Un tipo di quelli coi capelli bianchi ma l’animo da ragazzino. L’ho conosciuto qualche giorno fa. A metà della chiacchierata mi butta lì: “sono musicista”. E io rispondo: “anche io”. Esce fuori che è uno tosto: un pianista concertista e compositore di roba d’avanguardia novecentesca. Uno così non lo incontri tutti i giorni. Ha una voglia di parlare di musica che se lo mangia e io ovviamente lo assecondo volentieri. Ma il tempo è tiranno e siamo costretti a tagliare presto.
Freme, mi vuole parlare di un argomento. Non sopporta l’idea che ci sia gente che va dicendo che il pianoforte è in declino e presto sarà considerato poco più di una reliquia museale, come il clavicembalo o il liuto rinascimentale.
In effetti la cosa mi sorprende. Per me, che sono un amante delle corde pizzicate, l’idea che qualcuno consideri superato quel formidabile intreccio di meccaniche, tasti, corde e martelli che è il pianoforte mi fa pensare a un ingegnere in doppiopetto col sigaro in bocca che sentenzia: “la bicicletta è antiquata, siamo nell’epoca del treno ad alta velocità”.
Di gente che pensa idiozie di questo genere è pieno il mondo. Ho trascorso anni a generare suoni via software e non penso che la tecnologia sia sbagliata o dannosa. Ma va presa per quello che è. Dimentichiamo troppo spesso di essere animali, dotati di corpi che respirano, sudano, si scaldano, soffrono e godono. Abbiamo bisogno di fisicità perché siamo esseri fisici, non cervelli dentro una teca.
Si fanno chiamare sound artist. Una volta ho letto un articolo scritto da uno di questi personaggi (uno di cui comunque continuo ad apprezzare i lavori e la grande competenza tecnica). Ecco cosa sosteneva: il futuro della musica pop/commerciale è nella musica generativa. Cioè, secondo lui tra qualche anno non ci saranno più canzonette commerciali scritte e prodotte in uno studio professionale e cantate da qualche ventenne supersexy, ma melodie e ritmi elaborati automaticamente da programmi economici (magari qualche app scaricata sul telefonino), sulla base di parametri preimpostati in grado di generare combinazioni infinite, quindi sempre diverse.
L’assurdità di idee come questa è evidente a chiunque abbia una vaga idea di cosa la musica rappresenti per l’essere umano dal punto di vista sociale e psicologico. Chi pensa cretinate come questa non ha la minima comprensione dell’importanza della ripetizione e dell’esperienza nell’ascolto musicale. Non vogliamo la musica per la musica, ma per quello che rappresenta: perché è l’invenzione di un genio, perché ci ricorda un’epoca passata della vita, perché ci identifica con un gruppo. Una sequenza ritmico/melodica casuale creata da un algoritmo non fa nessuna di queste cose, perché è avulsa dalla nostra esperienza di esseri umani.
Se i corpi non avessero importanza, la gente non spenderebbe soldi per andare a ballare dentro una discoteca, ma ballerebbe da sola dentro casa sua. Anzi non ballerebbe affatto. Per gli stessi motivi la fisicità di uno strumento acustico, che sia di legno o metallo, ci emoziona. I pochi che fanno ancora lo sforzo di andare a sentire questi strumenti dal vivo lo sanno. Chiunque abbia mai partecipato a un concerto per organo a canne dentro una chiesa non può non ricordare la fisicità di quella esperienza: non parlo solo delle vibrazioni di quei bassi poderosi dentro il petto, ma anche dell’odore, lo scricchiolio delle panche di legno, la luce soffusa. Un’immersione psico-fisica, un’esperienza totalizzante.
Più si andrà avanti verso la virtualizzazione della fruizione musicale, più sarà facile riscoprire la bellezza della musica acustica. Ne sentiremo ancora di più il fascino e la fisicità. E la cercheremo più di prima.