Il Saltarello di Priverno è un brano tradizionale dell’omonima cittadina laziale, che ho rielaborato e arrangiato per Chitarra folk.
Ho anche aggiunto delle variazioni sul tema, nella parte centrale.
Insomma, l’ho rimaneggiato un bel po’.
Ho scoperto questo saltarello grazie all’incisione che ne hanno fatto i Mantice, band di folk revival di Latina, che credo siano gli unici ad averlo mai registrato.
Spero non me ne vogliano per questa mia libera reinterpretazione.
Il giorno in cui sono andato in un parco pubblico di Roma, al tramonto, a registrare il mio Saltarello di Priverno, l’Italia giocava la finale degli Europei di calcio. Ho pensato che ci sarebbe stata meno gente in giro, che a quell’ora sarebbero stati tutti in casa a prepararsi per l’evento.
Io no.
Io non seguo il calcio.
È decisamente un fatto strano, per uno che si occupa di cultura popolare e in effetti ci sono aspetti del tifo sportivo che mi affascinano.
Ma ci sono anche dinamiche che ho sempre trovato un po’ inquietanti.
Gli antichi romani dicevano panem et circenses (per chi a scuola non è stato torturato col latino: vuol dire che al popolo basta qualcosa da mettere sotto i denti e uno spettacolo da guardare; e allora può digerire qualsiasi prepotenza).
Un goal non sposta di un centimetro le vite di quei disgraziati tutti emozionati a tifare di sera per poi tornare la mattina dopo a a sgobbare come sempre, senza aver guadagnato un diritto, un euro in più un busta paga, un’ora di permesso.
Niente, zero: il goal è un’illusione di riscatto.
Una pantomima di battaglia che indirizza il flusso degli ormoni della lotta e della paura di milioni di persone su una roba inoffensiva per le strutture del potere.
Poi certo, a volte la faccenda sfugge di mano.
Facile, con quelle masse di giovani maschi repressi e senza prospettive di un futuro decente, che nella migliore delle ipotesi troveranno un impiego spacca schiena nella catena stritolante della grande distribuzione. Non puoi non aspettarti che metteranno in movimento i loro corpi testosteronici, non puoi credere che si accontentino della posizione di spettatore.
La posizione di spettatore non può bastare a sfogare tutti quei litri di ormoni e le istituzioni si ritrovano masse di hooligan ubriachi che sfondano recinzioni, fanno danni da milioni di euro e mandano gente all’ospedale. A volte ci sono scappati i morti, lo sappiamo.
Come antichi romani
Qualche giorno fa sono stato a visitare i resti dello Stadio di Domiziano, nel sottosuolo di Piazza Navona.
Ci sono andato perché all’interno dell’area archeologica hanno organizzato una mostra di pittura alla quale partecipava anche mia sorella Cristina Ricatti.
Con l’occasione ho visitato anche il sito.
Pare che questo imperatore Domiziano fosse appassionato di cultura greca e cercasse di convincere i romani ad apprezzare gli sport greci, molto diversi dalle scenografiche lotte dei gladiatori. Quella roba greca era tutta sul bel gesto atletico.
Seduti sugli spalti oggi scomparsi, i romani guardavano gare di corsa, lancio del giavellotto, pugilato, lotta e pancrazio (uno sport di combattimento che mischiava lotta e pugilato, simile alle moderne MMA).
I romani seguivano con un po’ di curiosità i combattimenti (guarda questi, lottano nudi!), ma per far loro apprezzare una roba come la corsa gli atleti dovevano gareggiare indossando delle armature!
Dicevamo appunto: pantomima della guerra.
Non è sempre così, a volte lo sport ha smosso delle cose.
Tipo Muhammad Ali e la sua battaglia legale per l’obiezione di coscienza.
O i tre vincitori dei 200 metri alle olimpiadi di Città del Messico del ’68 che usarono la cerimonia di premiazione per manifestare contro le discriminazioni razziali.
Questa è roba che ti fa emozionare, cazzo.
Quella gente ha rischiato la carriera e (nel caso di Ali) perfino la galera.
Poi guardo a questi calciatori che si pongono il dilemma se inginocchiarsi o no per manifestare solidarietà col movimento Black Lives Matter: chi sì, chi no, chi non lo so, chi prima sì, poi però no perché ci sono state polemiche, poi vabbè, dai famo sta cosa che sennò pare brutto.
Terremoto
Quando finirà la partita, stanotte, i miei figli saranno dormendo da un pezzo.
Il piccoletto non si sveglia neanche con le cannonate, ma la più grande si spaventerà dei botti, si sveglierà di soprassalto in continuazione.
A 30 chilometri da casa mia, a Montecelio, nei Castelli Romani, c’è il sismografo dell’istituto di Geofisica e Vulcanologia.
Alla fine della partita rileverà un picco di attività sismica.
Gli studiosi lo hanno chiamato terremoto da calcio («football earthquake»).
C’è un tifoso, qui nel mio quartiere, che alla fine di ogni partita della nazionale spara fuochi d’artificio.
E ce n’è un altro che quando c’è una partita comincia fin dal pomeriggio a lanciare petardi micidiali giù dalla finestra.
Mentre Torno dal parco ne lancia uno che atterra sul marciapiede lanciando una lunga fiammata arancione, tra le serrande del supermercato e i secchioni dell’immondizia, che in questi giorni vomitano valanghe di rifiuti perché non vengono svuotati da più di una settimana.
La fermentazione del caldo estivo sparge per le strade un odore nauseante.
L’altra settimana in piazza un secchione, circondato da metri e metri di spazzatura, ha preso fuoco.
A ricordo dell’evento rimarrà per chissà quanto tempo un sinistro monumento: lo scheletro dell’auto che stava parcheggiata a fianco al secchio, ridotta a una maceria carbonizzata col cofano rovesciato all’insù a mostrare il motore squagliato.
Macerie morali, che generano macerie materiali, che generano inquinamento e squallore, che generano altre macerie morali, che generano altre macerie materiali e così via.
Riti apotropaici
Milioni di persone a cantare Notti magiche, l’inno di Italia ’90, tutti ammassati in barba alle restrizioni da pandemia.
Ai tempi dei mondiali italiani avevo 12 anni e mezzo. Ancora ci provavo a seguire il calcio.
Il mio compagno di banco e caro amico mi regalò per il compleanno (con 9 mesi di anticipo sull’inizio del campionato) un set di asciugamani: erano rossi col logo ufficiale, un orribile omino robottoso tricolore e con la testa a forma di pallone.
Che io mi chiedevo: ma con cosa sta palleggiando sto omino robottoso? Con la sua stessa testa?
Non avevo ancora iniziato la mia educazione al ruooock? ma quella roba delle notti magiche già mi sembrava una canzone piuttosto insignificante.
Cosa c’entra Italia ’90 co sti europei non l’ho capito.
Cioè, ho capito che è tutto un rito apotropaico collettivo per scacciare il demone del Covid 19: che ovviamente non ha scacciato un cavolo, ha fatto solo aumentare i contagi.
Per quasi un anno ho dovuto attraversare le strade di Roma caminando da solo per strada con la mascherina in faccia (anche quando correvo perché avevo fatto tardi al lavoro).
D’altra parte, in barba alla scienza, per tutta la primavera 2020 i giornali avevano insinuato il dubbio che il virus fosse nell’aria e che bastasse uscire di casa per ammalarsi e morire.
La Repubblica ci ha fatto non so quanti articoli abbinando nel titolo le parole «virus» e «aria», perché evidentemente tirava le visualizzazioni.
Alla fine sono riusciti a imporre a milioni di italiani di indossare le mascherine anche quando non serve a niente.
E poi bom: siccome ce sò le notti magiche va bene stare tutti ammucchiati e senza mascherine.
Ovviamente arriveranno i titoloni scandalizzati dei giornali che i contagi sono aumentati.
Maddai?
Scappare per suonare un saltarello
Ok, lo so: scappo sistematicamente nella direzione opposta a quella in cui va la maggioranza per poi trovarmi in solitudine.
Forse.
Uscendo di casa (erano passate le sette di sera), ho incontrato il signor Romano.
Vedendomi con la Chitarra a tracolla s’è messo a parlarmi di musica: avrebbe sempre voluto imparare a suonare l’organetto diatonico.
Incredibile: il Saltarello di Priverno è proprio un pezzo nato per l’organetto.
Romano mi racconta che suo nonno, anche se non sapeva leggere e scrivere la musica, era un ottimo organettista, che lo ingaggiavano per suonare ai matrimoni.
Ma lui no, si è applicato poco e non ha mai imparato seriamente.
Quando arrivo al parco mi accorgo subito che ho scelto l’orario perfetto, la luce dorata accende le mura dell’antico acquedotto romano di colori vivissimi. Qualcuno in giro c’è, gente che fa attività fisica, ma io mi spingo nell’area più remota del parco e c’è una quiete magica.
Nella parte finale della registrazione irrompe il suono di un treno che arriva dalla ferrovia limitrofa alla periferia del parco. Ci sta, quando incidi all’aperto devi aspettarti l’imprevisto e accettarlo come parte della performance.
È bellissimo.
Il parco è uno spettacolo e vorrei dire a tutti di spegnere la televisione e venire a vedere quanta bellezza c’è qua fuori.
Luigi says
Ciao
Grazie , confesso che ho letto tutto l’articolo con attenzione come non avevo mai fatto , credevo di essere uno dei pochi che non seguono il calcio ( a parte quando gioca l’Italia, non so mi emoziona )
Belle parole in cui credo anch’io .
Buon tutto
Sto cercando di mettercela tutta a studiare grazie sopratutto alla tua passione contagiosa
Buona serata
Luigi
Luca Ricatti says
Grazie Luigi!