Ottobre. Sto guidando in una mattina di pioggia. Una di quelle mattine di pioggia in cui tutto è grigio e lacrimevole come il cielo. Accendo l’autoradio per spegnere i pensieri, che non sono di quelli confortanti.
Insomma, non è un gran periodo. O meglio, è un gran periodo perché esattamente sette mesi fa sono diventato padre, una faccenda capace di far passare in secondo piano qualsiasi guaio. Ma le rogne del lavoro sanno approfittare di un giorno di pioggia per tornare a guastarti l’umore.
Sei anni fa ho messo su un’impresa e da poco ho dovuto chiuderla, causa crisi. È molto triste abbandonare una cosa in cui, a parte il denaro, si è investito in energie fisiche, speranze, emozioni. E poi alla burocrazia importa poco se te la passi male, continua comunque a pretendere soldi. Insomma, sto lì che guido la macchina in questo stato depressivo, quando la tipa di Radio Rock annuncia che un ascoltatore ha richiesto una canzone. La canzone è Green machine dei Kyuss.
Ora, se non conoscete il brano o, peggio, non conoscete i Kyuss, cliccate qui, perché è veramente un pezzaccio di quelli che spaccano. E probabilmente sarebbe bastato questo. Ma il fatto è che la musica ha la capacità di legarsi ai ricordi in modo potente.
Così eccomi tornato al settembre del 1995. Sono alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia. Sono in mezzo alla folla con un paio di amici: uno è stato mio compagno di avventure in diversi concerti storici (un paio di nomi: Ramones e Nirvana); l’altro è suo cugino.
Abbiamo preso il treno per andare a goderci un po’ di rock come si deve e sbattacchiarci con del pogo forsennato. I manifesti dicevano che ci sarebbero stati i Pennywise e gli White Zombie. Ma soprattutto niente popò di meno che i Soundgarden. E io vado pazzo per i Soundgarden. Ormai si sta facendo buio, abbiamo pogato coi Pennywise e un altro paio di band che non conoscevo e che ora non ricordo più. Sappiamo che i Soundgarden si esibiranno per ultimi, perché è il loro momento d’oro (quell’anno il video di Black hole sun ha spopolato, rendendoli un fenomeno mondiale). Gira voce che Rob Zombie e i suoi non ci saranno, qualcuno dice che sono andati a ritirare un premio di MTV.
Poi si spengono le luci e, all’improvviso, un’esplosione di chitarra ci pettina i capelli. All’attacco della batteria si accendono i riflettori. Io e il mio amico ci guardiamo con gli occhi di fuori:
«E questi chi sono?!»
Sono, appunto, i Kyuss e quel muro di suono che per poco non ci sbatte per terra è Gardenia.
Dopo il loro scioglimento sono diventati una band di culto, ma in quel periodo, nonostante un contratto con una major, in Italia sono davvero in pochi ad averli sentiti nominare.
Ancora oggi Welcome to Sky Valley è uno dei miei album preferiti (e, a mio modesto parere, il loro più bello, ma di solito i critici preferiscono Blues for the red sun, da cui il singolo Green machine).
Dopo arrivano i Soundgarden, e pure loro fanno esplodere un riff di chitarra dal buio: è Let me drown. E il resto è un concerto della madonna. Io stravedo per il suono di chitarra di Kim Thayil. Botta di culo, sto proprio sotto la zona del palco dove sta lui. E succede questo.
Lui ci guarda saltare entusiasti come ragazzini (cosa che in effetti siamo) e fa no con la testa, con un’espressione di disprezzo: stacca la mano dalla sua inseparabile Guild S-100 e ci mostra il dito medio. Allora anche io e tutti quelli che mi stanno intorno gli mostriamo il dito medio. E lui, con la sigaretta in bocca e senza mai smettere di suonare, sorride e annuisce soddisfatto.
Se sei un fan 17enne una cosa così te la ricordi per tutta al vita. E infatti me la ricordo ancora adesso.
Beh, ora eccomi qua. Sono passati 18 anni, non sono più un ragazzino e non vado più a pogare ai concerti. I capelli che ho perso sono stati compensati dal pelo sullo stomaco. Suono musica molto diversa da quella che ascoltavo quando ero un capellone e ho maturato idee molto critiche sul mercato musicale.
È un giorno di pioggia e sto dentro una macchina, in compagnia di qualche preoccupazione di troppo. Ma i Kyuss hanno invaso l’abitacolo e succede che la loro Green machine per un attimo diventa una time machine. Scatta la catena dei ricordi, mi torna in mente il dito medio di Kim Thayil e mi viene da sorridere.
A volte un sorriso può davvero darti una prospettiva diversa sulle cose, così mi dico: ma chissenefrega. Alzo il volume, apro il finestrino e butto fuori le preoccupazioni.
Ed è qui che arriva il bello: ha smesso di piovere. Giuro, non racconto balle: in un attimo è uscito il sole.
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Michele says
La teoria del MASTICAZZI funziona quasi per tutto! 😉
Luca Ricatti says
Yeah!
Il bambinello says
A Lu’, parlando di SG e del buon Chris Cornell, perché non ci lasci un post di commento pure all’album Scream? Son curioso…
Luca Ricatti says
Mhh… beh, un conto è scrivere due righe en apssant su un vecchio album che ho amato, ma la critica musicale è un’altra faccenda. Preferisco lasciarla a persone che lo sanno fare.
Magari un giorno metto qualche link a qualche blog di critica che mi piace.
Dax says
Beh… io ricordo anche un basso lanciato sulla folla…
O ricordo male?
Luca Ricatti says
Davvero?! Da chi?