Robbie Basho è stato probabilmente il più singolare tra i chitarristi fingerpicking usciti dalla scuderia della Takoma Records.
In questo articolo lo ascoltiamo, parliamo del suo album più celebre e leggiamo la rocambolesca storia di come è stato inciso. Vediamo dove reperire materiale su Robbie Basho, come spiegazioni delle sue associazioni tra scale, colori, luoghi e stati d’animo, ma perfino spartiti e tablature
Avete presente la beat generation? Quella dei giovanotti che giravano per l’America senza soldi allo scopo di ubriacarsi e scrivere poesie? Li chiamavano beatnik, perché dovevano per forza di cose essere come il satellite Sputnik: dei maledetti comunisti. Ecco, nella sua fase iniziale, il folk revival americano si legò al mondo dei beatnik. Le stesse coffe house che ospitavano le serate di poesia beat, a un certo punto cominciarono a organizzare concerti di musica folk. I riflettori sarebbero stati presto puntati sulla scena newyorkese, ma l’ambiente folk stava crescendo in tutto il paese.
Sulle strade e nei sobborghi delle città americane vagavano queste versioni beatnik di Woodie Guthrie: colte, anticonformiste, molto interessate alla poesia, all’alcol, all’oriente e poco interessate ai soldi. Puro fumo negli occhi della borghesia conformista e della polizia.
Tra i più strampalati di questi personaggi c’era Robbie Basho. Nato a Baltimora, nel Maryland, era rimasto orfano ed era stato adottato da una coppia di nome Robinson. Da adulto cambiò il cognome, in onore del poeta giapponese Matsuo Basho.
Dopo aver terminato il terzo anno nell’Università del Maryland, si spostò a Ocean City per guadagnare i soldi necessari a terminare gli studi. Aveva mille interessi, fra le altre cose praticava il sollevamento pesi.
Un giorno conobbe un marinaio appena tornato dal Messico che portava con sé una chitarra a 12 corde di nylon, con la quale cercava di suonare il flamenco. Frustrato dal fatto che la cosa non gli riusciva, il marinaio vendette la chitarra a Robbie per 200 dollari.
Tornato all’Università, Robbie affittò una cantina che adibì a studio artistico: scriveva poesie, dipingeva e suonava. Il suo compagno di stanza al College era Eugene “Ed” Denson, cofondatore insieme a John Fahey della Takoma Records. Ad un corso di scrittura creativa conobbe il chitarrista Max Ochs, il quale lo introdusse al folk e al fingerstyle. Si immerse nell’ascolto dei dischi dell’etichetta Folkways e delle registrazioni dell’etnomusicologo Alan Lomax e presto si costruì un repertorio fatto di blues tradizionale e canzoni di protesta.
Si spostò a Washington, dove la scena folk era molto florida e si fece le ossa esibendosi nei locali più importanti della città, lo Spider Lady’s e lo Unicorn. Qui conobbe John Fahey, di cui divenne amico.
Quando la scena folk iniziò a declinare, lasciò la città. Così iniziò un viaggio fisico e spirituale che lo portò all’invenzione di uno stile originalissimo e alla pubblicazione dell’album di cui parliamo qui: The Seal of the blue lotus. Si tratta di una collezione di 6 lunghi brani di improvvisazione per chitarra acustica fingerpicking.
Robbie Basho: The Seal of the blue lotus
La prima città dove arrivò fu Denver. Qui venne invitato a dormire in una casa disabitata, di proprietà un commerciante del posto. Una sera venne svegliato a calci dalla Polizia, che aveva ricevuto la segnalazione che uno strano tipo dormiva lì. Racimolò un po’ di soldi suonando in un locale chiamato Green Spider e andò a Berkeley, ospite di John Fahey.
Poi si trasferì a Sausalito, e qui iniziò a sviluppare il suo stile chitarristico “indiano”. Era una tecnica di improvvisazione modale (ovvero non-tonale, cioè non basata sul sistema di accordi e tonalità della musica occidentale), che usava scale e accordature non convenzionali associate e colori, stati d’animo, simboli, luoghi geografici, elementi religiosi.
La sua idea era quella di adattare la chitarra acustica in fingerpicking a uno stile esecutivo simile a quello delle musiche colte orientali, una sorta di raga americani. Ogni improvvisazione utilizzava un’accordatura di riferimento, che veniva scelta in base alle associazioni che lui stesso aveva codificato. C’è una tabella che spiega il sistema. Per esempio, l’accordatura Open G (Sol aperto) corrispondeva al blu scuro, alle nevi montane, all’India, al Tibet, al blues e al Giappone.
Ecco come Robbie Basho descrive il brano Mountains man farewell (L’Addio dell’uomo di montagna):
«A volte sento il sapore dell’essenza cosmica, la tinta del colore della natura […] In questo pezzo e in diversi altri entro in quello che chiamo il Teatro del taoismo occidentale.»
Per spiegare Dravidian sunday dice che «è sgorgato fuori con tinte di carne indiana, degli elefanti dell’età dell’oro della storia indù» e «da questi primordi si è evoluto fino alla presente era del Nord America e ai suoi suoni».
In Sansara in the sweetness after sandstorm si «fluisce nudi nella bellezza», si viene battuti dalla sabbia e se ne esce di nuovo.
Dopo aver registrato i primi nastri, Basho li inviò all’etichetta Folkways. Ma, racconta Ed Denson, prima di ricevere una risposta Robbie fu costretto a fuggire in Canada dalle molestie della polizia. Qui conobbe il musicista folk Bruce Langhorne, a cui Robbie si ispirò per l’inizio della quarta traccia, Bardo blues, un’interpretazione musicale del Libro tibetano dei morti, il Bardo Todol. Il brano fu registrato dal vivo a Toronto e la qualità dell’incisione è molto scarsa, ma in fase di produzione alla Takoma records decisero di includerlo comunque e di non reinciderlo perché «irripetibile».
Da Toronto, Robbie prese un bus per New York, dove vagò tre giorni e tre notti senza dormire, in cerca di un luogo in cui stare. Fu soccorso da un gruppo di pittori francesi, che pagarono per lui la pigione per una stanza. Lavorò per un po’ nelle cosiddette basket house, i locali dove i musicisti erano pagati dagli spicci messi in un cestino dai clienti. Ma la cosa non durò, perché per i gestori dei locali era «poco commerciale».
Tornato a Berkeley, Robbie fece una serie di esibizioni dal vivo alla stazione radiofonica KPFA, una radio non commerciale alla quale si era rivolto spiegando loro il tipo di musica che faceva. Qui conobbe un danzatore indù e compose per lui una serie di brani. Poi si spostò a Seattle, dove entrò in contatto con un gruppo di lama tibetani che stavano traducendo alcuni testi sacri trafugati dal Tibet. Iniziò un intenso studio della loro cultura. A questo periodo risale l’incisione del brano The seal of the blue lotus, la cui struttura di base è ispirata al brano Dhun in musra mund di Ravi Shankar.
Il disco è stato prodotto nel 1965 da Robbie Basho e Ed Denson per la Takoma Records, mettendo insieme registrazioni fatte in periodi diversi a Seattle, Toronto, New York e Berkeley. L’edizione in CD è stata prodotta nel 1996 e contiene un libretto con un lungo testo introduttivo scritto da Ed Denson (unico neo: l’edizione è funestata da parecchi errori di battitura, ce n’è uno persino nel titolo di un brano sulla inlay card).
Robbie Basho: materiale vario
Qui trovi l’album The Seal of the blue lotus.
Esiste molto materiale su Robbie Basho su questo sito dedicato a lui. Si trovano descrizioni dei suoi brani e dei sistemi modali che aveva inventato.
Ci sono persino delle tablature (per quanto sia possibile trascrivere la musica di Basho) in questa pagina.
_____________________
Lascia un commento