Raccontare storie è diventata la mania di pubblicitari e consiglieri politici, ogni articolo o testo di marketing cita almeno una volta lo storytelling.
Secondo gli studiosi, la narrazione è connaturata all’essere umano. C’è chi dice che il nostro cervello passa più tempo immerso nei mondi immaginari che in quello reale.
Attraverso la forma narrativa è possibile far passare messaggi pubblicitari, propaganda politica, idee sulla morale e perfino la divulgazione scientifica e storica.
Sono stati scritti molti libri su come i regimi totalitari e quelli democratici usino la narrazione per cementare i popoli, creare identità nazionali(ste) e fare propaganda.
I politici vivono di narrazione: il grande imprenditore che si è fatto da sé, il giovane innovatore giunto a cambiare la politica, l’uomo del popolo venuto a difenderci dalla casta.
I marchi vivono di narrazione: hanno fatto film e scritto libri sui fondatori della Apple, di Facebook, di Mac Donald, della Virgin, della Nike, della Olivetti, della Ferrari. La narrazione è dentro la stragrande maggioranza degli spot pubblicitari, fin dai tempi di Carosello.
Gli artisti sembrano essere quelli meno interessarsi allo storytelling. Proprio quelli che hanno la narrazione nel loro DNA sembrano gli ultimi ad accorgersi di come raccontare storie possa essere un modo efficace di attrarre il pubblico. O di affezionarlo.
Dedico questo articolo soprattutto a loro: musicisti, attori, scrittori, registi, disegnatori, poeti, saltimbanchi, nani e ballerine.
Il mio esperimento
Sabato 11 febbraio ho suonato all’Enoteca letteraria. E ho fatto un’esperimento: ho provato a impostare un’intero concerto sulla narrazione.
Per me che mi esibisco da solo con la mia chitarra e oltretutto infarcisco le esibizioni di pezzi strumentali, andare alla ricerca di modi per tenere alta l’attenzione del pubblico è questione di non vedere la gente uscire dal locale mentre suono. È questione di non farmi sbadigliare in faccia mentre cerco di restare concentrato sui miei pezzi.
Il risultato è stato molto incoraggiante. Al punto che tutti i miei spettacoli, d’ora in avanti, saranno impostati così: raccontare storie.
In questo articolo introduco l’argomento della narrazione per come la vedo io.
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Raccontare storie: i Buoni Maestri
Ai tempi della scuola c’era questo mio compagno di classe che era tragicamente sempre impreparato (ciao Frà, sto parlando di te). Eravamo molto amici. Ragazzo intelligentissimo e coltissimo, grande appassionato di cinema, sapeva citare a memoria tutta la filmografia di Kieślowski. Ma non studiava mai (tipico esempio di ragazzo intelligente e che quindi non si applica).
I professori gli davano letteralmente la caccia per interrogarlo. E lui si dava alla fuga.
A quei tempi (prima metà degli anni ’90) noi ragazzi passavamo molto tempo al telefono. Ovviamente parlo di telefono a rete fissa.
Quasi tutti i giorni mi facevo una chiacchierata al telefono con questo mio amico.
Era uno spasso.
Sentirgli raccontare le rocambolesche avventure di come riusciva a sfangarla sfuggendo al controllo di insegnanti e genitori era meraviglioso. Non gli mancava niente: senso del ritmo narrativo e della suspence. C’era il protagonista simpatico in cui immedesimarsi, l’antagonista potente e pericoloso, il viaggio, gli aiutanti.
Racconti incredibili.
Quelle chiacchierate al telefono sono state il mio primo approccio consapevole alla narrazione. Consapevole di che?
Del fatto che mi lasciavo affabulare.
Lo chiamavo per dirgli di smetterla di ficcarsi nei guai e invece finivo incantato dai suoi racconti. E mi chiedevo come facesse.
Ora so come faceva: raccontava con passione.
Ecco cosa sono per me i Buoni maestri della narrazione.
Sono quelli la cui capacità di incantare è genuina, spontanea, perché nasce dal desiderio profondo di condividere una storia con gli altri.
E c’è anche dell’altro. Bisogna anche avere una sorta di istinto al racconto.
Non sto dicendo che saper raccontare sia una dote innata, perché non lo è.
Quelli bravi, veramente bravi a raccontare sono sempre persone che amano farsi raccontare storie a loro volta.
Sono lettori appassionati, amanti del cinema, del teatro, dei fumetti.
E interiorizzano le tecniche della narrazione. Spesso in modo inconscio, senza basi tecniche, ma riescono comunque a essere narratori efficaci.
Raccontare storie: i Cattivi Maestri
Poi ci sono quelli pessimi.
Ne è pieno il web.
Come sa chi mi segue, sto lavorando sodo per fare arrivare questo blog a un numero sempre più vasto di persone.
Per fare questo, ovviamente, seguo blog, podcast e canali video in cui si parla di internet marketing.
E mi iscrivo a molte newsletter. Troppe newsletter.
E in queste newsletter si leggono cose che voi umani…
E veramente, non c’è niente di più insopportabile del markettaro che cerca di rifilarti il suo libro a 300 euro raccontandoti una storia. Perché lui, ovviamente, essendo un grande esperto, conosce benissimo le tecniche dello storytelling.
E sicuramente è vero che le conosce. Solo che poi, come narratore, fa schifo.
Storie inverosimili e scritte coi piedi.
Ve lo giuro, c’è gente che si spaccia per esperta di storytelling che scrive qual’è con l’apostrofo.
C’è un markettaro che mi ha mandato una newsletter in cui mi racconta che una volta gli avevano rubato la macchina. Che era disperato. Allora ha scritto un’email. E solo con quella email ha guadagnato tanti soldi da comprarsi una macchina ancora più bella.
A questi tizi io proporrei sempre quella che chiamo la prova del bar.
La prova del bar
Immagina di stare al bar con tre amici. Immagina che i tre amici sono un pensionato, un operaio e un trasportatore. Si incontrano tutte le mattine al Bar Sport per prendere un caffè e fare due chiacchiere.
Immagina di raccontare a loro la tua storia.
Come sai se funziona?
Non so dalle vostre parti, ma qua a Roma, se racconti una storia che non funziona a un gruppetto di amici da bar, è sicuro che avrai in risposta un coro: braccio teso in avanti, palmo rivolto verso l’alto e un unisono perfetto:
«Seee, mavvaffanculo, va!»
Non sto dicendo che la storia della macchina rubata e dell’email non sia vera. Potrebbe benissimo esserlo.
Sto dicendo che non è credibile.
Ci sei?
Una storia vera può essere non credibile. Dipende da come è impostato il rapporto tra il narratore e il suo pubblico.
Se vuoi approfondire l’argomento, leggi l’articolo Credibilità: raccontarsi usando cuore e cervello.
Ma perché certe storie non funzionano? Perché, a volte, la mente umana decide di non farsi affabulare?
Perché il narratore ha sbagliato qualcosa.
Quando il narratore sbaglia, interrompe la Trance Narrativa d’Ascolto.
E che è?
Interrompere la trance
Parleremo approfonditamente della trance narrativa in un prossimo articolo.
Per ora diciamo solo che, quando ascoltiamo o leggiamo una storia ci immergiamo in una sorta di stato di ipnosi leggera.
La Trance Narrativa d’Ascolto si intreccia anche alla sospensione dell’incredulità: sospendiamo parte del nostro senso critico e accettiamo che un tizio in maschera sopra un palcoscenico, che parla da solo, con un teschio di plastica in mano, sia un antico principe della Danimarca di nome Amleto.
Durante questa immersione nell’irrazionalità, la nostra mente sa che la storia è una finzione. Ma tutto il resto di noi, il nostro inconscio, il nostro cuore, i polmoni e lo stomaco si comportano come se fosse tutto vero.
Hai visto 12 Anni schiavo? Ti fa rivoltare lo stomaco dalla rabbia, piangere. La liberazione finale del protagonista è un’emozione che ti sconvolge fisicamente.
Le grandi storie ti fanno questo.
Ma non vuol dire che siamo disposti a berci tutto.
Come ascoltatori abbiamo bisogno che la storia presenti una sua coerenza interna e premesse adeguate.
Per tornare al caso del markettaro e della macchina rubata: il problema sta nel modo in cui si è presentato prima di raccontarmi la storia della macchina.
Fin dall’inizio, ho pensato che lui fa soldi imbambolando le persone.
Con una premessa così, la storia era destinata a fallire.
Un pensiero di questo genere mi impedisce letteralmente di entrare nella Trance Narrativa, mi mette in allerta; mi fa pensare: questo vuole imbambolare anche me.
Non è possibile entrare in trance se si è in allerta.
Anziché invitarmi a entrare nel suo mondo, mi ha sbattuto la porta in faccia.
La premessa era fatta male.
(Poi ci sarà un sacco di gente che gli compra i prodotti, sia chiaro; ma con me non ha funzionato e dubito di essere il solo).
Raccontare storie: conclusioni
Il mio concerto all’Enoteca Letteraria di Roma è stato un successo.
Probabilmente la mia miglior esibizione degli ultimi tempi.
Ho impostato tutto sulla narrazione, amplificando le storie contenute nelle canzoni, aggiungendone altre laddove non ce n’erano.
Ma, come dicevamo, più di tutto il resto, conta il modo in cui si racconta.
Per trovare il modo più efficace il mio trucco è:
1) racconto storie che mi emozionano;
2) le racconto come le racconterei ai tre amici del bar.
Oh, per me ha funzionato.
Prossimamente dedicherò altri articoli più tecnici alla narrazione.
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