Venerdì 23 settembre sono stato ospite del Festival di Narni – Alchimie e linguaggi di Donne, giunto alla nona edizione.
La cosa può suonare bislacca per due motivi.
Il primo, più evidente, è che non sono una donna.
Il secondo è che non sono stato a suonare a Narni, ma a San Gemini.
Per la prima stranezza la spiegazione sta nel fatto che quello di Narni è un Festival dedicato alla letteratura fatta dalle donne. A presentare i propri libri sono evidentemente tutte donne. Ma i musicisti, che sono ospiti, sono anche uomini.
Per la seconda stranezza, la spiegazione è che, a dispetto del nome, il Festival si svolge a cavallo tra Narni e San Gemini. La sera in cui ho suonato io, le presentazioni si svolgevano per l’appunto a San Gemini.
Partendo di venerdì pomeriggio, mi sono ovviamente pappato il traffico in uscita da Roma. Ma lo stress automobilistico è stato ripagato dallo spettacolo della cittadina medievale.
Per di più, la manifestazione si svolgeva all’interno della Chiesa dell’ex Convento di Santa Maria Maddalena, che è sconsacrata.
Ripeto: una chiesa sconsacrata intitolata a Maria Maddalena, nel centro di un paesino medievale. Ti aspetti che da un momento all’altro spunti fuori… com’è che si chiama il protagonista de Il Codice Da Vinci?
Ma non è che mancassero i personaggi.
Mi sono messo dentro un corridoio stretto che affacciava direttamente sul palco (beh, non un palco, ma l’abside della ex-chiesa). E lì ho conosciuto gli altri musicisti.
Il polistrumentista Marcello Appignani (quella sera in veste di chitarrista), il sassofonista Nicola Rando e il cantautore Lino Blandizzi. Tutti bravissimi.
Si dice sempre così, ma questi sono bravi davvero.
Abbiamo strappato qualche chiacchiera al silenzio, bisbigliando.
Intanto le scrittrici parlavano di condizione della donna, società, fenomeni migratori, disturbi borderline.
Quel palco è un momento di confronto fra donne che sì, sono scrittrici, ma soprattutto sono persone che riflettono sulla realtà che le circonda.
Se mi leggete lo sapete: non di rado devo affrontare il demone dell’ansia da palcoscenico. Non sono uno di quelli che non dormono la notte prima di un concerto. Io sono più il tipo che fino a un secondo prima è totalmente rilassato. Ma nel momento in cui mi siedo davanti al microfono, quel demonio maledetto mi salta sulla gobba. Ne ho già parlato qui. E come promesso ho iniziato a lavorarci.
Infatti dopo che ho fatto il primo pezzo correndo come un forsennato, che manco ciavessi avuto un apputamento, al secondo ho ripreso il controllo di me stesso. E la faccenda ha preso una piega diversa. Non solo non ho fatto cazzate, ma me la sono goduta.
E quando succede così, ti ripaga di tutto. Suonare in immersione con l’ambiente, la musica, tutto il pubblico.
Insomma, cantare canzoni antichissime come Buongiorno cavaliere o Donna lombarda in un chiesa medievale col pubblico che ti segue attento, beh, non è mica male.
Mentre suonavo c’erano delle persone che ballavano, sul fondo della sala. Giuro, ci sono i testimoni.
Per questo non vado a cercare serate nei locali, nei pub. Perché piuttosto che fare sei concerti al mese davanti a gente che non ha (giustamente) voglia di sentirmi, preferisco suonare in una libreria con venti persone che però mi ascoltano dall’inizio alla fine senza perdersi una battuta.
E al Festival di Narni – San Gemini di persone così ce n’era una chiesa piena. Che altro vuoi?
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