Ho bisogno di un paio di cuffie da battaglia e vado in un negozio di elettronica, non importa quale, tanto sono tutti uguali. Mi servono per ascoltare la musica in metro. Adoro le mie cuffie da studio della S++++++++r, ma sono distrutte, ingombranti e l’esterno della gomma piuma è ridotto così male che andarci in giro sarebbe imbarazzante. E poi sono in bolletta causa produzione del nuovo album (a proposito, dovrebbe uscire a primavera). Quindi vado in cerca di un paio di cuffiacce da venti euro. Anzi, quanto? 19,99?
Arrivo in cassa, la cassiera passa il codice a barre e dice: 29,99.
Ok, è sera, mi sono alzato alle 5 per lavorare (lavoro pesante), poi ho dato lezioni di chitarra. Sono cotto e devo aver letto male il prezzo. La tipa non fa neanche il gesto di scusarsi perché non ha il centesimo di resto. Mi allunga lo scontrino senza guardarmi in faccia.
Me ne vado.
Però aspè, trenta euro mi sembrano troppi per ste cuffie. Torno indietro a controllare.
Ecco, lo vedi? Erano 19,99.
Rivado alla cassa: scusa, ho pagato 10 euro in più.
«A me è passato così.»
«Eh, lo so che non è colpa tu… » La cassiera parte in quarta. A suon di urla isteriche afferma che, siccome ho pagato quella cifra senza obiettare, ho perso il diritto di protestare.
Entro in modalità piazzata.
Dopo vari minuti di urla si presenta una specie di responsabile in cravatta che mi dà la mano e il buonasera. Dice alla tipa di farmi una nota di credito. Lo dice con la faccia di quello che ha messo un piede su una merda. Durante questo siparietto il gorilla del negozio si è piantato a un metro da me. Ci avete fatto caso che questi gorilla stanno sempre nella stessa posizione? Il vestito stirato, la cravatta che gli strizza il collo, i piedi leggermente divaricati, lo sguardo nel vuoto e le mani conserte davanti al pacco. Perché sempre le mani davanti al pacco?
Ma non era di questo che volevo parlare. In realtà, l’argomento di questo articolo lo avevo deciso dieci minuti prima che succedesse questa scenetta, mentre giravo tra gli scaffali del negozio.
Fra le varie nuove tendenze del mercato musicale c’è la corsa alla produzione di accessori fighetti per ascoltare musica. Ci si sono tuffati dentro grossi marchi e musicisti famosi. Così ora si trovano queste cuffie che vanno dai 150 ai 300 euro. Il costo di un paio di cuffie professionali da studio di fascia media, ma col look fighetto.
Girando tra gli scaffali del negozio me ne trovo davanti un paio. Marchio famoso, colori sgargianti. Stanno lì per essere provate e io le provo. Il suono è limpido. Ma hanno il difetto che temevo: bassi pompati. Perché? Perchéeee?
Se non avete esperienza di ascolto con casse e cuffie professionali quello che dico vi suonerà strano. Diciamo che per ascoltare la musica nella qualità migliore possibile, l’equalizzazione deve essere accuratissima, deve dare una risposta precisa su tutte le frequenze, ma deve anche essere tendenzialmente neutra, perché deve restituire un suono naturale. Tutto il contrario di quello che ci propinano i giganti dell’Hi-Fi.
Insomma, il mio parere spassionato è che se volete ascoltare la musica come si deve, dovete portare il vostro subwoofer alla raccolta rifiuti ingombranti. Perché la qualità del suono non sta nei bassi. I bassi servono a far sembrare grosso un suono povero.
E allora perché fanno questi apparecchi con questi bassi assurdi?
Mhh. Sapete perché i pizzaioli fanno la margherita con l’olio di semi, anziché con l’olio extravergine di oliva come vuole la tradizione? Perché la gente sennò si lamenta che il sapore è troppo forte.
Voglio dire: vi vendono un sistema di ascolto dal suono innaturale al prezzo di uno professionale perché vi hanno abituati a un suono brutto e sono convinti che non sareste in grado di capirne uno buono.
E come vi propongono questa roba? Sotto un cartello che dice: accessori Mp3.
Qual è il senso di proporre 300 euro di cuffie per ascoltare un formato audio di bassa qualità? Nessuno lo sa più. Il senso si è perso tra le scartoffie di una specie di responsabile in giacca e cravatta. Dietro le urla che una cassiera subisce tutti i giorni da quel responsabile. E che ne fanno una pazza isterica. Dietro i premi aziendali per i commessi a caccia di ragazzini con la carta di credito di papà cui attaccare il pippone sulle nuove cuffie fighette. Dietro le foto fighe del cantante figo che sponsorizza le cuffie fighe. Dietro valanghe di balle che prima o poi vengono a galla, ma intanto fanno volare milioni di milioni di euro oltre oceano, nelle casse di aziende hi-tech che non sono mai italiane. Forse in Italia siamo più bravi a raccontare balle che a produrre roba.
Ecco, sono sempre più convinto che il senso del capitalismo moderno stia qui. Non è (solo) sfruttare il lavoratore: è costringerlo a guardare in faccia un cliente e raccontargli balle. E poi, se il cliente svela il trucco, a dirgli: ormai hai pagato, non puoi più protestare.
P.s. Le cuffie da 19,99 fanno ovviamente schifo. Me lo aspettavo, sulla confezione c’era scritto: deep bass experience.
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