Wizz Jones è stato uno dei primi esponenti della scena folk inglese nata alla fine degli anni ’50. Un folk singer e un chitarrista di raro talento e sensibilità. In questo articolo lo ascoltiamo, parliamo della sua storia, del suo album più celebre e vediamo dove trovare materiale su di lui.
Il vero nome di Wizz Jones è Raimond Ronald, ma per la fortuna della sua carriera artistica, sua madre iniziò a chiamarlo Wizz quando era ancora bambino, prendendo il nome da un fumetto.
Wizz iniziò a suonare da adolescente, innamorato del folk americano e del movimento beatnik. Racconta di essere stato illuminato dalle esibizioni di Big Bill Broonzy, Rambling Jack Elliot e Muddy Waters organizzate da Cyril Davies and Alexis Korner in un locale di Londra che si chiamava The Roundhouse, nel quartiere Soho, a Londra.
Racconta anche di aver imparato a suonare blues copiando i fraseggi di Long John Baldry e Davy Graham.
Cominciò a frequentare le coffee house e fu tra i primi a salire sui piccoli palcoscenici per suonare vecchi brani tradizionali riarrangiati per chitarra o pezzi blues presi dai dischi pubblicati dall’etichetta americana Folkways.
Sincero spirito errabondo, nel ’59 fece un viaggio in autostop con Alan Tunbridge, un disegnatore che aveva conosciuto nei locali di Soho.
Passarono l’estate in Cornovaglia «girovagando sulle spiagge, scrivendo, cantando e lavorando nelle cucine degli hotel». Una sera mostrò ad Alan alcuni accordi e quello prese a trasformare in canzoni le poesie che scriveva.
Ma Alan non era un musicista, non padroneggiava la tecnica fingerstyle del suo amico, né aspirava a esibirsi in pubblico. Considerava lo scrivere canzoni «un hobby che lo teneva lontano dal tavolo da disegno». Però intanto continuava a scrivere. E diventava sempre più bravo. Nonostante non componga più da molti anni, Alan Tunbridge è forse conosciuto più come autore di canzoni che come illustratore.
Wizz invece proseguì il suo percorso nella musica. Pubblicò alcuni lavori di scarso successo. Il primo fu un disco di bluegrass realizzato insieme al banjoista Pete Stanley, poi il suo debutto da solista, omonimo, nel 1969. In mezzo ci fu un periodo di viaggi e collaborazioni col fondatore della Incredible String Band, Clive Palmer.
Tornò in Cornovaglia e un anno dopo la neonata etichetta Village Thing gli propose di pubblicare un nuovo disco. Wizz Jones era pronto per qualcosa di maturo. Aveva smesso di pensare a cosa avrebbe voluto essere per concentrarsi su quello che era (parole sue).
«Ho smesso tempo fa di pensare al futuro – raccontò a Sounds, popolare settimanale di musica – Tutto quello che voglio fare è vivere. Sono passato per una fase in cui non potevo credere a quanto Bert Jansch e John Renbourn fossero bravi e pensavo di doverli raggiungere. Ma poi ho realizzato che ciò che è spontaneo è valido». Ed è sicuramente vero, se proprio Bert Jansch disse di lui che «è il più sottovalutato chitarrista di sempre».
Dimenticato per lunghi anni, Wizz Jones si era fatto la reputazione del musicista per musicisti: grande stima dei colleghi, scarso successo di pubblico. Negli anni ’90 tornò in auge, forse grazie auna mensione fatta in un documentario televisivo dedicato a Bert Jansch, intitolato Acoustic Routes.
Wizz Jones: The legendary me
The Legendary me uscì nel 1970. È un album composto di 11 canzoni, di cui 8 scritte da Alan Tunbridge. Tutte canzoni bellissime, suonate con una leggerezza e una sensibilità fuori dal comune e in cui Wizz Jones mostra di essere davvero un pregevole chitarrista, forse non capace dei virtuosismi dei suoi amici Jansch e Renbourn, ma non meno pulito e raffinato.
Le composizioni di Tunbridge sono certo l’asse portante dell’album, bei testi, belle melodie. Ma le interpretazioni costituiscono un notevole valore aggiunto, anche perché Jones canta bene. Tra questi gioielli spiccano See how the time is flying, The legendary me, Beggar man, Dazzling stranger e Slow down to my speed.
Le canzoni si muovono in un territorio di riflessione intima ed esistenziale, come in Legendary me o Cease to care:
«Telefono a me stesso tutto il tempo e tutto quello che trovo è una linea occupata. E posso solo aspettare il giorno in cui smetterò di preoccuparmi».
Riflessione che a tratti diventa sociale, come in Slow down to my speed o in Beggar man (mendicante):
«Camminando sulla tua strada al tramonto, annusando il fumo dai tuoi fuochi, ascoltando le tue transazioni d’affari lungo il cavo telefonico […] ti ascolto rimpiangere la libertà lungo il cavo telefonico».
A incorniciare questi capolavori stanno il brano tradizionale Willie Moore, il vecchio gospel Keep your lamp trimmed and burning, ripresa da una registrazione del Reverendo Gary Davis e If only I know, unica composizione di Wizz presente nell’album.
The legendary me è uscito nel 1970 per la Village Thing Records. Fu registrato in una chiesa nella periferia di Bristol, usando un registratore Revox a due tracce.
L’edizione in CD è stata masterizzata da Dave Blackman e pubblicata dalla Sunbeam Records nel 2006. Racconta Wizz che l’ingegnere del suono non capiva come fossero riusciti a ottenere un suono così cristallino con una strumentazione tanto semplice. La riedizione contiene 3 bonus track, costituite da registrazioni dal vivo, un ulteriore immersione nell’universo bohémien di Jones e Tunbridge.
Chiudiamo col ritornello dell bellissima Stick a little label on, un meraviglioso inno contro il conformismo.
«Attaccaci una piccola etichetta, dagli un nome, così tutto potrà restare sempre uguale»
Wizz Jones: materiale vario
Qui puoi trovare l’album The Legendary me
Purtroppo in giro c’è poco materiale su Wizz Jones. Qui c’è il suo sito ufficiale.
Ti sonsiglio di farti un giro anche sul sito ufficiale di Alan Tunbridge: puoi ascoltare varie sue canzoni e guardare i suoi quadri e le sue illustrazioni, che sono veramente bellissime.
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