Secondo un recente studio, a comprare ancora Compact Disc sono gli ultra 36enni. Lo zoccolo duro addirittura è composto dagli over 50. In pratica, gli aficionados del disco sbrilluccichino sono quelli che hanno vissuto il suo avvento, tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90.
A spendere meno per la musica sono i giovani. Di certo non comprano CD, non lo hanno mai fatto perché sono cresciuti in un’epoca in cui era già tecnologia obsoleta.
Per questo motivo, il buon vecchio Compact Disc è dato per spacciato da tempo e in effetti continua a calare tragicamente da molti anni. Eppure si ostina a non morire. Oggi rappresenta la seconda voce in ordine di grandezza dopo il download a pagamento, fatturando oltre il 30% del totale delle vendite nel mercato musicale. I dati sono forniti dalla RIAA, l’associazione dell’industria musicale americana, perciò probabilmente non corrispondono esattamente alla situazione italiana. Ma sono utili per avere un’indicazione di massima.
Le cose stanno all’incirca così.
Al primo posto per incassi sono i download a pagamento, che rappresentano oltre il 40% del totale. Ma il Wall Street Journal ha messo in giro la voce che starebbero per crollare in picchiata.
Al secondo posto stanno i Compact Disc.
Al terzo posto sta lo streaming, che però comprende anche i servizi gratuiti, che sono in continua crescita. Il primo servizio di streaming gratuito è Youtube, che secondo molti diventerà il principale mezzo di diffusione della musica in assoluto (probabilmente lo è già), ma rende briciole in termini di guadagni per musicisti ed etichette. Pensateci: se avete bisogno di ascoltare una canzone al volo, non andate su Youtube? Quei pochi secondi di pubblicità prima che parta il brano rappresentano un guadagno insulso per i titolari dei diritti.
Si fa un gran parlare della rinascita del vinile. In realtà, nel 2013 il disco nero ha rappresentato il 3% delle vendite totali.
Ora, io sono uno che con le previsioni non ci ha mai azzeccato. E non c’è settore del mercato in radicale trasformazione come quello discografico. Però voglio fare un’ipotesi per il futuro.
Quelli ancora disposti a spendere soldi per la musica diminuiscono sempre di più: stanno diventando una nicchia di mercato. Secondo le statistiche, questa nicchia è composta prevalentemente da adulti, vuoi perché i giovani hanno pochi soldi, vuoi perché sfruttano di più le innovazioni tecnologiche.
I pochi disposti a spendere sembrano inclini al collezionismo di supporti fonografici. Secondo me non è una questione di abitudine: il motivo è che vogliono qualcosa di più che le sole tracce musicali. Vogliono copertine da toccare e libretti da sfogliare, note da leggere, insomma prodotti editoriali fisici da ammirare per la qualità manifatturiera, che li facciano sentire più vicini ai musicisti, quasi fisicamente.
Il buon vecchio ciddì ha molto da dare a queste persone.
Sì, è vero, la qualità del Compact Disc è inferiore a quella del disco in vinile. Ma a controbilanciare questo svantaggio ci sono diverse cose.
Tanto per cominciare i costi. Il CD è economico da produrre. A differenza di 20 anni fa, oggi è possibile realizzare album in versione CD spendendo pochissimi euro a copia, anche per tirature di soli 300 pezzi. Cosa impossibile per il vinile. Il risparmio si gira ovviamente anche agli acquirenti.
Un CD non necessita di apparecchiature complesse o costose per essere ascoltato. Un lettore CD è su quasi tutti i computer. Un lettore CD portatile costa meno di 30 euro e, anche spendendo così poco, si ha sempre la certezza di una qualità audio quantomeno decente. Il discorso per il vinile è invece più complicato, perché se spendi di più per avere il calore del vinile devi avere un piatto costoso, ma anche un amplificatore costoso e casse costose.
Insomma, si sa che il vinile è meglio, ma se vuoi la massima qualità non ti basta il disco nero, tutta la catena audio deve essere di alta qualità.
La produzione di un album in versione vinile non è per le tasche di tutti i musicisti. Facciamo un calcolaccio grossolano: se le vendite di LP rappresentano il 3% del totale, per vendere 300 dischi in vinile devi avere almeno 10mila fan disposti a spendere per la tua musica. Che per il mercato indipendente italiano è una cifra piuttosto alta.
Il CD è poco ingombrante. Lo si può portare in macchina e metterlo nell’autoradio.
Nonostante le dimensioni ridotte, offre la possibilità di accludere libretti anche molto ampi, ricchi di testi e foto. Tante edizioni, specie quelle cartonate, sono piccole opere d’arte tipografica. Inoltre il disco può includere file multimediali (video, spartiti o altro).
Tutto questo lo rende un interessante oggetto da collezione e un mezzo di comunicazione artistica extramusicale molto efficace.
Evidentemente, la diffusione della musica nei prossimi anni passerà soprattutto attraverso lo streaming gratuito. La vendita dei supporti fonografici o dei file audio rappresenterà un introito piccolo se non insignificante per i musicisti. Probabilmente avrà per lo più lo scopo di accontentare una ristretta cerchia di fan, appassionati e collezionisti.
Ad ogni modo, per i motivi che ho scritto sopra, è probabile che in questa nicchia di mercato il CD continuerà ad avere un ruolo importante. Se anche fossero i soli adulti di oggi a comprarli, i Compact Disc sopravviveranno ancora decenni, perché la durata media della vita è fortunatamente lunga.
Il bambinello says
Verissimo. Ho compiuto 36 anni ier l’altro e m’han regalato 3 cd, l’avevo richiesti tutti. In genere compro i cd quando a) mi piace molto l’artista e ho altri album che confermino il valore o b) li abbia scoperti su internet e dopo ripetuti ascolti di tracce sparse li trovi intriganti. Nel primo caso me li prendo puro a scatola chiusa! E’ assolutamente vero che Youtube ormai è il modo più veloce di accedere alla musica, tant’è che ormai si caricano interi album e nessuno dice più niente. Comunque la crisi del cd è un altro segno della svalutazione in atto su pressoché ogni cosa in questo inizio di millennio: tutto dev’essere gratis perché siamo più “democratici” se la cultura è a portata di tutti, però, in qualche modo, il prezzo della cultura era anche quello che contribuiva a darle un valore, una “rilevanza” in più. Ora che la “cultura” è stata svincolata dal supporto, o che il supporto ha un costo ridicolo, mi pare che abbia anche subito un graduale svilimento. L’unica conseguenza sicura è che nessuno vuole più cacciare i soldi per la cultura.
Luca Ricatti says
Quando si affrontano questi temi si rischia sempre di finire a dire “ai miei tempi…” e “si stava meglio quando si stava peggio”.
La verità è che i cambiamenti sono intimamente connessi alle trasformazioni tecnologiche. Come leggevo qualche giorno fa in un articolo (questo qui), noi diamo forma alle tecnologie e loro danno forma a noi.
Io penso che dobbiamo analizzare questi cambiamenti e cercare di interpretarli.
D’altra parte io penso che le persone interessate ad approfondire la cultura sono e saranno sempre una minoranza. Ma la “democratizzazione” culturale portata da internet può magari contribuire a rendere questa minoranza un po’ più ampia, dando accesso alle informazioni a persone interessate che prima erano tagliate fuori da barriere economiche o anche solo geografiche. D’altra parte, sia io che te continuiamo a spendere per la cultura, con la differenza che adesso possiamo accedere a molte più informazioni.
Che poi adesso girino molti meno soldi nella musica è un dato di fatto, ma è anche vero che la trasformazione non è ancora terminata e non è chiaro dove andrà a finire.