Questa è una Pizzica per Chitarra Fingerstyle: come sempre metto a disposizione insieme al Video anche Spartito e Tablatura.
È un collage di quattro melodie.
Scorrendo in basso puoi leggere la storia dietro il brano.
La quarta melodia è tratta da una registrazione fatta da Ernesto de Martino e Diego Carpitella nel ’59 a Nardò, in cui la cantante Salvatora Marzo canta accompagnandosi da sola col battito delle mani (in realtà l’ho leggermente modificata e comunque ho cambiato la tonalità).
Le altre tre melodie non so bene da dove le ho prese, so solo che sarebbe disonesto dire che le ho «inventate»: sono abbastanza certo che si tratti di rielaborazioni di «cose» che ho sentito da band di folk revival salentino.
Spartito della Pizzica per Chitarra Fingerstyle
Per i Finanziatori c’è lo Spartito con Tablatura in formato Pdf stampabile e in formato GP.
Sta qui ☞Spartito + Tablatura
Se NON sei tra i Finanziatori ma vorresti lo stesso lo Spartito, costa pochissimo e si acquista qui ☞Tarantella del Rimorso.
Ma ora parlammo di:
Esplorazioni
Questa Pizzica per chitarra fingerstyle ha una struttura bizzarra.
È composta da una sequenza di melodie, che fra loro non hanno particolari relazioni. Un po’ come se fosse un elenco di motivi musicali.
L’ho fatta così per un motivo.
Le orchestrine che suonavano nei rituali per i tarantati facevano questa cosa della esplorazione (come la chiama de Martino), cioè suonavano varie melodie finché non trovavano quella giusta, a cui la tarantata o il tarantato rispondevano in modo efficace, dando inizio alla danza rituale e quindi al processo di guarigione.
Esistono molti tipi di esplorazioni, oltre a quelle musicali.
Ci sono ovviamente quelle geografiche, ma anche quelle culturali.
E quelle mentali, che facciamo all’interno di noi stessi.
Quello che segue è il racconto del perché ho chiamato la mia pizzica per Chitarra fingerstyle «Tarantella del Rimorso».
Sarà un racconto di esplorazioni e che userà il linguaggio magico-simbolico tipico della «religione» del tarantismo.
Buona lettura.
O Puglia Puglia mia
Ho un rapporto abbastanza stretto con la Puglia, ci ho trascorso decine di vacanze estive e l’ho percorsa in lungo e in largo.
Non esagero dicendo che, pur vivendo a Roma dalla nascita, ho quasi esplorato più la Puglia del Lazio.
Il Basso Salento l’ho frequentato soprattutto da ragazzino e per questo ne conservo immagini vive del mare e delle coste (con i miei genitori facevamo lunghe e un po’ spericolate escursioni con un piccolo gommone a motore).
Mi rimasero meno impresse le cittadine (abbiate comprensione, ero molto giovane).
Per esempio il ricordo più intenso che ho di Gallipoli è l’odore di pesce e acqua salmastra che impregnava la zona del porto. Era stranissimo per me, mi affascinava e ripugnava al tempo stesso.
E poi il più bel concerto di folk revival salentino l’ho visto da adulto a Cutrofiano.
La zona che conosco meglio però è l’Alto Salento (la parte nord del «tacco»), che si estende dal sud della Valle d’Itria fino a tutta la provincia di Brindisi.
(Qui c’è un appunto di mappa, puramente indicativa e altamente incompleta☟)
Tanti anni fa i miei genitori hanno acquistato e ristrutturato un’antica Lamia (una piccola casa contadina, simile a un trullo) nella campagna di Ostuni.
Da allora ci sono stato più o meno tutte le estati e spesso anche fuori stagione.
Quest’anno ci sono andato con la Chitarra, la mia attrezzatura e con il classico di Ernesto De Martino.
Fine dell’introduzione, entriamo nel racconto.
Sangue e veleno
Primo giorno di mare dell’anno.
La mia compagna e i miei figli sono già quasi arrivati in spiaggia e io sto ancora chiudendo la macchina. Ma le chiavi sono sprofondate nel fondo dello zaino e il caldo sta già diventando soffocante.
Smadonnando infilo la mano troppo bruscamente e il bordo del libro mi colpisce all’attaccatura dell’unghia.
Tiro fuori la mano e la trovo letteralmente inondata di sangue.
È stupefacente la quantità di sangue che può uscire da un taglio di mezzo millimetro.
Lo spigolo del libro è rimasto un po’ macchiato, per sempre.
Non è stato facile procurarmi questo volume, perché era in fase di ristampa. Era probabilmente l’ultima copia rimasta in tutta Roma (e online era introvabile).
Quel pomeriggio, tornati nella casa in campagna dei miei, attraversando il cancello che dà sul terreno, mi ritrovo improvvisamente in un nugolo di vespe e una di loro mi punge sulla cartilagine dell’orecchio.
Avevano fatto il nido in un buco del cancello.
Evidentemente la cartilagine è un punto delicato, l’orecchio si gonfia un sacco e un’inquietante arrossamento si allunga strisciando lungo il collo.
Devo prendere l’antistaminico e fare punture.
Il Rimorso
Santu Paulu mia ti Galatina
facitinde la grazia ca facitinde la grazia
facitinde la grazia sta matina
Santu Paulu mia ti li tarante
facitinde la grazia ca facitinde la grazia
facitinde la grazia a tutte quante
Il concetto di «Terra del Rimorso» mi era sempre sembrato sfuggente.
Mi pareva di capirlo, ma non proprio del tutto.
Grazie all’incredibile successo che ha avuto la musica tradizionale del Salento negli ultimi anni, oggi il libro di Ernesto de Martino è probabilmente il più celebre testo di antropologia mai scritto in Italia.
De Martino descrive il processo di cura rituale del Tarantismo (fatto di musica, danza e colori) in questo modo: i tarantati, una volta morsi, ogni anno hanno un ritorno alla loro condizione patologica (di solito all’inizio dell’estate) e devono ri-sottoporsi al rito.
Secondo la «Religione del Tarantismo», la crisi continua a tornare finché vive la taranta che l’ha provocata (o finché vivono i figli di quella taranta: che vuol dire che può durare anche decenni).
De Martino chiama questo ritorno ciclico della crisi «Rimorso».
Non è sempre una tarantola a effettuare il «morso» originario. Può essere uno scorpione, un serpente o perfino una vespa.
Per la verità, nella maggior parte dei casi il morso è avvenuto solo nella fantasia del tarantato.
Questa è la Chiesa di Galatina dedica A San Palo dove, una volta all’anno, tarantate e tarantati andavano a celebrare il loro rituale di guarigione.
Il morso mitico è il modo dei tarantati di esprimere il proprio disagio psichico.
Per questo, nonostante tutto, il concetto di Rimorso mostra una grande efficacia simbolica: dal dolore di una scelta sbagliata, di un lutto grave, di un amore perduto non ci si libera mai davvero; per quanto lo si elabori efficacemente tende a ripresentarsi, ciclicamente.
Dico «nonostante tutto» perché comunque «rimorso» trae in inganno, fa pensare al senso di colpa; e invece la crisi dei tarantati non è necessariamente legata a un senso di colpa.
De Martino poi su questo simbolo ne innesca un altro, legato al tema della questione meridionale. Un simbolo destinato a noi lettori: il Rimorso è anche nostro.
Perché l’arretratezza del Sud Italia è un colpa del nostro passato storico che torna a rimorderci continuamente.
Poi si può discutere sul fatto che De Martino vedeva solo arretratezza culturale nella religione del Tarantismo e io nel mio piccolo su questo non sono del tutto d’accordo. Ma non voglio andare fuori tema.
Al netto di tutto, comunque, il concetto di Rimorso resta straordinariamente potente.
Rimorso dei talenti
«Se nu te scierri mai de du ede ca ieni
Dai chiù valore a la cultura ca tieni
Simu salentini de lu munnu cittadini
Radicati a li messapi cu li greci e i bizantini»
(☞«Le Radici ca tieni», Sud Sound System)
La Puglia è piena di persone che fanno cose meravigliose.
Tipo quelle due ragazze (dottoresse in non ricordo cosa) che organizzavano visite guidate delle dune costiere, raccontandoci la flora e la fauna del posto e spiegandoci, fra le altre cose, l’importanza delle alghe che tanto infastidiscono i bagnanti.
Oppure quel giovane paleontologo che curava il Parco dei Dinosauri vicino a Castellana, che già mi era simpatico perché indossava una maglietta dei Pearl Jam, ma che soprattutto era fantastico coi bambini.
Questo tizio, ogni anno, restaurava personalmente tutti i pupazzi dei dinosauri del parco (ora credo che siano stati sostituiti con modelli più moderni).
Oppure quel capitano che ci ha portati a fare il giro in barca della Grotta Azzurra e delle altre grotte adiacenti alla Zinzulusa e che prima di farci sbarcare ci ha tenuto a dire che ogni anno il livello delle acque sale e perciò dobbiamo smettere di inquinare perché (cito) «siamo con l’acqua alla gola».
Un po’ naïf, ma stupendo.
Ah, e poi se in Salento si mangia così bene (e in Salento si mangia veramente bene), è perché ci sono persone che si dedicano con dedizione alla gastronomia tradizionale, invece di fare orribili menù turistici con ingredienti scadenti per spillare soldi agli stranieri.
Rimorso della Terra
«In nome della chiù grande speculazione
tacco d’Italia terra de confine
moi allu centru de ‘sta devastazione
è da evitare ‘sta catastrofe ambientale»
(☞«Hippoppitu» dei Mascarimirì, testo di Giovanni Epifani).
Fa un caldo estenuante in questa estate del 2021.
Ogni tanto, nel cuore della contrada in cui siamo, riesco a visualizzare qualche articolo di giornale. Per farlo devo posizionare il telefono vicino a un certo albero o a una certa finestra.
Leggo che in Sicilia si sono raggiunte punte di 47 gradi centigradi.
Dicono che nel mondo sono morte un sacco di persone per le ondate di caldo e per gli incendi che ne sono derivati.
E dicono che andrà sempre peggio.
E che non ci sono al momento serie speranze che tutto il mondo si metta d’accordo per ridurre drasticamente le emissioni inquinanti e quindi il riscaldamento globale.
Nel mio video lo sfondo è un paesaggio che dalla montagna arriva fino al mare all’orizzonte.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, non ho usato questa inquadratura perché penso che sia bella.
Penso che quel paesaggio sia inquietante: mostra una enorme porzione di territorio in cui non si riesce a vedere neanche uno spazio di terra lasciata libera.
Non c’è un bosco né un prato selvaggio.
È un’unica, immensa, ininterrotta distesa di uliveti.
Se da lì volessi andare a piedi fino al mare, dovrei camminare sulla strada asfaltata oppure attraversare una serie infinita di terreni coltivati.
Si capisce meglio dallo screenshot che ho fatto da Google Maps☟
Il pallino rosso è dove stavo quando ho fatto il video. Il territorio è completamente porzionato in terre di proprietà.
La monocoltura dell’ulivo ha massacrato la naturale biodiversità pugliese.
È una tragedia, questi contadini sono stati costretti a darsi in massa alla coltivazione di un’unica pianta, perché questo ha imposto loro il mercato.
E la Natura ha risposto: con un batterio di nome Xylella fastidiosa, in grado di uccidere interi uliveti, che è da anni la più grave preoccupazione dei contadini pugliesi e che si sposta sempre più a nord, passando da un uliveto all’altro, perché sono tutti adiacenti.
Non c’è distanziamento sociale, per le piante di olivo.
Intendiamoci: per me l’olio pugliese, col suo sapore forte e piccantino, è il migliore del mondo. La gran parte dei contadini pugliesi si dedica alla produzione dell’olio con grande cura.
Ma senza la ricerca di un equilibrio tra le esigenze di noi umani e quelle della Natura, finirà inevitabilmente tutto in malora.
La maggior parte della gente crede che questo paesaggio sia da sempre caratteristico del Salento, ma non è così.
Fino a gran parte del 1800 in Salento erano comuni boschi e pascoli.
Poi la richiesta crescente di olio d’oliva ha spinto gli agricoltori a disboscare e ad abbandonare sempre di più l’allevamento e la coltura di alberi da frutta.
Tra le tante testimonianze storiche citate da de Martino ce n’è una di un medico salentino del ‘700 che scrisse un libro sul Tarantismo, un tale Nicola Caputi (che però in de Martino è chiamato erroneamente per tutto il volume Caputo, con la «o»).
Questo Caputi raccontava che era facile incontrare gruppi di suonatori e danzatori che andavano a compiere il rituale della tarantella all’ombra di un frutteto o in un boschetto naturale, nei pressi di un laghetto o di un ruscello.
Questo ci dice due cose, sulla Puglia del ‘700:
1) Quanto era diffusa la religione del Tarantismo.
2) Quanto erano diffusi boschetti, frutteti e ruscelli.
La Puglia poi è al terzo posto in Italia per cementificazione del suolo.
Perfino i meravigliosi, bianchissimi centri storici di Ostuni, Ceglie, Martina Franca, Cisternino, sono assediati da periferie di palazzi in cemento armato, ammassati senza alcun criterio apparente e talmente brutti da far sembrare razionale il quartiere Tuscolano di Roma (dove vivo io).
La Puglia è uno scrigno di tesori, ma tutti questi tesori sono circondati da bruttezza e arroganza, sono abbandonati all’incapacità di chi dovrebbe e alla frustrazione di chi vorrebbe ma non ha voce in capitolo.
Al centro di Ostuni, nella piazza del Municipio, c’era uno scavo archeologico con resti di varie età, alcuni addirittura di epoca Messapica (i Messapi furono gli antichi abitatori della Puglia).
Ho scritto «c’era» perché quest’anno è stato tutto interrato e coperto con un pavimento di pietre.
Dice che era «ricettacolo di rifiuti».
Dice che così è stato «messo in sicurezza», che hanno usato del «ghiaino pulito» e che in futuro si potrà riaprire tutto.
Se proprio ci terranno, ci penseranno le prossime generazioni.
Sempre che non preferiscano lasciare spazio ai tavolini dei bar, che i turisti devono pure fare l’aperitivo da qualche parte.
Veleno della Terra
«Vieni a ballare compare nei campi di pomodori
Dove la mafia schiavizza i lavoratori
E se ti ribelli vai fuori […]
Turista tu resta coi sandali e non fare scandali se siamo ingrati
E ci siamo dimenticati d’essere figli di emigrati
Mortificati, non ti rovineremo la gita
Su, passa dalla Puglia, passa a miglior vita»
(☞«Vieni a Ballare in Puglia», Caparezza)
All’inizio di Agosto del 2021 il comune di Foggia è stato sciolto per mafia. Foggia, cazzo, mica il paesino di diecimila abitanti.
Circa un mese prima, nel posto dove andiamo di solito al mare, che si chiama Torre Pozzella, è stata chiusa un’area di parcheggio, sempre per una faccenda di criminalità organizzata.
Torre Pozzella prende il nome da una torre medievale affacciata sul mare.
Esatto, una roba fichissima.
Solo che, nonostante la folla di turisti che si reca in quelle spiagge ogni estate, la torre non ha alcuna valorizzazione archeologica.
Dopo la chiusura dell’area di parcheggio, dozzine di macchine hanno ricominciato ad arrampicarsi sulle delicatissime dune costiere in cerca di un posteggio.
Ancora oggi, sull’acciaieria di Taranto e l’incidenza di tumore ai polmoni è pieno di gente che: «eh, ma dà lavoro a 8 mila persone più l’indotto!», «eh ma genera l’1,3% del Pil nazionale!».
Vorrei vedere se al quartiere Tamburi ci vivesse tua figlia.
Io per visitare Taranto ci arrivo da nord est e mi trovo il complesso industriale sulla destra: ha dimensioni titaniche, un immenso agglomerato di cemento che staglia nel cielo una foresta di ciminiere e butta fuori un bianco fumo densissimo.
(La foto qui sotto non è mia, ovviamente, non possiedo un elicottero).
Poi arrivi al centro di Taranto e vedi la maestosa bellezza del porto e del castello.
E i meravigliosi vicoli della città vecchia, dove è facile incontrare capolavori di street art.
La quantità di meraviglie naturali e culturali che è in grado di offrire la Puglia è impressionante.
Le dune costiere (dove sono lasciate libere di esistere, cioè solo in piccole aree protette) sono spettacolari.
Ci sono tesori inestimabili come il laghetto della Cava di Bauxite vicino Otranto, il Faro di Punta Palascìa, la Riserva di Torre Guaceto, i Laghi Alimini, la Foresta Umbra e le montagne del Gargano (dove ho registrato molti dei suoni del mio Podcast).
Qualche anno fa abbiamo fatto un giro per vedere le spettacolari Gravine che si trovano nella zona a nord di Taranto. Da lì, quasi per caso, ci siamo trovati a visitare il piccolo borgo di Ginosa.
In cima alla cittadina c’è un antico castello, chiuso al pubblico e fatiscente, vertiginosamente in cima a una gravina piena di antichissime abitazioni rupestri.
È una vista mozzafiato e terrificante al tempo stesso: Ginosa è un immenso tesoro completamente abbandonato all’indifferenza.
Non sai se restare estasiato o metterti a piangere.
Rimorsi e veleni
Poi arrivano il buio, la notte e il sonno.
Nei sogni notturni tutto si mescola, esperienze reali e fantasie costruiscono connessioni, mondi e significati.
È tutto solo nella testa, è vero, ma per citare un vecchio preside che parlava col suo allievo:
«Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?»
Il cancello all’interno del quale avevano fatto il nido le vespe separa il giardino di casa dal terreno vero e proprio.
È la soglia che divide la casa dal fuori, dalla Terra.
È su quella soglia, sul punto di ingresso, che la Terra ha voluto colpirmi.
Sì, la Terra di Puglia ha voluto colpirmi.
E lo ha fatto sull’orecchio, perché sono un musicista e così sapeva che avrei capito.
È il prezzo da pagare per iniziare il viaggio mitico-simbolico nella Terra dei Rimorsi.
E un senso di angoscia comincia ad avvolgersi intorno alla mia gola, a insinuarsi come veleno, strisciando giù lungo il collo e fino al cuore.
Nel frattempo, sto divorando il celebre libro di de Martino.
Il libro (trovato con tanta fatica) si impregna del mio sangue: quelle pagine entrano dentro di me e contemporaneamente alcune gocce di me entrano in quelle pagine.
È con questo rimescolamento interiore che mi sono arrampicato fino al Santuario di San Biagio.
C’ero già stato un paio di volte, sta nascosto in fondo a un sentiero su una montagna a nord ovest di Ostuni, affacciato su una gravina boscosa.
L’ennesimo piccolo tesoro di questa terra complicata.
Non cercavo un ritiro spirituale (sono ateo), ma un’inquadratura del paesaggio che arriva al mare, per il motivo che ho spiegato sopra.
E così eccomi lì su, con la mia attrezzatura, pronto a suonare la mia pizzica per chitarra fingerstyle, per la quale non ho ancora deciso un titolo.
E osservo dall’alto questa terra complicata.
Questa terra sfruttata, divorata eppure ancora così meravigliosamente piena di vita pulsante.
La vedo sezionata in infiniti, minuscoli fazzoletti squadrati, piegata con la forza alle inesorabili leggi del mercato.
E la guardo col cuore avvelenato dal Rimorso.
Stiamo dando ai nostri figli un esempio di merda.
Stiamo lasciando loro un mondo devastato.
Tormentati da estati sempre più torride, i nostri figli e nipoti cercheranno ristoro in un metro quadrato di spiaggia uguale a un milione di altri metri quadrati di spiaggia. Ci arriveranno percorrendo autostrade tutte uguali, circondate da boschi che vanno in fumo.
Quei pochi di loro che andranno in cerca di qualcosa di diverso, troveranno tesori nascosti abbandonati al degrado e all’incuria.
In cima a una rupe, accanto a un tetro santuario scavato nella roccia, suono la mia pizzica per Chitarra Fingerstyle e faccio il mio personale rituale di catarsi.
Il Rimorso tornerà, ormai il cuore è avvelenato, ma per quest’anno ho concluso il viaggio, iniziato con la puntura di una vespa.
Ah, per favore non raccontatelo in giro.
Dirò a tutti che è stato un grosso ragno peloso.
Gianni says
È tutto bello, anzi bellissimo. È bello quello che scrivi è bello quello che mostri, e bello quello che suoni. Io amo la Puglia e tu dai voce a questo amore e al rimorso che scaturisce dai troppi rammarichi che questa terra grida e che restano inascoltati. Bravo ancora bravo. Forse sono di parte, sono tuo padre, ma nella mia ammirazione sono sincero.
Luca Ricatti says
Grazie Pà!