Allora è successo questo.
Pochi giorni dopo l’uscita dell’album, mi arriva una email da Francesca di Indiemood, un’agenzia di produzione/promozione musicale di Venezia. Mi scrive che hanno ascoltato i miei brani e vogliono coinvolgermi in una serie di video che stanno girando con cantautori e band di loro gusto, le Indiemood sessions. In pratica mettono i musicisti su una barca che gira tra i canali veneziani e li riprendono mentre suonano.
Penso: beh, fico!
Le scrivo: «Ci sto».
Penso: così colgo la palla al balzo e mi faccio un weekend a Venezia.
Ma non ho fatto i conti col lavoro: il piano ferie è ormai chiuso, ovviamente non coincide con le date disponibili per Indiemood. Se voglio fare questa cosa, mi tocca schizzare a Venezia calcolando i tempi al secondo. E sia.
Cerco su internet, prenoto andata/ritorno via treno e trovo una camera d’albergo al centro di Venezia a un costo molto contenuto: sarà una bettola?
Sabato 8 agosto, sveglia alle 5;50. Vado al lavoro zaino in spalla e chitarra nella mano.
Sono fuori alle due e mezza, mangio un panino seduto in uno spicchio d’ombra a Piazza San Silvestro e corro a Termini. Salgo su un Frecciacoso e mi faccio le mie 3 ore e mezza di viaggio. Anzi 4, perché il treno altavelocità rimane inchiodato mezz’ora a Firenzesantamarianovella. Poco male, ho Stefan Grossman che suona nelle cuffie e un libro da leggere in formato digitale: Le Scarpe dei suicidi di Tobia Imperato, dettagliato resoconto, scaricabile gratis, sulla vicenda di Sole, Baleno, Pelissero e la TAV in Val Susa.
Ma a mezz’ora da Venezia mi arriva una chiamata. È l’albergo, vogliono sapere a che ora arrivo. Non capisco che gliene importi, comunque gli spiego che il treno è in ritardo. E la cosa sembra chiudersi lì.
Esco dalla stazione di Venezia Santa Lucia alle 20;30 passate e m’incammino col navigatore sul telefono. Ci vuole mezz’ora a piedi, tra calli, fondamenta e sotopasseghi, tra bar, negozi di maschere e scritte sui muri tipo: fuori la Lega da Venezia.
Arrivo in questo splendido vicoletto alle 9 passate. Busso alla porta dove c’è il cartello dell’hotel che esibisce la sua unica stella. Non risponde nessuno. Busso ancora. La porta si apre perché esce una coppia di turisti stranieri. Mi infilo dentro. Salgo le scale seguendo le frecce, arrivo in un piccolo ingresso, c’è una porta chiusa con scritto: Reception, 8:00/20;00. Non c’è nessuno.
Penso: mi tocca dormire sul pianerottolo?
Poi vedo un numero, c’è scritto di chiamare per le emergenze. Non so se la mia sia un’emergenza ma chiamo. Sento squillare da qualche parte in un’altra stanza, in un altro piano.
Dico: salve sono Luca Ricatti, ho una prenotazione per stanot…
«Can you speak english?», risponde il tizio.
Resto come uno stoccafisso. Quando mi riprendo spiego che ho una reservation for tonight. Il tizio attacca, scende, parliamo in un misto di italiano e inglese. Ho la chiave, ho la camera. Molto spartana, col bagno in comune, ma è pulita e questo mi basta.
Mi organizzo, una lavata veloce, un cambio di maglietta e esco in cerca di una cena.
Tutti ristoranti per turisti, si vede da un chilometro che si spende troppo e si mangia male. Ma è tardi, alla fine mi fermo dalle parti dell’Università e chiedo se è possibile mettere qualcosa sotto i denti.
«Una pizza», risponde il cameriere.
«Un piatto di pasta no?»
«No, la cucina è chiusa da un pezzo»
Penso: ho capito, mi rifili una pizza surgelata.
Rispondo: «Vada per pizza e birra».
Cammino nottetempo verso l’albergo. Sul Ponte dell’Accademia, che attraversa il Canal Grande, all’improvviso mi ritrovo proiettato nel ‘500. C’è questo tipo magro e alto che suona musica rinascimentale con un liuto, seduto nel centro del ponte. Mi godo la musica per un po’, poi attacco bottone. È ungherese, parliamo in un misto di inglese e italiano. Si chiama Bence Bóka e oltre a essere un eccellente musicista è anche un ottimo venditore: volevo compragli un CD, me ne ha piazzati due.
Sveglia alle 6;15, zaino in spalla e chitarra nella mano lascio la stanza. La reception è ancora chiusa. Pagare ho pagato, lascio le chiavi appese alla parete e me ne vado a fare colazione seduto al bar. Venezia è ancora semi deserta. E tra calli, fondamenta e sotopasseghi, alle 8;15 arrivo di nuovo alla stazione, dove mi incontro con Francesca e Andrea di Indiemood e i These Radical Sheep, altra band che deve girare il video questa mattina.
Ci prendiamo tutti un caffè, chiacchieriamo e ci raccontiamo cose da musicisti.
Poi arriva il momento di girare. Salgo sull’imbarcazione, il barcaiolo si chiama Luca e fa parte di una associazione che mantiene viva la tradizione delle barche a remi a Venezia. Non fa ancora caldo, i canali sono quieti.
Suono Il Ballo del matto. Fa un po’ strano evocare una tragica storia ambientata in Campania tra i canali di Venezia, ma in qualche modo ci sta bene. Una volta siamo interrotti da due signori che si salutano urlando, un’altra volta siamo travolti dai rami di un rampicante che sporgono sull’acqua. Riusciamo a fare un paio di riprese venute bene.
Finiamo, ci salutiamo, i These Radical Sheep salgono a bordo.
Me ne vado a spasso, mangio un boccone. Fa un caldo bestiale e, in cerca di ristoro, capito in un posto non da turisti, un bacaro, cioè un’osteria tradizionale, El Vecio Biavarol, dove mi rinfresco con una weissbier artigianale e assaggio un cicchetto, cioè uno stuzzichino. Alle 13;35 parto per tornare a Roma.
E mentre il Frecciacoso corre tra i 150 ei 250 chilometri orari, leggo su Le scarpe dei suicidi delle devastazioni ambientali causate dai treni ad alta velocità. E questo fa partire una catena di pensieri che ora non sto qui a dire. Poi magari ci faccio una canzone.
P.S. Quando sarà pubblicato il video vi avverto.
Il video è stato pubblicato a maggio 2016; ecco la mia indiemood session.
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