Languore di mezza mattinata. Vado al bar di fronte a prendere un caffè con cornetto. In molti locali hanno la mania di tenere un maxi schermo acceso su qualche programma che non interessa a nessuno. La coppia di cinesi che gestisce questo bar pensa che gli avventori siano interessati a una trasmissione in cui alcuni opinionisti chiacchierano di musica. Si noti che gli avventori, oltre a me, si riducono a un pensionato che sta leggendo il giornale: è un vecchio comunista che ho incrociato spesso ma che non mi saluta mai, forse perché non mi riconosce o forse perché gli sto sulle palle per qualche motivo a me ignoto.
Comunque, in questa trasmissione stanno parlando di un celeberrimo cantante italiano, uno di quelli considerati eroi perché ancora riescono a vendere dischi (di questo fatto ho parlato qui). Anche se lui non è presente, lo stanno tutti riempiendo di lodi. Guarda caso il cantante in questione sta per iniziare un nuovo tour e quindi c’è da vendere molti biglietti in giro per l’Italia, ma non andiamo fuori tema. Una tizia (una giornalista? una conduttrice radiofonica? una sociologa?) che non conosco ma che evidentemente è famosa e stimata, dato che parla in diretta televisiva su una rete nazionale, dice di lui, del cantante, due cose che mi lasciano basito. Probabilmente ne ha dette altre, ma questo è quello che ho sentito nel lasso di tempo necessario a bere un caffè e trangugiare un cornetto.
1) Che ha una grande capacità comunicativa pur essendo chiaramente stonato, per sua stessa ammissione.
2) Che è come i jazzisti, perché la sua vita è stata sempre caratterizzata da alti e bassi. Proprio come i jazzisti.
Premetto che io non amo il divo in questione; a mio personale parere campa di rendita del passato, visto che non fa un singolo decente da oltre vent’anni. Ma posso testimoniare che non è affatto stonato, anzi: ha una voce roca e forse non bella, ma è sicuramente intonato, possiede una notevole estensione vocale e grande destrezza nel passare dai sussurrati agli urlati. Forse avrà detto di se stesso di essere stonato, ma si sa che la falsa modestia premia sempre.
Detto questo passiamo al jazz. Io ho sempre pensato che fosse quel genere musicale nato dalla fusione tra musica colta europea e musica tradizionale africana e principalmente incentrato sull’improvvisazione. Ora vengo a sapere che per essere jazz si deve avere una vita caratterizzata da alti e bassi. Dal che deduco che anche io insieme a tutti quelli che conosco siamo jazz. Ne deduco pure che una persona affetta da disturbo bipolare sia un grandissimo jazzista.
Ora, io non sono uno di quelli che dicono che per parlare di musica si deve saper fare musica. I grandi critici letterari, d’altra parte, di solito non sono romanzieri o poeti. Lo stesso vale per i critici d’arte, che in genere non sono pittori. Insomma, non servono necessariamente esperienza diretta o competenze tecniche, ma passione, anni di vita dedicati al godimento dell’arte, almeno quelli sì, cazzarola!
Solitamente non si vedono in televisione cialtroni che parlano di arte o letteratura. Sì, è vero, è proprio difficile vedere chiunque in televisione che parli di arte o letteratura; ma, le poche volte che questo accade, si tratta di persone esperte che parlano con cognizione di causa. Di musica invece si parla ovunque e in continuazione. Ne parla chiunque e quasi tutti dicono stupidaggini tremende.
Il fatto è che non capisci, direte voi, che un conto è la grande letteratura e un conto è la musica popolare di consumo, che è un prodotto commerciale. Cercherete di convincermi del fatto che queste trasmissioni sono solo spot pubblicitari organizzati dall’industria musicale. Mi spiegherete che certe canzonette non sono diverse da uno smartphone o un aspirapolvere. E per vendere un aspirapolvere non bisogna mica essere ingegneri, ci vuole faccia tosta e parlantina.
Io questo lo comprendo. Ma è anche quello che mi fa nascere quel pizzico di amarezza, lì col cornetto in una mano e la tazzina nell’altra: nella società dei consumi, la musica la spiegano i piazzisti, mica gli appassionati.
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