Con la terza stagione si è conclusa nel peggiore dei modi la serie Ragnarok distribuita da Netflix. E nella sua follia ci spiega alcune cose.
Come molti altri, ho guardato le prime due stagioni con gusto, con stupore e col piacere di vedere che è possibile realizzare intrattenimento audiovisivo a sfondo fantastico fuori dal contesto hollywoodiano, con piccoli budget e idee originali. E, come molti altri, sono rimasto amareggiato da come è stata realizzata la stagione conclusiva. Che non solo ha deluso tutte le aspettative in termini di qualità della scrittura e addirittura di coerenza della trama, ma è stata un vero e proprio tradimento delle tematiche e degli ideali emersi nella parte iniziale.
Perché scrivere una articolo su una serie televisiva così deludente?
Perché credo che la sua parabola abbia alcune cose da dirci sul senso delle narrazioni fantastiche e su come sono percepite in certi ambienti.
Attenzione
Come al solito, questo articolo è stato scritto con la scusa di commentare lo spettacolo televisivo ma con l’intenzione di parlare soprattutto di altro.
Come al solito è stato pensato in modo da essere godibile anche per chi non ha visto la serie.
E come al solito
+++ CONTIENE SPOILER +++
Cos’è Ragnarok
«Ragnarok» è una serie tv distribuita da Netflix, ideata dallo sceneggiatore (nonché ristoratore) danese Adam Price, prodotta da una compagnia danese (SAM Productions), interamente girata in un piccolo centro arroccato su un fiordo norvegese di nome Odda e tutta interpretata da attori norvegesi. La prima stagione è uscita su Netflix a marzo del 2020 e quella conclusiva (la terza) ad agosto 2023.
Ha attratto l’attenzione internazionale per vari motivi.
Intanto perché non si vedono spesso cose prodotte in Norvegia e con attori norvegesi. Poi perché balzava subito agli occhi che era una produzione piccola e priva dei fantasmagorici effetti speciali cui ci hanno abituati le robe americane. E c’è tutta una fetta di pubblico (tra cui il sottoscritto) a cui queste cose piacciono un sacco (se sei cresciuto ascoltando indie rock, le produzioni low-budget attireranno sempre la tua attenzione).
E poi aveva un bel potenziale, con una sceneggiatura basata su un paio di ingredienti di facile presa sul pubblico: lotta al potere e mitologia norrena.
Mitologia Norrena?!
La mitologia norrena ha un fascino tutto particolare. Vuoi perché è in gran parte misteriosa, essendo molte delle storie che la componevano andate perse.
Vuoi perché viene da un parte del mondo fatta di ghiacci, notti lunghissime ed estati di sole perenne.
Vuoi perché è fatta di personaggi intriganti come pochi.
Odino è un dio padre creatore ma è anche una sorta di stregone, che ha dato via un occhio per accedere alla conoscenza (e quell’occhio è ancora lì, a mollo nelle acque della fonte della saggezza). È furbo, spesso viaggia in incognito indossando un mantello e un cappello e si comporta da imbroglione.
Thor è forte e invincibile ma anche burbero, spaccone e un po’ fessacchiotto, cosa che lo rende decisamente meno noioso di altri superman antichi e moderni, e si presta alla comicità quanto alle buone vecchie storie di azione ed eroismo. Ha tre grandi passioni: mangiare, bere e pestare di botte i nemici. Siccome non è proprio una cima, può capitare che si faccia fregare, nonostante la sua infinita forza e l’invincibilità del suo martello magico, o che venga imbrogliato dall’incantesimo di qualche gigante astuto.
E poi c’è Loki! Che personaggio complesso e modernissimo, Loki! È tanto furbo quanto capace di infilarsi nei guai peggiori, ambiguo nelle intenzioni, nell’etica e nella sessualità, odioso e irresistibile al tempo stesso. Nel mito, è lui a provocare la fine del mondo (il Ragnarok), per vendicarsi degli dèi. Ma è difficile disprezzarlo per questo, perché in effetti gliene avevano fatte veramente tante, aveva buone ragioni per essere furibondo (tra le altre cose, gli hanno ammazzato un figlio davanti agli occhi e con l’intestino di quello lo hanno legato, di modo che un veleno gli goccioli addosso bruciandogli gli occhi e la pelle). Nell’introduzione al suo Miti del Nord, Neil Gaiman ha sintetizzato molto efficacemente:
«Loki non era il male, anche se non era di sicuro un campione del bene. Loki era… complicato».
Tra l’altro, uno dei punti di forza della serie Ragnarok era sicuramente il personaggio di Laurits-Loki, scritto molto bene e affidato a un giovane attore talentuoso (Jonas Strand Gravli).
C’è da aggiungere che una serie danese-norvegese incentrata sulla mitologia norrena aveva anche l’opportunità di fare un po’ di chiarezza su alcune sciocchezze e imprecisioni messe in giro da fumetti e film Marvel (di cui non sono un detrattore, ma le sciocchezze sono sciocchezze).
Come il fatto che Loki non è il fratello di Thor, ma di Odino.
E Thor è tutt’altro che benevolo e incline al perdono di fronte alle intemperanze del dio dell’inganno, ma anzi ci prova un certo gusto a suonargliele quando se le merita.
E poi fra i due quello pazzescamente bello non è Thor, ma Loki: come potrebbe non essere affascinante il dio della menzogna?
Vabbè, tutto questo per dire che c’era un grande potenziale dietro il progetto di Ragnarok. Ed erano anche partiti bene.
Ma poi hanno fatto un casino.
Di cosa parla Ragnarok
La trama, in soldoni, è questa.
Il protagonista è Magne, un ragazzo tanto grosso e forzuto quanto impacciato, timido e negato per lo studio. Lui e suo fratello Laurits vengono trascinanti dalla madre nel piccolo borgo dove erano nati lei e il defunto papà, un cittadina che si chiama Edda. Il nome è tutto un programma, perché «Edda» è il nome del testo islandese che è la principale fonte di informazioni sulla mitologia norrenna. O meglio, in realtà i testi dono due, l’«Edda poetica» (in versi e di origine ignota) e l’«Edda in Prosa» (che è appunto in prosa e fu scritta nel 1200 dallo storico islandese Snorri Sturluson).
Anche il nome di Magne è tutto un programma: uno dei figli di Thor si chiama Magni.
Nella fiction, si racconta che la cittadina di Edda (che in realtà non esiste, abbiamo detto che la vera città si chiama Odda) fu l’ultimo avamposto del paganesimo, l’ultima città della Norvegia a essere cristianizzata.
L’influsso del luogo sul giovane Magne è molto potente: appena arrivato (e dopo l’incontro con una strana vecchia del posto) in lui cominciano a verificarsi dei cambiamenti: non ha più bisogno degli occhiali, diventa sempre più forte e, durante l’arco della prima stagione, puntata dopo puntata, si concretizza la sua identificazione con Thor, l’antico dio del tuono, invincibile protettore di Asgard e degli esseri umani.
Suo fratello Laurits, a sua volta, sembra somigliare sempre di più a Loki, l’astuto e imprevedibile dio dell’inganno.
Edda è di fatto governata dall’antica e ricchissima famiglia degli Jutul, che gestisce una delle aziende più grandi della Norvegia e che è responsabile del grave inquinamento del fiordo. In realtà, non sono esseri umani, ma giganti immortali, nemici dell’umanità e degli antichi dèi. In effetti il loro cognome (Jutul) ricorda molto la parola norrena per «giganti», Jötunn.
I giganti non solo stanno avvelenando la città, ma si macchiano di efferati omicidi: una delle vittime è una compagna di scuola e cara amica di Magne, uccisa perché stava indagando sui loro crimini ambientali.
Nella seconda stagione si affiancano a Magne altre reincarnazioni delle antiche divinità, che lo aiutano a riforgiare il martello magico, l’arma invincibile in grado di uccidere qualsiasi nemico. Magne-Thor affronta il capo dei giganti Vidar e lo uccide.
Intanto, Laurits-Loki partorisce un orribile verme e lo libera nel mare del fiordo: ha dato vita al mitico serpente Jörmungandr, destinato a crescere fino ad avvolgere il mondo intero.
Ora, nell’antica mitologia norrena, il Ragnarok è la fine del mondo, la battaglia finale tra dèi e giganti che porterà alla distruzione totale e alla rinascita del mondo. In questo scontro dèi e giganti si uccidono a vicenda e Thor muore dopo aver sconfitto il serpente Jörmungandr.
Ricordiamo che la serie si intitola proprio così: «Ragnarok».
Solo che poi il Ragnarok non c’è.
Almeno non davvero.
La delusione della terza stagione
Date tutte queste premesse, cosa si aspettavano di vedere i fedeli spettatori che hanno atteso due anni che arrivasse sugli schermi la terza e ultima stagione?
Un’epica, tragica battaglia finale, dalla quale sarebbe derivata una speranza di rinascita per questo mondo devastato dalle emissioni inquinanti del capitalismo assassino?
Naaaa, troppo banale!
Ecco cosa hanno riservato per noi gli sceneggiatori: era tutto nella testa di Magne. Non era vero niente!
Nessuno dei personaggi è mai stato realmente una reincarnazione di un dio o di un gigante.
Erano tutte fantasie.
Il nostro protagonista è solo un bambinone che non è mai cresciuto, che ancora si trastulla col suo martello giocattolo e rivive le avventure del Thor a fumetti che leggeva da piccolo.
Gli Jutul sono solo imprenditori che hanno fatto degli errori ma ora si sono messi sulla buona strada del capitalismo green.
Così, nell’ultima puntata, durante la cerimonia del diploma, Magne rinsavisce, diventa finalmente adulto e mette da parte il suo ribellismo adolescenziale.
Tornato a casa, prende la sua collezione di fumetti di Thor e la va a gettare in un cassonetto.
Poi alza lo sguardo sulla bandiera norvegese che sventola e sorride fiducioso: adesso sa che non c’è nessuna rivoluzione da guidare, deve «credere nella democrazia norvegese» (cit.).
Tutto questo col sottofondo di una cover di «I wanna know what love is», la hit del 1984 dei Foreigner, che è una canzone d’amore: all’improvviso è nata una storia d’amore tra il protagonista e le istituzioni.
Cosa pensare di questo? Ragioniamo un attimo…
Dunque, ho guardato questo show a tema mitologico-fantastico per tre stagioni, mi sono goduto la trasformazione di un ragazzo normale e un po’ sfigato nella reincarnazione dell’antico dio del tuono, mi sono emozionato vedendogli impugnare per la prima volta il Mjöllnir (il martello magico), ho perfino empatizzato con l’ambiguità di un Loki moderno, intrigante e sfaccettato… E alla fine gli autori mi dicono che tutte queste fantasticherie, questo immergersi nel fantastico è roba per ragazzini, che bisogna buttare al secchio i fumetti e diventare adulti responsabili?!
Ma stiamo scherzando?
L’idromele del culo di Odino
C’è un mito, narrato nell’Edda, su come nasca l’ispirazione dei poeti.
La storia è troppo lunga per ripeterla qui, diciamo solo che due nani crudeli uccidono un dio per creare una bevanda magica, in grado di dare a chiunque la beva ispirazione per inventare storie e poesie meravigliose. Odino riesce a rubare l’idromele della poesia, con una serie di imbrogli, incantesimi e travestimenti (l’abbiamo detto che è uno stregone astuto). Mentre torna ad Asgard volando in cielo in forma di aquila, è inseguito da un gigante, trasformato in aquila pure lui; sputa tutto l’idromele che aveva ingurgitato dentro dei catini che sono stati preparati dagli altri dèi, ma sta per essere acciuffato dal gigante e, così, parte dell’idromele gli esce da dietro.
Ecco, secondo il mito, i poeti, gli autori di canzoni e di storie sono quelli che hanno bevuto l’idromele magico. Ma ce ne sono alcuni hanno bevuto l’idromele uscito dal culo di Odino: sono quelli che scrivono brutti versi e brutte storie.
E chi vuole capire capisca.
Appena conclusa l’ultima puntata della terza stagione di Ragnarok, sono andato online a vedere cosa se ne diceva in giro. Nel web italiano ho trovato recensioni positive o neutrali. Mi chiedo: abbiamo visto la stessa cosa?
Il tono è mediamente quello del «bello ma…».
Così sono andato a fare una ricerca in lingua inglese e lì la faccenda è completamente diversa.
Basta dare un’occhiata alla votazione media sul più noto sito di recensioni del mondo ☞Rotten Tomatoes.
Leggendo le opinioni, si nota che la maggior parte degli utenti la pensa in modo simile a me: le prime due stagioni erano piaciute, la terza no, per niente. L’ultima volta che ho controllato il voto medio era 1,6 stelle su 5.
È comprensibile perché, al di là delle scelte tematiche, il finale ha lasciato una assurda quantità di buchi narrativi.
A cazzo di cane
Marvel Studios e Disney+ hanno prodotto e distribuito una serie Tv dedicata a Loki. Il personaggio protagonista ha ben poco a che vedere col Loki mitologico, come di consueto in fumetti e film Marvel. E nella serie ci sono sicuramente alcuni punti deboli (prima fra tutte l’evidente scopiazzatura di elementi della trama dalla serie Netflix «The Umbrella Academy»). Ma nel complesso funziona e, soprattutto, ha un finale che spacca.
+++ ATENZIONE SPOILER+++
Un finale assolutamente incongruo con l’antica mitologia, eppure perfetto ed emozionante: Loki seduto su un trono al centro di Yggdrasil, l’immenso albero cosmico. Questo personaggio ha lottato tutta la vita per avere un trono, fallendo sempre miseramente. È un perdente. Ma, alla fine, si sacrifica per salvare l’universo, sedendo su un trono senza regno, invisibile a tutti, costretto a reggere il flusso del tempo per l’eternità. Il suo riscatto è tragicamente amaro e per questo ancora più eroico
In realtà, nella serie non viene nominato l’Yggdrasil, ma chiunque abbia letto qualcosina sugli antichi miti lo riconosce chiaramente.
Il finale è un momento delicato in qualsiasi storia. Deve stupire, ma anche fornire certezze, perché deve tirare in modo perfetto tutti i fili, deve chiudere tutte gli interrogativi aperti dalla narrazione. Il «Loki» di Disney+ lo fa e, anche se fa storcere il naso all’amante dei miti norreni, funziona, emoziona e ti lascia la soddisfazione di un racconto scritto come si deve.
In «Ragnarok» si è tentata la trovata stupefacente, ma si è lasciato il tessuto narrativo pieno di buchi. Secondo me, quando un racconto si conclude con un colpo di scena che rimette tutto in discussione, il pubblico deve essere in grado di ricostruire gli avvenimenti per poterli rileggere dalla nuova prospettiva.
Facciamo un esempio famoso per capirci, prendiamo il celebre film capolavoro di M. Night Shyamalan Il Sesto Senso.
+++ ATENZIONE SPOILER+++
Quando nel finale scopriamo che il protagonista (Bruce Willis) è un fantasma, possiamo rivedere tutto il film e scoprire che infatti nessuno lo vedeva mai, ad eccezione del bambino capace di parlare con i defunti. La straordinaria bravura del regista sta nel fatto che ci mette fin dal principio tutti gli indizi sotto il naso, ma al tempo stesso ci confonde abilmente e noi non sospettiamo la sconcertante verità.
Il finale è inaspettato ma anche stupefacente, perché la rivelazione trasforma il racconto in qualcosa di ancor più immaginifico. Non solo stavamo vedendo una storia di fantasmi, ma scopriamo all’improvviso che la stavamo vedendo dal punto di vista del fantasma!
In Ragnarok non c’è alcuna finezza di questo genere. Dopo averci fatto viaggiare con la fantasia per tre stagioni, il finale a sorpresa ci riporta improvvisamente ad una condizione di mediocre prosaicità.
E tutta una serie di fatti che sono stati raccontati restano inspiegabili.
Gli omicidi sono avvenuti davvero?
Non si sa.
Il verme generato da Laurits e diventato gigantesco era una fantasia di Magne? Eppure, nelle scene in cui Laurits accudiva la sua orrenda creatura, Magne non era mai presente. Dunque quelle situazioni non erano reali?
Nella scena finale si vedono Magne, Laurits, i ragazzi Jutul e le altre non-divinità (tra cui una che ha fatto successo in televisione, un campione paralimpico e un vecchio su una sedia rotelle) che pranzano insieme. Ma perché? Cosa fanno insieme? Cos’hanno da dirsi queste persone così diverse, se non sono mai state accomunate dall’essere dèi/giganti immortali?
Come è morto Vidar Jutul? Lo ha ucciso Magne (che quindi è uno schizofrenico assassino)?
È morto davvero?
O forse non è mai esistito?
Sinceramente, sembra che abbiano affidato la terza stagione al René Ferretti di «Boris» il quale, stressato da produttori, pressioni politiche e scarsità di budget, ha detto a tutta la troupe: «facciamola così, a cazzo di cane!»
Di sicuro chi ha messo in scena questo pateracchio dovrebbe vergognarsi. Migliaia di persone hanno investito ore (quante? una quindicina, almeno?) a guardare lo show per poi sentirsi letteralmente prese in giro.
Certamente alla base di questo colossale fallimento c’è stata scarsa professionalità da parte degli autori, ma io credo ci sia anche qualcos’altro.
Si è anche deciso di disinnescare un racconto che aveva un messaggio politico per i giovani.
Disinnescare un racconto politico
La narrativa attinge continuamente a piene mani da vecchi miti e leggende, non sempre in modo felice, ma a volte sì. A volte lo fa incastonando gli antichi racconti nella realtà contemporanea, generando domande e stimolando il senso critico nei lettori.
Come ha fatto il già citato Neil Gaiman nel suo romanzo capolavoro (pubblicato nell’ormai lontano 2001) American Gods: il protagonista è una sorta di reincarnazione di Thor (anche se molto più sfumata), reclutato da un astuto quanto infingardo Odino per combattere la schiera di nuove divinità: i mass media, internet, le carte di credito, le autostrade.
Alla sua prima stagione, Ragnarok si spingeva oltre, presentandosi con un forte messaggio politico: i buoni sono tutti appartenenti alla classe proletaria, i cattivi sono ricchissimi imprenditori.
E perché Magne è chiamato a reincarnare il dio Thor e a combatterli?
Perché i giganti stanno distruggendo il mondo con l’inquinamento.
Semplice, chiaro, diretto al bersaglio come il martello Mjöllnir. E altrettanto devastante, viene da dire, se si considera che si tratta di una serie di intrattenimento rivolta per lo più a un pubblico giovane.
Ragnarok pareva dire ai suoi spettatori: ribellatevi, dov’è finito il vostro spirito guerriero? Stanno devastando il vostro mondo! Combattete!
Poi, all’improvviso, nell’ultimo episodio, il messaggio s’è ribaltato: scherzavamo! Ragazzi dovete crescere, dovete smettere di fantasticare e non c’è nulla che dovete combattere, dovete avere fiducia nelle istituzioni!
Omissioni e depistaggi
Eppure, guardando alla sua trama sconclusionata, Ragnarok può essere vista come una involontaria ma precisa rappresentazione dell’insabbiamento di un’inchiesta.
Mi spiego.
Non ho potuto fare a meno di notare che molti dei buchi nella trama somigliano alle omissioni e ai depistaggi che spesso accompagnano fatti di cronaca particolarmente gravi, come gli omicidi politici, le stragi di stato, le contaminazioni ambientali o le stragi sul lavoro.
Nel suo improvviso voltafaccia, la trama sembra volerci tenere nascoste delle informazioni riguardo i crimini venuti fuori nelle prime due stagioni.
Ovviamente, sappiamo che in realtà non c’è nulla di intenzionale, è tutto frutto di superficialità nella scrittura.
Ma proviamo a immaginare che Ragnarok sia una storia vera, narrata dai giornali.
Per lungo tempo ci hanno raccontato di fatti terribili, acque contaminate, lavoratori ammalati, omicidi e poi… Puff, di punto in bianco non se ne parla più, è passato tutto in cavalleria.
Che fine hanno fatto i lavoratori ammalati o morti per essere stati a contatto con sostanze inquinanti?
Sepolti, dimenticati, forse non è mai successo, non si sa.
Come si è deciso di affrontare la contaminazione del fiordo?
Tutto sommato non è detto che fosse una faccenda così seria; d’altra parte l’industria degli Jutul cambierà il tipo di produzione, per essere in linea con le leggi sull’ambiente.
Gli omicidi perpetrati dagli Jutul?
Quali omicidi? Di che stai parlando?
Ragnarok ci ha raccontato delitti terribili, ma poi sembra che tutti se ne siano dimenticati. Sia gli autori che i personaggi.
È stato tutto messo a tacere.
Ma gli appassionati di narrazioni fantastiche non si fanno infinocchiare. Sono come certi giornalisti che non vogliono mai girarsi dall’altra parte, come certi attivisti che continuano a chiedere giustizia a tutti i costi.
Di fronte al tradimento di questo Thor che si è trasformato in un bravo cittadino obbediente e smemorato, hanno reagito sotterrandolo di recensioni negative.
Noi i fumetti, i romanzi di genere e i vecchi miti non li buttiamo nel cassonetto. E quando guardiamo a una mega azienda che antepone il profitto alla vita, siamo ancora capaci di vederla per quello che è: un gigante da combattere.
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