Sembrava che bastasse aprire un ombrello per volare, trasportati dal vento. Ma l’ombrello ci è scappato di mano.
C’è ancora gente che va in giro a dire che internet sta facendo la rivoluzione, dà voce a chi non ce l’ha e bla bla bla. Ogni ragazzo con un PC può farsi il disco in casa e diventare famoso, la lunga coda premia i contenuti dal basso e ancora bla bla bla.
Oh, chiaramente all’inizio ci ho creduto pure io, come tutti. Poi mi sono svegliato tutto sudato.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, eppure c’è ancora un sacco di persone con questa visione direi millenaristica di internet (che invece, per molti versi, è tutt’altro che democratica, anzi tende a premiare le mega aziende prive di concorrenza, vedi Google, Facebook, Youtube, Amazon).
Ma veniamo a noi. Dopo anni di crisi, pare che il mercato discografico abbia ricominciato a crescere, anche se di poco. Almeno in Europa e in America. Si vende sempre più digitale, ma tanti comprano ancora CD e vinili (tra cui io).
Positivo? Beh, dipende anche da quale musica si vende.
Secondo una ricerca fatta da un’agenzia inglese che si chiama MIDiA, nel 2013 il 77% dei profitti del mercato musicale mondiale è andato all’1% degli artisti. Va da sé che questo 1% è costituito da una ristretta cerchia di superstar (e dalle major che ci stanno dietro).
I servizi di streaming musicale crescono a vista d’occhio e sono arrivati a 28 milioni di utenti nel mondo.
Bello. Però?
Questi servizi pagano alle etichette una frazione di centesimo per ogni ascolto. E allora succede che:
1) le etichette indipendenti incassano pochissimo, perché hanno piccoli cataloghi che generano pochi ascolti;
2) le major, che hanno cataloghi sterminati di album, di cui molti così famosi e ricercati da generare milioni di ascolti, incassano comunque un sacco di soldi (la frazione di centesimo si moltiplica per una caterva di ascolti).
Secondo MIDiA, l’epoca digitale sta amplificando sempre di più la forbice tra major e piccole etichette, tra mega-star e artisti di nicchia.
In parole povere, dopo lo scorno iniziale, i magnati dell’intrattenimento musicale hanno capito come affrontare le nuove tecnologie e hanno ripreso a fare soldi da dove erano stati interrotti. Invece il mercato indipendente sta diventando sempre più povero. Che era anche prevedibile, se vogliamo, perché si sa che nei periodi di crisi i ricchi diventano ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri.
Insomma, c’è stato un periodo in cui sembrava quasi che bastasse aprire un profilo su Myspace o Vitaminic per dare l’avvio a una folgorante carriera artistica. Siamo passati per Napster, Emule, Bit-Torrent. Ci abbiamo goduto, a vedere i colossi dell’industria musicale indietreggiare terrorizzati, perché pensavamo che forse avrebbero lasciato un po’ di spazio pure a noi. Pareva che chissà che dovesse succedere, che dalle ceneri delle multinazionali del disco sarebbe rinata chissà quale meravigliosa fenice.
Abbiamo passato gli ultimi 15 anni ad aspettare che l’ombrello ci facesse volare, senza accorgerci che se n’era andato senza di noi. Ha fatto il giro del mondo e alla fine ce lo siamo ritrovato dietro.
Perché gira che ti rigira l’ombrello va in culo sempre agli stessi. (Animo, Cipputi).
Il bambinello says
E allora fai come me: compra solo i dischi di band piccole o emergenti, e per il resto… scarica abbestia! Io anche sono uno dei pochi che ancora compra i cd, e di recente però ho acquistato parecchia musica digitale, ma di artisti comunque “fuori dal giro”. Di quelli grossi (che comunque di solito non mi piacciono) se è non mi faccio scrupoli e dico “viva la pirateria”. Così facendo prima o poi chi vale e merita salirà un po’ più su, e chi è raccomandato e campa de rendita scenderà, anche se di poco. A proposito, due consigli per gli acquisti (messaggio pubblicitario) a te che piace la musica rock vera, suonata e sincera: fammi sapere che ne pensi di John Butler Trio (guardati il video “Ocean 2012 studio version” su youtube), e poi, visto che si parla di piccole realtà locali, dei Mantram (www.mantram.eu). Dì, dì…
Luca Ricatti says
Più o meno è quello che faccio anche io, ma il fatto è che siamo una minoranza che non influenza significativamente il mercato.
E d’altra parte, per un appassionato, non ha neanche senso privarsi del piacere di avere edizioni originali di capolavori del passato editi e/o distribuiti dalle major.
Mi ascolto i tuoi consigli con piacere!