Eddie Lang è la storia della chitarra moderna, ne rappresenta le fondamenta, con la sua vita incredibile e il suo genio tanto grande quanto sottovalutato.
“Durante le trasmissioni radiofoniche capitava spesso di dover improvvisare delle modulazioni che nessuno aveva mai provato. Allora Paul Whiteman, sotto lo sguardo ammirato e preoccupato dei musicisti, diceva:
«Pensaci tu, Eddie!»”
A parlare è Frank Trumbauer detto Frankie, che suonò per molti anni nell’orchestra di Paul Whiteman, una mega-band di 40 elementi. L’Eddie in questione è quello che io considero uno dei più importanti chitarristi di sempre: Eddie Lang.
Questo è uno dei tantissimi ricordi presenti in questo libro storico scritto da Adriano Mazzoletti, dal tittolo Eddie Lang, Stringin’ the blues
A farmi conoscere Eddie Lang fu Paolo Coppini. Il jazz degli anni ’20 era una delle sue specialità.
Anni dopo volli approfondirne la conoscenza, ma non era facile, perché su di lui si è scritto pochissimo. Sapevo dell’esistenza del libro di Mazzoletti, ma non lo avevo mai letto. Poi un giorno, facendo un giro tra le bancarelle della Festa dell’Unità di Roma, a Caracalla, mi imbattei in una copia usata di questo volume.
Comprata al volo.
Ho fatto spesso di questi affari nelle bancarelle.
Quella di Eddie Lang e del suo grande amico Joe Venuti è una storia su cui si potrebbe fare un filmone della madonna. Una storia di riscatto sociale, di amicizia, di talento, di successo, notti brave, risse, scherzi. Una storia di italiani che spazzano via lo stereotipo dell’italoamericano mafioso a suon di accordi alterati e virtuosismi mai sentiti prima.
Facendo un sacco di soldi, tra l’altro.
Eddie Lang era uno pseudonimo (preso dal nome di un giocatore di basket, tale Eddy). All’anagrafe si chiamava Salvatore Massaro. Quando suonava blues per i neri (i dischi cosiddetti race records) si faceva chiamare Blind Willie Dunn (mitici i duetti con un altro talento chitarristico dell’epoca, il bluesman nero Lonnie Johnson).
Perché tutti questi nomi? Probabilmente per celare all’americano medio la cruda verità: che il figlio di due immigrati molisani gli faceva il culo a stelle e strisce a tutti, bianchi wasp e bluesmen neri.
Per lui era facile, cresciuto in una famiglia dove tutti suonavano qualche strumento e il padre era un mezzo liutaio.
Eddie/Salvatore ha inventato l’uso della chitarra solista nel jazz (all’epoca la chitarra era usata solo per l’accompagnamento dai cantanti blues o come strumento ritmico nel jazz). Salvatore imbracciava la sei corde e suonava quello che c’era da suonare, con una tecnica solida come il granito, lasciando tutti a bocca aperta.
Se accompagnava un cantante famoso, gli suonava sotto accordi mai sentiti e improvvisava spettacolari contrappunti sulla corda singola.
E il suo amico Joe Venuti non era da meno. Matto come un cavallo, rissoso, sempre in vena di scherzi assurdi, col suo violino era capace di suonare qualsiasi cosa con un tocco impareggiabile. Insieme incantavano pubblico e musicisti.
Lo stile di Eddie Lang, secondo me, è unico. I paragoni coi grandi chitarristi venuti subito dopo mi sembrano forzature. C’è troppa differenza col fraseggio frenetico e travolgente di Django Reinhardt o con quello dolce e ispirato di Charlie Christian.
Secondo Mazzoletti invece Lang ha avuto un’influenza determinante proprio su questi due. Va detto che è stato probabilmente il primo a usare accordi diminuiti e scale esatonali. Il suo tocco è semplicemente perfetto: elegante, pulito, solido, ma anche originale, intriso com’è di musica popolare italiana, chitarra classica (pare che non abbia mai perso un concerto americano di Andrès Segovia) e blues (certe notti se ne andava ad Harlem e si metteva a suonare insieme ai neri, in un periodo in cui le orchestre miste erano rarissime).
Eddie Lang è morto giovane, per un caso di mala sanità. Gli hanno fatto una anestesia che si è rivelata letale. Lo stavano operando per togliergli le tonsille. Era il 1933.
Oggi la figura di Eddie Lang è in corso di rivalutazione (vedi anche l’Eddie Lang Jazz Festival di Monteroduni). In parte forse ha contribuito anche il testo di Mazzoletti, che è un’opera storicamente importante. La seconda metà del libro è dedicata alla discografia completa: una ricerca così è amore puro.