Enrico Firpo says
Ciao Luca, tutto davvero interessante. Posso testimoniare che in Sardegna il giorno 2 Novembre c’è un’antica usanza per cui i bambini vanno in giro a bussare per le case dicendo “morti morti!” Chi li accoglie di solito dona loro caramelle, frutta secca e altre cose.
Luca Ricatti says
Grazyper questo interessante contributo, Enrico!
Andrea says
Spiacente ma non sono affatto d’accordo. O meglio, lo sono parzialmente, ma proprio per questo sono convinto che l’Halloween che si festeggia OGGI in Italia sia solo una vuota “americanata” commerciale. E non sono né credente né leghista né intellettualoide. Sinceramente sentirmi suonare il campanello da orde di bambini urlanti che vogliono assolutamente dolci, accompagnati da genitori proni alle mode consumistiche senza significato mi disturba e basta. La sera, dopo una stancante giornata di lavoro, desidero solo essere lasciato in pace, e non seccato da “rituali” fasulli che di rituale nel senso originario del termine non hanno nulla.
Luca Ricatti says
Ciao Andrea,
a Natale quanti soldi spendiamo in regali e dolci? E a Pasqua?
Quante migliaia di persone, oggi lavorano nella produzione e distribuzione di dolci delle festività «canoniche»?
Ogni festa del calendario, oggi, produce giri di soldi, non perché le feste sono sbagliate in sé, ma perché è così che funziona il consumismo.
Il culto dei morti fa parte di ogni cultura umana, è un misto di dolore e paura e deve essere esorcizzato.
Ad ogni modo, lasciami dire che mi dispiace davvero che ti disturbi un gruppetto di bambini (seriamente «orde»?!) che ti bussa alla porta per chiedere qualcosa di dolce da mangiare; quei bambini stanno imparando a esorcizzare la loro paura del buio e dei mostri sotto al letto; mi dispiace perché evidentemente ti perdi un grosso, grosso pezzo di umanità.
Robra says
Scusami Andrea.
Ho scoperto stamattina, per caso, questo Blog di Luca.
E in tutt’ oggi non sono riuscito, eccetto pause pranzo, a smettere di leggerlo. Eccezionalmente interessante musicalmente e ricchissimo umanamente e culturalmente. Luca è sicuramente una persona meravigliosa.
Sei lo stesso Andrea che criticava il modo ” tipo anni 60″ in un’altra stanza le spiegazioni di Luca?
Luca è stato troppo umano a risponderti gentilmente . Io non l’avrei fatto. Anzi ti bannerei senza indugio. Emerge chiaramente che non suoni nessun strumento e sei totalmente ignorante di musica. Ti senti importante perchè sei l’unica voce fuori dal “coro”?
Chiedo scusa a Luca per questo mio intervento, non richiesto.
Andrea è sicuramente pane per i denti di un personaggio di Crozza.
Roberto
Matteo says
Immagino anche con i bambini che cantano La Stella esci con la doppietta invece di dare 5 euro no?
Anonimo says
e’vero non si dovrebbero festeggiare i morti
Luca Ricatti says
Ah sì?!
Dovresti dirlo a tutti i popoli del mondo che lo fanno da quando l’uomo ha messo piede sulla terra!
Romina Secreti says
Io sono marchigiana.Mio nonno da piccola mi faceva sempre una zucca intagliata con una candela dentro.Lui mi raccontava che era un’abitudine che aveva sempre avuto.Crescendo mi sono chiesta come mai la zucca intagliata è sempre legata ad Halloween,visto che nonno di Halloween non conosceva proprio niente
Luca Ricatti says
Grazie per questa testimonianza, Romina!
Sonia says
Veramente da noi si vestono i bimbi da mostri,perché erano soprattutto loro che venivano rubati alle famiglie,perché affrontare il male si deve.La nostra storia insegna della settimana in cui si combatté il nemico,chiudendo i bimbi nel granaio del paese…..e questa storia é comune a razzie subite da tanti popoli.Una precisazione,furono gli inglesi a vendere deliberatamente le patate avariate agli irlandesi,che morenti,costruivano i tanti muretti di sassi,ancor oggi visibili.Per cui si sovrappongono vari strati storici ad un periodo,ma rimangono comunque significati profondi,dall’incontro tra i vivi e i morti,che é per nulla spaventoso,ma richiama le origini.Io sono i miei avi,essi camminano con me,e mi sorreggono,nessuno muore veramente ,se non quando cade nell’oblio….all’inizio del nuovo anno,alla rinascita dopo la vittoria…Significati profondi,che ho ritrovato nella storia del Friuli,ove vivo,simili alla terra d’origine,Connemara.Approvo,le zucche vuote andrebbero riempite con un lumino,e le bocche che parlano di satanismo,pulite con la raspa!grazie
Luca Ricatti says
Grazie per questo commento, Sonia.
Mi sento di dire solo che i morti un po’ spaventosi lo sono, cioè è un rapporto ambivalente: vorremmo poterli incontrare perché sentiamo la loro mancanza, ma al tempo stesso siamo consapevoli che non appartengono più a questo mondo. È per questo che sentiamo di doverceli ingraziare con offerte in cibo e lumini.
(Tutto da interpretare – oggi – su un piano simbolico, si intende).
Omar says
Prego mi chiamo Omar non Sonia
Francy says
Buongiorno, grazie per questo articolo. Sono un’insegnante di inglese e mi ritrovo ogni anno a dover parlare di Halloween come un’antica festa celtica, con le pumpkins jack o’lantern ecc.. Io però butto sempre là la notizia che anche qui si festeggiava in passato perchè mio papà mi racconta che da piccolo, con i bambini del paese (abitiamo in brianza) si sporcavano la faccia con il nero del carbone e giravano bussando alle porte (peraltro sempre aperte e accoglienti coi bambini) per chiedere dolcetti, intagliavano le zucche e mettevano dentro le candele. Questa è storia, è la nostra storia e dobbiamo raccontarla ai bambini così come ai grandi, senza ‘demonizzazioni’. Certo, a scuola si fa ancora fatica a parlare di riti religiosi in piena libertà, ma quest’anno, grazie al tuo articolo, sarò più tranquilla.
Luca Ricatti says
Grazie a te Francy per questa ulteriore testimonianza!
Adriana says
articolo interessantissimo, Luca.
Luca Ricatti says
Grazie, Adriana!
Brutus says
Salve giovincello , devi continuare cosi.un saluto a omar
Rita Di Stavolo says
Articolo molto bello e interessante,tra realtà e fantasia. Di certo mi ritrovo con l’idea che sia qualcosa di ancestrale e che sia una cristianizzazione di culti pagani antichi e cioè “nuovo” valore teologico. Perciò in Italia questa festa già c’era e c’è, basta riprendere la “nostra” tradizione, come quella della tavola imbandita per i cari morti che “ritornano” ai propri affetti, oppure finestre o porte illuminate da ceri e lumini per fare luce al cammino e illuminare a festa la “processione” dei nostri cari. Non c’è bisogno di commercializzare sempre tutto. Portiamo i bambini al cimitero per iniziarli (come è stato fatto per noi) al preistorico “culto dei morti”, che ha un grande valore storico, antropologico e spirituale.
Non è tutto un gioco e la vita è vita solo se messa a confronto con la morte.
I bambini non sono stupidi, gli adulti lo sono se pensano questo. Il ruolo dell’adulto è quello di “accompagnare”
i bambini ai misteri della vita, che include anche la morte.
I bambini capiscono molto bene quando dal gioco si passa a qualcosa di importante e la “non vita” legata ad una speranza, qualunque essa sia, può dare luce alla vita molto di più di un dolcetto-scherzetto.
Rita
Luca Ricatti says
Ciao Rita,
però non è solo un «culto dei morti», ma anche di rinascita: il cuore della faccenda sta nei cilci della Natura e dell’agricoltura, è da lì che nasce tutto, affrontare la stasi invernale in attesa della rinascita.
È qui che secondo me la scristianizzazione ha fatto un danno non da poco.
E il gioco della questua è altrettanto antico e importante.
Per me i bambini devono giocare, è il loro modo di comprendere il mondo e non c’è nulla di male. Per i bambini tutto dovrebbe essere gioco, perché tutto ciò che viene messo in forma di gioco lo apprezzano, lo amano e lo capiscono meglio. Sostituire il gioco delle questua con una visita al cimitero, come suggerisci tu, mi sembra voler imporre ai bambini un bisogno da adulti, che non hanno e che non devono avere, perché sono bambini.
Lorenzo says
Grazie Luca, L’articolo è scritto in modo perfetto
Luca Ricatti says
Grazie Lorenzo!
Dante says
Ogni riferimento è puramente casuale, vero? Non immagini quante ne farei in questo periodo! Sei un grande.
Luca Ricatti says
Grazie, Dante!
Leonardo says
Complimenti per l’articolo Luca, molto interessante.
Invece, in alcune zone dell’Abruzzo, tra gli anni 50′ e 80′ (vissute personalmente), usavamo festeggiare l’undici novembre (San Martino) con zucche intagliate (tipo quelle di Halloween), o con scatole di scarpe (intagliate con occhi, bocca, naso e corna fatte con due lunghi peperoncini rossi), con all’interno una candela accesa ed andavamo in giro per le case con campanelle e tamburini a cantare la canzone di San Martino ed in cambio la gente ci offriva doni o qualche spicciolo.
Con l’avvento di Halloween questa usanza è andata scemando e sinceramente non l’ho più vista festeggiare a nessuno, peccato!
Saluti,
Leonardo.
Luca Ricatti says
Bellissima testimonianza, grazie mille Leonardo!
Paola says
Che post fantastico grazie mille
Luca Ricatti says
Grazie Paola!
Adriano says
Sbaglia impostazione, le stesse ragioni utilizzate pro Halloween sono assolutamente reversibili. Anche io lasciavo il pasto ai morti con mia nonna e anche io sfilavo a San Martino: e mi piace farlo ancora. Tuttavia, un approccio antropologico meno di parte le avrebbe permesso di distinguere la festa di “dolcetto o scherzetto”, indubbiamente importata dalle fiction Usa, non può negarlo, dalla festa pubblica della vendemmia, o dei raccolti autunnali in genere, e del ricordo privato dei morti. Tra l’altro, la nostra festa in maschera con scherzi e dolci l’avremmo già: il carnevale. “Semel in anno licet insanire”, dicevano i latini, e noi si insaniva a carnevale, oggi però dimentichiamo la nostra di mascherata con dolci e scherzi a favore di una world celebration più commerciale. E le garantisco che nelle campagne i ragazzi non girano più il giorno di carnevale, mentre lo fanno stanotte.
Luca Ricatti says
Salve Adriano,
che Halloween sia una festa importata l’ho scritto chiaramente, mi sembra. E non capisco però dove sia il problema.
Tutta la musica pop-rock è roba che abbiamo imparato dagli stranieri e abbiamo fatto nostra, come il cinema, la fotografia e il fumetto; ci sono cose che consideriamo simboli dell’Italia come i pomodori e le arance, che ai loro tempi furono mode importate; il cristianesimo delle origini era una moda importata dall’estero.
Non so se ha bambini, ma se li ha immagino che non ha mai parlato loro di Babbo Natale e che non facciate l’albero di Natale, perché sono entrambe mode importate.
Le processioni con le mascherate orrorifiche sono esistite nelle nostre campagne per chissà quanti millenni, finché non sono state soppiantate dalla cultura cristiana; oggi assistiamo al loro curioso rientro dalla finestra dei mass media.
Molti, come lei, si focalizzano sul «come» sia avvenuta questa contaminazione, deprecandolo; io invece preferisco soffermarmi sul «perché».
E la risposta che ho trovato è che serve; perché abbiamo perso la capacità di ritualizzare la paura della morte esorcizzandola e invece ne abbiamo bisogno.
Su Carnevale ci sarebbe molto da dire e prima o poi forse ne scriverò. Ad ogni modo era, originariamente, qualcosa di molto simile alla processione dei morti con la questua che oggi chiamiamo Halloween; ma sta sparendo perché è stata totalmente svuotata di significato.
Non sappiamo cosa succederà a Halloween, forse si esaurirà in pochi decenni, forse diventerà qualcosa di più radicato. L’«approccio antropologico meno di parte», per me, consiste nell’osservare cosa succede e chiedersi perché.