Quali sono le differenze tra la vecchia e la nuova traduzione del Signore degli Anelli di Tolkien? Qui una guida e la mia opinione.

Ma prima di tutto un disclaimer.
Disclaimer
Questa che stai leggendo è la terza versione di questo articolo.
La prima versione fu pubblicata all’indomani dell’uscita della prima edizione della nuova traduzione del Signore degli Anelli, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.
Siccome all’epoca era uscito solo il primo volume, cioè La Compagnia dell’Anello, era basata solo su quello.
Attirò da subito molti visitatori e siccome l’argomento è estremamente divisivo, generò una quantità notevole di commenti.
Dopo l’uscita delle nuove traduzioni de Le Due Torri e de Il Ritorno del Re, aggiornai l’articolo inserendo le mie impressioni sugli altri due volumi.
Nel frattempo i commenti continuavano a fioccare. Una buona parte consisteva in attacchi al sottoscritto. È stata una faccenda stressante.
C’è chi mi ha accusato di essere aggressivo nelle risposte. Ovviamente chi scorre i commenti non può sapere quanti ne ho cassati perché inopportuni, inconsistenti, ripetitivi e offensivi e difficilmente si rende conto di cosa significhi gestire tutta questa rabbia da parte di perfetti sconosciuti.
Ho deciso di produrre una terza versione di questo articolo dopo alcuni anni, alla luce delle mie riletture della nuova traduzione che, a distanza di tempo e con la mente più fredda, mi hanno permesso di notare problemi che inizialmente mi erano del tutto sfuggiti.
Siccome l’articolo è molto lungo, per agevolare la lettura ho inserito un indice dei contenuti.
Spero di aver fatto un servizio utile a qualcuno.
+++ Fine del disclaimer +++
Indice dei contenuti
2 – Perché è stata fatta una nuova traduzione del Signore degli Anelli
3 – Storia della vecchia traduzione del Signore degli Anelli
3.1 – Il Fantasy in Italia
3.2 – L’Edizione Astrolabio
3.3 – L’Arrivo a Rusconi
4 – I Problemi della vecchia traduzione
4.1 – Gli Errori della vecchia traduzione del Signore degli Anelli
4.2 – Passaggi tradotti troppo liberamente
4.3 – La Filosofia Tradizionalista
4.4 – In che senso fu strumentalizzato il Signore degli Anelli
4.5 – Il Registro mono-tono
4.6 – Perché la vecchia traduzione del Signore degli Anelli contribuisce a strumentalizzare il romanzo
4.7 – Altri pregi e difetti dell’edizione Rusconi
6 – Storia della nuova traduzione del Signore degli Anelli
6.1 – Il Nuovo traduttore e l’AIST
6.2 – Paletti imposti dalla casa editrice
6.3 – Il Coinvolgimento del fandom
6.4 – La Guerra delle Traduzioni del Signore degli Anelli
7 – Perché tutti criticano la nuova traduzione del Signore degli Anelli
7.1 – La Vecchia traduzione è l’unica vera
7.2 – La Nuova traduzione del Signore degli Anelli è stata fatta per motivi politici
7.3 – I Nuovi nomi fanno schifo
8 – Chi ha la colpa di questa guerra?
9 – Analisi della nuova traduzione del signore degli Anelli
9.1 – Errori nella nuova traduzione del Signore degli Anelli
9.2 – I Registri linguistici
9.3 – Un Traduttore non tolkieniano
9.4 – Osservazioni sulle critiche di Ottavio Fatica
9.5 – Le nuove traduzioni dei nomi
9.6 – Analisi di alcuni capitoli
9.7 – Opinione Complessiva
1 – Ci hanno fatto attendere
Credo di aver sentito parlare di una nuova traduzione all’inizio del 2018. Ma dopo alcuni mesi ne avevo perso le tracce, nel senso che chiedendo in giro nessuno sapeva dirmi niente.
A dicembre 2018 incontrai un paio di ragazzi dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani (avevano uno stand alla manifestazione Più libri più liberi, a Roma). Mi dissero che forse sarebbe uscita nel marzo successivo. Ma poi niente. Chiesi un paio di volte alle librerie Feltrinelli di Roma e i commessi mi guardarono come se avessi chiesto un po’ di erba da fumare.
Poi finalmente arrivò la notizia che il 30 ottobre 2019 sarebbe uscito il primo volume della nuova traduzione del Signore degli anelli, La Compagnia dell’anello.
Con mio grande rammarico riuscii a procurarmene una copia solo tre giorni dopo.
Ma perché una nuova traduzione?
2- Perché è stata fatta una nuova traduzione del Signore degli Anelli
Cominciamo col dire che la vecchia traduzione del Signore degli Anelli era una buona traduzione per gli standard dell’epoca. All’estero c’erano stati casi di traduzioni di gran lunga peggiori (in Olanda, in Svezia, in U.R.S.S.).
Ma leggendola oggi, con tutto ciò che sappiamo su Tolkien e considerando che il mondo delle traduzioni si è molto evoluto, appare del tutto inadeguata ai tempi. La vecchia traduzione del Signore degli Anelli conteneva molti problemi: alcuni errori veri e propri, un tono generale appiattito su un unico registro linguistico e frequenti passaggi un po’ troppo liberi, che possiamo definire «parafrasi».
Tali problemi erano ampiamente giustificabili per il contesto in cui quella traduzione era stata prodotta, ma non lo sono più.
Fino a non molto tempo fa, un editore che decideva di portare in Italia un testo straniero aveva soprattutto la preoccupazione di «adattarlo» al contesto culturale italiano e ai gusti dei potenziali acquirenti, che potevano essere molto diversi da quelli del paese di origine.
Mi resi conto di questo leggendo la versione Italiana di un classico della letteratura inglese per ragazzi, «Il Vento tra i Salici» di Kenneth Grahame, con la traduzione a firma di Beppe Fenoglio: una traduzione in italiano elegante e letterario, «adulto», laddove l’originale ha invece un tono semplice e scorrevole, per giovani lettori.
Tolkien amava questo romanzo.

Sospetto che operazioni di questo tipo si facciano anche oggi ma, in generale, il mondo delle traduzioni è molto cambiato. Per esempio non si usa più affidarle a ghost-translator per farle poi firmare a personaggi famosi. I traduttori sono quasi sempre professionisti che hanno seguito precisi percorsi di studio e spesso vengono affiancati da editor e altri esperti.
Oltretutto, il contesto che aveva prodotto la vecchia traduzione del Signore degli Anelli era quantomeno «avventuroso». Infine, il romanzo era sì un libro di culto nel mondo anglosassone, ma non era ancora il grande classico che è oggi. E ai grandi classici ci si dovrebbe accostare con una prudenza che all’epoca non era stata usata.
Oggi il testo di Tolkien è forse il più influente del ‘900, non solo perché considerato punto di riferimento imprescindibile di un genere (epic fantasy), ma anche perché ha condizionato l’immaginario collettivo come poche altre opere letterarie nella storia.
3 – Storia della vecchia traduzione del Signore degli Anelli
Il classico intramontabile del Professor J.R.R. Tolkien (The Professor, per i suoi fan, Tollers per il suoi amici stretti) fu tradotto in lingua Italiana da Vittoria Alliata di Villafranca detta Vicky, nobildonna figlia del principe Francesco Alliata e conosciuta come studiosa del mondo arabo. La Alliata tradusse il romanzo che era una ragazzina, nella seconda metà degli anni ’60: aveva tra i 15 e i 17 anni. Com’è possibile che un editore affidasse la traduzione di un’opera tanto complessa a una studentessa per giunta così giovane?
Non lo sappiamo, ma è possibile che abbia a che fare col fatto che in Italia non ci credeva nessuno, nel fantasy.
3.1 – Premessa: il Fantasy in Italia
Nei paesi anglosassoni c’è una lunga tradizione di letteratura fantastica. I più importanti scrittori che hanno fatto la storia del fantasy, della fantascienza, dell’horror o del weird sono praticamente tutti anglofoni. Tolkien stesso fu un amante della letteratura fantastica fin da giovane. E non fu il primo a inventare storie ambientate in mondi immaginari. Lo avevano già fatto per esempio William Morris, Lord Dunsany o Robert E. Howard (il creatore di Conan il Barbaro).
In Italia non c’è mai stato nulla di simile.
Ricordo un giorno che il mio professore di Storia e Filosofia (ho fatto il liceo nella prima metà degli anni ’90) prese di petto una mia compagna di classe perché le aveva visto in mano una copia di Dracula di Bram Stoker: «Ma che te leggi?!» le gridò scandalizzato.
A me era sempre sembrato un tipo di larghe vedute. Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo che quella mia compagna era fan di Stephen King (fu lei a regalarmi la mia copia di It).
L’atteggiamento del lettore medio italiano verso la letteratura fantastica era di fastidio, derisione, ribrezzo, a volte odio vero e proprio.
Chiarito questo punto, andiamo avanti. Anzi indietro, alla fine degli anni ’60.
L’Italia era molto arretrata culturalmente. La percentuale di analfabeti era oltre il 5% della popolazione, con punte del 20-30% al sud e nelle isole.
Il divorzio divenne legale nel 1970, mentre per l’aborto si dovrà aspettare il 1978.
Il paese era uscito dal secondo conflitto mondiale profondamente diviso, con la Democrazia Cristiana che governava costantemente, alleandosi con chiunque pur di tenere i comunisti all’opposizione; invece la stragrande maggioranza degli intellettuali aveva come punto di riferimento il marxismo e tendeva a interpretare la cultura secondo quegli schemi.
E poi c’erano i neofascisti che facevano capo al Movimento Sociale Italiano.
Ma nel ’68 c’era un grande fermento culturale e i giovani andavano in cerca di nuovi stimoli. Quelli di sinistra furono molto influenzati dalle idee dei filosofi della Scuola di Francoforte, soprattutto Herbert Marcuse, che reinterpretava il marxismo in modo nuovo e criticava tanto il capitalismo americano quanto l’Unione Sovietica. Si dice che l’edizione italiana del suo libro «L’uomo a Una Dimensione» arrivò a vendere 250.000 copie. La sua frase «Immaginazione al potere» divenne uno slogan.

Erano gli anni in cui nacque il movimento ambientalista, era nato il folk revival e c’era interesse verso gli stili di vita alternativi e il contatto con la natura. Tutte cose abbastanza compatibili con l’ambientazione del Signore degli Anelli.
Ma c’è da dubitare che i ragazzi che inneggiavano all’immaginazione avessero influenza sulle decisioni dei grandi editori.
Per la gran parte degli intellettuali italiani, il fantastico era accettabile solo entro stretti limiti, come nel realismo magico (Calvino, Buzzati) o nella letteratura per l’infanzia (Gianni Rodani).
Quando nel’64 la Mondadori chiese un parere su Il Signore degli Anelli allo scrittore Elio Vittorini (che lavorò come consulente per molti grandi editori italiani), questi lo bocciò perché era un’opera «priva di agganci attuali», scritta «senza il genio necessario a garantire il successo». Immagino che ancora oggi i dirigenti di Mondadori lo maledicano in varie lingue.
Non erano solo gli intellettuali marxisti a non capire Tolkien.
Nel rapporto stilato nel 1982 dalla Commissione Moro (composta da deputati democristiani, socialisti, repubblicani e comunisti), a proposito dei Campi Hobbit organizzati dai giovani neofascisti, si dice:
«Il mondo a cui fa riferimento TOLKIEN è un mondo popolato da streghe, gnomi ed orchetti, perennemente in conflitto fra bene e male. La divisione manichea tra il bene ed il male è assoluta ed irriducibile. Il tipo di ideali a cui si rifanno gli attuali “autonomi neri” sono per l’appunto questi: una purezza di per sé rivoluzionaria, un disprezzo assoluto per chiunque non appartenga alla stessa schiera e non ne condivida gli ideali e l’esaltazione della propria individualità nei confronti di un mondo inutile, corrotto e decadente.»
Questo gruppo trasversale di politici dava del romanzo di Tolkien un’interpretazione così sbagliata da essere imbarazzante. Ma, al netto delle idiozie più palesi (streghe e gnomi), era tutto sommato sovrapponibile a quella che ne dava l’estrema destra, come vedremo più avanti.
Contemporaneamente, però, il testo stava già diventando un libro di culto tra i ragazzi d’oltreoceano. Perché criticava la modernità, la cultura delle macchine, l’alienazione dalla natura, la guerra e l’eroismo e aveva come protagonisti esseri semplici che vivevano a contatto con la terra.
Per i ragazzi inglesi e americani era facile: loro sapevano leggere l’inglese.
Gli italiani no.
3.2 – L’edizione Astrolabio-Ubaldini
Vittoria Alliata detta Vicky era una studentessa del Lycée Chateaubriand di Roma, una scuola di eccellenza di lingua francese, era appassionata di lingue ed era molto intraprendente. Ha raccontato lei stessa che, per guadagnare i soldi che le servivano per pagarsi i viaggi all’estero, decise di cimentarsi in una traduzione; aprì le Pagine Gialle e contattò il primo editore in ordine alfabetico: Astrolabio-Ubaldini.
Quelli di Astrolabio le proposero un progetto difficilissimo: tradurre The Lord of the Rings di J.R.R. Tolkien. Lei ha affermato che glielo affidarono perché gli altri a cui era stato proposto avevano rinunciato.
Ad ogni modo, lei, una liceale, tradusse tutto il romanzo.
Purtroppo pubblicarono solo il primo volume. Oggi l’edizione Astrolabio de La Compagnia dell’Anello è introvabile ed è considerata il cimelio dei cimeli tra i fan italiani del Professore.
Le scarse vendite iniziali fecero scoraggiare Ubaldini dal proseguire nell’avventura dell’Anello: la seconda peggiore decisione della storia dell’editoria italiana dopo quella di Mondadori. Ad ogni modo, regalarono tutto il manoscritto della Alliata ad Afredo Cattabiani.
Alfredo Cattabiani era il direttore editoriale di Rusconi. E non era interessato allo strano romanzo del Professore e alla traduzione della ragazzina.
3.3 – L’arrivo a Rusconi
Si dice che sia stato il filosofo tradizionalista Elémire Zolla a convincere Cattabiani.
La cura dell’edizione fu affidata al musicista e saggista Quirino Principe.
Principe va dicendo di aver dovuto lavorare molto sul testo per correggere errori e ricostruire le Appendici: «Fu una fatica capillare». L’ha detto in questa intervista.
Teniamo a mente questa affermazione.
Questa qui sotto è l’edizione in volume unico che hanno in casa la gran parte dei vecchi lettori italiani. È la mia, (tutti i libri fotografati in questo articolo sono miei) ma in realtà io lessi il romanzo su un’edizione molto più vecchia, ereditata; mi procurai anche questa perché originariamente Rusconi non aveva pubblicato alcuna mappa e delle appendici c’era solo quella su Aragorn e Arwen.

Eppure i problemi in quella traduzione ci sono nonostante l’intervento di (o anche a causa di?) Quirino Principe. Ma la stragrande maggioranza dei lettori italiani (tra cui anche il sottoscritto) non si è posta il problema per decenni.
Gli orchi erano chiamati «orchetti» e i troll erano «vagabondi».
4 – I Problemi della vecchia traduzione
Quando lessi la prima volta il Signore degli Anelli (avevo 20 anni) non riuscivo a capire in che senso dei vagabondi fossero delle creature malvagie ed enormi, trasformate in pietra dalla luce del sole. Ma andiamo con ordine. I problemi della vecchia traduzione del Signore degli Anelli sono:
1) Errori veri e propri
2) Passaggi tradotti troppo liberamente
3) L’interpretazione «tradizionalista»
4) Il registro mono-tono
4.1 – Gli Errori della Vecchia Traduzione del Signore degli Anelli
Nella vecchia traduzione del Signore degli Anelli ci sono alcuni errori veri e propri di traduzione.
Questo non è un resoconto completo di tutti gli errori. Ho elencato solo quelli secondo me più gravi, che non possono essere considerati «traduzioni libere». E ho escluso quelli che a mio avviso potevano essere giustificabili dati gli scarsi mezzi a disposizione alla fine degli anni ’60 (che consistevano solo in un vocabolario): quindi ho escluso i riferimenti al complesso di storie del Silmarillion o espressioni idiomatiche inglesi (che noi oggi possiamo scoprire con una googleata ma che Alliata e Principe potevano non conoscere).
Ovviamente gli errori non li ho scovati io.
La principale fonte che ho preso a riferimento è un documento pubblicato nel 2013 sul sito dell’AIST, consultabile qui ☞errori nelle traduzioni italiane
Questo documento era stato compilato sulla base di notazioni fatte da appassionati italiani. Quindi, tutti gli errori riportati qui di seguito sono da ritenersi frutto di un lavoro collettivo.
Errori ricorrenti
– «Beech»: a me risultano 14 occorrenze di questa parola nel romanzo; per 3 volte è stata tradotta come «betulla» anziché come faggio (Libro Cinque, Cap 9; Libro Sei, Cap 1; Libro Sei, Cap 4).
– Nella vecchia traduzione è stato omesso il termine «heathen», cioè pagani. Questa parola compare solo due volte in tutto il romanzo, ma è importante, perché è un anacronismo voluto da Tolkien e dunque deve essere mantenuto.
– «Shieldmaiden». Ho trovato questo termine 4 volte (una volta nel Libro Cinque Cap. 2 e tre volte nel Libro Sei, Cap. 5). È sempre pronunciata da Éowyn in riferimento a se stessa. Tolkien lo scrive tutto attaccato, ma più spesso si trova scritto shield-maiden. Viene dal norreno skjaldmær, usato per indicare le donne guerriere di epoca vichinga. Sono nominate in varie saghe norrene (ma alcuni storici non sono convinti della loro reale esistenza). Nella vecchia traduzione questa parola è stata resa la prima volta come guerriera, la seconda e la terza come fanciulla d’arme e la quarta come selvaggia fanciulla. È intraducibile in italiano, ma siccome evidentemente Éowyn e Tolkien ci tengono molto, mi sembra giusto tradurla sempre nello stesso modo, così da restituire ai lettori italiani il senso di questa insistenza.
– Le edizioni inglesi che ho consultato scrivono i numeri dei Libri per esteso (cioè in lettere) e i numeri dei capitoli in numeri arabi. Quindi, per esempio, Libro Uno, Capitolo 1.
In tutte le edizioni italiane i numeri dei Libri sono riportati come numeri ordinali e i numeri dei capitoli sono indicati in numeri romani, quindi Libro Primo, Capitolo I.
Altri errori
– Nel prologo c’è la frase: «That story was derived from the earlier chapters of the Red Book, composed by Bilbo himself».
È stata tradotta con Questa storia e’ tratta dai piu’ antichi capitoli del Libro Rosso, scritti da Bilbo in persona. Invece è quella storia.
Nella vecchia traduzione sembra che la «storia» di cui si parla sia il libro che teniamo in mano, ossia il Signore degli Anelli, mentre l’autore si riferisce all’altro libro, cioè Lo Hobbit.
– Nel Libro Uno Cap. 4 compare per tre volte «Golden perch», il nome di una locanda in cui Pippin avrebbe voluto fermarsi a gustare la birra; nella vecchia traduzione del Signore degli Anelli è stato tradotto come «Pertica d’Oro»; ora «perch» significa effettivamente pertica, ma anche persico ed esiste una specie di persico che si chiama proprio golden perch, cioè persico d’oro; si tratta di un pesce tipico dell’Australia, ma secondo gli studiosi il nome della locanda si riferisce proprio a questo, non alla pertica.
– Nel Libro Uno, Cap. 1, compare una Hobbit di nome Melilot Brandybuck, che nella traduzione italiana è riportata come «Melitot» e l’errore è presente anche nell’albero genealogico dei Brandybuck, alla fine delle Appendici; dato che le hobbit hanno spesso nomi di fiori, è un gran peccato che si fosse persa questa sfumatura.
– Nel Libro Uno, Cap. 2 compare la parola «Hundredweight», un’unità di misura che gli inglesi chiamavano anche quintale, ma non corrisponde al nostro quintale (100kg), bensì a 112 libre, cioè circa 50kg. È un gioco di parole scherzoso, perché per festeggiare il centododicesimo compleanno di Bilbo, Frodo aveva preparato una festa chiamandola «Hundredweight Feast» e hundredweight indicava appunto 112.
Nella vecchia traduzione è stato reso con cento chili (la festa dei Cento Chili), perdendo ogni riferimento allo scherzo di Frodo e inoltre sbagliando la conversione della misura. Fermo restando che il gioco di parole è intraducibile, in questo caso si è perso ogni collegamento al numero 112.
– Nel Libro Uno, Capitolo 2 la frase «Bilbo was meant to find the Ring, and not by its maker» era tradotta con Bilbo era destinato a trovare l’Anello, e non il suo creatore; così sembra che Sauron non era destinato a trovare l’Anello; invece il senso della frase è che il creatore dell’Anello (Sauron) non lo aveva realizzato affinché fosse trovato da Bilbo.
– Nel Libro Uno, Cap. 4, Tom Bombadil compare portando una grande foglia come vassoio, sulla quale quale sono posati dei water-lilies, che nella vecchia traduzione erano «candidi gigli»; «lily» è giglio, ma «water-lily» è la ninfea.
– Nel Libro Uno, Cap. 11, Aragorn canta la storia di Beren e Lúthien: nella vecchia traduzione manca un’intera strofa (la penultima).
– Nel Libro Uno, Cap 12, quando i protagonisti incontrano l’elfo Glorfindel, nella vecchia traduzione manca un’intera frase: «Glorfindel caught Frodo as he sank to the ground, and taking him gently in his arms he looked in his face with grave anxiety».
– Nel Libro Due, Cap. 1, quando Frodo incontra Bilbo e questo racconta che stava cercando di terminare di scrivere una canzone, manca un’intera frase: «There will be such a deal of singing that the ideas will be driven clean out of my head».
– Poco dopo, Bilbo si mette a cantare: i versi «he built a boat of timber felled/in Nimbrethil to journey in» (riferiti a Eärendil) sono stati tradotti «Costruì una barca di legno/per recarsi sino a Nimbrethil»; ma il testo inglese dice una cosa tipo «costruì una barca con il legno/abbattuto a Nimbrethil per viaggiarci dentro».
– Nel Libro Due, Cap. 2, Elrond riporta le parole di Isildur, che aveva strappato l’Anello dalla mano di Sauron: «This I will have as weregild for my father, and my brother».
Nella vecchia traduzione la parola «weregild» è stata tradotta come in memoria, che non ha molto senso.
In italiano waregild si dice «guidrigildo»; si tratta di un’istituzione tipica delle popolazioni germaniche, attestata anche nell’Italia medievale: stabiliva il valore di un essere umano e serviva a definire una ricompensa nel caso, per esempio, di omicidio.
Isildur intendeva dire che avrebbe tenuto l’Anello come forma di indennità per la morte del padre e del fratello, non come un ricordo.
Il terminne «weregild» compare anche tre volte nell’Appendice A, sempre tradotto come «ricompensa», che se non altro è più corretto.
Evidentemente, comunque, è meglio usare la corrispondente parola italiana guidrigildo.
– Nel Libro Tre, Cap. 1, quando Aragorn trova Boromir morente, c’è scritto «his horn cloven in two was at his side». Nella vecchia traduzione «horn» è stato tradotto con elmo invece di corno. Il corno di Boromir spezzato in due è un elemento importante nella trama.
– Più avanti, quando celebrano il funerale di Boromir mettendo il suo corpo sulla barca, Aragorn e Legolas intonano un canto funerario e Aragorn dice: «His cloven shield, his broken sword»; questa volta è la parola «shield» ad essere tradotta come elmo invece che scudo.
– Nel Libro Tre, Cap. 5, Quando Gandalf parla di Saruman, dice che «He has no woodcraft»; questa frase è del tutto assente nella vecchia traduzione. «Woodcraft» non ha un corrispettivo in italiano. Questo termine è di solito usato col significato di lavorare il legno, ma qui è messo col significato di capacità di sopravvivere nei boschi, orientarsi, costruirsi attrezzi, cacciare, pescare e cucinare. Al tempo stesso significa anche silvicoltura o comunque prendersi cura dei boschi.
Saruman non ha woodcraft, cioè non saprebbe sopravvivere da solo in un bosco, non ama i boschi, non li capisce, non se ne cura e non li cura, anzi, sappiamo che li devasta, li preda, è loro nemico. È una frase che apre un mondo. Aragorn ha woodcraft, Legolas ne ha a bizzeffe (è un elfo dei boschi), Gandalf certamente sì e anche gli hobbit un po’ ce l’hanno; l’unico che forse ne difetta è Gimli, che però impara ad amare i boschi grazie all’amicizia con Legolas. I difensori della Terra di Mezzo hanno woodcraft, invece i malvagi no.
È certamente molto difficile rendere la ricchezza di significati che si porta dietro questa frase di sole quattro parole. Ma la vecchia traduzione l’ha del tutto saltata.
– Nel Libro Quattro, Capitolo. 4, il titolo del capitolo è inspiegabilmente, «Erbe aromatiche e coniglio al ragù».
Ma il coniglio è «stewed», cioè stufato. La cosa più strana di questa trasformazione è che semmai Sam poteva preparare un ragù di coniglio. Per condirci cosa, però?
– Nel Libro Quattro, Cap. 9, a proposito di Shelob, si dice che lei era «even such as once of old had lived in the Land of the Elves in the West that is now under the Sea, such as Beren fought in the Mountains of Terror in Doriath, and so came to Lúthien». Nel vecchia traduzione è scritto che era lo stesso mostro «che anticamente errava nella Terra degli Elfi in quell’Occidente ormai sommerso dal Mare, lo stesso contro il quale lottò Beren nei Monti del Terrore a Doriath, e che poi in un remoto chiaro di luna si recò a Lùthien».
A parte che Luthien è un personaggio, non un luogo (è stata già nominata da Aragorn nel Libro Uno), il mostro Shelob non è lo stesso, ma è come quelli che vivevano nella Terra degli Elfi. Si tratta di un errore forse giustificabile per una traduttrice non professionista, perché probabilmente dovuto al fatto che il significato di «even» come «simile a» è poco noto. Ma resta un errore.
– Nel Libro Cinque, Cap. 2, Gimli, al seguito di Aragorn che si inoltra sul sentiero dei morti, dice che il sangue gli si gela nelle vene, ma la sua voce si spegne sui «dank fir-needles at his feet». «Fir» è abete, ma nella vecchia traduzione gli aghi umidi ai suoi piedi sono diventati di pino.
– Nel Libro Cinque, Cap. 5, Elfhelm spiega a Merry chi sono i Woses, gli uomini selvaggi dei boschi, e dice che «they are woodcrafty beyond compare». Nella vecchia traduzione è scritto «pare che siano imbattibili nell’arte del legno». Abbiamo di nuovo il termine «woodcraft», che però qui è trasformato in aggettivo mediante l’aggiunta della y finale. Nel Libro Tre Cap. 5 questa parola era stata saltata, qui invece è stata tradotta in modo errato. «Woodcraft» può anche significare lavorare il legno, ma qui evidentemente ha lo stesso significato che aveva nella precedente occorrenza: conoscere i boschi, saperci sopravvivere, amarli e curarli. A detta di Elfhelmm, i Drúedain, chiamati appunto uomini selvaggi dei boschi, hanno woodraft più di chiunque altro. E infatti si schierano dalla parte di buoni.
– Nel Libro Cinque, Cap. 6, Éowyn fronteggia il Nazgûl per difendere il corpo di re Theoden, morente sotto il proprio cavallo, e lo minaccia: «For living or dark undead, I will smite you, if you touch him». Nella vecchia traduzione è stato attribuito «living or dark undead» a Éowyn, anziché al Nazgûl e si è scritto: «Viva o morente ti trafiggerò, se lo tocchi». Va ovviamente attribuito al re degli Spettri, nel senso che Éowyn lo trafiggerà comunque, che lui sia vivo o un oscuro non morto.
– Nel Libro Sei, Cap. 1, nella descrizione della torre di Cirith Ungol si dice che c’erano delle mura merlate «about the lowest tier», cioè all’incirca al livello inferiore; nella vecchia traduzione è scritto «al di sopra del piano inferiore».
– Nel Libro Sei, Cap. 3, Sam vede impotente Gollum che stacca l’Anello a Frodo con tutto il dito e gli sembra che l’Anello «shone now as if verily it was wrought of living fire». Nella vecchia traduzione è stato scritto «Sfavillava come se fosse stato davvero creato nel fuoco vivo», che non ha senso, perché l’Anello è effettivamente stato creato nel fuoco vivo.
La parola wrought secondo me qui è usata in modo molto lirico e difficile da rendere in italiano: letteralmente significa fabbricato, forgiato. Azzardando una traduzione (è solo per rendere l’idea) dovrebbe essere qualcosa tipo brillava ora come se fosse invero appena stato forgiato nel fuoco vivo. Oppure, in modo più libero brillava, come se fosse uscito ora dalla forgia.
– Nel Libro Sei, Cap. 5, quando Éowyn si rende conto di essersi innamorata di Faramir, il testo dice che «Then the heart of Éowyn changed, or else at last she understood it». Nella vecchia traduzione è scritto «Allora il cuore di Éowyn cambiò ad un tratto e fu ella finalmente a comprenderlo», che non sembra avere molto senso. La frase è molto più lineare: il cuore di Éowyn cambiò, oppure lei alla fine lo comprese. .
– All’inizio del Libro Sei Cap. 7, Frodo confessa a Gandalf l’amarezza che lo accompagna nel suo ritorno alla Contea: «for I shall not be the same. I am wounded with knife, sting, and tooth, and a long burden. Where shall I find rest?». Nella vecchia traduzione è scritto: «perché io sono cambiato. Dove troverò riposo?». Manca tutta la parte centrale: sono stato ferito da coltello, pungiglione, dente e un lungo fardello.
– Nel Libro Sei Cap. 7 il titolo è «The Scouring of the Shire». Nella vecchia traduzione è «Percorrendo la Contea». To scour significa ripulire/grattare via/scrostare, quindi va tradotto con qualcosa come La ripulitura della Contea o al limite il repulisti, come nella nuova traduzione.
– In questo Capitolo, il vecchio Gamgee si lamenta del fatto che hanno rovinato le sue «taters», termine colloquiale per indicare le patate. Invece nella vecchia traduzione è scritto che gli hanno rovinato le piante. Non è una pignoleria, le patate sono legate alla famiglia Gamgee: nel Libro Uno Cap. 1 si dice che Bilbo consultava sempre mastro Gamgee in materia di patate e il vecchio giardiniere dice che la gente come lui deve occuparsi di cavoli e patate, altro che elfi e draghi; quando in Ithilien Sam cucina il coniglio, si lamenta di non avere patate da abbinarci. Forse le patate hanno anche un valore simbolico: sono un alimento povero ma nutriente, basilare sia nella cucina britannica che irlandese, oltre che legato alla terra come gli hobbit.
– Nel Libro Sei Cap. 8, quando Sharkey-Saruman estrae un coltello per assassinare Frodo e lo colpisce, nella vecchia traduzione manca la frase «The blade turned on the hidden mail-coat and snapped», cioè la lama si piegò sulla cotta di maglia nascosta e si spezzò. E infatti non si capiva come mai Frodo fosse uscito incolume dall’attentato.
– Libro Sei Cap. 9 c’è forse l’errore più famoso della vecchia traduzione. Verso la fine del capitolo, Frodo deve spiegare a un disperato Sam che lascerà per sempre la Contea e dice: «I tried to save the Shire, and it has been saved, but not for me». Nella vecchia traduzione è scritto: «è stata salvata, ma non per merito mio». Invece il senso è «è stata salvata, ma non per me».
È completamente diverso, anche perché la Contea è stata effettivamente salvata anche per merito di Frodo; ma non per lui, significa che Frodo non può goderne, non riesce a trovare pace nel posto a cui voleva tornare e che amava tanto. In quattro semplici parole c’è tutto il senso di lacerazione tipico dei reduci di guerra.
Ci sono svariati errori anche nelle appendici. Ma siccome ci siamo dilungati davvero troppo, mi limito a segnalare questi due nel Paragrafo 5 dell’Appendice A, quello dedicato alla storia di Aragorn e Arwen:
– Nella parte iniziale Elrond dice ad Aragorn: «A great doom awaits you, either to rise above the height of all your fathers since the days of Elendil, or to fall into darkness with all that is left of your kin». Nella vecchia traduzione è scritto: «Un grande destino ti attende, sia quello di ergerti al di sopra di tutti i tuoi avi succeduti a Elendil, sia quello di cadere nell’oscurità con tutti i superstiti della tua stirpe». Non è sia […] sia, che non ha senso, ma o […] o, cioè una cosa o l’altra.
– Nella parte finale, Arwen è al capezzale di Aragorn morente e, mentre lei lo chiama piangendo, «he took her hand and kissed it, he fell into sleep». Nella vecchia traduzione è scritto: «mentre gli prendeva la mano e la baciava, egli si addormentò». Ma è Aragorn a prendere la mano di Arwen e a baciarla prima di spirare.
4.2 – Passaggi tradotti troppo liberamente
La vecchia traduzione del Signore degli Anelli è quasi sempre piuttosto libera, modifica spessissimo la sintassi originale trasformando lo stile dell’autore, omologando il tono su un livello medio-alto, smorzandone la dinamica e azzerando i toni ironici e sarcastici quando ci sono.
Mi limito a citare qualche esempio per rendere l’idea.
Alcune modifiche sono davvero plateali. Riportiamo un paio di esempi dal Libro Uno.
– Nel Cap. 1, a proposito di suo figlio Sam, il vecchio Gamgee dice che il Signor Bilbo «has learned him his letters». Letteralmente «gli ha imparato» a leggere e scrivere. Questa sgrammaticatura è importante per caratterizzare il personaggio.
Nella vecchia traduzione c’è scritto «gli ha anche insegnato a leggere e scrivere».
– Nel Cap. 5, Pippin si prende gioco di Frodo dicendogli che i suoi amici avevano capito da tempo che aveva intenzione di partire, per via di una serie di comportamenti inspiegabili, tra cui «selling your beloved Bag End to those Sackville-Bagginses!», letteralmente vendere la tua amata Casa Baggins a quei Sackville-Baggins.
Nella vecchia traduzione c’è una profusione di parole: «fino al punto di vendere Casa Baggins, cosi` carica di piacevoli ricordi, a quegli odiosi Sackville-Baggins!».
Ma al di là di questi casi estremi, tutta la traduzione tende a plasmare continuamente il testo, modulandolo su uno tono medio-alto attraverso piccole modifiche della sintassi: viene cambiato il soggetto della frase, semplici aggettivi sono trasformati in forme avverbiali o participi che rendono la prosa «più elegante».
Prendiamo dei brani a caso.
– Incipit del Libro Uno Cap. 1.
La vecchia traduzione è:
Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.
Bilbo era estremamente ricco e bizzarro e, da quando sessant’anni prima era sparito di colpo, per ritornare poi inaspettatamente, rappresentava la meraviglia della Contea. Le ricchezze portate dal viaggio erano diventate leggendarie, e il popolo credeva, benché ormai i vecchi lo neghino, che la collina di Casa Bagginns fosse piena di grotte rigurgitanti di tesori.
Nella prima frase abbiamo subito un cambio della sintassi: il soggetto dovrebbe essere il binomio talk and excitement (che potremmo tradurre «chiacchiere ed eccitazione»), una squisitezza formale che dà un attacco ironico e leggero; nella vecchia traduzione il soggetto è la città. I talk and excitement, al centro dell’incipit del romanzo, sono spariti.
Nell’originale si dice che che Bilbo era la meraviglia della Contea «since his remarkable disappearance and unexpected return», letteralmente «fin dalla sua notevole sparizione e dal suo inaspettato ritorno». Gli aggettivi remarkable e unexpected sono importanti, perché sono allusioni alle dicerie che circolano su Bilbo: il suo ritorno era «inaspettato» in senso sarcastico, perché era stato dato per morto e un sacco di gente c’era rimasta male a scoprirlo ancora in vita, perché aveva preso possesso delle sue cose (compresa Casa Baggins). Ma il suo tono malizioso viene annacquato con la trasformazione degli aggettivi in avverbi piuttosto scialbi (di colpo e inaspettatamente).
I «viaggi» sono diventati «il viaggio»: certo che era stato uno solo, ma il plurale ha la funzione di riassumere le esagerazioni che circolavano su Bilbo. La «leggenda locale» delle sue ricchezze è diventato «leggendarie».
Nell’originale abbiamo «whatever the old folk might say», letteralmente «qualunque cosa possano dire i vecchi», che è un’altra allusione: evidentemente i vecchi lo negano. La traduzione dice palesemente ciò che doveva essere solo alluso: «benché i vecchi lo neghino». Si è annacquata la malizia della frase originale.
La Collina dovrebbe avere la C maiuscola, ma comunque dovrebbe essere semplicemente «piena» o «stipata», non «rigurgitante», che trasforma un aggettivo in un participio presente ed è un’immagine più letteraria e ben più forte.
– Incipit del Libro Tre, Cap. 1.
La vecchia traduzione è:
Aragorn correva veloce su per la collina, sostando di tanto in tanto solo per chinarsi a guardar per terra. Le impronte degli Hobbit sono leggere e difficili a rintracciarsi anche per un Ramingo, ma non lontano da una cima una sorgiva attraversava il sentiero, e nella terra bagnata vide ciò che cercava.
“Non mi sono sbagliato”, si disse. “Frodo è corso in cima alla collina. Chissà che cosa avrà visto! Ma poi è ridisceso per lo stesso sentiero”.
L’originale ha uno stile da romanzo d’avventura. Getta subito il lettore nel vivo dell’azione. Parte con due frasi brevi e incisive: «Aragorn sped on up the hill. Every now and again he bent to the ground». Ha un ritmo incalzante. Una traduzione letterale sarebbe: «Aragorn accelerava su per la collina. Di tanto in tanto si chinava al suolo». Nella vecchia traduzione, invece, le due frasi sono state separate da una virgola, anziché da un punto, e la seconda frase è stata allungata senza motivo, il che rende l’attacco decisamente più «formale», rispetto al testo di Tolkien, ne rallenta il ritmo e smorza l’emozione con un andamento più descrittivo.
L’elisione della vocale dell’infinito («guardare») non ha molto senso in una prosa di questo genere.
La frase «Hobbits go light», estremamente sintetica, che suona quasi come un motto, è stata resa con un ben più didascalico Le impronte degli Hobbit sono leggere.
Aragorn dice: «I read the signs aright», letteralmente «Ho letto bene i segni». È stato reso con Non mi sono sbagliato, che è una litote, una figura retorica che si usa per attenuare il tono brusco di una affermazione negando il suo contrario; si usa per «ingentilire» una frase. Ma qui non c’è niente da ingentilire, siamo nel vivo dell’azione!
In questo incipit è evidente l’intento di poetizzare un brano di prosa che è ispirato al romanzo di genere, quel tipo di letteratura solitamente considerata di «serie B» e di cui invece Tolkien era estimatore.
La parte finale, poi, è stata del tutto saltata: «and went down the hill again», cioè una cosa del tipo ed è andato di nuovo giù dalla collina.
– Incipit del Libro Cinque, Cap. 1.
La vecchia traduzione è:
Pipino sbirciò da sotto il manto protettivo di Gandalf. Si domandava se era sveglio o se dormiva ancora, trasportato dal rapido sogno nel quale era immerso fin dall’inizio della grande cavalcata. Il mondo buio scompariva veloce ed il vento rumoreggiava nelle sue orecchie. Non vedeva altro che stelle fuggitive, e all’estrema destra, come ombre imponenti, le montagne del Sud. Cercò di ricostruire le tappe del viaggio, e di valutare il tempo trascorso, ma la sua memoria era ancora torbida e incerta.
Qui il testo originale è estremamente lirico, ha un andamento quasi cantilenante e le prime frasi sono piene di allitterazioni («He wondered if he was awake» e «still sleeping, still in the swift-moving»). È certamente molto difficile da rendere in traduzione, ma pare proprio che non si sia neanche tentato.
Questo è un pezzo di grande letteratura, che vuole evocare visioni di sogno attraverso suoni, ritmo e immagini. Le stelle non sono fuggitive ma «whelling», che forse si potrebbe tradurre con vorticanti o qualcosa di simile. Il vento non «rumoreggiava: in inglese è scritto «sang, cioè «cantava/fischiava/sibilava».
Nell’originale abbiamo «vast shadows against the sky where the mountains of the South marched past», letteralmente «vaste ombre contro il cielo dove le montagne del Sud passavano oltre» è diventato solo «le montagne del Sud».
È scomparso sleepily (in modo sonnolento) e reckon the times and stages of their journey (letteralmente calcolare i tempi e le tappe del loro viaggio) si è allungato in ricostruire le tappe del viaggio e valutare il tempo trascorso.
Questi sono gli incipit dei tre volumi del Signore degli Anelli.
Nei primi due, dove il tono è più basso (leggero-comico nel primo e avventuroso nel secondo) la vecchia traduzione usa un linguaggio più paludato, più solenne. Nel terzo incipit, invece, dove il tono dell’originale è molto letterario, la traduzione lo livella verso il basso.
Tutto viene compresso in un tono medio-alto: dove l’originale è basso lo si alza, dove è molto alto lo si abbassa.
4.3 – La filosofia tradizionalista, ovvero usare il potere dell’Anello per i propri scopi
Abbiamo visto che a convincere Cattabiani a pubblicare la traduzione del Signore degli Anelli fu Elémire Zolla. Zolla era un tradizionalista, cioè aderiva alla corrente filosofica del Tradizionalismo Integrale, detto anche Perennialismo, secondo cui (in soldoni) esiste una sapienza universale ed eterna che gli uomini hanno dimenticato ma che può essere riscoperta grazie alle dottrine esoteriche.
Zolla scrisse un’introduzione in cui interpretava Il Signore degli Anelli come una forma di letteratura cavalleresca basata su simboli esoterici.
Di fatto, lo piegava alla propria corrente filosofica (quella tradizionalista, appunto) estranea alle idee di Tolkien.
Quella introduzione è presente in tutte le edizioni della vecchia traduzione Alliata-Principe.
È possibile che anche alla Astrolabio avessero in mente una lettura «spirituale» del Signore degli Anelli: fin dalla sua fondazione, Astrolabio-Ubaldini dedica una grossa fetta del suo catalogo ad argomenti di spiritualità, e religione. Ma alla Rusconi andarono al di là di questo: piegarono letteralmente il significato del romanzo.
Anche il pubblico della Rusconi era composto da persone interessate a testi «spirituali», esoterismo e metafisica, di autori come Ernst Jünger, Mircea Eliade o René Guenon. Infilarono quindi Tolkien in mezzo a queste cose.
4.4 – In che senso fu piegato il significato del Signore degli Anelli?
Per quanto possa suonare strano oggi, per lo meno ai più giovani o a chi non si è mai interessato di certi argomenti, l’esoterismo è da sempre una componente presente nel fascismo, almeno in certe forme di fascismo.
L’argomento fu sviscerato già negli anni ’70 da quella figura geniale e fuori dagli schemi che fu Furio Jesi, in particolare nel testo «Cultura di Destra».

Secondo Jesi molti movimenti e partiti fascisti (come il nazismo, la Guardia di Ferro romena e in parte anche il neofascismo italiano) sono ispirati da una «religione della morte», basata sul sacrificio umano: la morte di avversari politici e di minoranze etniche, ma anche degli stessi adepti (in guerra) permette un avanzamento della razza in senso «spirituale».
Mi scuso per il riassunto estremamente rozzo.
Un altro tema ricorrente in queste forme di fascismo «spirituale» è quello della «decadenza» dell’umanità, che si sarebbe progressivamente allontanata dalla «sapienza primordiale» a causa del progresso.
Queste tematiche provenivano dal filone di studiosi ed esoteristi della corrente tradizionalista come lo storico delle religioni Mircea Eliade (sostenitore della Guardia di Ferro) o Julius Evola (vicino al fascismo italiano e al nazismo), che ebbero grandissima influenza sul neofascismo italiano.
Il segretario del M.S.I. Giorgio Almirante definì Julius Evola «il nostro Marcuse».
E veniamo a Tolkien e all’edizione Rusconi.
Nella sua famosa introduzione Elémire Zolla scriveva che la «fiaba» di Tolkien (i grassetti sono miei):
«non celebra il consueto signore delle favole moderne, Lucifero, ma San Michele o Beowulf o San Giorgio […] egli sta parlando di ciò che tutti noi affrontiamo quotidianamente negli spazi immutevoli che dividono la decisione dal gesto, il dubbio dalla risoluzione, la tentazione dalla caduta o dalla salvezza […] Perché opera di così impalpabili forze The Lord of the Rings si divulgò smisuratamente, senza bisogno di persuasioni o di avalli, perché parlava per simboli e figure di un mondo perenne oltre che araico, dunque più presente a noi del presente».
Queste poche parole, unite ai preconcetti del pubblico italiano sulla letteratura fantastica, bastarono a inserire nel filone del Tradizionalismo l’incolpevole Tolkien, di cui dalle nostre parti nessuno sapeva nulla.
È vero che il tema del sacrificio o quello della decadenza effettivamente ci sono nel romanzo. Ma non nel senso tradizionalista. Tolkien presenta la «morte gloriosa» in modo molto critico (vedi Re Theoden e i suoi nipoti Éomer e Éowyn). La «decadenza» non spinge i protagonisti a una ricerca esoterica per tornare a una presunta sapienza primordiale: il mondo cambia, gli elfi se ne vanno, verranno tempi nuovi e sfide nuove. Per non parlare dei vari discorsi di Gandalf contro l’omicidio e il sacrificio umano (a proposito di Gollum e di Denethor che si uccide sulla pira e che vuole sacrificare suo figlio Faramir).
Tolkien era cristiano cattolico e Il signore degli Anelli ha indubbiamente una forte componente religiosa. Ma non risulta che Tolkien abbia mai pensato al suo romanzo come a una «guida spirituale», né che sia mai stato interessato all’esoterismo.
Charles Williams, suo amico e compagno del circolo letterario degli Inklings, era massone, appassionato di esoterismo e persino iscritto alla congregazione magica della Golden Dawn. Se avesse avuto una propensione per questi argomenti, Tolkien avrebbe potuto approfondirli tramite Williams. Se ne è sempre tenuto lontano.
La chiave di lettura «spirituale» è stata contestata dalla stessa traduttrice Vittoria Alliata, secondo cui Tolkien non ha alcun carattere esoterico. In realtà la Alliata ha affermato di aver voluto dare un tono più «fiabesco» al testo.
Teniamo presente anche questa affermazione.
Ad ogni modo, dopo tanti anni Quirino Principe continua a dare una lettura vicina all’esoterismo, dicendo che Tolkien tenta di «scovare gli archetipi sui quali si regge il mondo» e paragona Il Signore degli Anelli al Faust (!).
Come abbiamo visto, la maggioranza di letterati, editori e politici italiani non era pronta a comprendere un romanzo epic fantasy.
Ma un gruppetto di intellettuali di destra interpretò Il Signore degli Anelli come un’opera che inneggiava ai cosiddetti «sacri valori della Tradizione».
E così lo presentò al pubblico italiano.
Vittoria Alliata ha dichiarato di aver proposto a Rusconi, nel 1996, di rivedere il testo per correggerne gli errori e anche di scrivere una nuova introduzione, ricevendo un rifiuto a entrambe le proposte. Viene il sospetto che, a quasi trent’anni di distanza, alla Rusconi non volevano che si togliesse a Tolkien l’etichetta della «Tradizione».
4.5 – Il Registro mono-tono
Come abbiamo visto, nella traduzione Alliata-Principe veniva appiattito il linguaggio del Signore degli Anelli su uno stile medio-alto, mentre Tolkien varia il registro dal bassissimo (le sgrammaticature di Sam Gamgee e di suo padre) all’altissimo (lo stile aulico degli Elfi e dei Signori e cavalieri di Gondor e Rohan).
Secondo alcuni, a fare la differenza sarebbero stati gli interventi di Quirino Principe. Non so se sia vero, per avere un’idea dell’originale traduzione di Vittoria Alliata bisognerebbe leggere l’edizione Astrolabio de La Compagnia dell’Anello, che purtroppo non ho mai visto.
So per certo che la Alliata aveva tradotto tutti i nomi anglofoni, mentre Principe ne ripristinò alcuni, come Baggins (che nella prima versione Alliata erano «Sacconi»). Ad ogni modo, Principe sembra dare molta importanza al suo intervento sul testo: ha detto che La Compagnia dell’Anello nella edizione Astrolabio «in tre anni vendette soltanto sei copie». «Io partii prendendo come base quello che aveva fatto lei, migliorando, correggendo qualche dettaglio e revisionando le appendici. Divenne un successo».
La dinamica molto ampia di Tolkien va dal linguaggio popolare ai termini tipici dell’antica letteratura anglosassone. Queste variazioni non sono solo forma, sono cariche di significato. Ma nella traduzione Alliata-Principe è sparito tutto, è stato appiattito il testo inglese originale su un linguaggio mono-tono simil epico-cavalleresco.
Questo era funzionale alla sua strumentalizzazione.
A molti questa sembra un’affermazione eccessiva e lo capisco.
Mi spiego.
4.6 – Perché la vecchia traduzione del Signore degli Anelli contribuì a strumentalizzare il romanzo
Prendo a prestito un passo in cui Furio Jesi parla di come l’uso del linguaggio aulico ha spesso una funzione politica (i grassetti sono miei):
«Gli elementi culturali sono per così dire omogeneizzati: in questa pappa, dichiarata preziosa, ma anche ben digeribile da tutta la classe mediamente istruita, non ci sono già veri contrasti, vere punte, spigoli e durezze. […] Questo linguaggio per luoghi comuni di provenienza aulica […] è sfruttabile, ed è generalmente sfruttato, come veicolo dell’ideologia della classe dominante; ma serve a difendere quell’ideologia anche quando non mostra apparenti contenuti ideologici […] È l’elemento più caratteristico della cultura di destra».
Jesi dà una spiegazione molto precisa dell’origine di questo «parlar giusto», questo modo di esprimersi elegante ma piatto, che sa di antico ma al tempo stesso non ha alcun rapporto con la storia. Il succo è che questo linguaggio conferisce autorevolezza perché si richiama a un passato mitizzato e irreale, che ignora i reali fatti storici oppure li deforma. Questo tipo di linguaggio è sempre usato a scopi «reazionari», cioè per difendere il potere e chi lo controlla.
Il linguaggio usato da Tolkien, invece, è completamente diverso.
Nel Signore degli Anelli tutto è collegato ai processi storici.
Lo so che sembra strano, per un romanzo fantasy, ma è proprio così.
Facciamo degli esempi.
La spada di Aragorn non è importante perché è un simbolo tradizionale o un qualche tipo di strumento magico spuntato dal nulla. È la precisa spada (riforgiata) di Elendil, usata da suo figlio Isildur per mozzare il dito di Sauron e sottrargli l’Anello; e l’Oscuro Signore la teme per questo motivo. Inoltre, per Aragorn è una prova materiale di essere il legittimo erede al trono di Gondor. Nel mondo fittizio di Tolkien, la spada del re non è un simbolo, è un oggetto storico.
L’Anello stesso è un manufatto storico. E Gandalf lo scopre a seguito di una lunga ricerca che è a tutti gli effetti la ricerca di uno storico che consulta i testimoni viventi (Bilbo, Gollum, Denethor) e i materiali d’archivio (a Minas Tirith).
Ma Tolkien mette il suo romanzo anche in rapporto con la storia del mondo reale.
I Rohirrim, per esempio, sono modellati sugli antichi anglosassoni e il loro linguaggio e il loro modo di comportarsi non sono ispirati a un «antico» qualsiasi, a un passato non meglio precisato: il loro linguaggio e la loro cultura sono plasmati su quelli dei veri anglosassoni.
Cosa c’entra tutto questo con lo stile e i registri linguistici?
Tutto, perché nel Signore degli Anelli il registro linguistico si incastra costantemente con questi «eventi storicizzati».
Tutto il romanzo può essere interpretato come un viaggio nel passato da parte degli hobbit.
La Contea è plasmata sulla tipica campagna inglese, abitata da borghesi e contadini, dove si beve il tè e si fuma la pipa. E dove si parla l’inglese moderno.
Quando escono dalla loro terra, entrano in un mondo plasmato sul modello dell’alto medioevo, sulle saghe norrene e anglosassoni, dove si parla un inglese più arcaico, basato sulle lingue di quegli antichi popoli.
L’uso della lingua da parte di Tolkien è strettamente legato alla storia, sia a quella di Arda (il suo mondo inventato) sia a quella del mondo reale.
Il romanzo è scritto sempre in lingua inglese, ma l’inglese cambia molto a seconda del contesto. Popoli diversi parlano un inglese diverso. E persone dello stesso popolo possono parlare con sfumature diverse.
Gli Hobbit si esprimono in inglese moderno, ma Frodo, Merry e Pippin, che hanno una buona cultura, parlano in maniera mediamente elegante, mentre Sam, che non è altrettanto fortunato, parla in modo colloquiale e a volte pronuncia errori grammaticali.
Gandalf parla in modo forbito quando interloquisce con elfi e sovrani, ma in modo molto più semplice quando si rivolge agli hobbit.
Vale anche per le descrizioni.
Finché siamo nella Contea prevale l’uso di un inglese moderno, ma quando arriviamo a Lothlórien o a Gondor la lingua del narratore si fa molto più complessa, piena di arcaismi e costruzioni sintattiche ispirate all’inglese antico.
C’è un illuminante saggio scritto da Thomas Honegger, studioso tedesco di letteratura medievale e dell’opera di Tolkien, dal titolo «L’Ovestron tradotto in inglese moderno – i traduttori e la rete di linguaggi tolkieniana». L’articolo si trova tradotto in italiano sul secondo numero dei Quaderni di Arda, rivista dedicata a Tolkien pubblicata da Eterea Edizioni (a cura dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani).

Dice Honegger:
«Un’attenta traduzione in un’altra lingua dovrebbe prendere in considerazione questa differenza di tono e registro, mirando a ottenere l’effetto desiderato anche attraverso l’utilizzo di espressioni dialettali come elemento tipico della parlata hobbit. Tolkien ha utilizzato questa tecnica con una maestria e una coerenza tali che è stato possibile identificare la parlata della Contea con un dialetto della zone dell’Oxfordshire e Warwickshire».
E riporta anche un appunto preso da Tolkien all’epoca in cui stava scrivendo i capitoli ambientati a Rohan:
– Lingua della Contea = inglese moderno
– Lingua di Vallea = norreno
– Lingua di Rohan = anglosassone.
Si vede come la lingua inglese usata da Tolkien è «calata nella storia», la storia di Arda e la storia del mondo reale.
Ovviamente riprodurre differenze così articolate in una traduzione in italiano, una lingua che ha una storia e una struttura molto diverse dall’inglese, è un gran casino. Ma questo non può valere come scusa per omologare tutto.
Invece, il linguaggio della vecchia traduzione del Signore degli Anelli è appiattito su un registro mono-tono e finto-antico, che fa pensare a qualcosa dei secoli passati ma non ha alcun legame con la storia. È proprio quello che Furio Jesi chiamava linguaggio del «lusso spirituale», che serve a richiamare un passato che è una «pappa omogeneizzata» e che non ha alcun legame con la storia. Ed è tutto uguale, nella Contea come a Rohan.
Nella vecchia traduzione non è concepibile che un eroe come Sam Gamgee parli come un esponente della classe operaia. Si arriva all’assurdo per cui Sam si esprime nella stessa maniera di Elrond e di Denethor.
Ecco perché la vecchia traduzione, oltre a tradire il senso del complesso uso del linguaggio di Tolkien, è funzionale alla lettura reazionaria e di destra data dai tradizionalisti della Rusconi.
4.7 – Altri pregi e difetti dell’edizione Rusconi
Va detto che, dopo il fallimento dell’impresa di Astrolabio, se non fosse stato per questi personaggi sarebbero passati molti anni prima di vedere una nuova edizione del Signore degli Anelli in Italia.
Attraverso il pertugio dell’esoterismo di destra, il capolavoro del professore è potuto arrivare a milioni di Italiani.
Al tempo stesso, comunque, Rusconi portava il volume nelle librerie con una fascetta che diceva una cosa tipo:
«Il libro culto degli yippies americani»
Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Si cercava di piegare il significato del testo alle idee della destra intellettuale, ma al tempo stesso di piazzarlo anche ai giovani di sinistra.
Come è noto, la fascetta non funzionò: l’Italia divenne l’unico posto al mondo dove Il Signore degli Anelli era considerato un libro da neofascisti.
Sono stato adolescente nella prima metà degli anni ’90, a più di vent’anni dalla prima pubblicazione, e a quel tempo era ancora così che veniva considerato il Signore degli Anelli.
L’edizione Rusconi aveva però una cosa molto bella: le copertine di Pietro Crida.
Per un amante del minimalismo grafico come il sottoscritto, quelle copertine sono state una meravigliosa fonte di ispirazione. Oltretutto mi ricordano lo stile dei paesaggi disegnati dallo stesso Tolkien per Lo Hobbit.
Questa qui sotto è la mia copia di una delle prime edizioni economiche realizzate da Rusconi, risale al 1974.
L’ho ereditata (sono nato tre anni dopo la sua uscita) ovviamene senza la fascetta, di cui ho solo sentito parlare.
È la copia su cui ho letto e amato il Signore degli Anelli la prima volta.
Non so perché il primo volume mi si distrusse tra le mani mentre lo leggevo, invece gli altri due hanno retto piuttosto bene alla prova del tempo.

ATTENZIONE SPOILER: se non hai mai letto il romanzo né visto i film, NON GUARDARE LE PROSSIME IMMAGINI!
La cosa forse più irritante di questa edizione è che spoilerava direttamente nella quarta di copertina.
Cioè, ti rigiravi il libro tra le mani chiedendoti se leggerlo e… ti diceva già il finale!

Come se non bastasse, la famosa introduzione di Zolla entrava ancora di più nei dettagli.
Se prima di iniziare il romanzo leggevi l’introduzione, ti eri giocato tutta la sorpresa.
Io l’avevo letta.

Siamo al totale disprezzo del semplice, meraviglioso piacere del romanzesco.
La Rusconi ha poi passato varie traversie, finché nel 1999 (se non erro) Bompiani acquisì tutto il suo catalogo. Che nel frattempo si era arricchito di altri titoli con la firma di Tolkien.
5 – Arriva Bompiani
All’inizio degli anni 2000, la Bompiani pubblicò un’edizione della vecchia traduzione del Signore degli Anelli riveduta dalla Società Tolkieniana Italiana. La STI vedeva tra i suoi dirigenti persone vicine all’estrema destra e che producevano fra le altre cose materiale sul tradizionalismo e su Julius Evola.
Comunque sia, gli «orchetti» tornavano a essere «orchi» e i «vagabondi» erano di nuovo «troll». Avevano dato una spolverata al vecchio cimelio e l’avevano rimesso in vendita.
Questa è una copia dell’edizione del 2003 in volume unico.

Poi anche la Bompiani passò varie traversie: nel 2015 Mondadori divenne un mega-gigante editoriale acquistando tutta la RCS (di cui faceva parte anche Bompiani).
Giustamente l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) intervenne e obbligò Mondadori a lasciare qualche fetta del mercato anche agli altri.
Così, nel 2016, Mondadori ha ceduto la Bompiani al gruppo Giunti.
In questo nuovo clima, nel 2018, ha iniziato a circolare la voce che Bompiani avrebbe prodotto una nuova traduzione del Signore degli Anelli.
6 – Storia della nuova traduzione del Signore degli Anelli
Dalla Bompiani hanno dichiarato nel gennaio 2019 che l’idea di produrre una nuova traduzione del Signore degli Anelli era maturata perché «da sempre Bompiani lavora a nuove traduzioni di opere di classici e classici contemporanei […] nello spirito di una manutenzione accurata del catalogo».
6.1 – Il nuovo traduttore e l’AIST
La notizia che qualcuno stava lavorando a una nuova traduzione del Signore degli Anelli era stata data ad aprile del 2018. Si disse da subito che ci stava lavorando un traduttore professionista esperto di letteratura inglese (c’è una pagina Wikipedia su di lui ☞Ottavio Fatica). E che alla traduzione aveva collaborato una nuova associazione nata pochi anni prima, la Associazione Italiana Studi Tolkieniani.
Tra le varie cose interessanti che ha fatto l’AIST c’è la fondazione della Tana del Drago, un centro studi su Tolkien nel paese medievale di Dozza (Bologna).

Per realizzare questo centro studi l’AIST nel 2018 organizzò un crowdfunding a cui diedi un microscopico contributo (economico ma anche in termini di pubblicità, parlandone su questo blog), per il quale ricevetti in cambio una maglietta dove mi si conferisce il titolo ovviamente immeritato di founder.

Partecipai alla colletta perché mi piaceva l’idea che persone ben più esperte di me avessero un luogo di riferimento fisico per produrre materiale di qualità su Tolkien e sul fantastico in generale e sono felice di averlo fatto. Purtroppo sono riuscito ad andare a visitare la Tana del Drago solo molti anni dopo (sono di Roma, ho famiglia, lavoro etc.).
A tutti i fan di Tolkien che capitano da quelle parti consiglio di farci un salto.
Tornando a noi, tra i soci fondatori dell’AIST c’erano persone che da anni si interessavano a Tolkien e si erano formati leggendo i testi di celebri critici di fama mondiale, come Tom Sheppey e Verlyn Flieger e che non condividevano l’impostazione italiana tradizionalista.
Ad aderire alla nuova associazione, poi, ci fu il celebre scrittore Federico Guglielmi in arte Wu Ming 4. In particolare, la sola vicinanza del nome Wu Ming è bastata a dare adito a polemiche: non solo perché il collettivo Wu Ming è noto per l’impegno politico a sinistra; Wu Ming 4 aveva pubblicato nel 2013 il libro «Difendere la Terra di Mezzo» in cui ripercorreva la storia editoriale del romanzo. Al centro del volume c’è un capitolo in cui l’autore smonta la lettura simbolista-fascista tipicamente italiana.

Si tratta di un bel libro, che avevo letto nella prima edizione in formato elettronico (si scarica qui dal sito ufficiale di Wu Ming) e di cui è poi uscita una versione aggiornata e ampliata per Bompiani nel 2023, che ho comprato e riletto.
È una vera pietra miliare della critica tolkieniana in Italia, lo consiglio caldamente.
E insomma, così è scoppiata la Guerra dell’Anello.
6.2 – Paletti imposti dalla casa editrice
Alcuni commentatori hanno avanzato l’ipotesi (mai verificata) che la casa editrice abbia imposto dei paletti riguardo la traduzione dei nomi: alcuni dovevano essere tradotti, altri no, alcuni dovevano essere tradotti ma in modo diverso dalla vecchia traduzione.
Si tratta di voci mai confermate ufficialmente. Mi limito a riportarle perché Ottavio Fatica è stato duramente attaccato per aver modificato i nomi di luoghi e personaggi, ma non possiamo essere certi che si sia trattato sempre di scelte volute da lui.
6.3 – Il Coinvolgimento del fandom
Dopo la prima edizione della nuova traduzione del Signore degli Anelli, tramite l’AIST, sono stati segnalati alla casa editrice una serie di refusi rilevati dai fan. Gli errori sono stati corretti e non sono presenti nelle edizioni successive.
Si tratta di un bel esempio di come la comunità del fandom può essere utile agli editori per alzare il livello qualitativo dell’offerta culturale.
Personalmente apprezzo molto quando le iniziative nate dal basso trovano ascolto fra chi poi realizza materialmente i prodotti culturali.
Penso però che questo ascolto potrebbe spingersi ben oltre e che in questo caso si sarebbe dovuto fare. Ma ne parleremo dopo, a proposito dei difetti della nuova traduzione del Signore degli Anelli di Ottavio Fatica, che comunque ci sono.
6.4 – La guerra delle traduzioni del Signore degli Anelli
In una intervista fatta al Salone del Libro di Torino nel 2018, quando la nuova traduzione era ancora lontana dall’essere pubblicata, il nuovo traduttore Ottavio Fatica disse delle cose poco lusinghiere sulla vecchia traduzione Alliata-Principe.
Parlò di cinquecento errori a pagina. Diceva che non c’era paragrafo senza lacune o sbagli. E faceva riferimento a un’abitudine della Alliata: quella di raddoppiare gli aggettivi:
«Placido e tranquillo, rapido e veloce, misero e magro, crudeli e maligni dove l’originale era feroci. Sembra uno stilema di Tolkien, invece è il suo», diceva Fatica.
La Alliata, giustamente, si è offesa. Ma non ha mandato giù il rospo, ha sporto querela e chiesto alla Bompiani di prendere le distanze da questa denigrazione.
Oltretutto, aveva da poco scoperto che il suo contratto era scaduto dal 2016 (al cambio di proprietà da Mondadori a Giunti). Ne nacque un contenzioso legale.
Alla Bompiani affermarono di aver proposto alla Alliata di rinnovare il contratto e di rivedere la vecchia traduzione, per mantenerla sugli scaffali accanto alla nuova, ma di non aver ricevuto risposta.
Alla fine del 2019, la vecchia traduttrice pubblicò una lettera aperta in cui riassumeva i fatti dal suo punto di vista: diceva di aver ricevuto un’offerta «vessatoria», che consisteva in un compenso di 880 euro annui per il periodo 2016/2019 e una revisione della vecchia traduzione che definisce «sotto tutela», con la quale si sarebbe fatta una nuova edizione che avrebbe incluso una sua introduzione.
A seguito di questa offerta, Vittoria Alliata impose alla Bompiani di ritirare dal commercio tutte le edizioni della sua traduzione, sia cartacee che elettroniche.
Infine, dopo molti rimandi, il 30 ottobre del 2019 la nuova traduzione del Signore degli Anelli è arrivata nelle librerie. Ed è scoppiato un macello.
Nella prima settimana dall’uscita, su Amazon hanno iniziato a piovere recensioni.
E quasi tutte negative.
Tutta gente con tanto tempo libero da poter leggere 200 pagine al giorno?
Ecco qualche screenshot, tanto per capire il tenore.
Alcuni di questi recensori sono reo confessi: hanno letto solo un estratto.



Sembrano prese da un Manuale delle recensioni fasulle. In effetti esiste un manualetto del genere →una pagina Wikihow.
Incredibile come queste ricalchino tutte le caratteristiche delle recensioni false:
☞Brevi
☞Non argomentano e restano piuttosto superficiali
☞Usano termini sensazionalistici («agghiacciante» o «nomi presi da Fantaghirò» o «il traduttore ha fumato oppure ha bevuto»).
Perché questa roba?
A quale scopo queste recensioni farlocche?
Col passare delle settimane, hanno iniziato ad apparire anche molte recensioni positive.
Guarda caso, le recensioni positive sono generalmente piuttosto articolate e dettagliate.
Qualcosa di analogo è capitato a questo articolo: a pochi giorni dalla pubblicazione, hanno iniziato a fioccare i commenti, molti dello stesso tenore delle recensioni negative qui sopra.
Ma perché la nuova traduzione è stata attaccata con tutta questa veemenza? Cos’è stato a scatenare la rabbia dei vecchi fan?
7 – Perché tutti criticano la nuova traduzione del Signore degli Anelli?
Proverò a fare un’analisi delle critiche principali che sono state mosse.
Questa parte dell’articolo è basata soprattutto sulla mia esperienza coi commenti (e gli improperi) ricevuti in questi anni.
7.1 – L’unica vera traduzione è quella vecchia!
Molto spesso si legge in rete che «l’unica vera traduzione del Signore degli Anelli è quella di Alliata», perché sarebbe stata fatta con la «partecipazione del Professore», al quale la ragazza scriveva in caso di dubbi ricevendo sempre risposte puntuali.
A lavoro ultimato, Tolkien avrebbe detto di considerarla «una delle migliori traduzioni realizzate».
Purtroppo la fonte di queste informazioni è la Alliata stessa, infatti non esiste alcun riscontro scritto, né altre testimonianze. Magari un domani spunterà fuori qualche tipo di prova, sarebbe una perla inestimabile per i fan italiani, chi può dirlo.
Resta il fatto che alcuni ammiratori considerano la vecchia traduzione l’unica degna di esistere, sulla base di queste affermazioni della vecchia traduttrice.
Consideriamo però la cosa con un po’ di obiettività.
La traduzione Alliata è scritta in un italiano elegante e fluente. Ed era l’unica traduzione in lingua italiana mai fatta.
Oltretutto, Tolkien veniva da alcune esperienze tragiche, come la prima traduzione in svedese fatta da Åke Ohlmarks, personaggio controverso che Tolkien considerava «un uomo molto presuntuoso» (lettera 204), la cui versione è considerata una parafrasi totale o quasi. Qualcosa di simile era capitato con l’olandese.
È piuttosto comprensibile dunque che la traduzione in un buon italiano, abbastanza aderente al testo (per gli standard dell’epoca), fatta da una giovane studentessa italiana colta, perspicace e bendisposta verso l’autore lo avesse soddisfatto.
Questo significa che non se ne possono fare altre? O che sia la migliore possibile?
Inoltre, nessun classico della Letteratura viene tradotto una volta e poi basta.
Quante traduzioni in italiano sono state fatte di Shakespeare? O dei poemi omerici?
Tolkien stesso sosteneva l’importanza di ritradurre continuamente i classici!
Forse fra altri cinquant’anni i giovani italiani troveranno la traduzione di Ottavio Fatica vecchia e improponibile. Forse esisteranno altre decine di traduzioni. E forse non interesseranno a nessuno perché tutti leggeranno fluentemente l’inglese.
7.2 – La nuova traduzione del Signore degli Anelli è stata fatta per motivi politici?
Un’altra affermazione che ho trovato spesso in rete (anche tra i commenti a questo articolo) è che la nuova traduzione del Signore degli Anelli è stata fatta per motivi politici.
Una frase che può significare diverse cose.
Significa che è stata fatta per togliere alla destra il monopolio di Tolkien in Italia?
Prima di tutto, ci sono buoni motivi per credere che il monopolio della destra sul Signore degli Anelli scricchiolasse già da anni: da quando Tolkien è diventato un fenomeno pop, in seguito all’uscita della trilogia cinematografica di Peter Jackson.
Ad ogni modo, la nuova traduzione del Signore degli Anelli (che non è accompagnata da nessuna introduzione, a differenza della vecchia traduzione), è nata allo scopo di avere una versione italiana più corretta e aderente al testo originale. L’uscita dalla nicchia della destra tradizionalista, semmai, è un effetto secondario, dovuto al fatto che nessuno cerca più di strumentalizzare l’opera di Tolkien.
Significa che è stata fatta per far apparire Tolkien e la sua opera «di sinistra»?
Chi avrebbe avuto interesse a fare un’operazione del genere?
La Bompiani?
E perché alla Bompiani dovrebbero impelagarsi in una simile follia? Sarebbe una mossa suicida dal punto di vista sia commerciale che della credibilità come operatore culturale.
Sono stati quelli dell’AIST?
Mi pare improbabile, anche perché l’AIST ha avuto solo un ruolo di consulenza, non ha avuto alcuna responsabilità o possibilità decisionale nelle scelte finali dell’editore. In pratica l’AIST ha dato solo alcuni pareri tecnici al traduttore, che poi però ha fatto quello che voleva lui.
Allora è stato Ottavio Fatica?
Non ho idea di quali siano le preferenze politiche di Ottavio Fatica, ma perché avrebbe dovuto fare una cosa così folle, che gli avrebbe probabilmente distrutto la carriera? E nessuno nella casa editrice si sarebbe accorto di questo suo sabotaggio?
Ma anche volendo, per trasformare il testo in modo da farlo sembrare «di sinistra», si dovrebbe fare qualcosa di simile a quello che si era fatto con la vecchia traduzione (che, quella sì, lo faceva sembrare «di destra»): inserire una introduzione con una forte connotazione politica e fare una traduzione manipolatoria del testo.
Non è obiettivamente stata fatta nessuna delle due cose.
Significa che si è voluto adattare il romanzo alla «cultura woke» e al «politicamente corretto», in nome della «cancel culture»?
Un’obiezione simile è stata mossa, tra gli altri, da Vittoria Alliata e dal suo intervistatore Oronzo Cilli in un articolo su Il Giornale; tra l’altro hanno fatto queste affermazioni prima che la nuova traduzione fosse pubblicata (ne parliamo sotto).
È falso, non c’è stata alcuna manomissione del testo originale, nessuna frase cancellata o doppi sensi inseriti o rimossi. La nuova traduzione del Signore degli Anelli è stata letta da molti studiosi italiani di Tolkien e da migliaia di fan, compresi i suoi detrattori: nessuno è stato in grado di rilevare alcuna modifica o cancellazione del testo originale.
7.3 – Perché i nuovi nomi fanno schifo!
Fin dall’uscita della nuova traduzione del Signore degli Anelli, la questione dei nomi cambiati è stata al centro delle polemiche.
Per la mia esperienza con questo articolo, nella prima fase gli attacchi alla nuova traduzione erano di segno politico: i fan italiani di destra si sono sentiti «derubati» del loro «testo sacro» e, non avendo altri appigli, (perché non l’avevano letta) hanno aggredito l’operazione editoriale attaccandosi alla faccenda dei nomi.
Con il tempo, però, anche tantissimi lettori non-politicizzati si sono lamentati dei nomi cambiati, soprattutto perché, a detta loro, sono stati cambiati in peggio.
Il mio parere su questa faccenda lo rimando alla sezione in cui parleremo dei difetti della nuova traduzione. Per ora dico solo che i nomi non sono stati affatto cambiati in peggio. Il problema è che i vecchi nomi sono quelli usati nei film di Peter Jackson, cioè sono parte integrante della «pop-izzazione» di Tolkien e della Terra di Mezzo. Lo stesso problema, infatti, c’era stato qualche anno prima con le nuove traduzioni dei romanzi di Harry Potter, dove molti nomi di personaggi erano stati semplicemente riportati agli originali inglesi e questo era bastato a far infuriare schiere di fan che conoscono i film a memoria.
Mi limito a dire questo.
Non mi capacito che, su 1200 pagine di romanzo, per tanta gente contino soltanto alcuni nomi di alcuni personaggi o alcuni toponimi. E tutto il resto? Centinaia di migliaia di parole, anni di lavoro, di ricerche etimologiche, di consultazioni con esperti, di tira e molla… E poi per tanta gente conta solo la faccenda ramingo/forestale.
È una cosa così importante che vale la pena litigare e insultare le persone?
Se la risposta è sì, alzo le mani.
8 – Chi ha la colpa di questa guerra
Il mio parere è che tutti gli attori in campo si siano mossi come elefanti in una cristalleria. Anzi, come mûmakil (olifanti).
Mi ci metto in mezzo pure io.
Sull’onda dell’emozione per questa epocale novità, nelle prime versioni di questo articolo usai toni decisamente troppo enfatici e parole avventate di cui mi pento. A mia discolpa, non potevo immaginare che il mio articolo sarebbe balzato in cima alla serp di Google e che negli anni sarebbe arrivato a superare le 100mila visualizzazioni totali: nessun altro articolo del mio blog ha mai raggiunto cifre simili, neanche lontanamente. Probabilmente è stato letto o almeno leggiucchiato o sbirciato praticamente da tutti quelli interessati all’argomento.
Quindi, non volendo, nel mio piccolo devo aver contribuito ad esacerbare la discussione. Ma non è comunque il caso che mi sopravvaluti: gli stracci volavano già da mesi.
Ottavio Fatica ha mostrato davvero poco buon senso nell’insultare la vecchia traduzione in un contesto istituzionale come il Salone del Libro di Torino. Usare un’iperbole come «500 errori a pagina» è un’innegabile mancanza di rispetto per un’operazione editoriale che, con tutti i suoi limiti, fu portata avanti in modo avventuroso, quando nessun altro aveva l’interesse o la volontà di farlo e Tolkien era un autore del tutto sconosciuto in Italia. E il mercato editoriale era molto diverso.
D’altra parte, pur non avendo nessuna cognizione di come funzionino i contratti editoriali, 880 euro l’anno per un testo come il Signore degli Anelli sembrano strani. Forse non lo sono, ma un chiarimento da parte di Bompiani su questa faccenda avrebbe aiutato.
Detto questo, se la casa editrice avesse veramente fatto qualcosa di illecito, la questione poteva risolversi in tribunale, anziché nelle librerie. A decidere di far ritirare dal mercato tutte le copie della vecchia traduzione è stata Vittoria Alliata. E tutti quelli che la difendono a spada tratta devono riconoscerle la responsabilità di questa scelta nefasta per la cultura tolkieniana in Italia.
A pagare le spese di questa diatriba sono stati i fan, prima di tutti.
Va anche detto che l’accusa di aver fatto errori nella sua traduzione la Alliata l’aveva ricevuta anche da Quirino Principe: come abbiamo visto il vecchio curatore ha affermato, anche se con un tono più sobrio, di aver dovuto correggere molti errori all’epoca della prima edizione Rusconi. I modi più cortesi non cambiano la sostanza dell’accusa. Ma non ho notizia di querele a Quirino Principe.
In un’intervista su Il Giornale in cui replicava alle accuse, la Alliata s’è poi francamente alienata ogni simpatia da parte del sottoscritto. L’intervistatore è Oronzo Cilli, altro studioso tolkieniano, che ha intitolato l’articolo così:
«Giù le mani da Tolkien. Sì alla poesia no all’ideologia»
La nuova traduzione non era ancora uscita e da destra si diceva che era improntata all’ideologia. E lo ha scritto la persona che, qualche anno dopo, è stata assunta per curare la mostra su Tolkien voluta dal governo Meloni!
In riferimento al raddoppio degli aggettivi, poi, la Alliata ha detto di Ottavio Fatica:
«Costui ha preso per errori delle forme espressive dantesche, come l’endiadi e la dittologia, che evidentemente ignora. […] Venivano usati dal Poeta per esprimere e rafforzare dei concetti […] A chi non le conosce non si può certo affidare la traduzione d’importanti autori»
Insomma, la Alliata rivendica il diritto di infilare questi raddoppi dove non ci sono perché è una roba tipica di Dante Alighieri.
Ma il passaggio più agghiacciante dell’intervista è forse quello in cui si dice che la Bompiani vuole «travestire Il Signore degli Anelli in foggia Lgbt in ossequio al nuovismo».
Ebbene sì, sono arrivati a dire questo.
Che fai, non ce la metti un po’ di Teoria del Gender?
E poi cos’altro? I protocolli dei Savi di Sion?
Dai, mettiamoci pure un complotto di George Soros!
Anni prima, lei stessa si era detta consapevole di come il Signore degli Anelli fosse stato strumentalizzato da «una certa destra culturale italiana». Oggi Alliata di Villafranca è diventata l’eroina della schiera di fan del Signore degli Anelli appartenenti proprio a quell’area politica: quelli che da giovani frequentavano o avrebbero voluto frequentare i «campi hobbit», per capirci. E d’altronde, le sue dichiarazioni e frequentazioni hanno mostrato quanto meno una certa contiguità di vedute con quell’area politica.
Non ci sono state solo le sgangherate recensioni su Amazon e gli articoli su giornali di destra.
Post in cui si affossava la nuova traduzione del Signore degli Anelli sono comparsi in molti blog (per la maggior parte malcelati blog di estrema destra, ma non solo). Ma questa è manovalanza.
Sono arrivati anche i pezzi grossi.
A Gennaio 2019 si è svolto un incontro in una location di grande prestigio, presieduto dall’onorevole Maurizio Gasparri (di cui tutti, credo, conosciamo l’area di provenienza).
All’incontro ha partecipato anche lo Storico Franco Cardini, (medievista ex iscritto al MSI e al movimento neofascista Jeune Europe).
Fra gli interventi intellettuali ce n’è uno che è schizzato in cima alle ricerche su Google, un articolo pubblicato sull’Huffington Post, scritto da Cesare Catà (filosofo, scrittore, traduttore) →questo qui.
Catà si complimenta per la decisione di ritradurre Il Signore degli Anelli, ma poi boccia la nuova traduzione, dicendo di preferire quella vecchia.
E il motivo è il seguente.
La versione di Alliata sarebbe un testo epico-cavalleresco, mentre quella di Fatica «toglie Tolkien dal genere epico per porlo nel genere contemporaneo della Young Adult Fiction».
È una teoria che si è letta spesso in giro e che prosegue il filone Cilli-Alliata del «nuovismo», dell’idea che si sia voluto «ammodernare» un classico stravolgendone la natura.
È una opinione talmente priva di fondamento che c’è da dubitare che chi la esprime abbia davvero letto la nuova traduzione del Signore degli Anelli.
«lì avevano scoperto un sentiero tracciato in epoca remota che ormai pochi osavano intraprendere. S’inerpicava su per la montagna fino a un alto luogo sacro dove soltanto i re erano usi andare. […] E da lì osservarono le terre, perché era mattino; e videro le torri della Città molto più in basso come bianchi pennelli lambiti dalla luce del sole, e tutta la valle dell’Anduin come un giardino, e le Montagne dell’Ombra erano velate da una bruma dorata […] vedevano il fiume svolto siccome un nastro fino a Pelargir e, più in là, una luce sull’orlo del cielo evocava il mare».
Ma magari i romanzi young adult fossero scritti così.
9 – Analisi della nuova traduzione degli Signore degli Anelli
La nuova traduzione del Signore degli Anelli è in generale una traduzione ben fatta, c’è la mano di un professionista e si vede. Non sono emersi errori gravi come nel caso della vecchia traduzione, è evidente il tentativo di dare il senso dello stile di Tolkien al pubblico di lingua italiana, con i suoi picchi dinamici, la variazione dei registri linguistici e l’uso di termini arcaici o desueti o con significati oggi poco conosciuti.
Ottavio Fatica ha molti anni di esperienza nella traduzione della letteratura inglese e si percepisce chiaramente.
Va detto però che questa traduzione alcuni difetti ce li ha.
In particolar modo, Fatica ha fatto un lavoro enorme cercando di restituire in lingua italiana l’uso di Tolkien degli arcaismi, ma trovo che abbia troppo spesso superato il confine tra il voler rendere l’effetto dell’originale e darne una rilettura personale, mettendo termini desueti dove l’originale è molto più immediato. Il risultato è che in alcuni tratti il testo si appesantisce senza motivo.
La lettura della nuova traduzione è generalmente piacevole, ma poi si inciampa in parole francamente stonate, che fanno storcere la bocca e rompono l’incanto della narrazione.
9.1 – Errori nella nuova traduzione del Signore degli Anelli
Erano stati rilevati alcuni problemi nella prima edizione. Ad ogni modo questi difetti sono stati corretti nelle edizioni successive.
Quello che ho fatto nel mio piccolo è andare a controllare come erano stati trattati i passaggi in cui si trovavano gli errori della vecchia traduzione. Mi risultano tutti tradotti correttamente, ma mi permetto di fare le seguenti notazioni.
Si è scelto di continuare a numerare i libri con i numeri ordinali e i capitoli con numeri romani, invece dei meno altisonanti numeri arabi. Che però sono quelli usati da Tolkien. Io non trovo una giustificazione a questa modifica dell’originale.
Il termine «Shieldmaiden».
Purtroppo anche nella nuova traduzione non abbiamo una totale uniformità: nella prima occorrenza (Libro Cinque Cap. 2) questa parola è stata tradotta come guerriera. Nelle altre tre occorrenze (Libro Sei Cap. 5) come fanciulla guerriera. Secondo me non ha senso usare fanciulla-guerriera, perché una shield-maiden non sembra avere una particolare connotazione anagrafica, né deve essere necessariamente una vergine. Éowyn parla di se stessa semplicemente come di una shieldmaiden, senza altri aggettivi. A me sembrerebbe più corretto attenersi sempre e solo a un generico «guerriera».
– Nel Libro Sei Cap. 3, «shone now as if verily it was wrought of living fire» (riferito all’Anello) è stato tradotto da Fatica come «Ora brillava come se davvero fosse contesto di fuoco vivo».
Fatica fa uso spesso della parola «contesto», termine indubbiamente colto che è aggettivo derivato dal verbo contessere e che significa intrecciato, tessuto insieme e, in senso figurato, composto con oppure messo insieme a.
Come abbiamo già detto, «wrought» è un termine intraducibile in italiano, perché significa al tempo stesso ornato, ma anche fabbricato (nel senso di un prodotto artigianale) e, nel caso di oggetti di metallo, forgiato.
Tolkien ha usato questo termine in modo ambivalente, sfruttando almeno due dei suoi significati: ornato e fabbricato-forgiato. È una sfumatura importantissima, perché siamo nel momento in cui l’Anello torna al luogo in cui è stato creato per essere distrutto. Qui si conclude la storia dell’Anello, che compie un percorso circolare (e non è da escludere che uno come Tolkien trovasse divertente il fatto che la storia di un anello avesse un andamento circolare). Il riferimento inserito dall’autore alla fabbricazione-forgiatura mi pare essenziale.
La frase originale è impossibile da rendere in modo letterale, ma l’utilizzo di «contesto» secondo me inserisce un riferimento alla tessitura laddove era necessario uno alla forgiatura.
9.2 – I Registri linguistici
La nuova traduzione tenta di riproporre l’effetto della variazione dei registri linguistici usata da Tolkien. È un’operazione più complessa di quanto possa sembrare, perché, come abbiamo accennato, nel testo originale si fa ampio utilizzo di forme linguistiche provenienti dall’antico anglosassone o dal norreno, in un complesso intreccio tra il mondo primario e quello secondario. Davvero difficile rendere tutto questo nella lingua italiana, tanto diversa dall’inglese per forma e storia evolutiva.
Ottavio Fatica ci prova, facendo largo uso di termini desueti e ricercati, che spesso trovano agganci nella storia della letteratura Italiana. I capitoli ambientati nella Contea hanno un tono leggero e moderno mentre, man mano che ce ne allontaniamo assieme agli hobbit, quando il mondo si fa sempre più strano, fantastico, eroico e «antico», il linguaggio si arricchisce di arcaismi, termini aulici e aggettivi che precedono i nomi.
Un termine che mi ha colpito fin dalla prima lettura della nuova traduzione del Signore degli Anelli è stato «cotica», per indicare lo strato di erba con le relative radici e il terriccio a cui si aggrappa. Questa parola può far storcere il naso, perché suona come un arido tecnicismo. Eppure la si ritrova più volte nella Trilogia dell’Altipiano di Mario Rigoni Stern, in cui il grande scrittore asiaghese parla di lunghi viaggi a piedi tra le montagne, delle devastazioni portate della guerra, di amicizia, della bellezza della vita semplice e dell’importanza di difendere la natura. Vi fanno venire in mente qualcosa, questi temi?
Il nome di Passolungo è stato usato da Fatica per tradurre Strider (al posto del vecchio Grampasso) perché è un riferimento alla traduzione italiana di un racconto di Lev Tolstòj, dedicato a un cavallo di nome Cholstomér, che nella versione firmata da Corrado Alvaro è «Passolungo: storia di un cavallo». Siccome poi Frodo, verso la fine del romanzo, decide di chiamare il suo cavallino Passolungo, il riferimento al cavallo assume un doppio rimando. Infine, Fatica ha raccontato di avere poi scoperto che, nella versione inglese del racconto di Tolstoj, «Cholstomér» è stato tradotto Strider.
Se nella nuova traduzione ci sono riferimenti interessanti e collegamenti più o meno diretti con autori italiani e non, l’uso di termini aulici e ricercati a volte suona eccessivo. Si è certamente cercato di sopperire all’intraducibilità di alcuni termini e giochi linguistici di Tolkien inserendo arcaismi e forme poetiche dove l’originale risulta più piano e scorrevole; ma spesso il risultato è di far incagliare il testo in parole che suonano messe a forza e che spingono improvvisamente il lettore fuori dall’immersione narrativa.
La mia prima lettura della nuova traduzione del Signore degli Anelli mi aveva entusiasmato per la ricchezza linguistica e la variazione del tono. Ma alle successive riletture ho cominciato a notare una serie di dettagli che suonano come veri e propri inciampi.
L’impressione generale è che a volte il nuovo traduttore si sia fatto prendere la mano in una ricerca manichea di sofisticatezze che non sempre sembrano avere lo stesso effetto dell’originale in lingua inglese.
A me pare che nella scrittura di Tolkien tutto abbia sempre una motivazione, un collegamento con la storia e i suoi personaggi oppure un ammiccamento al lettore. Non credo che il professore avrebbe mai inserito una parola arcaica solo perché dava il senso di una roba antica. Altrimenti si rischia di incorrere nello stesso problema della traduzione Alliata-Principe, di usare un «linguaggio per luoghi comuni di provenienza aulica», cioè il «parlar giusto» che diceva Furio Jesi, che sembra nobilitante ma che non vuol dire niente.
Col passare del tempo ho iniziato a sospettare che Ottavio Fatica abbia avuto qualche problema a entrare davvero in sintonia con Tolkien. E questo si riflette in parte sulla traduzione.
9.3 – Un Traduttore non tolkieniano
Fatica non aveva letto il Signore degli Anelli, prima di iniziare il suo lavoro, è un fatto noto.
Non so quanto questo possa essere collegato ai problemi che riscontro nella sua traduzione. E nessuno può essere sicuro che un traduttore fan di Tolkien sarebbe riuscito a fare un lavoro qualitativamente migliore. Però trovo un collegamento tra un certo modo di affrontare il testo e certe cose dette in pubblico dal nuovo traduttore.
Tra il 30 novembre e il 1 dicembre 2020 si è svolto un convegno presso l’Università di Trento dal titolo «Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore». Al convegno hanno parlato diversi traduttori di Tolkien (italiani e non), tra cui anche Ottavio Fatica. Gli atti del convegno sono poi stati pubblicati nel numero dei Quaderni di Arda che abbiamo già citato, che si apre proprio con l’intervento di Fatica, che così ha potuto essere letto da tante persone che non erano a Trento quel giorno, me compreso.
Il discorso di Ottavio Fatica mi ha lasciato perplesso.
Mi aspettavo una relazione un po’ più tecnica sul suo lungo lavoro; le spiegazioni tecniche non sono mancate, ma sono state solo una parte delle 18 pagine di intervento. Molte pagine sono dedicate alle critiche a Tolkien.
Prima di procedere una nota: l’incontro di Trento è del 2020, ma nel frattempo Ottavio Fatica non ha cambiato idea: in un incontro del 2025 di cui è stata pubblicata una registrazione video su YouTube ha detto le stesse cose.
Dicevamo.
Racconta di aver scoperto i versi nascosti nella prosa di Tolkien e che li ha tradotti usando anche lui versi nascosti. Ma non ci dice dove sono. Ne aveva già parlato in altri interventi, ma stavolta speravo che entrasse più nel dettaglio, invece no. Con versi nascosti intende l’uso della scrittura in versi all’interno di un’opera in prosa ma senza incolonnarli e senza usare rime, che li renderebbero più facilmente identificabili. I «versi nascosti» sono difficilissimi da scovare, è possibile trovarli leggendo ad alta voce, ma possono sfuggire lo stesso.
Scrive Fatica:
«Partirò da una breve carrellata sulle critiche più degne di rispetto, ormai tacitamente cantonate per pigrizia, ignoranza, convenienza o cecità dai più. Ma sempre valide».
Credo che in questo contesto valga la pena darci un’occhiata, a queste critiche «sempre valide».
9.4 – Osservazioni sulle critiche di Ottavio Fatica
Fa i complimenti a Tolkien, dice che ha «fantasia, visionarietà, ritmo narrativo incalzante, senso animistico della natura, solida tenuta nei passi di crescendo epico e molto altro ancora». Ma è tutto qui, meno di due righe per dirci cose che capisce anche chi legge Tolkien per la prima volta.
Il dubbio nasce spontaneo: per Fatica questo «tanto altro ancora» esiste o è solo una formula di cortesia?
Il rifiuto degli intellettuali italiani
Inizia giustificando la stroncatura fatta da Vittorini che sconsigliò a Mondadori la pubblicazione del Signore degli Anelli, perché, dice «la bocciatura italiana rispondeva al gusto dell’epoca. Qui da noi dovevano ancora smaltire, dopo averlo imposto, il realismo americano di una generazione precedente».
A me questo discorso non è chiaro, sono sincero. Non metto in dubbio la conoscenza della storia della letteratura e dell’editoria italiana da parte di Fatica, ci mancherebbe. Ma mi sembra dare per scontati dei concetti che forse non lo sono.
In che senso bisognava «smaltire il realismo americano»? Nel senso che esiste una sorta di percorso evoluzionistico, per cui si doveva digerire una corrente letteraria precedente, per apprezzare qualcosa di completamente diverso? Le due cose non potevano coesistere?
Non c’erano altri fattori in gioco? Non c’era una tendenza degli intellettuali italiani a voler imporre un certo tipo di visione del mondo e della cultura, mettendo in secondo piano la qualità delle opere? Sappiamo che Vittorini scartò anche Il Gattopardo e Il Dottor Zivago, che valse il premio nobel a Pasternak.
Non ha avuto un peso importante il fatto che gli intellettuali italiani fossero legati a una visione ortodossa del marxismo, nella stessa epoca in cui i filosofi della Scuola di Francoforte proponevano con grande successo un marxismo anti-sovietico, rinnovato e molto più aperto? Come abbiamo visto, solo L’Uomo a Una Dimensione di Marcuse vendette 250mila copie in Italia.
Sbaglierò, ma sono dell’idea che era la classe dirigente italiana a non essere pronta ad apprezzare Il Signore degli Anelli. Mentre non ci sono motivi per pensare che i ragazzi italiani non lo fossero.
Sono convinto che la contrarietà al fantastico della classe dirigente italiana abbia fortemente contribuito a creare una barriera culturale, con conseguenze sull’editoria italiana che ancora adesso ci portiamo dietro. I lettori italiani di oggi sono affamati di fantastico e il genere è un traino potente per tutto il mercato editoriale; al tempo stesso però c’è una radicata diffidenza verso gli scrittori italiani di fantastico, come se fossero intrinsecamente inadatti al genere (che non è ovviamente vero).
L’origine di questo antico male merita una certa attenzione, credo.
Gli Anacronismi
Fatica poi ci racconta dei tanti anacronismi, delle incongruenze linguistiche, dei latinismi, grecismi e francesismi che non dovrebbero esserci in un testo ambientato nella Terra di Mezzo; come pony, night-walkers, driade, babele, Geronzio, Sancho o falange; all’elenco io aggiungerei «naftalina» (che è nata negli anni ’20 dell’800). È un argomento molto interessante.
Secondo lui, si tratta di veri e propri errori da parte di Tolkien, che usa degli escamotage per giustificarli, come la traduzione dall’ovestron.
Nella finzione narrativa, Il Signore degli Anelli è la traduzione in inglese del Libro Rosso della Marca Occidentale, scritto in lingua ovestron.
A volte, Tolkien usa parole e nomi moderni ma sostiene che vengano dalle antiche lingue della Terra di Mezzo, oppure che abbiano origini diverse da quelle che uno si aspetterebbe: come il cognome Cotton che non verrebbe da cotone, oppure il soprannome Sharkey che non verrebbe da squalo. Dice Fatica:
«Passa dalla filologia alla narrativa, o viceversa, quando e come più gli aggrada o gli conviene? Prende in giro? Perché no? Ma allora perché tanto rigore in altri casi? O è seriosità? Non può metterla in burletta perché alle strette, per uscire da una trappola. Troppo comodo. È sleale nei confronti del lettore».
Come lettore non ho mai pensato che Tolkien fosse «sleale». Penso che Il Signore degli Anelli è un gioco e che, come tutti i giochi, può essere a tratti serissimo, a tratti scherzoso. A volte usa dei normalissimi stratagemmi narrativi: perché tutti gli anacronismi non potrebbero essere imputati al finto traduttore dall’ovestron all’inglese? Cosa c’è di «sleale»?
Sicuramente io non sono attenndibile perché faccio «parte di una setta», ma a me pare evidente che certi anacronismi sono dei giochi voluti, almeno alcuni di quelli nella Contea (vedi il fuoco d’artificio a forma di drago «che passò come un treno espresso» o, appunto, la naftalina). Tolkien vuole rendere l’ambientazione ambigua; la società degli hobbit è ricalcata sul mondo agricolo inglese di fine ‘800-primi del ‘900 (anche se privato di tutta la tecnologia). Questa ambiguità è funzionale a quello che sembra essere una sorta di viaggio nel passato compiuto da Frodo e compagni quando lasciano Bree insieme ad Aragorn. È un tema centrale. Se non si capisce questa cosa del viaggio nel tempo, secondo me, non si capisce un aspetto cruciale del romanzo.
La preveggenza
A proposito del fatto che Gandalf prevede che Gollum avrà un ruolo importante nella storia, dice: «Una soluzione dettata da esigenze narrative, frutto magari dei calcoli a ritroso dell’autore, assurge a destino».
Lo ha detto per spiegarci quanto, secondo lui, fosse ingenua la lettura di Wystan Hugh Auden, il poeta anglo-americano che fu uno dei pochi intellettuali (ma non l’unico) ad accogliere positivamente Il Signore degli Anelli all’epoca della sua prima pubblicazione.
Ma non è come protestare davanti a un gioco di prestigio dicendo che «è solo un trucco»?
Stupire i lettori, giocare col loro desiderio di meraviglioso sfruttando tutti i mezzi a disposizione non fa parte del ruolo di un bravo narratore?
Senza contare che la preveggenza ha un ruolo importantissimo in tutto il romanzo. Non è una prerogativa del solo Gandalf, ma anche di Aragorn e di Elrond, per non parlare di quando Frodo e Sam guardano nello specchio di Galadriel. Tolkien sfrutta questo artificio per introdurre il tema a lui caro della provvidenza e per dare più spessore ai personaggi e al modo in cui si evolvono.
Fare candidamente a pezzi gli orchi
Fatica ha esposto la critica (certo non nuova) al fatto che nel Signore degli Anelli gli esseri malvagi sono sterminati senza pietà e Gimli e Legolas fanno «a gara a chi ammazzerà più orchi». La superficialità di questa osservazione mi pare lampante: nel Signore degli Anelli il tema dell’uccisione dei nemici è trattato in modo tutt’altro che banale e carico di significati per il nostro presente.
Nel mondo di Tolkien alcune creature, quando compiono il male, hanno diritto alla redenzione, mentre altre no. Oppure ce l’hanno ma con molti però. La questione è complessa e pare che neanche Tolkien sia mai stato in grado di risolverla.
Incredibilmente, proprio nei giorni in cui stavo scrivendo queste righe, Paolo Nardi (youtuber profondo conoscitore dell’opera di Tolkien e membro dell’AIST) ha pubblicato un video dal titolo «Gli Orchi possono essere redenti?» in cui approfondisce la questione come io non sarei mai stato in grado di fare. Ne consiglio la visione.
Ad ogni modo, il punto è che per il cristiano Tolkien gli uomini hanno il libero arbitrio, dunque hanno sempre la possibilità di scegliere il bene e quindi di essere perdonate. Ma per le creature nate nel male la faccenda è diversa. Quanto sono libere di scegliere? Potrebbero mai pentirsi? Si può parlare di libero arbitrio, nel loro caso?
Coloro che scelgono la via del male, come i landumbriani, gli haradrim, oppure Saruman, Gollum o Vermilinguo non vengono mai assassinati, sono sempre oggetto di misericordia. Non importa se continuano a sbagliare. A Saruman viene offerta per varie volte la possibilità di tornare sulla retta via e mai viene giustiziato perché si rifiuta.
Ma gli orchi possonno scegliere di fare del bene? Tutto fa pensare di no.
Chiedersi se sia giusto sterminare gli orchi senza pietà è un po’ come chiedersi se in un film di zombie è giusto che i protagonisti facciano a pezzi tutti i morti viventi che incontrano.
Nel Signore degli Anelli traspare una riflessione su questi temi. Cosa che, per esempio, non ho trovato nell’amico di Tolkien C.S. Lewis, dove al contrario gli antagonisti sono sempre aggrediti e massacrati senza pietà e senza alcun tipo di riflessione etica (sia nelle Cronache di Narnia, sia nella Trilogia Cosmica).
La domanda è: se penso di essere nel giusto, ho diritto di sterminare i miei nemici?
La risposta nel Signore degli Anelli sembra essere: dipende.
Se i nemici sono esseri umani la risposta è no, inequivocabile. Che non è una banalità, visto che nel mondo continuano a perpetrarsi genocidi.
Se non sono esseri umani, la faccenda è più complessa e si porta dietro un carico di domande a cui non sappiamo rispondere. Si tratta di orchi capaci solo di odiare, distruggere e uccidere? Zanzare portatrici di malaria? Ratti che infestano i centri storici delle città che noi abbiamo reso troppo sporche e inquinate? Animali selvatici che ci disturbano e spaventano? Dove sta il confine tra male e bene, tra giusto e sbagliato? Tolkien non sembra aver trovato una soluzione e ha lasciato la questione aperta.
Che il traduttore del Signore degli Anelli si faccia una risatina su un tema complesso come questo non è segno di una certa superficialità?
Credenza primaria e credenza secondaria
Ottavio Fatica ha poi esposto la teoria tolkieniana della differenza tra credenza primaria (legata al mondo reale) e credenza secondaria (legata al «mondo secondario», cioè quello inventato), secondo cui c’è sempre il rischio di cedere alle lusinghe della fantasia e applicare la credenza primaria al mondo secondario; cioè, in pratica, credere che il mondo di fantasia sia reale o quasi e non volerne più uscire (che poi è uno dei temi centrali de La Storia Infinita di Michael Ende; ma non divaghiamo).
«La fantasia muore, diventa illusione morbosa», dice Fatica. «Ed ecco che il lettore vagheggia Frodo impelagato in altri frangenti e reclama nuove avventure».
Poi, a proposito di quanto i fan elogiano Tolkien, dice: «Non occorre sostenerlo a ogni piè sospinto, non sta cadendo […] A vederlo così sorretto sembra di avere a che fare con un catafalco. La non unanimità del suffragio è l’ossigeno dell’arte. Mai pensare di un libro: qui sta la Verità».
Se vi state chiedendo perché l’autore della nuova traduzione del Signore degli Anelli ha ritenuto di dover dire queste cose a un convegno dedicato a Tolkien e la traduzione, siamo sulla stessa barca. Ma una cosa è chiara: Ottavio Fatica si riferisce ai fan. Dirò di più: ho il sospetto che non solo non apprezzi il fandom, ma che non lo abbia capito.
Non credo ci sia molto da aggiungere, se non che ancora oggi, dopo tanti decenni, dobbiamo continuare a constatare come per molti intellettuali sia impossibile comprendere il semplice gioco di essere fan, di continuare anche da adulti a essere un po’ ragazzini, a rileggere, riguardare, comprare cianfrusaglie, attaccare adesivi, collezionare, discutere, perfino mascherarsi. Non solo questo: per certe persone è impossibile capire il gioco di innamorarsi perdutamente della narrativa di evasione. E che Tolkien, nonostante fosse uomo di immensa cultura e grande studioso, giocava a questo stesso gioco.
Non posso ovviamente parlare per tutti i fan, ma francamente mi pare un po’ ridicolo pensare che per un ammiratore il Signore degli Anelli possa contenere la «Verità». La definizione di «setta» non è solo offensiva: è il segno dell’incapacità di capire un fenomeno culturale di portata globale.
Che il traduttore del Signore degli Anelli non sia un fan non è un problema. Ma che non abbia capito queste cose è un po’ triste, questo sì.
Difendere Fatica a tutti i costi?
Non frequentando i social, non posso riportare cosa s’è detto delle parole di Ottavio Fatica nei forum e nei gruppi, sempre che siano state commentate.
Wu Ming 4 ha detto la sua in un articolo per il sito dell’AIST, che poi è stato ripubblicato da Eterea Edizioni in Il Fabbro di Oxford – Scritti e interventi su Tolkien.

Sono un ammiratore di Wu Ming 4, sia come studioso di Tolkien che come romanziere (mi è piaciuto molto il suo La Vera Storia della Banda Hood). Ma in questo caso non posso proprio essere d’accordo.
In buona sostanza Wu Ming 4 difende Ottavio Fatica, dice che: «di questo sguardo esterno, disincantato, professionale, noi tolkieniani abbiamo bisogno per arieggiare il nostro ambiente, se non vogliamo che diventi autoreferenziale, asfissiante, asfittico».
Io tutta quest’aria fresca nel discorso di Fatica non ce l’ho sentita. Anzi, ho trovato la riproposizione di critiche vecchie di decenni e spesso superate. Ad ogni modo, credo che lo «sguardo disincantato» si dovrebbe applicare anche alla nuova traduzione del signore degli Anelli e al suo traduttore. La nuova traduzione del Signore degli Anelli è bella ed è un importante passo avanti, però qualche difetto ce l’ha. E questi difetti sono anche legati a certi limiti tipici di molti intellettuali che si scontrano con Tolkien e con la narrativa fantastica in generale.
9.5 – Le nuove traduzioni dei nomi
La faccenda dei nuovi nomi del Signore degli Anelli è stata talmente discussa, sia dagli specialisti che, diciamo, a un livello «più basso» («il nuovo traduttore ha ha fumato troppa erba pipa», oddio che risate) che è difficile parlarne senza provare un senso di stanchezza e anche di noia.
Sono stati ritradotti molti dei nomi, quasi tutti in effetti. In generale, tutte le nuove traduzioni hanno dietro un ragionamento e un approfondimento. Al nuovo traduttore va senza dubbio riconosciuto il merito di aver sempre cercato di trovare nomi che riproponessero il senso di quelli originali voluti dall’autore.
È stata la scelta corretta? Col passare del tempo mi sono convinto che lo è stata fino a un certo punto, ma ne parliamo sotto.
Prima facciamo alcuni esempi, per far capire il modo in cui si è lavorato.
– I farthings nella vecchia traduzione erano Decumani. Come in molti altri casi, Tolkien ha usato una parola che ha un significato moderno e uno più antico, giocando con questa ambiguità. In old english feorðing significava «un quarto» e, secoli dopo, la parola farthing è andata a indicare una moneta (oggi non più in uso) del valore di un quarto di penny. Il termine è rimasto per indicare qualcosa di scarso valore. Dunque, in lingua originale il fatto che gli hobbit chiamino le quattro parti in cui è suddivisa la Contea «farthings» ha una effetto un po’ comico.
«Decumano» non ha nulla di comico, oltre al fatto che richiama l’organizzazione militare e urbanistica dei romani, piuttosto fuori luogo nella Contea. Resta però che il termine originale è intraducibile. Fatica ha trovato «Quartiero», che è una forma antica per quartiere e che, in effetti, anticamente indicava la quarta parte di una città. Ha una effetto vagamente buffo, anche se non come l’originale per i madrelingua inglesi.
– La locanda Prancing Pony nella vecchia traduzione era Puledro impennato. Ovviamente un pony non è un puledro e la differenza non è da poco, perché si tratta di una locanda frequentata sia da uomini che da hobbit e questi ultimi cavalcano i pony; dunque il nome suona come un invito a frequentarla per la «gente piccola»: fa pensare a un luogo sicuro e accogliente per quattro hobbit stanchi, impauriti e inseguiti dal nemico sotto un temporale.
Il termine «prancing» è usato in araldica. In lingua italiana la tradizione araldica richiede che per il cavallo si usi «inalberato».
Molti hanno polemizzato sostenendo che «inalberato fa pensare a arrabbiato» e che sarebbe stato più bello «rampante». Ma per l’araldica tradizionale italiana sarebbe un errore inaccettabile, perché rampante si può usare solo per i leoni. L’unico termine accettabile è inalberato e quindi Fatica ha tradotto «Cavallino Inalberato».
Suona bene? Secondo me no.
Si poteva trovare una traduzione migliore? Secondo me no.
Il proprietario del Prancing Pony è Barliman Butterbur, che nella vecchia traduzione era Omorzo Cactaceo. Butterbur in italiano è il farfaraccio e perché la traduzione Alliata-Principe lo abbia trasformato in un aggettivo legato ai cactus è un mistero. «Omorzo» invece è una buona idea perché è una traduzione di barley-man, cioè «uomo dell’orzo», dunque Omorzo. E infatti Fatica lo ha tenuto, ma correggendo il cognome in «Farfaraccio».
Samwise Gamgee nella vecchia traduzione era «Samvise», che era una semplice italianizzazione basata sull’assonanza. Ma sam-wise sta per «mezzo saggio», ovvero sciocco o sempliciotto. Fatica ha recuperato un vecchio nome italiano caduto in disuso da secoli, «Simplicio», trasformando la i in a così da poter mantenere la stessa abbreviazione Sam del testo originale.
Mi piace Samplicio Gamgee? No.
Si poteva fare una traduzione migliore? Ne dubito.
Sulla questione di Ranger rimando all’articolo di approfondimento scritto da Wu Ming 4, contenuto in Il Fabbro di Oxford ma leggibile gratuitamente sul sito dell’AIST: Aragorn il Forestale, uno studio filologico.
Ad ogni modo, questo è in assoluto quello che ha più aizzato i detrattori.
Il termine inglese «ranger» oltre a significare «guardaboschi», «guardiacaccia» e simili, significa altre cose: vagabondo (in senso dispregiativo) e un particolare corpo d’armata delle truppe americane (i cui eredi sono i moderni Texas Ranger).
Il termine usato da Tolkien è un insieme di tutte queste cose.
La vecchia traduzione si basava anche questa volta soprattutto sull’assonanza (ranger – ramingo) ma, dal punto di vista del significato, riduce la complessità dell’originale a un solo significato, per di più edulcorandolo: ramingo ha un accento poetico, è nobilitante; è la solita tendenza della vecchia traduzione a modificare il testo verso un tono lirico-cavalleresco.
L’inadeguatezza di ramingo diventa evidente quando deve essere applicata a Faramir e alla sua truppa, perché raminghi non ha alcuna accezione militare ed è indubbiamente fuori luogo.
Con «Forestale», Fatica invece ha condensato insieme i molteplici significati del termine originale.
L’obiezione più comune è «mi fa pensare ai guardaboschi!» Esatto! È esattamente quello che hanno pensato i lettori di lingua inglese quando hanno letto per la prima volta The Lord of the Rings.
Con la questione dei nomi credo che possiamo fermarci qui, perché abbiamo capito il metodo con cui si è proceduto: scoprire il significato che Tolkien aveva pensato per i nomi della sua storia e cercare di trovare qualcosa che desse lo stesso effetto in lingua italiana.
Ora (anche a seguito di alcuni scambi di commenti con alcuni lettori di questo articolo), sono arrivato alla conclusione che ritradurre i nomi sia stato un errore. Non nel senso che si dovessero lasciare quelli Alliata-Principe, che erano evidentemente quasi tutti inadeguati, ma che si dovessero ripristinare i nomi originali in lingua inglese.
La logica alla base dell’idea che i nomi vanno tradotti è la seguente: se, nella finzione narrativa, Il Signore degli Anelli è la traduzione in inglese del Libro Rosso scritto da Bilbo e Frodo, allora una traduzione italiana deve tradurre in italiano tutti i termini inglesi, compresi i nomi. In effetti ha senso.
Il problema di questo approccio è che non tiene conto dei fattori extra-letterari, di ciò che sta intorno all’opera di Tolkien.
Non siamo più nell’Italia dei primi anni ’70. Oggi le persone prendono lo smartphone per andare su un social network a fare scrolling dove leggono della nuova shitstorm che ha colpito la famosa influencer, ma vengono interrotti dallo spot creato dal team pubblicitario della corporation che punta tutto sulla customer retention… eccetera eccetera. La lingua inglese fa parte della nostra quotidianità.
Anche il lettore che apre per la prima volta Il Signore degli Anelli sa qualcosina sul conto di Tolkien e ha già sentito nominare gli hobbit, Sauron e l’Anello del potere. Probabilmente ha già visto i film. Chiunque quando legge della Contea si rende conto che fa pensare alla campagna inglese: in un’ambientazione simile non suona meglio «Samwise» che «Samplicio»?
E d’altra parte, che senso ha che certi hobbit abbiano nomi italofoni e cognomi anglofoni?
Fatica ha detto di essersi pentito, che avrebbe dovuto tradurre tutti i nomi hobbit. Così saremmo tornati al «Frodo Sacconi» a cui aveva pensato originariamente Vittoria Alliata? Al solo pensiero mi sento mancare.
A mio modesto parere resta necessario tradurre alcuni toponimi come Contea, Vecchia Foresta, Poggitumuli, Pian della Battaglia, eccetera; e i nomi-soprannomi, che devono avere un un’intellegibilità immediata, come Passolungo, Ombromanto, Vermilinguo o Barbalbero. Ma continuare a ibridare o pretendere di tradurre tutto secondo me oggi è anacronistico e inutile.
Analisi di alcuni capitoli
Al di là delle impressioni avute durante la lettura (e riletture) della nuova traduzione del Signore degli Anelli di Ottavio Fatica, ho pensato che fosse utile un’analisi un po’ più approfondita, «compulsando» alcuni capitoli. È una cosa che ho voluto fare per me, prima di tutto, ma che penso possa risultare interessante anche per altri.
Ho scelto i primi capitoli dei libri dispari, ovvero quelli che aprono i tre volumi della trilogia.
Libro Uno, Capitolo 1: «Una festa attesa a lungo»
L’impressione generale che ho di questo capitolo è che risulta scorrevole, piano, leggero e giocoso e, per quello che sono in grado di capire, molto simile all’originale, laddove la vecchia traduzione suonava più paludata, inutilmente seriosa. Tuttavia, ci sono alcuni «inciampi» per me inspiegabili.
Il primo lo trovo già alla seconda pagina, ed è la traduzione di the Gaffer, che nella versione Alliata-Principe era stato reso con la parola inesistente in lingua italiana «Gaffiere», per il solito modo di procedere che prediligeva l’assonanza al significato.
Stando a vari dizionari online, gaffer è una parola «informal», che ha diversi significati, tra cui «persona responsabile di altri lavoratori», quindi capo, caposquadra e simili, ma anche uomo anziano; e poi c’è il significato per il quale questa parola si incontra spessissimo nei titoli di coda dei film americani, cioè capo elettricista.
Evidentemente, riferito al padre di Sam, Hamfast Gamgee, che è un giardiniere, il soprannome Gaffer sta a significare che è una persona anziana che ha trascorso la vita a fare un lavoro di tipo operaio, ma molto rispettata nella comunità perché considerata di grande esperienza, capace di spiegare agli altri le cose. Infatti sappiamo che ha insegnato il mestiere al figlio. La prima volta che lo incontriamo, sta spiegando cose ad altri hobbit «proletari» come lui (sulla storia della famiglia Baggins).
Ottavio Fatica ha scelto di tradurre the Gaffer con il Veglio.
Ora «veglio» è evidentemente un termine tutt’altro che «informal», ma «antico e poetico», stando al Treccani. Significa vecchio e degno di nota, ma non ha nulla a che fare coi membri della classe operaia. Anzi, in bocca a loro suona decisamente improbabile.
Poche pagine più avanti, troviamo la traduzione di Dale (la città abitata da uomini ai piedi della Montagna Solitaria), che Ottavio Fatica ha reso con «Vallea».
A quanto mi risulta, la parola dale è utilizzata ancora oggi nell’Inghilterra settentrionale per indicare una zona ricca di valli o anche semplicemente una valle. Questa parola viene dall’antico inglese, ma sembra essersi attestata per influenza del norreno dalr (abbiamo visto che per i nomi di quell’area della Terra di Mezzo, Tolkien si è ispirato al norreno).
Scegliendo di tradurre Dale con Vallea, Fatica ha tradotto con un termine poetico e arcaico. È vero che nell’originale c’è una parola usata solo in una ristretta area geografica e che quindi suona curioso per la maggior parte dei lettori anglofoni; ma è un termine così aulico?
Durante la festa di compleanno di Bilbo, a un certo punto una coppia di hobbit, presa dall’euforia sale su un tavolo, e Tolkien dice che iniziano a ballare una «pretty dance, but rather vigorous», letteralmente, una una danza bella ma piuttosto vigorosa. Fatica traduce con «un gran bel ballo ma gagliardo assai».
Quando Bilbo si infila l’Anello e sparisce davanti a tutti, solo il vecchio Rory Brandibuck capisce che «quel vecchio pazzo» di Baggins se n’è andato di nuovo, per poi dire a se stesso «But why worry?», letteralmente «Ma perché preoccuparsi?»
Fatica traduce con «A che pro preoccuparsi?»
Poi Bilbo torna a casa per prepararsi alla partenza e ci trova Gandalf, che ammette di aver emesso un lampo per far credere di essere responsabile dell’improvviso «vanishment» di Bilbo, che Fatica traduce con «sparigione». E qui forse ha fatto bene, perché mi risulta che vanishment sia una forma obsoleta. Immagino che Tolkien abbia messo in bocca a Gandalf parole come questa per dare l’idea di un essere antico che, pur cercando di parlare in modo semplice quando è in presenza degli hobbit, ogni tanto si fa scappare qualche termine in disuso. Tolkien usa le parole arcaiche in modo funzionale al racconto.
Libro 3, Capitolo 1: «La Dipartita di Boromir»
Il capitolo si apre con la frase «Aragorn sped on up the hill», letteralmente «accelerava» sulla collina. Fatica ha tradotto «Aragorn s’inerpicava in fretta su per la collina». A me pare abbastanza lontana dall’originale per costruzione, ritmo e soprattutto senso. «Inerpicarsi» è «arrampicarsi faticando», ma nell’originale Aragorn non sembra avere alcuna difficoltà: non solo va veloce sulla salita di Amon Hen, ma addirittura «accelera».
Subito dopo, arrivato in cima al colle, Aragorn si siede sull’antico seggio in grado di dare una vista portentosa e leggiamo: «Then sitting in the high seat he looked out», letteralmente «sedendosi sull’alto seggio guardò/osservò/controllò». Nella nuova traduzione leggiamo: «Poi, sull’alto seggio assiso, si guardò intorno». Perché la posticipazione del verbo? E perché l’aulico «assiso invece del semplice «seduto, dove l’originale porta un normalissimo «sitting»?
Quando Boromir esala l’ultimo respiro, Aragorn commenta amareggiato: «Thus passes the heir of Denethor», letteralmente: Così passa l’erede di Denethor, che Fatica traduce: «Così viene a mancar l’erede di Denethor. Non mi piace molto il troncamento del verbo «mancare», la frase originale suona elegante e semplice al tempo stesso, mentre così suona un po’ ridicola, fa l’effetto «armata Brancaleone» (formula usata dallo stesso Fatica). Ma non è questo il problema. Qui il traduttore sembra non essersi accorto di una finezza del professore.
Alla morte di Denethor (Libro Cinque, Cap. 7), Gandalf usa la stessa formula per la morte del padre di Boromir: «So passes Denethor son of Ecthelion», ma lì Fatica non ha usato lo stesso verbo e ha tradotto: «Così è perito Denethor figlio di Ecthelion».
Sono due momenti di svolta della trama, forse un pizzico di pignoleria in più ci sarebbe voluta. È un parallelismo molto bello ed è un peccato che si perda.
Quando pongono Boromir sulla barca con le armi affidando il suo corpo al fiume Anduin, Tolkien dice che il defunto «floated by them», letteralmente «galleggiò accanto a loro». Fatica traduce: «Trascorse accanto a loro». «Trascorrere» è una forma letteraria per dire correre attraverso o anche solo passare. Ottavio Fatica usa spesso questo verbo, anche se nella maggior parte dei casi nel senso più comune di passare il tempo
In questo brano lo scrive per tradurre to float, altre volte per tradurre to pass o to pass over, oppure to flow. (fluire, scorrere). Mette questa forma letteraria per tradurre verbi che a me sembrano piuttosto comuni in inglese, per altro ogni volta diversi.
Il capitolo si chiude con la frase «Trascorrevano, ombre grigie su landa petrosa» per tradurre «They passed away, grey shadows in a stony land», dove al posto di un semplice pietroso Fatica ha optato per il letterario petroso.
Poco prima, Aragorn spiega a Legolas e Gimli che Frodo è scappato, seguito da Sam, per proseguire la sua missione senza di loro, e Gimli commenta: «That was a strange deed!» e Aragorn risponde: «And a brave deed». Letteralmente: «È stato uno gesto strano!», «E un gesto coraggioso».
Fatica ha tradotto: «Strano come gesto!» e la risposta di Aragorn è: «Un gesto coraggioso». È cambiato il senso della frase.
Nell’originale Aragorn aggiunge un aggettivo alla definizione di Gimli, dice che il gesto di Frodo è stato sì strano, ma anche coraggioso. Nella versione di Fatica Aragorn corregge Gimli, gli dice che il gesto è stato coraggioso, non strano. Non è una sfumatura da poco, perché nella traduzione Aragorn suona sicuro di sé, ha già capito tutto e spiega le cose ai suoi compagni meno avveduti.
Nella versione originale invece suona dubbioso: il suo coraggioso prosegue lo strano di Gimli, Aragorn sta formulando i pensieri in quel momento, sta ancora ragionando, non è sicuro di niente. In tutto questo capitolo il nostro è gravato dai dubbi, si sente in colpa e inadeguato al suo compito.
Libro Cinque, Capitolo 1: «Minas Tirith»
Si tratta di un capitolo complesso, in cui si alternano registri narrativi diversi, che definirei lirico-descrittivo, lirico-drammatico, epico, comico. La resa della traduzione secondo me è altalenante.
L’apertura è totalmente parafrasata, senza motivo apparente: Tolkien ha scritto: «Pippin looked out from the shelter of Gandalf’s cloak», letteralmente Pippin guardò (sbirciò) fuori dal rifugio del mantello di Gandalf». La traduzione è: «Protetto dal mantello di Gandalf, Pippin sbirciò fuori».
Subito dopo c’è: «The dark world was rushing by and the wind sang loudly in his ears». Letteralmente: il mondo oscuro correva/s’affrettava e il vento cantava/fischiava nelle sue orecchie. La traduzione è: «Il mondo tenebrato trascorreva ratto e il vento soffiava sonoro nelle orecchie». Abbiamo il participio passato del verbo letterario tenebrare per tradurre un semplice dark, il verbo trascorrere per un altrettanto semplice rush e soffiava sonoro per sang (passato di to sing, che oltre a cantare, è anche emettere un suono lamentoso o fischiante). L’aggettivo possessivo «his» (suo) non c’è.
Poco più avanti ancora abbiamo «but his memory was drowsy and uncertain», letteralmente ma la sua memoria era sonnolenta e incerta. La traduzione è «ma la memoria, sonnacchiosa, nicchiava».
Nelle prime pagine del capitolo ci sono vari passaggi di questo tipo, con termini letterari o desueti al posto di parole inglesi di uso corrente e cambi della sintassi. Per esempio questo stravolgimento: al posto di «It was twilight: the cold dawn was at hand again», abbiamo «Sul far del giorno ecco di nuovo i primi freddi albori», dove la semplice locuzione it was twilight, (letteralmente era il crepuscolo) concisa e troncata dai due punti, è resa con sul far del giorno, senza i due punti. Il resto è parafrasi.
Quando Pippin e Gandalf entrano nella sala del trono, Tolkien ci dice che il pavimento era «inset with flowing traceries of many colours» e la traduzione è «rabescato di leggiadri motivi variopinti». Rabescato è participio passato del verbo rabescare, derivato da rabesco, forma non comune di arabesco. Al di là dell’anacronismo (non esistevano gli arabi) che si può tranquillamente perdonare, la differenza tra inset e rabescato è notevole. L’uso di inset come verbo è probabilmente poco comune in lingua inglese, ma il suono della parola non credo. Tutt’altra faccenda è rabescato in italiano, che è piuttosto insolito per l’assenza della a.
Tolkien non ci dice cosa è rappresentato sul pavimento, dice solo che c’erano motivi colorati e fluenti (ma poi perché «leggiadri»?). Eppure a me il contesto fa pensare a forme di animali e piante, piuttosto che ai pattern geometrici con cui ci si riferisce con arabesco e i suoi derivati.
Al termine di queste pagine descrittive, la traduzione sembra scorrere con più aderenza al testo e leggiamo di Pippin alle prese con Denethor, con Gandalf, con Beregond e suo figlio Bergil. Fa eccezione la parte descrittiva del paesaggio del Pelennor, quando lo hobbit sta affacciato sulle mura insieme a Beregond. Allora abbiamo gli sbrendoli di nuvole per wisps of clouds (letteralmente ciuffi di nuvole), oppure il deeper gloom a oriente (letteralmente oscurità più profonda) che è reso con tenebrore. E l’hammer stroke (letteralmente : colpo di martello) che diventa una mazzata. E più avanti troviamo girth (letteralmente circonferenza, per indicare la grande pancia dell’obeso Forlong) è reso addirittura con epa.
Opinione Complessiva
Alla luce di questi raffronti, mi sento di dire che la traduzione di Ottavio Fatica non può essere definita «filologica».
L’aggettivo «filologica» è stato utilizzato spesso dai sostenitori della nuova traduzione, (anche da me, inizialmente).
Ma è fuorviante. Basti notare che in tutto il romanzo non compare neanche una nota a piè di pagina scritta dal traduttore.
Se la filologia «è ricerca basata sull’esame di testi e documenti o su notizie storiche», non mi sembra che questa traduzione possa essere definita «filologica».
Una traduzione veramente filologica costerebbe certamente troppi anni di lavoro, non sarebbe un investimento remunerativo per un editore. Ma forse si poteva pensare di suddividere il compito tra più professionisti. Se non era possibile trovare traduttori esperti che fossero anche conoscitori dell’opera di Tolkien, magari si poteva pensare di coinvolgere in maniera più attiva un gruppo di studiosi tolkieniani e addirittura fornire loro un ruolo più attivo (non sia mai).
Gli studiosi di Tolkien non sono quelli che sanno pure se un personaggio «aveva le scarpe allacciate alle cinque del pomeriggio». Semmai sono quelli che sanno perché Tolkien ha scritto quel dettaglio. E dunque perché è fondamentale che quel certo passaggio sia tradotto con grande attenzione.
Capisco benissimo che gli editori sono sul mercato per fare impresa, non beneficienza a una minoranza di nerd che rappresentano una piccola frazione degli acquirenti finali. Ma ho scritto questo articolo per dire cosa penso di questa traduzione. Ed è questo: è il frutto di un’operazione editoriale fatta con l’intenzione di portare sul mercato una versione migliore e più fresca di un long selling, per dargli nuovo smalto, senza però rischiare di imbarcarsi in un’impresa eccessivamente ardita.
Il risultato è buono, paragonato alla vecchia traduzione, su questo bisogna essere chiari. Però non è il meglio che ci si poteva aspettare dopo tanti anni di attesa.
Linguaggio «alto»
Il nuovo traduttore si è sforzato di restituire la gamma dinamica dello stile di Tolkien, che in molti tratti diventa aulico, ma spesso mettendoci del suo, traducendo in modo personale. Riesce ad essere piuttosto fedele nei passaggi più piani, quando lo stile non è alto né basso. Specie quando l’originale sale, invece, tende a personalizzare molto, inserendo arcaismi e termini letterari anche dove non ci sono.
Ci sono parole che il nuovo traduttore usa in modo ricorrente, dando l’impressione che si tratti di stilemi tipici di Tolkien, ma che non hanno corrispondenza nell’originale. Così abbiamo «trascorrere» nel senso di correre attraverso/passare, usato per tradurre «to float», «to pass» o «to flow»; abbiamo «contesto» nel senso di tessuto insieme per tradurre «threaded» e «wrought».
Ho trovato circa 40 ricorrenze di «fello» per tradurre «fell»: è un’ottima traduzione per una parola che Tolkien usa di continuo; ma almeno una volta ho trovato «fello» per «fierce» e una volta «fellone» (che ha la stessa etimologia di fello e che ha significato sostanzialmente sovrapponibile) per tradurre «recreant».
Il termine «vallea» è usato in modo ricorrente, a volte per tradurre «dale», a volte «vale», a volte un normalissimo «valley». Il lettore italiano ha così l’impressione che Tolkien abbia usato una sola parola molto altisonante, quando invece ne ha usate tre, che hanno sfumature diverse.
Troviamo spesso il termine «scalea» al posto dei più semplici «scala» o «scalinata». Per i toponimi («Scalea dei Riombrosi») non è male: esiste il comune di Scalea in Calabria (anche se in quel caso l’etimologia ha a che fare con lo scalo portuale). Ma poi ci troviamo a leggere di re Théoden che scende per una scalea quando i lettori inglesi lo vedono percorrere una normalissima «stair».
Linguaggio «basso»
Quando il linguaggio è popolare (la famiglia Gamgee e altri hobbit «proletari»), a me la nuova traduzione sembra a tratti in imbarazzo. In alcuni casi mette termini letterari in bocca a personaggi che in originale hanno una parlata semplice e sgrammaticata: per esempio il già citato «veglio», oppure «genìa» per tradurre «breed», che letteralmente significa «razza» e che Hamfast Gamgee usa poco elegantemente per definire la famiglia Brandybuck.
Oppure troviamo la parola italiana «tate» (credo inventata) per «taters», termine colloquiale inglese per dire patate. Ma in Italia c’è qualcuno che dice tate per indicare le patate? Eppure anche da noi esistono termini dialettali per le patate. La nuova traduzione ci prova a seguire Tolkien quando scende su un linguaggio basso, con risultati a volte buoni, ma a volte decisamente deludenti.
Le ripetizioni
In alcuni casi, il traduttore sembra non essersi accorto di alcuni dettagli stilistici che hanno un senso nel racconto.
Abbiamo parlato della mancata corrispondenza nella formula con cui i personaggi commentano la morte di Boromir e, centinaia di pagine dopo, quella di suo padre Denethor.
Roberta Capelli ha scritto un interessante saggio breve (nel già citato Quaderno di Arda – Volume II), in cui spiega che Tolkien fa un uso molto molto attento delle ripetizioni: le sfrutta per creare collegamenti tra scene parallele. Per esempio tra la fine del Capitolo 5 e l’inizio del Capitolo 6 del Libro Uno, in cui l’avverbio «suddenly» (improvvisamente) viene usato come «spia» del parallelismo tra il sogno di Frodo (fine del Capitolo 5) e il luogo in cui si trova al risveglio (inizio Capitolo 6): Frodo sogna di essere al buio, di vedere suddenly un lampo e sentire un tuono; poi suddenly si sveglia in una stanza buia, vede la luce della candela di Merry e sente il suono della sua mano che bussa. In pratica abbiamo un parallelismo suddenly-buio-luce-rumore. Nella nuova traduzione questo «suddenly» è stato reso prima con «d’un tratto» e poi con «all’improvviso» e così manca la chiave di collegamento tra le due scene.
È probabile che oltre a questi due ci siano molti altri usi creativi della ripetizione sparsi lungo il romanzo, che sono andati persi in traduzione.
10 – Conclusioni
Dunque, qual è il mio parere sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli fatta da Ottavio Fatica?
Una nuova traduzione doveva essere fatta, lo abbiamo detto. La vecchia traduzione Alliata-Principe è un importantissimo pezzo di storia della letteratura fantastica in Italia e spero sinceramente che un domani possa tornare a disposizione degli appassionati. Ma era del tutto inadeguata all’importanza che ha assunto Il Signore degli Anelli dopo mezzo secolo, per tutti i motivi che abbiamo spiegato.
La nuova traduzione del Signore degli Anelli è migliore della vecchia?
Certamente sì, senza ombra di dubbio. Si legge con piacere ed è stata fatta con l’intenzione di fornire ai lettori italiani un’esperienza di lettura simile a quella dei lettori anglofoni che leggono il testo originale, anche se con risultati non sempre buoni. C’è dietro una ricerca su nomi e toponimi molto attenta a restituire i significati originali (a differenza della vecchia). C’è stato il supporto degli esperti italiani (nella fattispecie da parte di Giampaolo Canzonieri per l’AIST).
La nuova traduzione del Signore degli Anelli ha dei difetti?
Sì, ce li ha.
Sono difetti gravi?
Dipende.
C’è una ristretta minoranza di appassionati che rileggono il romanzo molte volte e ne indagano le sfumature trovando sempre cose nuove. Ma la maggior parte dei lettori legge Il Signore degli Anelli una sola volta nella vita, forse due, e vuole solo lasciarsi trasportare dal racconto.
Ciò che può infastidire però anche i lettori meno puntigliosi è il fatto che in questa traduzione si trovano non di rado termini altisonanti, rari e letterari che non hanno corrispondenza nell’originale, che suonano forzati e che creano degli inciampi nella lettura, interrompono l’ipnosi generata dal racconto. È così anche l’originale? Posso sbagliare, ma a me non sembra. Nei passi che ho confrontato Tolkien mi sembra usare termini «difficili» sempre in maniera mimetica rispetto al racconto o come «gioco» con il lettore.
Maddai! È proprio necessaria tanta attenzione ai dettagli?
Il Signore degli Anelli non è un libro qualsiasi. Non è nemmeno un capolavoro come altri. È un capolavoro che ha dato origine a un genere letterario e che conta schiere di fan in tutto il mondo. Alcuni di questi fan sono studiosi di alto livello (alcuni sono accademici) che hanno prodotto tantissimo materiale di critica letteraria di grande spessore su Tolkien e le sue opere.
Perciò secondo me sì ci vorrebbe molta attenzione ai dettagli.
Si poteva fare diversamente?
Forse no, non lo so.
Bompiani ha proposto il lavoro a un traduttore esperto e di chiara fama. Ma un traduttore che non conosceva Tolkien e non lo stima particolarmente. Ha chiesto una consulenza alla più importante associazione tolkieniana in Italia, ma senza darle alcun potere decisionale.
Il risultato è una buona traduzione, più moderna, più professionale e più efficace della vecchia. Ma non è una traduzione filologica.
In definitiva
Credo di aver espresso il mio parere.
Ribadisco che la nuova traduzione è un grosso passo avanti per la conoscenza di Tolkien in Italia. Ma, da appassionato, penso che sia stata anche, almeno in parte, un’occasione persa. Si poteva osare di più, coinvolgendo più persone e soprattutto sfruttando meglio la folta comunità di appassionati.
Che Tolkien abbia ancora oggi un fandom è un enorme valore aggiunto, non qualcosa di cui ridacchiare.
A partire dal febbraio 2020 ho deciso di filtrare i commenti: se non sei d’accordo con quello che ho scritto, devi entrare nel merito delle questioni, dimostrandomi di aver letto la nuova traduzione.
Altrimenti il commento non te lo pubblico.
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Io la sto leggendo (sono a Amon Sul, non sapendo bene come chiamarlo ora in italiano) ma, sebbene la prosa sia scorrevole, i nomi della nuova traduzione mi rendono impossibile procedere con gusto. Ho quindi prodotto una mia versione MOD in cui ho sostituito nella nuova prosa i nomi tradotti (persone o luoghi) con quelli della vecchia traduzione. Follia? Sì, però almeno riesco a seguitare nella lettura. Se qualcuno è interessato, mi scriva.
polins@libero.it
Ciao Pollins,
sì, per me è follia. I nomi veri non sono quelli vecchi né quelli nuovi: i nomi veri sono quelli in lingua originale.
Qualsiasi traduzione tu legga, è l’interpretazione che ne ha dato qualcun altro; puoi affezionarti a una o all’altra, ma nessuna delle due è Tolkien.
L’unica scelta sensata è prendere le traduzioni per quello che sono: intermediazioni tra te e l’autore.
Comunque sto lavorando all’aggiornamento di questo articolo, sarà pronto entro pochi giorni (prima di Natale) e dirò la mia in modo completo.
Grazie della risposta.
Certo, condivido quanto affermi. In lingua originale ho già letto il libro tre volte (almeno 10 volte in italiano, più tantissimi altri testi, dal Silmarillion in avanti) e sono anche stato tentato di sostituire i nuovi nomi con quelli di originali inglesi… in ogni modo proprio fatico a procedere. Vedremo…
Io ho sempre pensato che i nomi avrebbero dovuto rimanere in originale con al massimo una nota in calce con la traduzione. Sarebbe stato molto meglio, tradurre i nomi propri secondo me è sbagliato
Guarda in linea di principio sono d’accordo, soprattutto perché oggi il pubblico italiano è decisamente più maturo e abituato alla lingua e ai nomi inglesi.
È anche vero però che una traduzione deve provare a restituire tutto il senso dell’originale ed facile per un italiano perdersi per strada l’immediatezza di un nome come Samwise, per dire. E infarcire la traduzione di note e postille costringe il lettore a uscire dalla sospensione dell’incredulità che serve a godersi il romanzo.
Per questi motivi dico che è una questione complessa e personalmente non saprei dire cosa sia meno peggio.
Secondo me, il nome Samvise Gamgee, detto Sam, avrebbe potuto essere reso in italiano come Semplicio Gamgee, detto Sem.
Semplicio è una variante arcaica del nome attestata nell’Accademia della Crusca, Dizionario della lingua italiana – Volume VII, Padova, Tipografia della Minerva, 1830.
Lei cosa ne pensa, Luca?
È un’ottima osservazione. Resto dell’idea che i nomi degli hobbit suonino meglio in originale. Ma tra Samplicio e Semplicio, se questo esisteva, il secondo è un’italianizzazione migliore!
Salve, ho trovato il suo articolo molto interessante. E scrivo in quanto per la prima volta vorrei leggere la trilogia del signore degli anelli.. per me la cosa importante da sapere e se c’è un’edizione dove i nomi dei libri corrispondono a quelli del film. Come ho fatto per la saga di Harry Potter mi sono procurata quelli della prima edizione! Quindi chiedo consiglio anche per questi ???? sono veramente tanto confusa! Grazie in anticipo
Ciao Roberta,
intanto ti ringrazio per il tuo apprezzamento.
I nomi corrispondenti a quelli dei film li trovi nella vecchia traduzione, in particolar modo nelle edizioni successive al 2000 (quelle fatte con la supervisione della Società Tolkieniana italiana).
Per tutti i motivi che ho esposto in questo articolo, però, ti consiglio di leggere la nuova traduzione, passando sopra al fatto che alcuni nomi non corrispondono e ricordando sempre che sia i vecchi che i nuovi sono pur sempre italianizzazioni e che i soli «veri nomi» sono quelli in lingua originale inventati da Tolkien.
Trovo che consigliare una versione piuttosto che un’altra, sia solamente negazione nei confronti della traduzione vecchia, ugale a quella che gli appassionati provano per la nuova. Consiglio, che potrebbe causare “malessere” alla persona che magari voleva qualcosa di affettivo. Non nego che la vecchia traduzione abbia stravolto l’opera originale, ma siccome i fan di vecchia data sono abituati all’eleganza di alcuni vecchi nomi, così come allo stile epico, non potranno mai provare piacere nel leggere questa nuova traduzione. E siccome il fatto che si tratti di puro gusto è una questione oggettiva, (aldilà della politica, mai neanche considerata, non so neanche cosa abbia a che fare con delle opere fantasy..), offendere chiunque difenda la vecchia traduzione, è semplicemente maleducazione. Bene che escano nuove traduzioni, spero ne usciranno altre più piacevoli, magari con qualche nome geografico originale. Inutile azzuffarsi, comunque, non ho interesse nel criticare chi apprezza questa nuova versione, anzi, buon per loro che riescono a godersi l’acquisto. Pace.
Salve Femme,
Se ho capito bene secondo te è sbagliato consigliare una cosa al posto di un’altra, anche se è migliore (dici che la vecchia traduzione ha «stravolto» l’opera originale). Ma quindi uno non dovrebbe mai esprimere un’opinione su niente? Non consigliare mai niente a nessuno?
Poi, sono d’accordo con te che offendere è maleducazione. Ma dove l’ho fatto?
Buonasera.
Io sono un vecchio fan cresciuto con la vecchia traduzione e i vecchi nomi, ma non ho avuto quasi nessuno problema a godermi la nuova e i nuovi.
Quanto al fatto di non poter provare piacere con la traduzione di Fatica, la devo contraddire: io il piacere l’ho provato, eccome! E proprio per i motivi elencati dal nostro ospite! Se poi c’è chi prova più piacere nel leggere Gran Burrone piuttosto che il raffinato Valforra, che dire: a ciascuno il suo.
Grazie
Ho letto questa nuova traduzione due volte (prima per individuare tutti i nuovi nomi e toponimi e la seconda dopo averli sostituiti – chi è interessato alla versione ibrida mi scriva polins@libero.it) e la prosa è davvero notevole.
Ritengo il dettaglio della mappa mancante molto grave: è parte integrante del testo originale da subito e bisognava trovare una soluzione. Nel 2020 non è accettabile.
Alcuni nuovi nomi (la parte meno convincente della traduzione, a mio avviso) sono validi, altri meno. Forse (ma non conosco l’aspetto legale relativo ai diritti d’autore) alcuni paiono cambiati solo per il gusto di non tenere quelli precedenti… era proprio necessario?
Non so risponderti ma sospetto di sì, che fosse necessario per questioni legali.
Personalmente avrei preferito che la maggior parte dei nomi fossero lasciati in originale ma, tutto sommato, quelli nuovi mi sembrano in buona pare migliori. Ripeto che per me dipende dal fatto che “ci siamo affezionati” a quelli vecchi e per questo possono sembrare migliori.
Allora, devo dire che mi hai stimolato la rilettura di questo libro, e questo è positivo !
La prima volta che lo lessi, after film, mi piacque ma l’avevo trovato un po’ “piatto” , uniforme dall’inizio alla fine, se la nuova traduzione aggiunge un poco dell’originale personalità ai vari personaggi e rispetta di più in generale il testo credo che il libro possa solo guadagnarne in ricchezza e diversità.
Sicuramente mi dispiace per i nomi a cui ormai mi sono affezionato e che vivono di vita propria, li sarà dura andare oltre !
Detto questo, son curioso di leggere questo nuovo libro 🙂 in onore allo spirito di avventura che contraddistingue tutte le grandi storie come questa !!
Buona rilettura a tutti
Grazie Roby,
quando dici “spirito d’avventura” hai colto nel segno!
Interessante: ho letto in passato già 3 volte ISDA e per fortuna non ho mai letto nè l’introduzione di Zolla nè altri articoli “interpretativi”. Ma sono stata fortunata: ho letto un solo articolo (e mi dispiace non ricordare l’autore) in cui si parlava dell’opera di Tolkien confrontata con quella di C.S.Lewis, e mi ero trovata d’accordo: mentre Lewis ha messo nella sua opera tutta la mistica religiosa, (il ciclo di Narnia è insopportabile) Tolkien se ne è tenuto ben lontano, rappresentando la lotta tra il bene e il male combattuta con le sole forze “umane” (anche il “magico” è umano). Aspetterò l’uscita dell’opera completa per rileggerla, penso che me la godrò moltissimo!
Ciao Ginevra,
purtroppo per la traduzione completa c’è da attendere.
Le Due Torri arriverà in primavera e Il Ritorno del Re in autunno 2020.
Questo sperando che non succeda come per l’uscita del primo volume e i tempi vengano rispettati!
Incrociamo le dita!
Arduini, socio fondatore AIST, è un ex giornalista dell’Unità.
Il collettivo Wu Ming, come sottolineato nell’articolo, guarda a sinistra.
Una vecchia volpe della politica italiana affermava che “a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”.
Difficile quindi non vedere nella nuova traduzione di Tolkien (che cancella anche l’introduzione di Zolla) un’operazione politica malcelata sotto spoglie culturali.
Lei preferisce legittimamente la nuova edizione.
Io, quando ho letto di Samplicio, sono riuscito a scovare una vecchia traduzione della Alliata precedente al 2003.
Non è una questione politica ma di principio: ben vengano le nuove traduzioni ma sovvertire un libro in tal modo lo considero sacrilego.
Per me Aragorn non sarà mai un Forestale.
Ciao Carlo,
dopo aver scritto un articolo per me così impegnativo, leggere commenti come il tuo è sinceramente sconsolante.
Ovviamente non hai letto la nuova Traduzione del Signore degli Anelli, ma vieni qui a citare un colluso con Cosa Nostra per fare la grande rivelazione che Arduini ha scritto su L’Unità.
Dopodiché usi il tipico imbroglio del post hoc ergo propter hoc per dire che la nuova traduzione è un’operazione politica.
Tanto più assurdo in quanto il libro non è stato tradotto da Arduini né da Wu Ming 4, ma da un professionista.
La precedente traduzione e la sua orribile introduzione erano un’operazione politica.
Nessuno ha potuto trovare un solo passaggio nella nuova traduzione in cui è stata deformata/manomessa/cancellata o aggiunta una frase rispetto all’originale per fini politici.
Come fai a dire che la precedente traduzione Fatta da una 15enne di sua spontanea volonta’ e proposta agli editori, fosse un operazione politica? Capisco che ti piaccia di piu’ la nuova traduzione ma cerca di essere piu’ tollerante con le opinioni altrui. Anche io preferisco la vecchia traduzione. Piu’ libera ma molto piu’ godibile. I nomi erano tradotti in modo piu’ efficace. Questo Fatica mi sembra avere troppe manie di protagonismo
Ciao Laura,
come faccio a dirlo l’ho spiegato abbondantemente nell’articolo, ma probabilmente non l’hai letto e sei piombata direttamente alle sezione dei commenti.
Io non ho nessun problema di tolleranza con chi dice di preferire la vecchia traduzione dopo aver letto anche la nuova.
La mia capacità di tolleranza salta nel momento in cui qualcuno viene qui a ripetere le solite panzane un tanto al chilo, senza entrare nel merito delle questioni perché non si è preso la briga di leggere la nuova traduzione.
Per preferire una cosa a un’altra devi aver fatto un confronto.
Se non hai letto la nuova traduzione del Signore degli Anelli, non stai facendo un confronto con la vecchia, stai prendendo per il culo me e tutti quelli che leggono questa pagina.
Io non sto prendendo per il culo proprio nessuno e non devo certo sciropparmi 1000 pagine di Tolkien e diventare una linguista professionista per accorgermi che non mi piace la nuova traduzione. Me ne sono bastate 70.
Mi sembri quelli che dicono che per dire no al nucleare bisogna studiare fisica nucleare e laurearsi nella materia altrimenti non si e’ abbastanza conpententi per parlarne.
P.s. il tuo articolo l’ho letto e ribadisco quello che ho scritto.
«sciropparti Tolkien»?
Mi confermi quello che avevo intuito dal tuo primo commento.
Perche’ giochi con parole? Hai capito benissimo su.. non fare lo spiritosone…sciropparmi una traduzione di Tolkien che non mi garba. Ogni volta che leggo Brandaino o Valforra mi viene un tuffo al cuore.
Ma certo, è sicuramente questo che intendevi.
Ti dirò di più: hai ragione su tutto.
Per dare un’opinione sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli bastava leggerne qualche pagina. Anzi, bastava aver letto su qualche sito come sono stati tradotti i nuovi nomi, tanto conta solo quello.
Sono io che sono un fesso, a pensare che prima di pronunciarmi dovevo rileggere la vecchia traduzione, poi leggere tutta quella nuova, poi procurarmi un’edizione in lingua originale e confrontare interi passaggi.
A pensare di dover capire il perché di certe scelte stilistiche e che l’aderenza alla sintassi e allo stile di Tolkien fossero più importanti di una dozzina di nomi, a cui siamo affezionati solo perché li abbiamo sempre letti così.
E’ difficile leggere parole che danno letteralmente voce ai propri pensieri: un equilibrio esemplare,. davvero una lettura che riconcilia e fa stare bene: chi non appartiene alle fazioni non può che riscoprire in questo periodo un libro che per molti di noi né IL libro.
Due note:
– ma la principessa (che comunque amiamo o per averci accompagnato in questo mondo meraviglioso) ha letto cosa dice di lei Principe? non saranno 500 errori a pagina, ma “una fatica capillare”…;
– l.’intervista citata, di cui ringrazio di cuore, dipinge quale approccio abbia Principe nei confronti della religione; chi si scandalizza per una nuova traduzione “laica” conosce davvero il curatore della vecchia?
Grazie ancora!!!
Grazie a te!
Beh, ormai appoggio una delle due fazioni e credo sia evidente.
Quello che tengo a dire è che la mia scelta l’ho fatta dopo averci messo le mani per provare a capirci qualcosa. Solo con il confronto tra i tre testi (l’inglese e le due traduzioni) ho capito tutte le cose negative che ho scritto della vecchia traduzione.
Ciao grazie per l’attente ed illuminante analisi, io mi accingo proprio in questi giorni a leggere il signore degli anelli, quale edizione mi consigli? Partiresti direttamente da questa nuova oppure no?
Ciao Polo,
per tutti i motivi che ho scritto nell’articolo, ti consiglio la nuova traduzione del Signore degli Anelli, che trovo più accurata e vicina all’originale.
Poi fammi sapere cosa ne pensi!
Ciao Luca!!!! Sono Lorenzo del Kung Fu!!!! Bella questa tua disamina. Ancora non ho letto la nuova traduzione, ma una cosa la voglio dire. A casa mia il Signore degli Anelli lo comprò mia madre attorno al ’78, edizione in unico volume Rusconi. Mamma dei pezzi me li riraccontava, quando abbastanza grande provai a leggerlo, non riuscivo ad andare avanti. Trovavo la traduzione pesante,a tratti lenta. A 17 anni andai in Inghilterra e compari un’edizione inglese con illustrazioni di Alan Lee, e “miracolo” lessi il libro tutto di un fiato. La cosa bella del testo inglese è proprio la varietà dell’uso della lingua in funzione della tipologia e provenienza del personaggio. Per non parlare ad esempio di come Tolkien rende benissimo (in inglese) la dualità di Gollum (peraltro resa benissimo nei film). Ho riletto poi il libro anche in italiano (ne ho quattro edizioni a casa). Ogni due anni ricomincio, cosa che faccio solo con Earthsea. Sto aspettando a comprare la nuova edizione perché sto leggendo altro, ma dopo il tuo bellissimo articolo penso che correrò in libreria!!!!
Ciao Lollo!
Non sai quanto mi fa piacere trovarti qui!
La tua storia col SdA è la prova di una cosa che subodoro da tempo: un sacco di gente non ha mai letto il libro perché trovava la vecchia traduzione «pesante».
Sono contento di averti fatto venire l’acquolina in bocca! Poi però devi farmi sapere cosa ne pensi!
Presente! L’ho ricominciato tre volte arrivando al massimo a pagina 100. Ma prima o poi ce la farò!
A pagina 100 non sei ancora entrato nel vivo dell’avventura!!!
Si sa quando uscirà (e se uscirà) la versione con la mappa?
Sono curioso di leggere questa nuova traduzione ma la vorrei… come dire… completa 🙂
Per quanto riguarda tutta la polemica per me tutto e sfociato dai cambi delle nomenclature e dei nomi a cui ci eravamo affezionati… Anche a Gaffiere! Si, non ha senso, non vuol dir niente, ma la mia immaginazione lo creava a somiglianza della parola 🙂 (tra l’altro io ho sempre pensato che fosse un termine hobbit, quindi era ovvio non ci fosse sui dizionari)
I cambi di nome dopo che sono entrati nella nostra mente sono una spada nel cuore, anche dove inizialmente sono storpiati orrendamente…
Un’unica critica ancora prima di aver letto la nuova versione: forestale proprio non si può sentire :/ … c’erano molti sinonimi migliori, se lasciava per esempio ranger metà delle critiche sparivano!
Ora però voglio anche un nuovo doppiaggio dei film!
Ciao C.P.,
riguardo la Mappa, per quanto ne so, sicuramente verrà pubblicata, ma quasi certamente non prima che venga pubblicato «Il Ritorno del Re» (la cui uscita è prevista per l’autunno del 20): cioè quando tutto il testo e tutti i toponimi saranno stati tradotti.
Per quanto riguarda le polemiche, la mia opinione (e credo di averlo dimostrato in questo lungo articolo) è che siano nate da motivazioni di stampo ideologico.
Se il problema fossero stati solo i nomi, le polemiche sarebbero state ben più modeste: un sacco di gente avrebbe borbottato un po’, ma non sarebbe certo esploso sto casino.
Nessuno avrebbe fatto conferenze e articoli sui giornali per la questione dei «Forestali»!
Poi l’ho detto io per primo: mi sono affezionato a tutti i vecchi nomi, anche a quelli che non mi sono mai piaciuti. È un buon motivo per tenerseli?
Per me no.
Per me i veri nomi sono solo quelli in lingua originale, solo a quelli non possiamo rinunciare.
Caro Luca,
un sincero ringraziamento per questo parere, che non esito a qualificare “pro veritate”: si tratta di una disamina approfondita e, mi sembra, onesta.
Mi confesso: non sono mai riuscito a terminare tutto il ciclo narrativo; a 17 anni lessi (non senza difficoltà) la compagnia dell’anello e da allora ho tentato due volte di riprendere la lettura del romanzo, non andando mai oltre le prime 100 pagine.
Anche io, come un altro commentatore già intervenuto, ho sempre trovato la prosa della vecchia (allora unica) traduzione non proprio scorrevole. E così mi sono limitato ad imparare a memoria i film di Jakson.
Per dirla con Lucas, invece, questa nuova traduzione (e soprattutto l’equilibrato elogio che le riservi) mi danno “una nuova speranza”.
Solo un’osservazione, su cui mi piacerebbe sentire la tua opinione:
mi pare di capire che le due traduzioni siano considerate frutto di opposte aree politico-culturali; la vecchia traduzione (con annessa prefazione) rappresenterebbe le istanze della destra, la nuova di Fatica quelle della sinistra.
Io però non vedo come l’una o l’altra traduzione possano differenziarsi a tal punto da cambiare il significato dell’opera.
Tolkien è stato tradizionalmente considerato un paladino della letteratura religiosamente ispirata. In fondo, la sua professione (e pratica) di fede è nota e in una lettera del 1953 scrive addirittura che il Signore degli Anelli è “fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica”.
Questo dato inconfutabile mi pare rimanga del tutto indipendente tanto dal genere letterario entro cui si colloca l’opera quanto dal registro linguistico attraverso cui viene resa al pubblico italiano. In altre parole: che la si ammanti con una prosa aulica per ricondurla al genere cavalleresco medievale oppure che le si doni una prosa più asciutta e diversificata (più fedele all’originale inglese), mi sembra che ciò non riesca comunque a scalfire il significato (o i plurimi significati) della storia. I quali rimangono uguali a se stessi, prescindendo persino dalle prefazioni assenti o presenti.
Di nuovo grazie, un cordiale saluto.
Ciao Carlo,
grazie a te per il tuo contributo.
Se con questo articolo ti ho fatto venire voglia di riprovare a leggere Tolkien ne sono felicissimo.
I film di Peter Jackson hanno il grande merito di aver dato forma alla Terra di Mezzo: la prima volta che ho visto l’interno della casa di Bilbo non stavo nella pelle. Ma leggendo il Romanzo scoprirai c’è tanto che è rimasto fuori dai film e che i film hanno tolto anche molto della «poesia». Il SdA non è solo una storia avventurosa, ma anche il racconto di un viaggio nella Natura – per esempio – e questo si perde molto nei film.
Per quanto riguarda la «politica», ho detto quello che penso nell’articolo, ma posso provare a spiegarmi meglio.
Non è che la nuova traduzione del Signore degli Anelli è «di sinistra» e quella vecchia è «di destra».
La vecchia traduzione fu concepita all’interno di un’area culturale che ha interpretato l’opera di Tolkien piegando forma (la traduzione) e contenuto (l’introduzione) alla propria visione. In tempi in cui non c’era Internet e non c’erano neanche i film, queste cose influenzavano molto il modo in cui il romanzo veniva recepito dal pubblico italiano. Venti o trenta anni fa, per un lettore italiano che non avesse letto l’opera in inglese o i testi dei critici anglosassoni era difficile farsi un’idea prescindendo da introduzione e traduzione.
Nella nuova traduzione non c’è alcun tentativo di plasmare il romanzo.
È vero che alcune persone che hanno spinto la nuova traduzione sono schierati politicamente, ma di questo io non ho trovato traccia nella nuova edizione.
Chapeau.
In tutta sincerità non saprei cos’altro aggiungere (se non che a me Gaffiere piaceva, anche se è vero che non significava niente), bravo!
Grazie Lock,
io invece una cosa da aggiungere ce l’ho: mi è caduto l’occhio sul link del tuo Blog e mi permetto di evidenziarlo, visto che hai scritto molto su Tolkien.
Dategli un’occhiata, sta qui →http://www.lemoskin.net.
Grazie a te, anche per avermi permesso di pubblicare una parte del tuo articolo. Spero che ci potremo confrontare in futuro su Tolkien (la mia vera passione è lo Hobbit ma il SdA è subito sotto). 🙂
Una piccola nota sui film di Jackson, visto che se n’è parlato nei commenti: mentre il SdA l’ho guardato volentieri (pur con tutti i tagli, i cambi di alcuni personaggi e un po’ di forzature), per me lo Hobbit è stato un vero disastro. Per carità, bellissime le scenografie, azzeccatissima la scelta degli attori, meravigliosi gli effetti speciali. Ma quello per me non è lo Hobbit.
Pensa che mi sono rimontato i due film, per renderli quanto più fedeli (possibile, col materiale che c’era) ai due libri. Del SdA sono soddisfatto, lo Hobbit a breve lo rifarò perché ho imparato a maneggiare i video strada facendo, e quello è stato il primo tentativo.
Se ti interessa, qui ne parlo più approfonditamente:
SdA – http://www.lemonskin.net/io/18987
Hobbit – http://www.lemonskin.net/io/13927
Sì anche secondo me con «Lo Hobbit» Jackson ha proprio esagerato.
Bisogna però riconoscergli alcuni meriti, non ultimo quello di aver dato una nuova visibilità alle opere di Tolkien, specie qui in Italia: non sono sicuro che qui da noi il dibattito sull’opera tolkeniana sarebbe uscito dalle paludi in cui stagnava da decenni, se non fosse arrivato Jackson con le sue trilogie a incuriosire nuove generazioni di lettori.
Certamente, ha contributo non poco a far conoscere Tolkien alle nuove generazioni. Ai nostri tempi lo si incontrava per caso perché si trovava un libro in casa, oppure ancora più per caso in libreria (come è successo a me).
Il rischio però, in un paese che legge sempre meno e sta diventando succube di serie TV, spesso ispirate proprio ai classici, è che si apprendano storie distorte e molto lontane dalle opere originali.
E c’è anche il fatto, che forse per molti non è un problema ma per me sì, è che guardando un film prima di leggere il relativo libro, si uccide la fantasia. Un conto è costruirsi la propria Terra di Mezzo man mano che si scorrono le pagine, un’altra è rivivere luoghi e attori del film, che reinterpretano le stesse scenografie.
In ogni caso sono consapevole di calcare la mano più del dovuto con Jackson, probabilmente lo avrei fatto con chiunque avesse provato a trasporre su pellicola il libro che più amo al mondo. 🙂
I libri stimolano la fantasia molto meglio dei film, su questo sono assolutamente d’accordo.
E c’è anche un altro aspetto «sociale» per me importante: i libri ti costringono a «rallentare»: ti devi fermare, spegnere tutti gli aggeggi tecnologici e concentrarti solo sulla storia che si dipana nella tua testa.
Ma sono anche due forme d’arte molto diverse e non sempre i film sono meno «degni» dei libri da ci sono tratti (pensa ai capolavori di Kubric!).
Ah beh, certo, Kubrick. Per me ha salvato Shining, il libro di King (imho) aveva un finale che mandava tutto in vacca. 🙂
Credo che nessun argomento abbia smosso gli animi dei lettori come questa traduzione.
Ho letto per la prima volta lo Sda a 12 anni ed un altra dozzina di volte nella mia vita.
Ho iniziato a leggere la nuova traduzione ma non riesco ad andare avanti.Sono convinto che la traduzione andasse ripulita ma non cosi.
Se per quarant’anni chiami qualcuno con un nome e’ impossibile cambiare, alcune scelte sono imbarazzanti (tipo quella dell’Aragorn Passolungo forestale) alcune indigeribili Samplicio o Cavallino inalberato.
La traduzione dell’Alliata era più prolissa e si prendeva parecchie libertà’ ma era ben più leggibile, anche la famosa poesia degli Anelli senza metrica perde di forza in italiano.
La traduzione e’ una trasposizione e una mediazione nella nostra lingua, chi vuole qualcosa di letterale e’ giusto si legga l’originale.
Riguardo alla politica, ci sono persino due associazioni o meglio societa’ tolkeniane,la piu antica e l’aist di fuoriusciti scelta da bompiani.
Vedo che lei si e’ chiaramente schierato per la seconda ma in questa vicenda vedo solo perdenti.E perdono tutti,sopratutto i lettori tirati da una parte e dall’altra.
Quindi se sei per la traduzione Alliata sei di destra con Fatica di sinistra ma non e’ cosi.
Di certo Tolkien non era fascista come non era di sinistra,era invece un vero cattolico che vedeva una chiara e netta distinzione tra il bene ed il male, cosa che oggi facciamo fatica a capire
Salve Stefano,
io non sono schierato con una qualche associazione e non ho tessere, spero sia chiaro.
Non ho mai incontrato nessuno della STI, ma ho incrociato le iniziative dell’AIST, le ho trovate interessanti e le ho apprezzate.
Detto questo, come ho già espresso più volte: la vecchia traduzione era evidentemente manipolatoria del testo e improntata a una visione politica e mi pare di averlo dimostrato.
Proprio perché la traduzione è una «mediazione» DEVE essere onesta. E la vecchia traduzione non lo era.
La nuova traduzione ci prova, a essere più onesta. E non è «di sinistra». A sostenere questa ridicola balla sono solo i suoi detrattori.
Cosa avrebbero «perso» oggi i lettori italiani, convinti per decenni che il SdA fosse un libro di destra e che finalmente possono accedere a un’edizione ripulita da queste forzature ingiustificabili?
A me pare che ne abbiano guadagnato soprattutto i nuovi lettori, molti dei quali non hanno mai letto il SdA per via della vecchia traduzione verbosa.
Poi boh, sarò strano, ma se amo un’opera artistica mi interessa scoprire ed esplorare nuovi punti di vista e non è che mi fermo a una traduzione di 50 anni prima perché mi sono «affezionato» a qualche nome.
A volte ho l’impressione che per molti l’oggetto dell’amore non sia l’opera di Tolkien, ma la sua vecchia traduzione.
Sinceramente che il Sda fosse,in Italia, considerato un libro di destra l’ho scoperto solo pochi anni fa.
Non ho neppure capito perche’ tu consideri la vecchia traduzione di destra(e quindi la nuova e’ di sinistra?) e quali sono queste forzature di destra?I doppi aggettivi,l’italiano piu fluente(qualcuno con google translator ha tradotto la poesia dell’anello praticamente identica a quella di Fatica)
Con il metro odierno Sda e’ un libro sessista,di donne a parte le marginali Eowyn e Galadriel non ce ne sono ,magari anche un po razzista,e mi piacerebbe sapere cosa pensava Tolkien degli lgbt.Significa essere di destra?
La verita’ e’ che la nuova traduzione trasforma un romanzo epico in un fantasy qualsiasi.
Ieri mi sono letto la lettera della Alliata ad Sti,l’offerta di ritraduzione di Bompiani e’ ridicola,850 euro all’anno traduzione sotto tutela e rinuncia a chiedere tutti i diritti della vecchia traduzione che l’editore non ha pagato in questi anni, presumo molti soldi.
La strada giusta sarebbe stata richiamare l’Alliata con qualcun altro e sistemare i famosi toni non certo i nomi dei personaggi o i luoghi
Caro Stefano,
hai letto 12 volte il SdA ma non sapevi dei Campi Hobbit, delle croci celtiche e tutto il resto.
Il problema è che ho raccontato di quanto siano ridicoli tutti i commenti critici sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli fatti da Gente che NON si è presa la briga di leggerla… E tu vieni qui a criticarla aspramente dicendo di NON averla letta integralmente.
Ho scritto decine di righe per spiegare in che modo la destra tradizionalista ha plasmato l’opera di Tolkien per farle dire quello che voleva… E tu mi chiedi perché considero la vecchia traduzione di destra.
Ho spiegato perché secondo me è una BALLA che la nuova traduzione del Signore degli Anelli sia di sinistra (e te l’ho anche pazientemente riscritto nella risposta al tuo primo commento)… E tu torni a insistere con l’argomento.
Ho raccontato come i Tolkeniani di destra siano sprofondati in basso accusando la nuova traduzione (prima ancora che uscisse) di fare propaganda LGBT… E tu mi chiedi cosa avrebbe pensato Tolkien del movimento LGBT.
(sorvolando su quanto sia squallido prendersela con il movimento LGBT, che non c’entra niente con tutta la faccenda).
Ho spiegato perché la vecchia traduzione della Poesia dell’Anello era forzata nella sua metrica in ottonari doppi… E tu ritorni con la solfa che era «più musicale».
Ho spiegato perché trovo forzata e manipolatoria la vecchia interpretazione sedicente-epica del SdA… E tu vieni a dire che la vecchia traduzione era «epica» e quella nuova no.
Ho chiuso questo articolo dicendo che sarei stato molto severo nella moderazione dei commenti. Ho il dovere verso i miei lettori di fare in modo che questo Blog sia una fonte di informazioni e non un deposito di chiacchiere a vanvera.
Se vuoi scrivere ancora per me va bene, ma prima di far partire le dita sulla tastiera leggi.
Ecco un commento da una laureata in traduzione e intepretariato:
Il suo tentativo di paragonare le due versioni con l’originale oer capire quale versione leggerebbe ancora, in futuro, è ammirevole.
Posso dire che una persona che non si occupa di traduzioni possa sentirsi illuminato dalle considerazioni riguardanti la sintassi (e quindi è meglio la nuova, e più fedele, è più Tolkien) ma posso chiederle… Se per Lei conta di più cosa suscita una determinata frase nella mente di una madrelingua inglese, e cercare di replicarne l’emozione nella mente di un madrelingua italiano, o altra lingua che sia, o rimanere fedelissimo alla sintassi, ma ritrovarsi con un testo che è alla stregua di un fantasy scritto ai giorni attuali, in un italiano poco bello e quindi rovinando completamente la percezione di un’opera nella mente dell’italiano?
Sono dell’idea che se non si riesce a leggere la prima traduzione a causa del linguaggio “aulico” (?) ci sono stati degli intoppi durante l’apprendimento della lingua italiana, cosa per purtroppo sospetto sia molto diffusa, e proprio per questo motivo questa traduzione scarna è stata adattata al linguaggio povero e brutto dei nuovi possibili acquirenti. Chiaro che ben vengano nuove traduzioni, ma non così: va bene sgrammaticare un personaggio (fino a un certo punto, non avrei mai tradotto “meglio fieno” dalla versione inglese, ma mai, non è una traduzione fedele quanto non lo è la prima!!!) ma continuare a imbruttire altri dialoghi solo perché si “sente” così… Non lo apprezzo. Se proprio devo scegliere, scelgo un italiano bello.
Lasciare stare al caso la scelta dei nomi, che se alcuni vecchi non andavano bene ed è giusto che vengano banditi, alcuni nuovi fanno veramente ribrezzo e senza motivo giustificato (la traduzione letterale non lo è, non avrei mai tradotto a quel modo, e non ho intenzione di farlo in qualche commento sul web, al limite mi limiterò a fare dei cambiamenti a matita sul mio testo) e il fatto che i nomi originali siano megliori è una scusa sleale, perché se vale per le nuove traduzioni, allora vale anche per le vecchie. E di fatto, se vogliamo fare degli esempi, “Valforra” non da dignità al nome “Rivendell”, mentre “Gran burrone” per quanto scorretto, almeno suscitava una certa emozione nel lettore come l’inglese Rivendell lo suscita in un lettore inglese, mentre la nuova versione non suscita proprio niente. È questa, la pecca della nuova traduzione.
Le appartenenze politiche invece lasciamole a chi si abbassa a tanto, già declassare la prima traduzione in questo modo perché la politica ne ha influenzato la scrittura, mi ha fatto venire i brividi. Semplicemente la traduttrice ha preferito attenersi ad un italiano bello e scorrevole, punto.
Cara Nique,
faccio l’ennesima eccezione a quanto ho dichiarato e pubblico il tuo commento, anche se mi stai criticando senza aver dato alcuna prova di aver letto la nuova traduzione.
Lo faccio per smentire un’altra balla che circola in rete: dire che la nuova traduzione è «scarna» e «adattata al linguaggio povero e brutto dei nuovi possibili acquirenti» è una cosa irricevibile, falsa, insolente, compeltamente fuori dalla realtà.
Solo chi non l’ha letta può permettersi di dirlo.
Le appartenenze politiche le ha tirate in ballo per prima la vecchia traduttrice (sostenuta da altra gente che le ha sempre rivendicate con orgoglio). Si è attenuta a un italiano bello e scorrevole (vero) ma lo ha fatto anche quando non doveva e su questo non è che si può dire «punto»: è una cosa piena di senso.
Attenersi (laddove è possibile) alla sintassi è importante per replicare l’emozione nella mente del madrelingua italiano: se cambi il soggetto di una frase cambi la prospettiva dell’autore, come credo di aver dimostrato in qualche esempio. Se poi cambiare questa prospettiva smorza il tono caustico-ironico dell’originale, amalgamandolo in un registro forzatamente mono-tono che dura per mille pagine, siamo lontani anni luce dal «replicare l’emozione».
Ciao Luca!
Trovo che il tuo articolo sia fantastico, che porti nuova luce e aria fresca e ti racconterò una “triste” storia (credo) al riguardo su come questo libro sia stato strumentalizzato nel tempo per ideologie bacate o becere (si mi piace aggettivare tante cose :D)
Scherzi a parte.. Come hai BEN iniziato, io pure mi schiero nella forza del messaggio umanistico che Tolkien ha voluto lasciarci, come semplice fan. Io non ho avuto il piacere di leggerlo in inglese MA è stato il primo libro che lessi alla tenera età di 16 anni, prestato dal caro cugino di turno. Anni addietro ci fu su un noto quiz televisivo, la domanda da un milione di Euro, la fatidica domanda “Quante pagine conta Il Signore degli Anelli”? e io fui così preciso da azzeccare la risposta. Pagine 1253. E parlando di cose serie, in gioventù sentivo di persone che avendo letto il libro, lo classificavano come prolisso e confermo perché io avevo l’edizione della Bompiani di Principe (2000? 2002?), e ora mi domando, sinceramente, che cosa ho letto in passato? Bella traduzione e ovviamente ognuno ha le sue preferenze però se posso rendere un libro tanto fedele quanto scorrevole e altrettanto avvincente, perché devo appesantirlo con 3 parole in più? Hai ben azzeccato secondo me il problema principale. Quindi viva una nuova traduzione e soprattutto più fedele al Professore.
Mi piace la sociologia e la storia di tutte le cose e persone. Mi hai fatto scoprire adesso, a 31 anni che c’è stata una ragazza che ha tradotto il libro e sinceramente, questa signora di tutto rispetto, aveva le capacità e gli strumenti per intraprendere una tale Odissea? Mi chiedo anche perché Cattabiani (se è vero) si sia fatto influenzare da Zolla. Da bravi italiani se non mettiamo in mezzo del thriller politico non siamo felici. Teorie complottiste o semplicemente il gusto di strumentalizzare ogni cosa? (altra “dote” italiana). Spunta anche spontanea adesso la domanda perché Zolla dovette scrivere una introduzione al testo che sinceramente non ricordo se la lessi, ma adesso sottolineo un bel non lo farò. Piccola perla per farsi due risate, il buon Eco classificò Zolla come “apocalittico” e inoltre, mise tutti i suoi libri nella “sezione dei cretini”.
Parlando di cretinate, ecco la triste storia che ti dicevo in incipit. Tanti anni fa in una libreria, Feltrinelli per la precisione, stavo ancora seguendo il mondo fantasy, specialmente la sezione su Tolkien, io e un mio amico davamo uno sguardo su quei tomi e dopo alcuni istanti si avvicinò un signore ben distinto, maglione rosso, camicia bianca e jeans blu e cappotto (ricordava e ben dava a vedere il suo schieramento Berlusconiano) e s’infilò nella conversazione tra me e il mio amico dicendo “sai che il libro di Tolkien è un libro di destra?”. Rimasi perplesso e risposi altrettanto vagamente al suo vaneggio. Sarà la maledizione dell’Anello, o sarà che fuori c’era il sole ma pochi si fanno anche i cazzi propri..
Ora, mi piacerebbe tanto snocciolare ogni dettaglio che hai scritto ma non voglio diventare prolisso pure io 😛 perciò ti saluto e ti lascio con il piacere di sapere che valuterò se acquistare il libro singolarmente o attendere la versione completa.
Grazie ancora per il magnifico articolo!
Ciao Federico,
grazie per il commento, sono felice di averti invogliato a leggere la nuova traduzione!
Beh, la Alliata di capacità ne aveva, per la sua giovane età era bravissima e ha compiuto un’impresa straordinaria (persino Ottavio Fatica glielo ha riconosciuto). E soprattutto non c’era nessun altro – a quel tempo – disposto a farlo e questa è una grossa responsabilità della classe intellettuale Italiana. Se non fosse stato per lei, in Italia ci sarebbero voluti decenni prima che il SdA fosse pubblicato.
Ma quell’impresa aveva ovviamente i grossi limiti che abbiamo detto.
Per fortuna i tempi sono cambiati e ora abbiamo la possibilità di avere un approccio a questo classico filologicamente più accurato e libero dalle sovrastrutture ideologiche.
In effetti, se non ricordo male, ci avevano già provato un paio di traduttori “professionisti” e Tolkien in persona aveva bocciato le loro localizzazioni. 🙂
Posso dire “oh, finalmente la recensione di uno che ha letto la nuova traduzione!” ?
Ti segnalo subito un paio di piccolezze, così me le tolgo subito:
– tu scrivi, giustamente, “sacri valori della tradizione”. Sospetto che i ‘tradiizionalisti’ usino la T maiuscola, non so perché.
– la nuova edizione della versione Alliata/Principe curata dalla Società Tolkieniana Italiana non è del 2000 ma del 2003, se la memoria mi assiste. Non cambia nulla riguardo ciò che hai scritto, è ovvio.
Sulla traduzione di Fatica concordo con te che sia elegante, ariosa e scorrevole, ma ammetto che sono un po’ meno magnanimo di te. Talvolta ci sono dei “salti di tono” che _a_mio_parere_ stonano. Come quando Elrond ammonisce Boromir di suonare con maggior cautela il suo corno.
Ma mi è sembrato dleggere un libro mai letto prima, anche se ho al mio attivo decine di letture (anche in inglese) del capolavoro di Tolkien
Sui nomi è ovvio che molto conta il gusto personale: per esempio a me “Ovesturia” e “Gramburrone” non son mai piaciuti. “Forestale”, anche se ho capito perfettamente il perché della scelta, continua a non piacermi.
Passolungo lo troverei perfetto, se non facesse tanto “veicolo” (a passo corto o a passo lungo) 😉
Mi ha fatto piacere poterlo dire anche a Fatica, che ho trovato persona di profonda cultura cultura.
Infine, come forse accadde a te, per me il problema più grosso coi “Vagabondi” è che pensavo fossero un ramo dei “Raminghi” (o forse viceversa). Il che mi rese un po’ meno comprensibile il viaggio degli Hobbit con Strider. Anche perché, nel libro LO Hobbit, i troll eran diventati “Uomini Neri”
Infine, sull’assenza della mappa sono molto, molto meno tollerante di te.
Per me le TRE mappe ideate da Tolkien sono parte del testo, e non andrebbero MAI omesse – come tendono a fare gli editori italiani.
Che non siano state fornite già dal primo volume lo trovo inammissibile.
Ma è solo la mia opinione – grazie al cielo 🙂
Ciao Norbert,
sì, probabilmente usano la «T» maiuscola e questa deve essere da parte mia una sorta di intollerabile bestemmia. 🤭
Grazie per la segnalazione, vado a correggere.
Sono andato a controllare e hai ragione anche sulla data: sulla «nuova» edizione Alliata Principe c’è scritto «2000/2003 RCS Libri Milano SpA»; e poi più sotto sta scritto «I Edizione Bompiani 2003».
Grazie, vado a correggere anche questa.
Per la mappa, credo anche io che sia stato un errore non pubblicarla subito: forse editore e traduttore avrebbero dovuto organizzarsi fin dall’inizio per questo.
Ma forse ci hanno pensato e non è stato possibile? Forse per Fatica sarebbe stato impossibile partire dalla traduzione dei toponimi per poi dedicarsi al testo?
Boh, sono congetture.
Devo dire che per me questa cosa di assistere a tutto il processo di ritraduzione/riedizione, aspettare che pubblichino prima un libro, poi un altro, poi la mappa, etc. ha un suo fascino.
Ma forse la vedo così perché, come ho raccontato, lessi il SdA su una vecchia edizione ereditata, che non aveva la mappa.
Riuscii a rimediarne una da un amico, ma siccome fotocopiarla intera era troppo complicato (date le dimensioni, serviva un macchinario diverso da una semplice fotocopiatrice), feci 6 fotocopie formato A4 delle diverse parti, che poi incollai su un grosso cartone. Ma tutto questo quando avevo già iniziato «Le due Torri» (quel buffo cartellone rimase poi appeso in camera mia per doversi anni).
Insomma, ci sono già passato per questa cosa di dover attendere per avere una mappa.
Certo, a questo punto mi aspetto da Bompiani che – dopo averci fatto tanto attendere – pubblichi una meravigliosa edizione della Mappa su carta pregiata!
Ottimo articolo, sono d’accordo su tutta la linea. A me piace moltissimo la nuova traduzione.
1. la prosa molto piu’ fluida e scorrevole, in generale, riproduce al meglio
l’andatura straordinaria, quasi musicale, del testo originale.
2. la poesia dell’anello e’ restituita col giusto ritmo, irregolare e sincopato.
E’ epica ed evocativa. Quella vecchia in ottonari doppi ricordava moltissimo
una filastrocca per bambini, diciamolo.
Nota alcune pregevolezze, come “le ombre si celano” per richiamare “il
cielo” del primo verso non riuscendo ad ottenere una rima perfetta (io avrei
scritto “dove l’ombra si cela”, cosi’ il richiamo era ancora piu’ lampante e
la lunghezza del verso meglio rispettata).
Anche “vincerli-avvincerli” e’ una bella scelta, nonostante le tonnellate di
di critiche ricevute, per rendere la coppia “find them – bind them”.
Davvero un gran bel lavoro sulla poesia, sporcato solo dalla scelta – non
buona seconde me – di non re-iterare “Un anello, un anello, un anello”…
3. Samplicio e’ stata un’eccellente traduzione e anche i Forestali non e’ cosi’
male, anzi dopo una difficolta’ iniziale lo sto apprezzando proprio perche’
cerca di sintetizzare tutti i significati di Ranger (anche la vaga accezione
negativa che Omorzo fa capire esser sottintesa).
Purtroppo non riesco a digerire Brandaino di Landaino. E’ davvero troppo cacofonico mentre in inglese questo effetto non c’e’. E anche Il cavallino inalberato… era meglio lasciarlo impennato, oppure rampante, o lasciarlo pony. Non funziona granche’ bene come nome di locanda.
Infine non mi piace la scelta di ValForra per tradurre Rivendell….Forra non e’ una bella parola… non rende, non comunica l’idea…chissà come si poteva fare…
Grazie Saimon,
ovviamente mi trovi del tutto d’accordo sulla poesia.
E anche sul «Cavallino Inalberato», non piace neanche a me, anche se non l’ho scritto nell’articolo.
Più che altro perché «inalberato» ha anche l’ulteriore significato di «arrabbiato», che l’inglese «to prance» non mi risulta avere (ma qualcuno mi corregga se sbaglio).
Ciao Luca, ho notato il tuo commento su “prance”
Non sono un linguista, ma da studente di veterinaria, dico che i cavalli “rampano” quando sono spaventati od arrabbiati, insomma se un cavallo si impenna vuol dire che rischi una zoccolata sui denti.
Magari non avrei proprio usato la parola “inalberato”, ma un cavallo arrabbiato è un cavallo che rampa.
Grazie Simone,
in effetti ha senso.
Però forse «inalberato» è un termine che usiamo anche per le persone, mentre a «rampare» sono solo i cavalli (o forse qualche altro quadrupede…).
(Tutto questo sempre premettendo che non amo stare a fare le pulci alle traduzioni dei nomi, perché quello che conta per me è tutto il contesto).
Errata Corrige: «rampante» non può essere usato per i cavalli, si deve usare necessariamente «inalberato»: sono termini molto specifici usati in araldica.
Mi interessava l’opinione sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli di un soggetto che si presentava come estraneo alle fazioni. Ho letto sino a che una serie di Sue asserzioni ha smentito le premesse e quindi ho smesso indignato sentendomi gabellato. In un paese che spero continui a restare libero ognuno ha diritto di esprimere liberamente critiche e opinioni. Non commendevole però presentarsi in modo simulato. Io sono orgogliosamente di destra e se scrivo qualcosa non richiamo l’attenzione sul mio scritto presentandomi come se fossi super partes!
Caro Aurelio,
il fatto che io abbia scritto di non appartenere ad alcuna associazione non significa che non abbia delle mie idee o di «non essere né di destra né di sinistra» (cosa che peraltro di solito si rivela essere una menzogna). Mi riferivo chiaramente alle associazioni tolkieniane.
Mi dispiace che Lei sia orgogliosamente di destra, sono problemi che capitano, purtroppo, e spesso non c’è rimedio.
Perchè quel “mi dispiace” sarcastico? Uno può avere la fede politica che vuole. Il problema è che purtroppo ci sono gli intolleranti come voi che vedono le cose solo a 45°!
“Mi dispiace che Lei sia orgogliosamente di destra, sono problemi che capitano, purtroppo, e spesso non c’è rimedio.”
Letteralmente dimostra quanto bias c’è nel giudicare questa traduzione. Se lei hai così tanto disprezzo per la destra non c’è da stupirsi che con l’uscita della nuova traduzione (non più di destra) lei abbia fatto i salti di gioia e l’abbia considerata migliore a prescindere pur di togliersi dalle palle quella tradizione che le piaceva, ma in fondo era di destra. Quanti altarini si scoprono. Comunque sono uscito su questo articolo per purissimo caso visto che mi servivano delle info sulla nuova traduzione e spinto dal tuo parere controverso mi son letto tutta l’articolo che comunque è scritto con un ottimo italiano. Le consiglio però di cercare di lavarsi di dosso quel aroma da sinistroide che sale sù dai suoi scritti come un fumo da un braciere, proprio quell’odore di quelle tipiche persone che disprezzano il PD ma che lo votano purchè così non vince la destra, che per carità pensiero legittimo ma fin troppo ipocrita.
Comunque il pensiero in topic è questo: Questa traduzione ricorda in grande e largo la traduzione di Cannarsi di Evangelion, un’opera fatta all’insegna di una fantomatica fedeltà alla lingua originale ma che poi complessivamente esce orripilante. Vede spesso per chi fa questo lavoro si dice una cosa: “L’adattamento è un tradire l’opera originale”. Ci ragioni sù, forse un giorno riprenderà la vera traduzione di lotr e dirà “Caspita è di destra, ma almeno è fatta bene”. Comunque io rispedisco a casa tutto quel discorso sulla traduzione di destra che una 15 enne avrebbe fatto: è una baggianata e ad un commento che gli ha fatto notare questa strana dissonanza fra 15 enne e traduzione della destra lei nemmeno ha risposto, ma ha commentato con tutt’altro argomento. Non credo che entrerò mai più su questo sito e immagino che sia io che lei ne siamo contenti.
(Non ho interesse se lei pubblicherà o meno questo commento volevo solo che lo leggesse e che le facesse fare due risate ma anche qualche ragionamento)
Salve Lelouch,
sospetto che non abbia letto la nuova traduzione del Signore degli Anelli, quindi non dovrei pubblicarle il commento, ma le concedo il beneficio del dubbio.
Sono stupefatto: ha sopportato la fatica di leggere tutto l’articolo e tutti i commenti per poi farne un riassunto completamente sbagliato.
Il succo di questo commento è: «Ecco perché ti piace la nuova traduzione, perché sei di sinistra!» (condito con l’originalissima trovata dell’associazione sinistra-comunisti-puzza e arrivando a smascherarmi di fronte al pubblico: lui sa dove metto la X nel segreto dell’urna!)
Ancora un riassunto del mio parere sulla nuova traduzione per i duri di comprendonio (e per chi finge di non capire).
La vecchia traduzione era una buona traduzione, per l’epoca in cui fu realizzata; ma ha fatto il suo tempo, anche perché aveva molti difetti.
Ogni classico della letteratura viene tradotto più volte e l’opera di Tolkien meritava una nuova traduzione filologicamente più accurata. Non è che sono arrivati i «cattivoni di sinistra», è che funziona proprio così la cultura umana: si va per tentativi, si cercano soluzioni nuove e si impara dagli errori del passato.
Purtroppo la vecchia traduzione è stata tolta dal mercato per volontà della sua stessa autrice, non c’è dietro un’operazione politica (maledette zecche comuniste puzzolenti!); altrimenti oggi avremmo entrambe e i nuovi lettori potrebbero farsi un’opinione liberamente.
La nuova traduzione per me è migliore perché rispetta l’ampia dinamica della prosa di Tolkien e cerca di riprodurre i sottili giochi sintattici dell’autore che spesso rivelano ironia, sarcasmo o altre sfumature; invece la vecchia appiattiva tutto su un linguaggio mono-tono, serio e simil-cavalleresco.
Inoltre, la vecchia traduzione fu parte di un’operazione editoriale volta ad accreditare l’opera di Tolkien come «di destra», cosa che funzionò nella provinciale cultura italiana; probabilmente la vecchia traduttrice di questo non era consapevole; ma sappiamo che di recente ha palesato certe opinioni politiche per così dire… un filino conservatrici.
La nuova traduzione è invece inserita in un contesto che vuole cancellare queste forzature ideologiche infondate.
PS: al prossimo commento che tira in ballo la faccenda del tradurre/tradire stramazzerò sfiancato definitivamente.
PPS: lo ammetto una volta ho votato quei tizi lì, è stato oltre un quarto di secolo fa, ero un giovincello e loro e avevano un altro nome. Ebbene sì, c’è gente che senza alcuna vergogna dà il voto a ruffiani, puttanieri, ladri, corrotti, neo fascisti, xenofobi da reparto psichiatrico e collusi con la mafia… Eppure io mi vergogno di questo, di aver dato il mio voto a un partito di centro sinistra, una vita fa.
PPPS: «su» si scrive senza accento.
Condivido il parere di Aurelio (a parte l’essere di destra :D)
Non ho letto la nuova traduzione e i ricordi della vecchia sprofonda nel passato, e credo che se dovessi mai rileggerlo lo farei in lingua originale (letto il Silmarillion in inglese puoi leggere qualsiasi cosa credo :D).
La mia sensazione (vera o falsa che sia) leggendo questa recensione è che manchi non dico totalmente ma in misura consistente di obiettività. Però che poi in un certo senso che cerchi di passare per obiettiva, mascherandosi.
Personalmente conosco molte persone che la ritengono valida e hanno le loro motivazioni, e altrettanti che NON la ritengono valida, e hanno le loro, ma in questo articolo non vengono rappresentati solo i presentabili del primo gruppo e gli impresentabili del secondo.
Forse mi sbaglio io, o forse non ne sei consapevole, ad ogni modo questa è la mia sensazione.
Ciao Francesco,
sinceramente non capisco cosa intendi per «obiettività» e quali sarebbero i parametri per stabilirla.
Se avessi detto che nella nuova traduzione c’è «questo di bello e quest’altro di brutto» ti sarebbe sembrata più obiettiva?
Ho riletto la vecchia traduzione, subito dopo ho letto la nuova e poi ho fatto confronti tra l’originale e le due traduzioni: da qui mi sono fatto la mia opinione e l’ho pubblicata, entrando nei dettagli.
A te non piace, ok.
Mi accusi però di barare perché citerei solo gli «impresentabili del secondo gruppo».
Tra i detrattori della nuova traduzione del Signore degli Anelli ho citato la vecchia traduttrice Alliata in persona e i commenti e pareri di intellettuali e/o Tolkieniani di antica data: Oronzo Cilli, Quirino Principe, Cesare Catà, Franco Cardini: se questi sono «impresentabili» allora non capisco chi dovrei prendere a riferimento.
Ciao Luca, innanzitutto complimenti per l’attenta analisi nel tuo articolo. Lo lessi un paio di mesi fa, quando ancora riuscivo a resistere alla tentazione di comprare la nuova traduzione. Che illuso, volevo aspettare l’uscita degli altri due per non dover interrompere la lettura.
Ho appena lasciato la Compagnia alle prese con il valico di Caradhras per rivalutare la tua analisi alla luce di quanto letto finora. Seguendo il tuo esempio sto confrontando alcuni passaggi con la vecchia traduzione (nello specifico quella completa di inizio 2014 con il paragrafo finale di Molti incontri). Se leggendo l’articolo senza avere la nuova traduzione mi trovavo già d’accordo con la tua analisi, non posso che confermarlo ora che sono giunto a buoni tre quarti del libro.
Pur non avendo ancora trent’anni sono molto affezionato all’opera e ai nomi dei personaggi e luoghi, per non dire ad alcuni passaggi ed espressioni specifici. Come tanti quindi ho provato un certo straniamento per le nuove traduzioni ma devo dire che proseguendo nella lettura e ritrovando i nomi ritradotti lo straniamento ha lasciato spazio all’apprezzamento per l’organicità e precisione del lavoro svolto da Fatica, facendomi anche ‘vergognare’ per il mio ‘egoismo’: una traduzione si rivolge virtualmente alle infinite generazioni di futuri lettori e il mio straniamento nostalgico non vale certo l’importanza di avere traduzioni sempre migliori per chi vorrà apprezzare l’opera del maestro. Detto questo, pur non avendo confrontato i due testi con l’originale ma alla luce degli esempi da te citati, durante i miei raffronti mi sembra chiaro come la nuova traduzione sia nettamente migliore. Appurato che quella di Fatica sia la più aderente all’originale, la vecchia traduzione ha in alcuni punti davvero stravolto il senso delle frasi e potendo ora confrontarla risulta a tratti incomprensibile (“il cielo aveva un che di nero” di Fatica, per l’Alliata era “vi era qualcosa di nero nel cielo”, tanto per dirne una sulle cento che ho trovato paragonando soli pochi paragrafi a capitolo. Ma di che parliamo??).
Oltre che per la già citata abitudine di raddoppiare gli aggettivi, la vecchia traduzione ora mi sta sembrando molto piu pesante, non solo per il numero di parole o espressioni in più ma quasi per la maggiore fatica nell’evocare le immagini delle parole mentre leggo. Nella nuova traduzione il testo scorre che è una meraviglia, certo in alcuni tratti é forse troppo asciutto (e parlo sempre rispetto alla vecchia traduzione senza considerare l’originale) ma infine lo sto trovando per assurdo più evocativo nella sua incisività rispetto a quello aulico dell’Alliata. Certo, per chi come me é cresciuto con la vecchia traduzione, a volte fa strano ‘sentire’ i personaggi esprimersi in un italiano più moderno ed appunto asciutto, ma la qualità finale, almeno per me, è decisamente superiore.
Scusandomi in anticipo per la lunghezza del commento, (quasi) concludo dicendo che per ora l’unico rimpianto potrebbe essere la perdita di quel senso di epicità che la vecchia traduzione mi aveva trasmesso. So che questo sembra in contrasto con quanto ho scritto sopra e concordo appieno con quanto tu hai detto a proposito nell’articolo, ma non parlo tanto di Sam che si esprime come un cavaliere o della complessità o prolissità delle frasi; non saprei descriverlo, ma leggendo la nuova traduzione è come se questo testo più asciutto e moderno trasmettesse meno quell’urgenza della quest, quell’evocativa gravità nel racconto di Elrond durante il Consiglio, quella quasi ‘pesantezza’ dei paesaggi così come erano nella traduzione dell’Alliata. Scambio volentieri quella sensazione (in parte sicuramente mutuata dall’abitudine, dall’età in cui lessi il libro per la prima volta, dai film etc) con la qualità di questa nuova traduzione, ma ho l’utopia che un giorno una nuova traduzione possa avere tutti questi lati positivi delle due che abbiamo a disposizione ora.
Aggiungo un ultimissimo pensiero riguardo alle poesie: sono sicuramente più aderenti nella metrica e nel significato, e anche qui l’abitudine e il tempo avranno il loro peso, ma preferisco comunque le vecchie per le sensazioni che anche rileggendole e confrontandole mi hanno trasmesso. Unica eccezione, finora, quella di Bilbo prima che la compagnia parta da Valforra, che nella nuova traduzione mi ha colpito e commosso come mai prima.
P. S mi permetto di dire, da appassionato qualunque che non ha neanche mai letto l’originale e non è esperto di inglese antico o di qualsiasi altra cosa inerente: ho letto tutti i commenti prima del mio e francamente in buona parte di quelli critici non ho visto un curioso o un fan di Tolkien ma qualcuno che ha qualche altro scopo o pensiero oltre a quelli che può avere, per l’appunto, un appassionato qualunque come me nel commentare un articolo del genere. Probabilmente mi sbaglio, sarà l’ora tarda.
Ciao Francesco,
ti ringrazio davvero per questo commento, per il tuo apprezzamento e per le tue opinioni personali.
Soprattutto perché hai letto la nuova traduzione, cosa che la stragrande maggioranza di chi la critica non ha fatto.
E non devi scusarti per esserti dilungato, hai aggiunto valore a questo articolo!
Non avevo mai letto Tolkien né visto i film, perciò non avevo nomi a cui ero affezionato. Negli ultimi due mesi ho letto i primi due volumi, La compagnia dell’anello nella nuova traduzione e Le due torri nella vecchia. Ho preferito senz’altro la nuova, e concordo in pieno con l’articolo: la vecchia traduzione è aulica, ma proprio per questo piatta.
Non condivido invece la scelta di non mettere la mappa nel primo volume, e temo finirà in un quarto volume insieme alle appendici del terzo.
Commento interessantissimo, Sergio!
Grazie.
Scrivo per farti i complimenti per tutto quello che hai scritto.
In questi giorni sto finendo l’ennesima lettura del Signore degli Anelli e ovviamente spulcio in rete notizie e curiosità per alimentare la passione per la terra di mezzo che mi sta avvolgendo.
Dopo aver letto la tua analisi mi son reso conto di quanta roba c’e’ dietro questo libro sia nella versione originale in inglese (che non sono in grado di affrontare e quindi apprezzare) sia nella traduzione italiana (a cui ho sempre dato scarso rilievo in quanto totalmente rapito solo dalla narrazione della storia).
Non mi permetto di criticare la nuova traduzione che non ho letto e che sicuramente paga lo scotto di essere confrontata con un testo entrato nel dna di ogni appassionato, ne’ di condannare la vecchia traduzione che, con tutte le distanze dal testo originale, ha in ogni caso il pregio di raccontare una storia che ha avvinto cosi’ tanti lettori.
Hai evidenziato molti aspetti che ben si concilierebbero con una edizione annotata in cui si fornissero elementi per apprezzare le scelte del traduttore. Purtroppo a quel punto ogni volume diventerebbe davvero troppo corposo.
Complimenti quindi per la tua analisi!!!
Grazie Stefano,
Apprezzo moltissimo quello che hai scritto, sincero, onesto e giusto.
Ciao,complimenti per la tua critica e disamina nonché confronto tra le due traduzioni.Ho letto per la prima volta il SDA nel 1980 affascinato dalla copertina e sono stato stregato e ammaliato dal magico mondo creato da Tolkien,da allora l’ho riletto più di dieci volte in italiano e un paio in inglese. Non ho mai pensato a connotazioni politiche al riguardo ,ma solo al piacere della lettura e alle grandi emozioni che la magnifica scrittura del professore mi da ,ed è giusto sottolinearlo:Tolkien scrive da dio.la nuova traduzione non mi dispiace ha molti pregi e si accosta di più al sentire di Tolkien, la vecchia la trovo più fluida e ci sono legato per questione affettiva,quindi non mi sento di criticarla più di tanto.La polemica sui nomi per me si risolve in un solo modo :non bisogna tradurli .
Grazie Sergio.
Inizialmente pare che Fatica non volesse tradurre i nomi, infatti. Anche io la pensavo così, inizialmente. Poi ho capito che c’erano cose che valeva la pena reinterpretare secondo un ‘ottica più filologica.
Sono madrelingua inglese. Ho finito di leggere la nuova traduzione due giorni fa. Punto primo, da evidenziare subito: la mancanza di mappe e illustrazioni è criminale.
Trovo che entrambe le traduzioni, sia la Alliata che la nuova di Fatica, siano tra l’orrendo e l’irritante. Alcuni nomi erano sì da lasciare, non per affezione ma, per esempio, perché certe crasi non rendono. La nuova traduzione della poesia dell’anello che vede rime altrettanto forzate della prima, ma meno delicate, è scialba e deludente. Il linguaggio, è verissimo, da Alliata-Quirino viene reso attraverso registri che fanno sembrare le conversazioni incolori e incapaci di adeguarsi alle caratteristiche dei parlanti. Ma la scelta conseguente di Fatica è di usare spesso termini così desueti o, al massimo, frutto della masturbazione di un classista con molto tempo da perdere, che l’intento arricchente, quasi da e-ducatore a tratti, di Tolkien è smarrito. Tutto è annacquato dalla voglia dei traduttori di saltellare e dire “hey, hey! Sono qui! Notatemi!”, oggi come ieri. I tratti commoventi e scherzosi vengono costantemente sepolti sotto sei piedi di sovrastrutture. A questo, si aggiunga la perenne tendenza italiana a fare la guerra all’altro e ai suoi errori, cadendo negli stessi errori: il tiro alla fune da destra è passato a sinistra, da lì ripasserà a destra. E Tolkien è troppo complicato, e semplice, e impegnato, e leggero, e colto, e amante del volgo, per chiederci questo. Dai fascisti, passerà ad altri soggetti in cerca di identità politica e valore morale attraverso la legittimazione letteraria.
Mi spiace, sul serio, per chi non ha il privilegio di poter godere dell’originale e deve sorbirsi la guerra tra giovani e vecchi tromboni e predicatori. Non se lo merita, davvero, nessuno.
Ciao LosDeAfueraSonDePalo,
non trovi un po’ stonato dire che entrambe le traduzione sono «tra l’orrendo e l’irritante» e poi criticare la «perenne tendenza italiana a fare la guerra all’altro e ai suoi errori»?
Poi permettimi di dire: ma che palle, co sta storia degli opposti estremismi! Continuo a chiedere che qualcuno mi citi un passaggio, una frasetta, un qualsiasi dettaglio microscopico che faccia supporre che la nuova traduzione abbia dato una connotazione politica al Signore degli Anelli.
Citami un passaggio così e poi forse possiamo discuterne.
Solo una cosa: grazie per questo post.
Non ho ancora letto il libro nella nuova traduzione, ma dopo aver letto questo tuo articolo ho deciso di comprarla e leggerla.
Hai anche spiegato molto bene temi e tecniche di traduzione che ignoravo.
Grazie.
Grazie a te, Paolo!
Non so quali tecniche di traduzione ho spiegato, ma mi fa piacere averti fatto venire l’acquolina in bocca!
Buongiorno, premetto che i commenti sono molti ed è probabile che qualcuno abbia già scritto ciò che sto per dire e io non l’abbia notato.
A parer mio la forza dell’opera di Tolkien sta proprio in quanto spiegato nella prefazione alla nuova edizione, ed è triste vedere come così tante persone nel tempo si siano ridotte a politicizzare anche Il Signore Degli Anelli.
Riguardo ai nomi differenti, credo che la trilogia cinematografica abbia condizionato troppo il pubblico per poter avere ora un giudizio definitivo sulla “bellezza” di una versione o di un’altra (ovviamente vale per chi come me si è dedicato alla lettura dopo i film).
Sono stati film spacca-record che hanno impresso un marchio indelebile nell’immaginario collettivo, perciò secondo me con il tempo questa nuova traduzione potrà risultare più gradevole anche ai critici più accaniti (sempre che si accetti di lasciar perdere almeno per mezz’ora la politica).
Ciao Paulista,
sì, probabilmente anche i film hanno avuto alloro peso.
Ciao, innanzitutto volevo farti i complimenti per l’articolo, dettagliato, preciso e illuminante. Spinto da una curiosità irrefrenabile (e perché onestamente volevo recuperarlo) ho deciso di iniziare a leggere Il Signore degli Anelli e, informandomi un po’ sul web, ho deciso di comprare una delle ultime versioni della Bompiani. Ho compreso pienamente le differenze tra le due edizioni e ho ritenuto che fosse più logico per me (che allo stato attuale ho letto solo Lo Hobbit) di recuperare Tolkien nella sua veste “antica”, anche perché oramai il lessico usato è stato ampiamente ripreso anche in opere collegate (film, videogiochi e così via). Nonostante questo, mi hai fatto venire dei dubbi. Tu cosa mi consiglieresti? Una delle soluzioni che avevo pensato era quella di leggermi prima la versione vecchia e poi confrontarla con quella di Fatica. Grazie per l’attenzione e scusa il messaggio chilometrico.
Ciao Massimiliano,
se ti interessa capire in che modo Tolkien è stato recepito in Italia, ti consiglio di leggere entrambe le versioni e confrontarle: è l’unico modo per capire davvero.
Se di tutto questo non ti importa niente e vuoi solo goderti il romanzo, ti consiglio la nuova traduzione per tutti i motivi che ho scritto.
Salve, da un po’ di tempo mi sto appassionando alla lettura fantasy e sotto consiglio di colleghi vorrei leggere Il Signore degli Anelli. Non avevo mai visto nemmeno i film (e non mi pento di averli visti, per la prima volta, a quasi 23 anni). Lo so, mi sono fatto spoiler così, ma per la prima volta la visione del film ha lasciato in me un desiderio enorme di approfondire andando a leggere i libri. Ho provato a cercare traduzioni vecchie, perchè avevo letto delle cose disprezzanti sulla nuova traduzione, ma i prezzi sono improponibili.
Il suo articolo, invece, l’ho trovato illuminante, schietto, chiaro, disinteressato per il bene comune: la conoscenza!
Ora le chiedo: per un lettore inesperto come me, è avventato leggere la nuova traduzione senza l’ausilio della mappa?
Ciao Francesco,
pensa che quando iniziai a leggerlo la prima volta, sulla vecchissima edizione che ho messo qui su, non avevo la mappa.
Ne rimediai una quando ero già a «Le Due Torri».
Comunque probabilmente qualche vecchia mappa (coi vecchi nomi) puoi reperirla online, mentre attendi la pubblicazione della nuova.
Per chi avesse mappe in inglese (ad esempio anche nell’edizione italiana dell’Atlante della Terra di Mezzo della Fonstad, nelle mappe, i nomi sono in inglese) o in italiano nella traduzione Alliata/Principe, ho creato delle tabelle sinottiche di nomi e toponimo con originale, traduzione Alliata/Principe, traduzione Fatica.
Le tabelle le trovate qui.
Le mappe del Signore degli Anelli
Comunque il 22 luglio è prevista l’uscita del “Ritorno del Re” con tutte e tre le mappe – finalmente!
Norbert grazie infinite per questa bellissima segnalazione!
La nuova traduzione non mi è piaciuta per niente. Nel tentativo solo parzialmente riuscito di rimanere aderente all’originale, perde epicità e poesia. Mi fanno lo stesso effetto certe traduzioni moderne dei poemi omerici che tanto piacciono a ragazzi, ormai abituati a leggere anime e manga più dei classici.
A mio avviso in questa analisi tendi a giustificare un po’ troppo le scelte di Fatica e della Bompiani. Devo ammettere che ci vuole un bel coraggio per difendere l’assenza di una mappa e una copertina che mostra la superficie di Marte. Vette sublimi raggiungibili solo da arrampicatori di specchi di comprovata esperienza!
INCOERENZA e TRADUZIONE DEI NOMI
Incoerenza nel metodo con cui Fatica affronta la traduzione. Alcuni nomi (come Pippin) rimangono come nella versione inglese altri vengono tradotti con risultati come “Brandaino”, “Samplicio”, “Boscuro”, “Vallea Morgul” che non si possono sentire. Non male “Valforra”, ingiustamente criticato. Errato tradurre “Withywindle” con “Circonvolvolo” dato che Tolkien si riferiva proprio ai salici (withies) e non al convonvolo. L’Ottavione nazionale ritiene inoltre che per Tolkien “Merry” non debba far pensare ad “allegro” ma si sbaglia anche qui perché malgrado “Meriadoc” derivi dal gallese per “gran signore”, il vero nome dell’hobbit in Westron sarebbe “Kalimac” cioè “gay/jolly”.
Il registro di alcuni personaggi (Gandalf su tutti) passa da molto alto a volgare senza ragione apparente.
REGISTRO
1) La traduzione dell’Alliata tende ad avere un registro piuttosto uniforme che risulta fin troppo elevato per Sam. Vero. Non concordo però sul fatto che gli Hobbit in generale debbano avere un registro piuttosto medio-basso dato che dei quattro, tre hanno origini “nobili”. Frodo è un Hobbit ricco e colto (“il migliore” secondo Gandalf) ha persino un’infarinatura di Sindarin e Quenya. Fatica cerca di assegnare a ciascun personaggio il registro appropriato…fallendo il più delle volte. Fa dire a Gandalf “me li sono sciroppati per giorni e giorni” o “anche lo prendessi a mazzate”. Suvvia, è una delle creature più sagge presenti nella Terra di Mezzo, non un borgataro di Pietralata. Fatica mette in bocca a Frodo “che schifo!” quando nell’originale si trova il formale “how loathsome”, non certo un’esclamazione da ragazzino.
2) «Bill, ragazzo mio», disse, «hai fatto male a venir con noi. Saresti potuto rimaner qui a masticare il miglior fieno del mondo fin quando spunta l’erba fresca.
Qui non rilevo un linguaggio da “nobile cavaliere” da parte di Sam. Al contrario, Fatica sceglie “manducare”, un verbo arcaico che nessuno usa nel quotidiano. Se avesse voluto rendere il linguaggio rozzo e sgrammaticato di Sam sarebbe stato meglio “magnare”. Vorrei inoltre far notare che lo stesso Fatica mette in bocca a Sam “genìa”, termine ben più associabile ad un “nobile cavaliere”.
Questo frequente ricorso a toscanismi e termini desueti rende la Contea più simile alla Val di Chiana che alle Midlands. Trovo invece che la traduzione di Fatica sia nettamente migliore nel secondo trafiletto proposto riguardante la conversazione di Sam con Bill. Insomma, meglio Sam con un registro troppo alto che Gandalf ed Elrond con uno (a tratti) troppo basso.
3) “un paese di erba e corta cotica elastica”. Sembra un trattato di giardinaggio. Perché tradurre il comune “turf” con l’inusuale “cotica”? Cercare di tradurre in modo letterale talvolta porta a risultati orrendi.
POESIA DELL’ANELLO
Fatica rispetta la metrica dell’originale ma si prende molte libertà non diversamente dall’Alliata…la cui traduzione perlomeno suona bene.
1) Traduce “to lie” con “celarsi” distorcendo il significato del poema
2) Nel sesto verso inverte i verbi “rule” e “find” e traduce “to rule” con “vincere”
3) Tolkien ripete sempre “one ring” mentre Fatica lo rende una sola volta con “un anello” e le altre due con “uno”. Va ricordato che oltre ad un poema si tratta di un incantesimo e la ripetizione quindi è fondamentale.
4) Traduce “to bring” con “radunarli”. Non va bene, è troppo blando, non è quello il senso.
5) “Vincerli” e “avvincerli” mi fa storcere il naso ma è una considerazione molto più soggettiva delle precedenti.
VARIE ED EVENTUALI
-Mantenere la sintassi inglese non è sempre un pregio. Per rendere bene certe espressioni di una lingua straniera si deve necessariamente sacrificare la struttura.
-Denethor non è assimilabile ad un castaldo longobardo o veneziano. Molto meglio il più generico “sovrintendente”.
Caro Fabio,
ovviamente non sono d’accordo ma ti faccio i complimenti: dopo mesi e mesi che ho pubblicato questo articolo sei il primo che mi viene a criticare con delle argomentazioni decenti.
Non posso entrare nel merito di tutte le singole parole che non ti sono piaciute, mi limito a un’osservazione generale.
«Mantenere la sintassi originale non è sempre un pregio»? Può darsi.
Ma la domanda è: perché cambiare la sintassi, se la lingua italiana ti offre la possibilità mantenerla identica senza particolari sforzi?
E perché farlo spessissimo, per centinaia di pagine?
Dici che mi arrampico sugli specchi per la questione della foto marziana (ma se non ci fosse stato scritto sulla copertina, avresti capito che era Marte? Seriamente trovi brutta questa edizione?). Ma tu non sei da meno:
veramente pensi che «hai fatto male a venir con noi» sia un modo di parlare adatto a Sam?
Anche io ho trovato qualche parola che non mi è piaciuta nella traduzione di Fatica. Ma che senso ha?
Ho apprezzato questa traduzione perché tenta, per la prima volta in 50 anni, di tradurre Tolkien e non di manipolarlo, di trasformarlo.
La traduzione Alliata-Principe ha deformato il testo originale non per incompetenza o ingenuità: lo ha fatto col preciso scopo di far aderire Tolkien a una certa corrente politico-filosofica.
Affidando una nuova traduzione a un professionista di chiara fama, la Bompiani ha provato liberarci da questa ignobile stortura.
Ci sono cose criticabili?
Sicuramente.
Sono errori tragici? Non mi pare.
Mettendo le due operazioni culturali sul piatto della bilancia, per me non c’è proprio paragone.
Dato che “hai fatto male a venir con noi” non ha nulla di aulico penso vada bene per Sam a differenza di altri passi effettivamente troppo ricercati per un popolano.
Quale sarebbe l’ignobile stortura della traduzione Alliata-Principe? Ritieni veramente che quella di Fatica non strizzi l’occhio ad alcuna corrente politico-filosofica?
La nuova traduzione, modernizzandolo, non rende giustizia al testo originale che è intrinsecamente “aulico” e con uno stile a tratti assimilabile ad un poema epico.
Fabio,
posso solo pensare che devi aver frequentato poco la strada, se pensi che in lingua italiana quella frase si addica a un lavoratore di umili origini e scarsa cultura.
Sul rapporto tra la nuova traduzione e la politica ho già risposto abbondantemente nei commenti precedenti.
Hai detto benissimo: uno stile «a tratti» assimilabile a un poema epico. Appunto, a tratti, non ininterrottamente per tutto il romanzo.
A tratti lunghi quasi tutto il romanzo, direi, a costo di smentirmi. La scelta di questo inglese “arcaico” e il disprezzo per quello moderno viene analizzata in diverse lettere dell’autore, ad esempio la 171 contenuta in “The Letters of J.R.R. Tolkien”.
Sam è un lavoratore di umili origini ma…
1) Fu istruito da Bilbo
2) È un dipendente della dimora più in vista di Hobbiton e quindi frequenta Frodo e i suoi amici che hanno una buona se non ottima istruzione e fanno parte di famiglie importanti come Tuc e i Brandibuck.
3) Nel corso dell’opera mostra una certa vena poetica, non è uno sgherro di Brea.
“Hai fatto male a venir con noi” è una frase che ha pronunciato molte volte mia nonna ormai quasi novantenne, con la quinta elementare e sempre vissuta in cascina.
Quale variante della frase esposta ritieni adatta per Sam, tolte quelle presenti nelle traduzioni pubblicate?
Scusa Fabio ma qui stai interpretando a modo tuo. È Tolkien che fa parlare Sam in modo sgrammaticato (vedi «et» per «eat»), non è mica un’invenzione di Fatica (o mia). Il testo inglese l’ho messo proprio per poter fare il confronto.
Tolkien ha scritto «you oughtn’t have took up with us» che, per quel poco che capisco l’inglese, mi sembra una formula abbastanza colloquiale per dire una cosa tipo «non avresti dovuto avere a che fare con noi». O qualcosa di simile.
La traduzione di Fatica mi sembra molto più simile, quella Alliata stravolge l’originale.
Possiamo star qui a discutere quanto vuoi, il problema di fondo è che a te non piace la formula più aderente di Fatica. In tanti non riuscite ad accettare che Tolkien giocasse con la lingua in maniera molto più disinvolta di quanto non abbia fatto credere la traduzione Alliata-Principe per 50 anni.
Per me non è un problema se dite che vi piace di più la vecchia traduzione. Però non neghiamo le evidenze.
Per me il fatto che il Signore degli Anelli sia stato nuovamente tradotto è stata (e continua ad essere, nonostante tutto) una buona notizia.
Perché, dato per assodato che (purtroppo o per fortuna) l’originale rimarrà sempre irreplicabile, diverse traduzioni ci permettono di conoscere e riflettere lo stesso testo in modo più completo. E’ così per l’Iliade, per l’Odissea. Per la Bibbia, accidenti.
Quindi per me l’operazione, più che legittima, era proprio dovuta.
Mi sono accinto alla lettura con entusiasmo, anche dopo aver letto le varie ragioni di natura stilistica che hanno orientato la nuova traduzione, ben compendiate nel tuo articolo (per il quale mi complimento, è un bell’esempio di parere personale esposto con motivazioni e senza alzare i toni).
Però, non sono d’accordo con te. In particolare nel passaggio in cui parli della scelta di Alliata di utilizzare la figura retorica dell’endiadi. Da come dici, sembrerebbe che l’abbia scelta solo perché la usava Dante.
Eh,no. La localizzazione di Vicky Alliata (non semplice traduzione!) partiva da un concetto che ha più volte spiegato, e che è questo: Tolkien ha voluto utilizzare un linguaggio ripreso dagli antichi poemi anglosassoni (Beowulf, per esempio), ma attualizzandolo e rendendolo godibile al massimo per il lettore inglese del suo tempo. Ha ripreso gli stilemi dell’epica inglese, per ricondurre il lettore inglese all’atmosfera epica di quei racconti della tradizione.
Ora, in italiano l’atmosfera epica è riproducibile facendo riferimento ad Ariosto, a Tasso, per esempio. Loro utilizzavano l’endiadi, che avevano ripreso da Dante; l’operazione è stata questa. Spericolata, forse. Magari non in linea con le nuova “scienza della traduzione”.
Per me è stata geniale.
Io trovo la nuova traduzione, detto francamente, sciatta. Molto sciatta. Lo stesso personaggio (Legolas) nella stessa frase dice “secondo te?” e “raggiunger”. Nel descrivere un ruscello, il nuovo traduttore dice “Spisciolare” che era “gorgogliare” per Alliata.
SPISCIOLARE.
Ora, io dico: può anche essere che filologicamente spisciolare sia più corretto di gorgogliare, in quel caso specifico. Ma a me italiano, molto banalmente, se mi dici spisciolare mi viene in mente la pipì.
Non ho fatto il confronto col testo originale, non ce l’ho e comunque non sarei in grado di fare un raffronto consapevole; ma mi reputo capace, dopo aver letto per una vita e frequentato i grandi classici della letteratura, di distinguere un italiano bello da uno brutto.
L’italiano di Alliata è bello. Molto. Quello di Fatica no, ed è pure più ostico da leggere. Tradurre “west” con Occitane è uno sberlone in faccia al lettore. O “catafalco” laddove Alliata traduceva con “barella”.
Riporto un passaggio, per spiegare meglio.
Fatica:
“Trascorrevano, ombre grige su landa petrosa”.
Ragazzi, io qua non riuscivo a comprendere il senso della frase, pur leggendolo nel contesto narrativo. Cioè facevo fatica a comprendere perché, ad un certo punto, l’autore mi dicesse che scorrevano delle ombre grige su una landa petrosa.
Poi ho letto la versione di Alliata, e ho capito:
“Andavano veloci, come ombre grige per contrade rocciose”.
La frase si riferisce ai soggetti dei periodi precedenti, ovvero Gimli, Legolas e Aragorn. Ma accidenti! Come puoi riferire il verbo “trascorrere” a tre persone e non specificare il soggetto? Ho verificato sul dizionario e in effetti in letteratura è attestato anche l’uso di trascorrere per definire l’avanzare di un uomo, ma perdinci! Sarebbe questa l’attualizzazione? Rendere incomprensibile per un lettore medio italiano? Se proprio vuoi utilizzare “trascorrere”, allora puoi dire “I tre trascorrevano, […]”.
A questo punto, sarà anche meno fedele, ma preferisco la traduzione che mi fa capire quel che sto leggendo.
Insomma, ben venga la nuova traduzione. Ma a me questa non piace per nulla.
Ciao Antonio,
intanto grazie per i complimenti.
Riguardo al fatto delle endiadi (è interessante quello che hai scritto sull’epica italiana) ho semplicemente evidenziato quello che ha detto la Alliata: ovviamente l’ho fatto in modo caustico, perché per me resta una scelta inappropriata e perché ho trovato insopportabile il tono di quell’intervista.
Poi io non è che sia d’accordo con tutte le scelte di Fatica.
Il motivo per cui preferisco di gran lunga la sua traduzione è il tono generale del testo.
Per quanto riguarda l’uso strano di certi verbi, come «trascorrere», è stato spiegato da Fatica stesso che Tolkien aveva questa abitudine di usare parole comuni con significati desueti e che ha cercato di riproporre questo effetto in lingua italiana. Funziona? A volte sì, a volte no.
A differenza tua però trovo comunque il testo di Fatica molto più scorrevole e vivace.
Che l’italiano della Alliata sia bello è vero.
Non è vero che è brutto quello di Fatica, che in più ha fatto lo sforzo di provare a ritrasmettere il complicato uso dell’inglese di Tolkien.
Forse è vero che Fatica ha tentato di ritrasmettere il complicato uso dell’inglese di Tolkien come dici tu.
La prima traduzione, invece, ne ha (a mio avviso) ritrasmesso lo spirito, proprio grazie a quelle stesse scelte stilistiche così aspramente criticate.
Fatico a capire come la vecchia traduzione possa aver meglio trasmesso lo spirito dell’originale cambiando continuamente la sintassi delle frasi, modificando volutamente il tono di molti brani, forzando la metrica delle poesie.
Fatica ha sicuramente scritto una traduzione filologicamente più aderente ma in un gran brutto italiano: l’utilizzo dell’indicativo imperfetto al posto del congiuntivo presente non è accettabile sia perché non è un espediente per differenziare il registro linguistico dei personaggi in quanto è usato fuori dai dialoghi, sia perché l’inglese ha pochi tempi verbali tra cui scegliere ma l’italiano possiede vasta gamma e fa davvero accapponare la pelle trovare certe sgrammaticature di questo genere e due righe dopo eccedenze di arcaici. In secondo luogo il traduttore si è dimenticato in toto di uno dei capisaldi del pensiero, e del gusto, tollerano, ovvero la musicalità della lingua. Tolkien si è innamorato da bambino del gallese per il suo puro suono, molto prima di apprendere i rudimenti e lo stesso gli accadde con il gotico e il finnico. Questa nuova traduzione ha gettato alle ortiche questa sua lezione e le poesie sono le parti che ne hanno risentito di più: vorrei proprio sapere chi mai le imparerà a memoria in questa versione. Arrivata alle porte di Moria procedo esclusivamente per forza di volontà, per non dire che un libro mi ha sconfitta. Non ricordo chi disse che “le traduzioni sono come le donne, se sono belle non sono fedeli” ma di sicuro ora posso affermare di preferire quella infedele ma bella, perché a sua volta assume valore artistico letterario in sé. Magari ci fossero ancora traduttori che in primis sono grandi scrittori come lo era per esempio Pavese…
Il linguaggio di Tolkien voleva risultare atemporale; per farlo ha ripreso gli stilemi dell’epica anglosassone, che “risuonavano” nei suoi lettori britannici perché quell’epica l’avevano studiata a scuola, in un linguaggio più comprensibile e scorrevole; per ricreare la stessa condizione nel lettore italiano, la prima traduttrice ha riproposto, modernizzandolo, lo stile classico dell’epica italiana. Per questo è riuscita, pur sacrificando (come dici tu) sintassi, tono e metrica, a non tradire lo spirito dell’originale. Ho il sospetto che coloro che in italiano non riescono a leggere la prima traduzione perché pesante, corrisponderebbero precisamente a quei lettori britannici che non riescono a leggere l’originale . E ora basta, io mi fermo qua. Grazie dell’ascolto e delle repliche.
Sì Antonio, questo è quello che dicono anche Alliata e i suoi sostenitori.
Ma Tolkien non usava lo stesso linguaggio «epico» in ogni pagina del romanzo. Il linguaggio usato da Tolkien è molto più variegato, così come lo erano, per quanto ne so, i suoi riferimenti culturali, che non erano solo colti: aveva letto e amato anche molta letteratura «per ragazzi» (su questo, vedi le ricche note di Anderson in «Lo Hobbit annotato»).
Ed è per questo che molte persone trovano «pesante» la vecchia traduzione: perché è tendenzialmente appiattita su un tono «alto».
Questo fu fatto con il preciso tentativo (nessuno me lo toglie dalla testa) di dare all’opera di Tolkien una lettura vicina a una certa area culturale: non poteva esserci mai un tono «basso», niente personaggi illetterati, dovevano essere abbassati i toni vagamente sarcastici: tutto doveva sembrare «epico».
Questo per me è molto lontano dal trasmettere il tono originale.
Bell’articolo. chiaro e molto circostanziato nel delineare le traversie editoriali tipicamente italiane (e solo italiane? Boh).
Come tanti sono figlio della vecchia traduzione, e al pari di nomi francamente orribili come gaffiere, orchetti ecc ve ne sono di poetici e perfetti come ramingo, che personalmente trovo più calzante che non “forestale” (ovviamente l’abitudine al nome gioca una parte non indifferente) comunque sia questo articolo mi ha incuriosito e credo che leggerò la nuova traduzione di cui avevo sentito solo pareri estremamente negativi.
Grazie Marco, felice di esserti stato di ispirazione!
Per quanto riguarda «Ramingo» consiglio di leggere il testo che ho linkato nell’articolo in cui è spiegato il senso della nuova traduzione e perché in realtà il poetico «Ramingo» sia fuorviante rispetto all’originale «Ranger» (che ha anche un senso vagamente dispregiativo).
Ho letto l’articolo, e la spiegazione è perfetta e chiara. Ciò non toglie che forestale a me suona male, evoca troppo una guardia forestale a bordo di una panda 4×4. A questo punto era meglio tenere direttamente ranger che era altrettanto comprensibile e con quel tocco di esotismo che non guasta. Parere mio
Penso che probabilmente hai ragione, ma sono certo che anche in quel caso ci sarebbe stata un sacco di gente che sarebbe saltata su a dire che «Ranger» faceva pensare a Chuck Norris col cappello texano che prende a calci i cattivi.
Forse sarebbe stato meglio un neologismo, ma d’altra parte non avrebbe reso la stratificazione di significati contenuti nella parola inglese.
Secondo me è il termine più difficile da tradurre di tutto il romanzo e come la metti la metti, sembra sempre sbagliato.
Senza considerare a cosa deve aver pensato un anglosassione nel leggere che i “ranger” sarebbero dei poco di buono a detta del buon oste del Pul…. sorry Cavallino 😀
Come tradiresti Ranger in lingua italiana?
Con neologismo?
Io?
E che ne so, non faccio mica il traduttore! Già tanto che me la cavicchio a fare quello che faccio!
Raga, non voglio stare qui a fare il solito discorso sugli italiani che sono tutti allenatori della nazionale, ma sinceramente penso che ognuno debba fare il suo lavoro. Io ho solo letto le due traduzioni, fatto confronti col testo originale e tratto delle conclusioni.
Okay, Luca.
Io avrei tradotto Ranger in Rondiere in sostituzione di Forestale della nuova traduzione de Il signore degli anelli ad opere di Ottavio Fatica, caro.
Rondiere, che dal mio punto di vista potrebbe mantenere sia il significato “erratico” del termine Ranger, sia quello militaresco di sorvegliante/pattugliatore, sapendo che non esiste in italiano un termine che si riferisca univocamente ad una simile figura anglosassone bisogna trovare una parola che si collochi tra il neologismo e il desueto. La traduzione da me proposta “Rondiere”: dal verbo “rondare” che significa sia “vagare” che “pattugliare facendo la ronda”. Anche la parola Ranger deriva dal verbo da to range nel senso di to wander (vagare, vagabondare, errare, girovagare, gironzolare).
Puoi controllare qui della mia affermazione che ti ho detto del verbo da to range nel senso di to wander vai sulla B:
https://dizionari.repubblica.it/Inglese-Italiano/R/torange.html
La parola Rondiere/ Rondieri la trovai in un passaggio nel libro “Gli zii di Sicilia “di Leonardo Sciascia e poi mi informai chi erano questo corpo militaresco.
Storicamente i Rondieri furono una forza armata di sorveglianza del Regno delle Due Sicilie, e nel contesto della Terra di Mezzo potrebbero benissimo indicare quegli individui che “rondano” per le terre selvagge: per gli abitanti di Brea si tratterebbe solo di un semplice (e malvisto) errare, mentre per i Ranger di Faramir prevale la connotazione di un corpo para-militare di sorveglianza.
Usai anche Oxford English Dictionary della mia biblioteca comunale per cercare la definizione inglese della parola inglese, per vedere se andasse bene la parola scelta da me in italiano.
Le definizioni per Ranger in inglese sono queste:
1. A rover, wanderer.
2. A forest officer, a gamekeeper.
3. A body of mounted troops, or other armed men, employed in ranging over a tract of country.
E quindi la parola scelta da me ovvero Rondiere/ Rondieri, andava piuttosto bene per la definizione 1 e 3.
Che ne pensi del mio termine scelto per tradurre Rangers del professore Tolkien, Luca?
È molto interessante la tua riflessione.
Ad ogni modo, ecco cosa c’è di bello nel fatto il romanzo sia stato ritradotto: le persone (come te, me e tanti altri), si cominciano a fare domande, riflettono, pensano nuove soluzioni, cose che fino a un anno fa era assoluti tabù!
Complimenti per la disamina e il confronto.
Stavo giusto accingendomi a leggere, modello testo a fronte, la versione di Fatica e l’originale, ma ora mi hai messo nei pasticci! Devo far spazio sulla scrivania per il tomone della vecchia traduzione, quella dei “vagabondi”!!
A proposito, ma perché poi non c’è mai stata una levata di scudi sul termine vagabondi? 😉
Beh, nella revisione dei primi anni 2000 (la prima edizione Bompiani, che aveva ancora la traduzione Alliata/Principe) i Vagabondi erano stati ritradotti, così come gli «orchetti».
Infatti, se non ce l’hai già in casa, non ti sarà facile trovare una vecchia edizione Rusconi.
Caro Luca, ti ringrazio per questo bell’articolo. L’ho letto tutto con piacere, è scritto in modo coinvolgente ed accattivante. L’ho trovato per caso cercando su google opinioni sulla nuova traduzione, dopo averne lette tantissime negative. Talmente negative che mi avevano fatto desistere dall’acquisto. Ora, letto il tuo articolo, incuriosito come non mai, penso che comprerò una copia della nuova versione. Aggiungo solo che ritengo sia totalmente fuori luogo politicizzare un libro che con la sua bellezza dovrebbe mettere tutti d’accordo invece che dividere. Grazie e un saluto
Ciao Roy,
felice di esserti stato utile.
Guarda, in certi passaggi ho calcato un po’ la mano e forse si può essere confuso un po’ il senso di quello che penso.
E cioè: sono fermamente convinto che il romanzo di Tolkien sia stato portato in Italia da persone che hanno voluto dargli un’interpretazione politico-filosofica che non gli apparteneva e la vecchia traduzione era parte integrante di questo progetto.
La nuova traduzione toglie definitivamente il SdA da questa ombra e contribuisce a mostrarcelo per come l’hanno sempre visto all’estero. Quindi ci aiuta finalmente a de-politicizzarlo.
Complimenti per l’articolo. Molto interessante e mi ha fatto tornare la voglia di rileggere il libro. Lo lessì più di vent’anni fa nella mitica edizione Rusconi (chiaramente saltai la prefazione e me la tenni per la fine. In molti, mettono anticipazioni in quelle parti dei libri).
Mentre stavo ordinando online il libro, mi è capitato l’occhio sulla foto del retro della copertina: la poesia dell’Anello mi sembra tradotta veramente, ma veramente male! O meglio, parte bene, ma poi quando arriva al cuore parte per la tangente a mio avviso:
One Ring to rule them all, one Ring to find them,
One Ring to bring them all and in the darkness bind them
Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,
ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul.
(Notare come la ripetizione “un anello”, sia presente anche nella lingua di mordor, “Ash nazg”)
Un anello per domarli, un anello per trovarli,
Un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli.
Un Anello per trovarli, Uno per vincerli,
Uno per radunarli e al buio avvincerli
Se si è voluto fare le cose “per bene”, con una traduzione più letterale rispetto al passato, perchè “cannare” questo importantissimo passaggio? Perchè eliminare la ripetizione di “anello” e scambiare di posto “trovare” con “vincere”? In originale viene prima “rule” e poi “find”. Io non sono un linguista, non mi occupo di traduzioni, etc… però questi due versi mi sembra siano stati stra-maltrattati. Non trovi?
Ciao Francesco e grazie per il tuo commento!
Guarda, a me piace come Fatica ha tradotto la Poesia dell’Anello, ma devo ammettere che quei due versi anche per me sono deboli: non hanno il ritmo dell’originale (che allunga molto il passo) e taglia intere parole.
Sì, trovo che in quei due versi Fatica ha personalizzato senza un buon motivo.
Ciao Luca, tempo fa avevo commentato il tuo articolo alla fine della mia lettura della nuova traduzione della Compagnia dell’Anello. In questi giorni ho iniziato Le Due Torri ed il primo capitolo mi ha lasciato assai perplesso per l’utilizzo di un linguaggio e di termini molto aulici che a memoria non avevo trovato tanto presenti nel primo libro. Qualora tu lo avessi già letto mi piacerebbe avere una tua opinione, anche perche non ho mai letto l’originale quindi non ho un vero metro di paragone se non la vecchia traduzione (che ribadisco mi sembra nettamente meno fedele della nuova anche nel secondo libro, almeno per i confronti saltuari che ho effettuato nel primo capitolo). Inutile dire che una nuova disamina sulla stregua di quella fatta sul primo libro sarebbe grandemente apprezzata! 😉
Ciao Francesco,
Ho iniziato da poco a leggere «Le due Torri», non scriverò nulla prima di averlo finito.
Anzi quasi certamente non scriverò nulla di nuovo prima di aver letto anche il nuovo «Ritorno del Re».
Grazie per la fiducia e l’interesse, ma ci vuole un po’ di tempo 😉
Capisco che tu voglia aspettare il terzo libro per avere una visione d’insieme, continuerò nella lettura de Le Due Torri continuando con i miei confronti in attesa dell’ultima traduzione e della tua analisi. Buona lettura!
Se questa recensione fosse stata scritta da Fatica in persona non ne sarei sorpresa. Premettendo che non sono contraria alle nuove traduzioni ma che non condivido il principio di fedeltà assoluta alla forma originale di un testo, anche volendolo accettare come premessa nell’approcciarsi alla traduzione di Fatica, le argomentazioni portate a favore della più recente traduzione sono contraddittorie se non assurde negli esempi che vengono portati. Citandone alcuni:
-si viene a criticare che nella traduzione della Alliata Sam si esprima in un registro eccessivamente elevato, mentre nella traduzione di Fatica utilizza termini come “manducare”, che io trovo non solo pretenzioso ma anche assolutamente fuori luogo messo in bocca ad un personaggio caratterizzato da un registro umile
-si critica la scelta della parola “orchetti” ma si giustifica l’uso di “forestale”, quando è un termine oggettivamente inadeguato che ignora completamente il significato dell’originale
-si giustifica il rimaneggiamento della poesia con una sviolinata al rispetto della metrica, senza considerare innanzitutto il fatto che la metrica è fortemente subordinata alla lingua di scrittura e in secondo luogo che la nuova traduzione non ricalca né la struttura (perdendo letteralmente tutte le rime) né il contenuto (aggiungo che la scelta di utilizzare il termine “Aule” con la maiuscola, in richiamo al Vala creatore dei nani nel Silmarillion, è una sofisticheria piena di boria e assolutamente inutile)
-si loda la traduzione di Fatica nell’uso di termini ridicoli ma sostanzialmente corretti nel significato come “cotica” d’erba ma si critica aspramente come insensato la scelta lessicale della Alliata quando scrive “decumano” nonostante la parola sia corretta nel significato e adatta nel registro (oltre a non avere ambiguità di significato)
È superfluo riportare altri esempi per dire che questa recensione è assolutamente imparziale e utilizza due pesi e due misure per valutare le traduzioni a confronto: la traduzione della Alliata viene criticata a prescindere anche quando non presenta difetti oggettivi mentre quella di Fatica viene difesa anche quando è indifendibile; ci vorrebbe un minimo di onestà intellettuale quando ci si approccia a recensire due versioni della stessa cosa e mettere da parte le proprie preferenze. Non commento neanche il fatto che, seppure venga detto che l’accostamento dell’opera agli ambienti di estrema destra è insensato ed ingiustificato, viene comunque utilizzato come ulteriore strumento di critica per la vecchia traduzione. Mi sarebbe piaciuto per una volta leggere una recensione onesta e non l’ennesimo sproloquio a favore dell’una o dell’altra versione, ma non è stato questo il caso.
Cara Mellochan,
ho pubblicato questo tuo commento anche se mi ero ripromesso di non autorizzare attacchi al mio articolo che non dimostrassero di aver prima letto la nuova traduzione entrando nel merito (hai citato solo cose che ho già citato io; che cosa curiosa).
L’ho pubblicato perché mi permette di chiarire altre due o tre cosette.
Non capisco questa cosa che fai (ma non sei la sola) di paragonare critiche a termini diversi; che c’entra «cotica» con «decumano»?
Se vuoi criticare quello che ho scritto, spiegami perché sarebbe sbagliato usare un neologismo invece di un termine che usavano i soldati dell’antica Roma.
«Orchetti» mi pare obiettivamente indinfendibile; ma cosa c’entra questo con «forestale» non lo capisco.
Ad ogni modo «forestale» ha dietro una ricerca linguistica, che può non piacere ma prova a restituire al complessità e ambiguità di «ranger». «Orchetti» non restituisce alcuna complessità secondo me, è solo un po’ ridicolo.
Ma a te piace e va bene.
Sono sicuro che lo scrivi in tutta onestà intellettuale.
Può non piacerti «manducare», però non puoi negare che Fatica ci abbia provato a far parlare Sam in tono «basso», cosa che nella versione Alliata-Principe non si è voluto fare. E sottolineo voluto, perché ha delle precise conseguenze nel senso del testo.
Non ho mai voluto essere «imparziale». Perché dovrei esserlo?
Questo articolo l’ho scritto proprio per dire le mie preferenze, ma motivandole.
Non capisco cosa ci sia di disonesto in questo.
Per me è molto più disonesto scrivere un commento come il tuo: non hai letto la nuova traduzione, ma è evidente che la stai attaccando. Magari scrivi anche il perché!
Per quanto riguarda l’accostamento agli ambienti dell’estrema destra, non sono stato io a farlo! È il frutto della combinazione tra traduzione, prefazione, cura del testo ed edizione; lo hanno cercato e ottenuto, questo accostamento. La prima cosa che è andata a dire la Principessa Alliata quando è stata attaccata da Fatica (che ha sbagliato a farlo) è stato dire che si voleva «traverstire il S.d.A. in foggia LGBT». Ed è andata a dirlo su Il Giornale, ma guarda un po’! Chissà se lo ha ripetuto anche nel convegno col suo amico Gasparri.
Quindi sì, la vecchia traduzione merita eccome di essere criticata anche per questo.
Ciao, noto con dispiacere che come statistica vuole le critiche non sono mai ben accettate, per quanto si cerchi di porle nella maniera più corretta possibile. Ti rispondo sperando di suscitare una reazione meno acre e spiegando un punto fondamentale che, nonostante avessi scritto proprio all’inizio del mio commento, probabilmente non è stato colto. Ho riportato gli esempi che hai riportato tu perché io non intendo criticare la traduzione, ma la recensione. Come ho inutilmente scritto non ho nulla in contrario a revisionare le traduzioni né a ritradurre integralmente, pertanto il mio intento non è affatto quello di criticare la traduzione di Fatica, che ha degli innegabili pregi. Per esempio, non ho riportato l’esempio del Gaffiere perché non c’è nulla di discutibile nelle argomentazioni riportate.
Non mi è piaciuto invece leggere altre argomentazioni sollevate da una persona che mi sembra capirne più che abbastanza di quello di cui sta parlando. Ripeto anche questo, in molti passaggi della recensione c’è una forte incoerenza di fondo nelle motivazioni date per l’uno o l’altro cambio di traduzione: per citare uno dei miei punti, ho riportato l’esempio di “manducare” (e non sono stata l’unica) che tu hai usato a giustificare il basso registro di Sam, quando la parola manducare è quantomeno desueta a voler essere clementi; la mia obiezione è che l’esempio non supporta affatto il passaggio ad un registro inferiore.
La critica all’oggettività nasce da ciò: non è la recensione a dover essere oggettiva, ma i criteri con cui si argomenta. L’imparzialità deriva da questo: se nel giustificare una preferenza si usano metri diversi, la giustificazione non ha senso di essere fatta; basterebbe dire “preferisco questa traduzione perché suona bene” senza farne discorsi di linguistica.
Mi dispiace che non sia stato colto il senso del mio commento, e mi dispiace quasi altrettanto che sia passata per una persona che critica tanto per; probabilmente l’errore è stato il mio ad aver pensato di poter rispondere a dei punti di un testo di mio interesse, convinta che il box “commenta” servisse a questo.
Mi sa che il tuo metro per giudicare una «critica più corretta possibile» è un po’ diverso dal mio. A me pare abbastanza aggressiva.
Continui a non portare alcun contributo originale, quindi no ho motivi per cambiare opinione sul fatto che non hai letto la nuova traduzione e sei venuta qui come altri a fare propaganda.
E come ho scritto nel disclaimer, non vedo perché dovrei accettare roba del genere.
Al di là della parola «manducare» c’è il contesto: nella nuova traduzione una frase sgrammaticata è stata tradotta con una frase altrettanto sgrammaticata. Al di là della parola, c’è il tentativo di dare il senso dell’originale. Nella vecchia traduzione si è invece reinterpretato il personaggio di Sam, ripulendo il suo linguaggio.
Uao, è stato un articolo molto interessante da leggere, mi ha aiutato a chiarirmi le idee sulla questione -avevo sempre letto opinoni troppo di parte, da ambo i lati.
Grazie!
Grazie Giulia, contento di esserti sta utile.
In realtà anche io mi considero di parte, il punto è che ho cercato di spiegare perché, dopo aver confrontato meglio che ho potuto le due versioni, ho deciso di prendere questa posizione.
Buongiorno,
Articolo interessante.
Aspetterò la pubblicazione della mappa perché con i nuovi nomi sarebbe difficile seguire la lettura.
Per quanto riguarda l’articolo sono abbastanza d’accordo con te, ma preferisco Decumano a Quartierio per lo stesso motivo per cui Veglio è molto meglio di Gaffiere.
Samplicio non mi piace e sono d’accordo con te che era meglio mantenere i nomi originali di Tolkien.
Alla fine per nomi intendevo i nomi propri dei protagonisti
Ciao Silvio e grazie per il commento.
Proprio in questi giorni dovrebbe essere uscita la nuova traduzione de «Il Ritorno del Re» contenente le nuove Mappe.
Le anticipo che ho letto la Sua recensione della traduzione, e non il romanzo tradotto per intero. Se tanto basta a cestinare il mio commento, faccia pure; io mi perito comunque di scriverlo per il semplice desiderio di condividere con Lei e altri una impressione suscitata da quanto qui ho trovato in merito. E del merito intendo discutere: guardi, sinistra o destra non mi interessano, la politica del novecento si è indebitamente appropriata di ogni aspetto della cultura assoggettandolo a logiche propagandistiche che mi disgustano. Parliamo piuttosto degli esempi di traduzione da Lei riportati, e delle due pagine che è possibile leggere come esempio del carattere tipografico usato nel libro.
Le dico che ne penso io: temo di dover differire dalla Sua opinione in merito a tutti gli esempi citati, ad eccezione forse dell’inventato Gaffiere che proprio non ho mai digerito.
Lei riporta casi in esame, mettendo in parallelo il testo originale, quello tradotto oggi e la traduzione di allora. In base a ragioni filologiche di tutto rispetto, Lei apprezza e approva il nuovo testo. Io, al contrario, non lo trovo migliore, anzi a mio gusto è assai peggiore, mi permetta.
È un fatto indiscutibile che una traduzione sia una mediazione interpolata dall’azione di un tramite che non può umanamente essere imparziale e preciso; tuttavia la traduzione è anche altro: è la traslazione di un testo da un contesto linguistico ad un altro, da un mondo pensato attraverso un linguaggio a quello costruito su un diverso linguaggio. Io sono un profondo amante della lingua inglese, della sua precisione, della sua vastissima ricchezza di vocaboli che fa impallidire anche lingue relativamente ricche come la nostra. Glielo dico perché non venga io poi tacciato di chissà quale vena italianista che per quanto mi riguarda mi è estranea e fastidiosa più del ronzio delle zanzare di notte. Proprio perché amo visceralmente e profondamente la lingua inglese, ne avverto le caratteristiche uniche e non replicabili in alcuna altra lingua al mondo: una lingua è contemporaneamente madre e figlia della propria cultura e del proprio mondo, lo racconta con i propri mezzi e attraverso questi lo reinventa. Prendere un testo scritto in una lingua altra dalla propria, e tentare di replicarne gli effetti che esso suscita nel lettore straniero, in nome di una presunta correttezza filologica, è a mio avviso un grosso errore, o quantomeno un’impresa destinata a fallire.
Mi permetta di far presente la differenza di linguaggio che determina l’abisso apparente tra la poesia di Keats e quella di Leopardi: provi a guardare la semplicità delle parole del Poeta inglese e le metta a confronto con quelle del coevo nostrano e mi dica se non si tratta di mondi diversi. Tradurre Keats cercando di ignorare il gusto italiano alla poesia per amor di filologia produce un testo azzoppato, che non può incontrare il gusto latino avvezzo ad altri modi espressivi, senza per questo sottintendere alcun giudizio di merito.
Gli esempi che Lei cita vanno tutti nella stessa direzione: semplificano, riducono l’uso di termini ritenuti aulici perché inappropriati a un hobbit, ma mirano ad alleggerire ovunque l’espressione. Io la vedo nient’affatto come una aderenza filologica al testo Tolkieniano, ma piuttosto come l’ennesimo rilancio al ribasso della bellezza della nostra lingua. Che male c’è se nel nostro vernacolo, fatto di tradizione letteraria altra e inconciliabile con quella inglese immensa e meravigliosamente unica, il giardiniere Sam parla in buon italiano? Non siamo forse il popolo che mette un glorioso ed eroico do di petto in bocca a un semplice Trovatore verdiano? E se proprio si voleva mantenere il senso dei poverelli che parlano da tali, non si aveva già l’esempio manzoniano che usava mettere in bocca frasi del tipo “noi gente umile certe cose non le si sa” ai suoi personaggi paesani? C’era davvero bisogno di scadere nelle contemporanee brutture dialettali e nelle rozzezze cafonesche e ciarlatane quali “il meglio fieno”?
I Suoi esempi, a me temo, dispiacciono tutti, e molto, come altrettanto mi rammarica il depauperamento della bella lingua italiana e il suo continuo svilimento letterario promosso dalla bruttura del nostro mondo espressivo scarno e rozzo. Ogni esempio citato sembra mirato ad avvicinare il testo a un italiano declassato, salvo dove viene usato “occaso” del tutto a sproposito. Tradurre Ranger con Forestale fa pensare alle schiere di guardie in uniforme sulla Sila piuttosto che a un eroe vagabondo delle leggende antiche.
La poesia inglese segue una metrica diversa dalla nostra: non si può replicare quel metro e ottenere lo stesso effetto che essa fa all’orecchio anglosassone. È invece necessario adattarlo al nostro senso di musicalità, perché il nostro gusto ne esca appagato. Quei versi della poesia dell’anello a me paiono scialbi e imbarazzanti per una lingua nata dalle terzine dantesche.
Le dico in sintesi cosa penso: la Sua ben argomentata recensione mi ha definitivamente dissuaso dal proposito di leggere la nuova traduzione, dalla quale evidentemente non trarrei altro che fastidio e delusione. Mi sono invece convinto che l’unico modo giusto di leggere oggi Il Signore degli Anelli è farlo nella sua nobile lingua inglese, e per chi non può farlo, forse è meglio riaccostarsi prima ai Promessi Sposi, e poi, forse, ritentare una traduzione più degna di entrambe le esistenti, magari in un futuro meno immiserito dall’uso dei social networks
Salve Massimo,
io invece le rispondo con poche parole: usare livelli diversi di linguaggio per diverse situazioni e personaggi non è affatto un «immiserire» la lingua, tutto al contrario. Infatti è quello che faceva Tolkien (e che faceva anche Manzoni, se non erro).
Infatti in inglese Sam dice «stayed here and et the best hay till the new grass comes’».
Mi pare che si commenta da solo.
Che cavolo c’entrano i social network non lo capisco.
Dal momento che ha avuto la cortesia di pubblicare il mio commento quando io temevo che non L’avrebbe fatto, Le uso altrettanta cortesia cercando di risponderLe in breve.
Sì, Tolkien così dice, come riporta Lei, e Manzoni usava adattare il linguaggio al contesto così come lo faceva Dante stesso. Sa qual è, per lo meno a mio avviso, la differenza abissale tra Manzoni, Dante e Tolkien da una parte, e il traduttore Fatica dall’altra? Che l’italiano di quest’ultimo, per rendere le sgrammaticature, si abbassa a usare un’espressione orrenda e ributtante come “il meglio fieno”, laddove la traduzione precedente preferiva piuttosto soprassedere sullo scivolone del buon Sam pur di preservare il tono di leggenda che assai ben si addice, nel nostro gusto italiano, a un racconto epico come quello di Tolkien. Dante riusciva a dare dignità perfino al turpiloquio, mentre Fatica a quanto vedo non riesce a darla neppure alle parole ricercate (“cotica” buttata là, nella mischia, in mezzo a un italiano “modernizzato” scevro delle sue bellezze profonde; un “occaso” che non si giustifica in alcun modo e che sta come una toppa colorata in un contesto di frasi grigie e incolori; e il resto della poesia dell’Anello, che Lei non riporta, obbrobriate da una rima, a mio gusto, dozzinale come quella tra “vincerli” e “avvincerli”, sulla quale preferisco decisamente non esprimere altri commenti). Ecco: qui sta la differenza. Siamo pieni di scrittori contemporanei che scrivono in un italiano mestamente povero e tentano solo occasionalmente di impreziosirlo con quella che sembra solo goffaggine senz’arte retorica. Due pagine e i Suoi ben documentati esempi mi sono più che sufficienti per capire qual è il tono di questa traduzione, tale da far apparire Tolkien alla stessa stregua in cui appaiono le traduzioni di Ken Follett e di Dan Brown: un brutto italiano adatto a brutti tempi in cui gente brutta parla con bruttezza quella che dovrebbe per vocazione naturale essere una delle lingue più musicali e intrinsecamente poetiche del mondo. Una prosa italiana, tradotta o non tradotta, che non miri ad essere un capolavoro di forma elegante e musicalità poetica non è vero italiano, ma solo quel rozzo vernacolo da bifolco scaturito dall’abitudine di certuni di esprimersi a monosillabi sui social networks. Andrà bene per loro, forse, una siffatta traduzione di Tolkien; a me però resta l’idea che un Maestro della Letteratura mondiale avrebbe meritato ben altro che questo approccio semplificato e semplicistico. Io, se mai fosse stato possibile, l’avrei affidato a Manzoni stesso il compito di tradurre un testo del calibro del Signore degli Anelli, e ritengo di non sbagliare se affermo che in tal caso, l’espressione “il meglio fieno” non vi avrebbe trovato posto. Come sia venuto in mente di usarla per iscritto a chicchessia, nella nostra lingua, è cosa che lascia basiti a dir poco.
Caro Massimo,
per quanto possa essere lusinghiero, il fatto che si deduca un giudizio sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli dalla lettura del mio articolo è una cosa non solo sbagliata, ma anche disonesta.
Ho scritto questo articolo solo per dare il mio parere. Che lei lo usi per confermare la sua idea preconcetta dimostra solo la sua malafede.
Ho letto il Signore degli Anelli da ragazzino. Ho letto anche l’introduzione di Zolla. Interessante, certo, ma una cosa a se stante. Leggendo il libro, e rileggendolo altre volte, mai una volta ho cercato un nesso politico.
È un bel racconto.
Riguardo alla nuova traduzione, non l’ho letta: perché dovrei rileggere un libro che ho già?
Mi è capitato di acquistare lo stesso libro (altro genere) in due edizioni diverse e con due traduttori diversi: sembravano due libri diversi, pur se la storia era la stessa. Mi sono goduto entrambe le versioni senza problemi.
Onestamente, se qualcosa dà fastidio, è il cambio dei nomi, dopo anni dei vecchi: si fa fatica ad abituarsi.
Per quanto riguarda il tipo di traduzione, più o meno aderente all’autore, con tutto il rispetto non ha alcuna importanza. O molto poca. Chi legge un libro tradotto non sta leggendo l’originale, quindi si accontenta della versione che trova. Non può valutare se l’autore originale è stato tradito o meno.
E molto spesso non gli importa: si legge la storia se gli piace.
Prima di tutto grazie per l’articolo., lo trovo molto ben scritto e trovo che le tue argomentazioni siano molto curate e frutto di attenta analisi.
Io sinceramente apprezzo molto di più la vecchia traduzione, non ho molto tempo per leggere e quando lo faccio mi immergo nella lettura. 100 o 200 pagine al giorno sono il minimo che leggo quando apro un libro. Probabilmente a causa del legame che ho con certi termini, con un certo linguaggio a cui mi sono affezionato quando da quindicenne ho letto Il Signore degli Anelli, trovo molto più faticosa e meno scorrevole la nuova traduzione.
Come hai detto tu stesso, la traduzione di Alliata è scritta in un italiano elegante e fluente. Rende, a mio avviso, la lettura più scorrevole.
Sicuramente la nuova edizione sarà più aderente al pensiero di Tolkien, ma trovo che appiattisca l’opera verso la massa di opere fantasy che ho letto. In quante traduzioni di opere fantasy, gli uomini che vivono nei boschi sono ranger o guardiaboschi? In quante traduzioni si trovano cognomi o nomi di luoghi che suonanerebbero in italiano come “occhio di falco” o come “valle ghiacciata”? Il merito a mio avviso del lavoro di Alliata è stato quello di discostarsi da un certo tipo di traduzione e di offrire un paesaggio ed un mondo fatto di personaggi che si avevano nomi tradotti malamente, ma che spesso erano talmente desueti o strani da ben adattarsi al contesto generale dell’opera.
La nuova traduzione, per quanto fedele e corretta, a mio avviso priva l’insieme di quel tocco magico.
Forestale è un termine più corretto di ramino? Certamente, ma leggerlo mi fa immaginare Aragorn in divisa da guardia parco.
La poesia dell’anello? Aveva il pregio di entrare in testa e di poter esser canticchiata dandogli quel tono epico che tutti noi abbiamo avvertito leggendola.
Da lettore, non esperto di traduzioni, era quello che cercavo, al netto dell’apprezzamento verso il grande lavoro che è stato e viene fatto.
Credo che la nuova traduzione sia giunta con la tempistica sbagliata. SdA ha acquisito sempre più fama e rilevanza con il passare degli anni, ancor di più con l’uscita dei film(che non ho apprezzato), forse una traduzione nuova sarebbe dovuta uscire venti o trenta anni fa, quando quella precedente forse non era entrata così prepotentemente nell’immaginario con i suoi termini e i suoi rimaneggiamenti. Per tantissimi lettori, purtroppo, Tolkien è quello proposto dall’Alliata oramai.
Vorrei che opere ugualmente importanti (la saga di elric su tutte) avessero avuto una traduzione bella (non accurata) con quella di Alliata, mentre mi trovo costretto a leggere periodi che cambiano tempi verbali senza un perché.
Sono curioso di leggere il resto dell’opera e di apprezzarlo più di quanto fatto finora.
Scusa se son stato prolisso.
Ciao Versino,
come ho scritto nell’articolo, non esiste che un classico della letteratura venga tradotto una volta e poi basta. Non si è mai visto.
Questa traduzione andava fatta proprio perché bisognava rompere questa tradizione illogica.
Spero con tutto il cuore che ne arriveranno altre, ancora più accurate, nei prossimi anni.
Su sto fatto del Forestale io dico solo questo: quando scoprii che il termine originale usato da Tolkien era «Ranger», mi prese un colpo! Per me un Ranger è sempre stato un tizio con un cappello buffo e gli stivali di cuoio.
Egregio Luca, ho letto con attenzione il Tuo bell’articolo percio’ ti dico: chapeau!
Io non ho MAI (ebbene si’, lo ammetto) letto “LOTR” perché il genere fantasy e’ entrato nel mio “radar” solo di recente, ma sapevo che prima o dopo questa sarebbe stata una lettura obbligata, e da questo assunto ho cominciato le mie ricerche sulla rognosa questione della vecchia vs. nuova traduzione, incerto sul da farsi. Per mia fortuna, l’essermi imbattuto nel tuo illuminante articolo ha fugato i miei dubbi: leggero’ senz’altro questa nuova, ma forse anche la “vecchia” e, cosa piu’ importante, mi cimentero’ – si’, proprio cosi’ – in una MIA traduzione (sono laureato in lingue e l’Inglese e’ la mia specialita’) e ti spiego brevemente il perché.
A mio modesto avviso, dopo aver confrontato la resa data nelle due traduzioni agli estratti da te riportati nell’articolo, ho potuto constatare che v’e’ del buono in entrambe: Fatica mi e’ sembrato piu’ coerente in termini di stile nonché rispetto dei registri linguistici, d’altra parte anche alcune scelte operate da Alliata non mi sono dispiaciute.
Come esperto di lingue, ti posso dire che i passaggi che hai citato a mo’ di esempio per confrontare le due traduzioni io li avrei resi diversamente, dando ulteriore credito al tuo (e anche mio) auspicio che a questa nuova traduzione ne seguano altre, ancora piu’ aderenti e curate (non che questa non lo sia).
Di primo acchito mi sembra che Fatica abbia svolto un ottimo lavoro. Non mi resta che leggere la Trilogia per poter esprimere un giudizio piu’ particolareggiato.
Grazie e complimenti per aver affrontato la questione in modo razionale e scevro da pericolosi preconcetti.
Saluti,
Giacomo
Ciao Giacomo e grazie per il tuo commento qualificato! Mi fa piacere esserti stato utile!
Se mai ti cimenterai davvero faccelo sapere!
Innanzitutto complimenti per il lavoro, scritto bene ed interessante. L’unica pecca è che inizialmente ti proclami imparziale e man mano che scrivi vengono fuori i tuoi ideali e le tue opinioni (Non è una critica, anzi è sano che ognuno abbia la propria). Solo che iniziato a leggere mi aspettavo imparzialità e mi hai disatteso.
Comunque…
Un libro come il Signore degli Anelli va letto, riletto e riletto ancora! Una nuova traduzione per me è stimolante ed ora che è uscita la trilogia completa con mappa “corretta” non vedo l’ora di comprarla e rileggerla.
Alla fine avrò la mia preferenza soggettiva, ne giusta, ne sbagliata, solo la mia preferenza.
Buona libera lettura a tutti!
Ciao RerMarco,
grazie per i complimenti.
Per quanto riguarda l’«imparzialità», come ho già scritto, non ho mai sostenuto di non pendere per parte o per l’altra, ma solo di non avere alcun legame con nessuna delle parti in causa, che è vero.
Quasi per caso ho scoperto la nuova traduzione
Ho letto un articolo dell’editore con una intervista al traduttore.
All’inizio mi è sembrato un po saccente.
Ma il tuo articolo mi ha fatto capire meglio il senso.
Personalemente avrei preferito una traduzione con i nomi in originale.
Ma mi sembra che Tolkien aveva scritto come tradurre
Lessi la prima volta il Signore degli anelli a 8/9 anni, ho impiegato alcuni mesi ma ero (e sono) rimasto folgorato dall’opera cinematografica e volevo leggere anche i libri. Credo che la tua recensione sia completamente azzeccata, l’impressione, accresciuta dal fatto che ero anche un bambino, è di un’opera sulla scia del grande Omero, ed è ciò che ho ritenuto anche rileggendola. Dal momento che Tolkien usava vari stili, è giusto mantenerli, e se i nomi avevano dei significati occorre farli emergere. Ho passato ore a tradurre i greci al liceo, e conosco la fatica di mantenere lo stile dell’autore per l’aderenza al testo. L’innovazione comporta sempre critiche, è il prezzo da pagare. Sono contento di essermi imbattuto sulla tua recensione, leggera ma con tutti i contenuti e gli esempi che una recensione deve avere, complimenti!
Grazie Francesco, mi fa piacere di esserti stato utile!
Che dire? L’esamina mi è piaciuta. Precisa, puntigliosa. Gli esempi sono calzanti. Le idee chiare. Io ad essere sincero non sono proprio risuscito a leggere “il Signore degli Anelli”. C’è sempre stato qualcosa che NON mi andava giù. Che fosse la traduzione? Che fosse un insieme di cose? La somma di tanti piccoli difetti?
Anche da quando non è più Dobner a tradurre Stephen King, qualcosa nei suoi libri è cambiato.
Quello che mi sorprende è di come un’opera letta da decenni, da migliaia (forse siamo arrivati anche al milione), di persone in Italia si basi sul lavoro di una quindicenne. Per l’amor di Dio… poteva essere un genio. Ma se con la nascita di diverse associazioni sugli studi Tolkeniani, si è “spinto” per fare una nuova traduzione da zero, un motivo ci sarà.
E non è certo pubblicitario. Il libro lo si compra e lo si legge anche senza “Pubblicità”… E’ un caposaldo del Genere Fantasy.
Inoltre Bompiani ha dovuto anche ritirare tutte le copie esistenti sul nostro territori, con la vecchia traduzione, e darla al macero. Questo perché la vecchia traduttrice è in causa con la casa editrici.
Perdere soldi, per un semplice capriccio mi sembra assurdo. Deve esserci un valido motivo. Credo che chi si sia interessato al progetto ci creda veramente. Che tutti erano e sono concordi nel considerare il libro Degno di riceve una nuova e rivista traduzione rispettosa il più possibile allo stile originale dell’autore.
Il motivo di chi protesta, come dissi scherzosamente ad un mio amico, è perché si è tatuato la “vecchia poesia” da qualche parte 🙂
La verità è che molti (molti? praticamente tutti) odiano i cambiamenti. Ma di un libro E’ IMPOSSIBILE RICORDARSI OGNI PASSO. Sfido chiunque abbia letto una sola volta la prima traduzione, a leggere la seconda e dopo mezz’ora continuare a pensare… “Ma non era così che l’ho letta”. Io lessi (sempre di King) Le Noti di Salem di Bompiani. Anni dopo la Sperling potè pubblicare l’edizione illustrata, tradotta da Dobner. Nelle lettura non mi sono mai accorto di chissà che stravolgimenti. Il 28 uscirò l’edizione completa delle trilogia, con tanto di versione illustrata. Questo articolo mi ha convinto in toto a investire per comprarmi quella edizione e provare a leggere finalmente “il Signore degli Anelli”.
Grazie Matteo.
Sono contento di averti fatto venire voglia di leggere questo libro meraviglioso.
Leggo solo ora. Ottima disamina, ma dico la mia, se mi è concesso dopo aver giusto sfogliato la nuova versione.
Penso che ciò che abbia fatto scattare le accuse di operazione politica è il fatto che la nuova versione sostituisce la vecchia, la quale non verrà più ristampata. Giustamente nell’articolo si dice che in genere non si ha una singola traduzione per un classico letterario. Forse è vero, ma di solito le traduzioni molteplici si danno quando più case editrici stampano lo stesso testo. Per carità, nessuno impedisce ad uno stesso editore di approntare una nuova edizione, però visti i precedenti i dubbi non sono del tutto peregrini.
Io comunque non faccio complottismi, d’altronde che si possa cambiare lo spirito di un’autore tramite la traduzione (che non sia proprio un tradimento radicale del testo) non ci credo. Che Tolkien diventi un progressista la vedo dura: sarebbe stato più facile trasformarlo in un esoterista guenoniano, come si accusa riguardo alla prima traduzione; ma appunto, non vedo proprio come ciò possa essere avvenuto, eccettuando l’introduzione. Non basta un tono aulico per introdurre nel testo significati che non ci sono, così come non basta un tono sciatto per modificare i valori in cui Tolkien credeva (che sono la nobiltà d’animo e il coraggio, non la libertà e lo spirito di rivolta – come in tutte le fiabe, d’altronde).
Ad occhio e croce le due traduzioni mi sembrano complementari: la prima azzardata, ‘autoriale’, letterariamente ricercata ma anche discutibile per certi aspetti ed imperfetta. La seconda corretta, filologica, un po’ sciatta e “young adult”. Può starci. Mi dà fastidio il fatto che un lettore di domani non potrà averle entrambe, confrontarle e fare una propria scelta. O mi sbaglio? Se ho letto da fonti sbagliate mi scuso e tanto meglio. In ogni caso mi tengo stretta la precedente, anche se è un’edizione economica e brutta, e troverei molto difficile rassegnarmi ad Aragorn “forestale”.
Nota a parte per la copertina: lì si che ci vedo la mano dei Wu Ming. Atroce. Marte e Tolkien no, proprio no. È come Wagner in jeans e maglietta, o nello spazio. Non ti piace l’immaginario cavalleresco-pomposo di Wagner? Non ne dirigi una messa in scena. E lo stesso vale per Tolkien. Davvero tristi queste modernizzazioni arbitrarie, che sfasciano l’equilibrio di un immaginario (peraltro volutamente arcaizzante) per suggerire una patina artificiale di “nuovo”. Sono dettagli secondari ma non troppo.
Riguardo ad Elemire Zolla: non è un filosofo e non è fascista. È stato un virtuoso della penna, non profondo, uno che rubava a destra e a manca da autori più grandi di lui e metteva in bella (bellissima) prosa. Le sue idee sono da prendere con le pinze: l’introduzione al SDA non la leggo da tempo ma ricordo che in altri saggi entrava in contraddizione flagrante con quanto aveva scritto lì. Soprattutto non è da accostare ad follie come i campi hobbit e altri deliri della triste cultura nostrana.
Ad ogni modo negli anni ’50-’70 Zolla ha avuto il merito di pubblicare in Italia autori grandissimi (Pavel Florenskij, il “Leonardo da Vinci Russo”, lo conosciamo solo grazie a lui) che la cultura ufficiale snobbava – fra cui lo stesso Tolkien. Non dimentichiamo che prima dei campi hobbit fu la sinistra ad etichettare Tolkien come un autore “di destra”, regalandolo alla destra (estrema). Lo dico aldilà di tutte le bandiere, mi disgusta la politicizzazione dell’immaginario, oggi come ieri.
A proposito di politica e cultura, consentitemi una provocazione: Umberto Eco avrebbe fatto bene a sciacquarsi la bocca prima di deridere Zolla; e non perché Zolla fosse un genio, ma perché era uno che faceva ancora letteratura anziché giornalismo spacciato per letteratura; pratica, ahimè, che da allora in poi si è imposta in modo irreversibile.
Ciao Nephente,
la vecchia traduzione non è stata tolta dal mercato per volere dell’editore (che a quanto ne so l’avrebbe invece mantenuta in commercio), ma della vecchia traduttrice.
Non ho mai detto che la vecchia traduzione desse un «tono guenoniano» al testo di Tolkien, ma che dandogli un’impostazione rigidamente epica ha contribuito all’interpretarione ideologicamente forzata. La traduzione è stato uno dei tasselli di questa operazione.
Per quanto riguarda i «valori» in cui Tolkien credeva, c’è molto di più nelle sue opere che non «la nobiltà d’animo e il coraggio». I temi sono tantissimi e sì, c’è anche quello della libertà, ma non è questo il posto per parlarne.
Per quanto riguarda la copertina, continuo a ripetere: se non fosse stato scritto all’interno che si tratta di una foto di Marte, nessuno sarebbe stato in grado di dirlo; è un’immagine del tutto astratta. Dire poi che nella copertina ci sia lo zampino dei Wu Ming è veramente, veramente azzardato!
Perché diavolo alla Bompiani dovrebbero chiedere ai Wu Ming cosa mettere nelle copertine, anziché ai loro grafici?
Smettiamo di propagandare certe confusioni: Bompiani non è l’AIST e l’AIST non è Wu Ming.
Che sia stata per prima la sinistra a snobbare Tolkien l’ho scritto e tornerò a scriverne, è un tema che mi preme molto.
Caro Luca,
Ho letto il tuo articolo e i commenti con interesse, soprattutto nella parte in cui dici che la vecchia edizione é piegata a una corrente filosofica particolare che chiami tradizionalista. Se ho capito bene, ti riferisci unicamente alla introduzione di E. Zolla, e alla interpretazione di qualche intellettuale di destra. Niente a che vedere con la traduzione della Alliata, o anche nella traduzione stessa vedi questa forzatura al sacro/tradizionale estranea a Tolkien? Se si mi fai degli esempi in cui la Alliata ha tradotto inneggiando ai valori sacri in contrasto con Tolkien e Fatica?
Saluti
Ciao Luciano,
la traduzione della Alliata non inneggia, ovviamente, a niente.
Il suo problema più grande è il tono appiattito su un linguaggio alto/aulico, che si presta molto bene alla forzatura ideologica che ne fu fatta in quegli anni. La differenza dei registri linguistici in Tolkien non è solo un faccenda stilistica, ma si incastra con le idee dell’autore, le sue esperienze di vita, i temi che ricorrono.
Non è bello ripetersi, ma come ho scritto far parlare uno dei protagonisti come un bifolco non era evidentemente accettabile negli ambienti in cui furono realizzate le prime edizioni.
Il Tradizionalismo non sono io a chiamarlo così, è proprio il suo nome.
Chiara, netta, scelta iniziale ideologica, reazionaria post-sessantotto; Gandalf lo trovavi spesso appeso ai muri delle sedi del Fronte della gioventù. 50 anni fa sbagliarono clamorosamente a snobbarlo, e la destra se ne appropiò (come in certa misura è successo con la resa cinematografica, ma questo è un altro discorso): davvero non capisco come si possa negarlo.
Ben vengano le nuove traduzioni
Grazie Maurizio.
Ricordo da adolescente di aver approcciato tre volte il libro, abbandonandolo ogni volta prima della pagina 200. Pensavo non facesse per me, di non essere adatta al genere fantasy. Trovavo la scrittura ridondante e faticosa. Persino piatta nei dialoghi. E in quegli stessi anni divoravo Dickens.
Mi sono avvicinata di nuovo al testo di Tolkien ora, a 30 anni, con questa nuova traduzione (senza endiadi a caso). E mi sono innamorata del libro come avrei voluto fare da ragazzina. Prometto che rileggerò tutto in inglese perché penso di aver perso qualcosa di straordinario in questi anni. Le traduzioni dei classici invecchiano in modo molto più evidente dell’originale, sono necessarie anche per le nuove generazioni. Bompiani ha fatto un ottimo lavoro.
Consiglio la nuova edizione integrale illustrata da Alan
Lee, costa non poco ma è un piccolo capolavoro da collezione.
Ciao Denise e grazie di questo commento.
Sei l’ennesima persona che racconta una storia simile in questi commenti, il che mi sembra davvero significativo.
e hai assolutamente ragione a dire che le traduzioni invecchiano più degli originali.
Premetto dicendo che non ho ancora letto la nuova traduzione, e per farlo aspetterò che siano usciti tutti i volumi e la mappa (Sono un maniaco delle mappe nei fantasy ed anche se conosco a memoria la terra di mezzo, non riuscirei a leggere il romanzo senza la mappa a fianco)
Ho sentito per la prima volta di questa nuova traduzione sentendo le critiche ai nomi: all’inizio sono inorridito davanti a nomi come “Samplicio” ed ero molto prevenuto, ma il tuo articolo mi ha portato a ricredermi: ora sono curioso di leggere questa nuova traduzione, e sono felice che Tolkien sia stato tradotto in un registro più fruibile (ricordo ancora la pesantezza di alcuni capitoli).
Condivido i tuoi sentimenti riguardo al Gaffiere ed ai Vagabondi.
L’unica traduzione che non mi convince è “forestali”, perché nella mia mente è troppo legata all’immagine delle guardie forestali, e a giudicare dalla mappa e dalla descrizione dei paesaggi, sembra che i dunedain del vecchio Arnor vivano più su colli brulli che in foreste. Avrei preferito “vagabondi” o “nomadi” per esprimere come vengono malvisti dagli abitanti di Brea e dintorni, ma forse sarebbe stato troppo spregiativo.
Ho letto l’intervista su “il Giornale”, e davvero non capisco come si possa affermare che la nuova traduzione voglia «travestire Il Signore degli Anelli in foggia Lgbt in ossequio al nuovismo». Quale sarebbe il ragionamento per arrivare a questa conclusione?
Ciao Simone,
grazie per il tuo apprezzamento!
Innanzitutto, i volumi sono usciti ormai tutti. Non solo ma è appena uscita l’edizione economica con le illustrazioni di Alan Lee e le mappe.
Su «Forestali» ti consiglio l’articolo che ho linkato, se non l’hai già letto. Poi ognuno pensa come vuole: io, per parte mia, sono sempre più convinto che i nomi sarebbero meglio tutti in versione originale.
Sulla celebre intervista de Il Giornale non credo ci sia da infierire, più passa il tempo e diventa evidente quello che è.
Non avevo fatto caso alle date, quindi quando ho letto che il ritorno del re sarebbe stato pubblicato in autunno, ho pensato ad autunno 2021. Errore mio.
Adesso ho letto l’articolo, mi ha convinto sulla correttezza di “forestale” come traduzione, anche se concordo con te che in effetti lasciare “ranger” in inglese, dopotutto ora come ora la figura del ranger è abbastanza conosciuta dai lettori fantasy da non causare la confusione che avrebbe potuto causare anni fa
Per quanto riguarda la traduzione dei nomi, penso che sarebbe sufficiente tradurre i soprannomi (Come Grampasso / Passolungo: sarebbe strano vedere gente che tra di loro parla in italiano dare soprannomi in inglese ad un personaggio), o i nomi degli hobbit, dopotutto è giusto che rimaniamo spiazzati da un nome come Samplicio: è questo il punto.
Nella compagnia che salva il mondo ci sono Aragorn figlio di Arathorn, il principe degli elfi Legolas e Samplicio il giardiniere.
Lo rende più vicino alla figura dell’uomo comune che anche tu hai detto essere importante per il personaggio di Sam
Ovviamente dico queste cose da completo profano al mondo della traduzione, Se Fatica ha preso certe decisioni la sua opinione vale di certo più della mia.
Leggerò questa nuova traduzione, ed ho fiducia che non resterò deluso.
Sono d’accordo, Simone.
Il discorso sui nomi «in inglese» è infatti un po’ avanzato e complesso. Non siamo più nell’Itala degli anni ’70, oggi è comune sentire/leggere nomi e termini anglosassoni. E soprattutto per un classico come questo è importante tenere sempre via l’idea che stiamo leggendo una «versione». Ma è anche vero che una traduzione resta una forma di «opera d’arte» e merita di mantenere una sua coerenza interna.
Infatti su questa questione ho molti dubbi.
Per quanto riguarda «Semplicio», lo spiazzamento dato dalla differenza tra «Aragorn» o «Legolas» e l’anglofono «Samwise» viene sicuramente ricreato bene e infatti a me piace.
Ciao Luca,
sono un profano del genere, ma vorrei iniziare a leggere questo capolavoro, nella edizione attuale.
Ti chiedo però un consiglio. Prima è meglio leggere la trilogia di Hobbit, che precede Il Signore degli Anelli ?
Ti ringrazio fin d’ora.
Luca
Ciao Anonimo,
Lo Hobbit non è una trilogia, ma un romanzo singolo.
Non è necessario leggerli in sequenza, ma Lo Hobbit procede il SdA, quindi forse sì. Io comunque lo lessi dopo e il mondo non è crollato.
Considera anche che è un romanzo dal tono molto diverso, è volutamente un testo per ragazzi (ma comunque bellissimo).
Ho letto l’articolo ma dell’aspetto politico e legale della vicenda non mi interessa molto se non le parti che vanno a intaccare me come consumatore. Se solo conoscessi meglio l’inglese(che uso solo per testi tecnici) prenderei la versione originale ma sono costretto a ripiegare per una versione italiana, purtroppo fantasy e fumetti in Italia hanno sempre sofferto di una traduzione non perfetta o soddisfacente, uno dei motivi per cui mi sono sempre tenuto distante da questo genere.
Però anni fa decisi di iniziare la lettura dei libri di Tolkien, a cominciare con Lo Hobbit, un’edizione “povera” del 2016 molto interessante e non mi pare di aver letto particolari critiche per questa traduzione o almeno credo(e quindi chissà perché non lasciare alla stessa traduttrice il compito della nuova traduzione del SDA). Per questioni universitarie ho allontanato la lettura di tutti i libri per un paio d’anni e nel frattempo è scoppiata la vicenda di “Alliata contro Fatica”, portandomi sempre più distante dall’opera, leggere pareri da una parte e dall’altra mi hanno amareggiato e onestamente vedevo sempre di più pessime entrambe le traduzioni se messe a confronto l’una con l’altra. Purtroppo lasciare in mano a una sola casa editrice i diritti della pubblicazione di un’opera così importante per la cultura popolare e non solo, ha portato a questi eventi dove solo l’acquirente ci rimette.
Sono abbastanza sicuro che se al nuovo traduttore gli fosse stato dedicato più spazio/tempo/fondi economici, magari poteva prendere decisioni diverse, non capirò mai perché altrimenti l’abbandono delle annotazioni a piè di pagina nei libri (mi ricordo che in molti libri russi/francesi tradotti in italiano invece sono presenti e di fondamentale importanza e in questo caso si poteva usare per lasciare i nomi in originale e spiegare il loro significato).
Come ho detto prima questo casino ha creato un conflitto in me dove entrambe le traduzioni sono pessime(magari oggettivamente non è così ma parlo da acquirente e non da critico), però onestamente sentendo entrambe le campane sarei più propenso a recuperare la versione “vecchia”. Alcuni nomi e decisioni di traduzione nuova proprio non riesco a capirli, non solo con gli esempi che hai riportato tu ma anche di altri leggendoli sia tra i commenti sotto questo articolo sia altrove, non che nella vecchia non noto i difetti.
Sono uno di quelli che pensa che la traduzione 1:1 non sia sempre la scelta giusta per un libro del genere(potrei usare google lens che ormai traduce in modo quasi perfetto, dovendo fare poche modifiche personali, un testo qualsiasi se volessi tradurre 1:1) e che visto la impossibilità di tradurre in questo modo alcune sottigliezze da una lingua a un’altra preferisco che vadano “perse”, piuttosto che usare termini dialettali(guarda caso quasi sempre dialetti di regioni dalla Toscana in su alla faccia di una traduzione che possa andar bene per tutta Italia. Preferisco a sto punto leggere un libro con il dizionario d’inglese che del dialetto del traduttore di turno), così come preferisco perdermi un linguaggio più “povero e ignorante” del giardiniere Sam che farlo parlare come gli africani di Boris, oppure leggere una frase in uno stile dove forzatamente vengono usati termini che vanno del ridicolo o peggio, e per me l’immersione è tutto.
Non che la versione vecchia mi pare sia migliore con l’assenza di alcuni termini di cui non mi spiego il motivo o nomi storpiati senza senso, ma non scendo nelle critiche di questa versione perché tanto trovarla è difficile, se non usata a prezzi spropositati, e effettivamente l’unico modo per leggere in italiano ora il SDA è con la nuova traduzione.
E da qui il mio problema, nel 24 ottobre 2020 è stata rilasciata una versione completa e direi quasi deluxe della traduzione di Fatica
Mi è sembrato di capire che questa versione per contenuti ed estetica sia la migliore tra le nuove che si possono acquistare. Alcuni dicono che la nuova traduzione sia stata revisionata ma non riesco a capire se è una revisione del lavoro di Fatica o un titolo messo lì tanto per. Tu per caso conosci le differenze, se ci sono, della prima traduzione di Fatica e questa edizione del 2020?
Ciao Francesco,
devo premettere che non condivido una parola di quelle che hai scritto.
Intanto perché né la vecchia traduzione né quella nuova possono proprio essere etichettate come «pessime». Tra l’altro, da quello che hai scritto, mi pare di capire che non hai letto né l’una né l’altra; se è così cadi nel vizio di tanti commentatori di questo blog, proprio di quelli che tu sembri aver apprezzato: critichi un testo che non hai letto.
(Ma poi chi ha detto che la tradizione di Fatica è «1:1»?! Ma quando mai?!)
Per quanto riguarda la nuova edizione 2020: non credo si possa definire versione «deluxe»; è la versione in volume unico e in brossura, però contiene le bellissime illustrazioni del celebre Alan Lee e le mappe in versione grande. Il testo è sempre quello di Fatica, con qualche correzione (sono stati notati alcuni refusi o imprecisioni nell’edizione in tre volumi), ma è davvero poca roba. La traduzione è ovviamente la stessa.
Chiedo scusa, pensavo di aver scritto abbastanza chiaramente che non ho avuto modo di leggere il signore degli anelli e che solo ora, dopo 4 anni che ho finito Lo Hobbit, posso continuare la lettura con le opere di Tolkien. Sono arrivato tardi per recuperare la versione vecchia e il caos che si è creato con quella nuova mi sta tenendo lontano.
Purtroppo si la questione della traduzione ha portato in me un conflitto infelice dove il risultato è che entrambe le traduzioni sono pessime, una mia colpa ovviamente ma vedere sia da una parte che dall’altra lanciarsi argomentazioni più o meno valide, non ha fatto altro che mettere un futuro lettore e consumatore come me nella condizione di capire che il signore degli anelli è stato tradotto male in entrambi i casi. Come ho scritto nel messaggio precedente: “magari oggettivamente non è così ma parlo da acquirente e non da critico”, era proprio per sottolineare che magari non è così ma leggendo tutte le varie argomentazioni, compreso la tua, la sensazione che hanno i giovani lettori è questa. Inoltre ora come ora recuperare la vecchia traduzione è quasi impossibile ed è come non esistesse.
Vendere a 300€ dei libri con ancora il logo di 6€ comprato qualche anno fa, tengono distante diverse persone e non è molto appropriato fare il superiore e il saccente dicendo di recuperare prima le varie versioni e poi di poter esprimere giudizio, in quanto consumatore per vari motivi ora sono “costretto” a una sola versione, quando invece ero d’accordo con te, un’opera simile merita più di una traduzione ma mi devo accontentare di una, ora posso solo sperare che venga migliorata questa nuova.
La vecchia per me non esiste nemmeno se non si è capito e quindi no, mi trovo costretto a correggerti, dicendo che non mi trovo d’accordo con altri che hanno commentato in modo raffazzonato difendendo a spada tratta la vecchia versione sotto il tuo articolo(non esistono solo loro per fortuna), proprio perché non la sento mia non avendola letta(ho solo espresso il parere che è la meno peggio sembra la vecchia e non di certo per certi commenti, anzi è stato leggendo il tuo articolo che ho capito che alcuni termini erano certamente meglio la vecchia versione, gusti personali direi), esattamente come un qualsiasi giovane lettore che si poneva dubbi sulla traduzione di un tempo, io mi pongo dubbi su questa nuova, con il vantaggio che come consumatore del 2020 posso avere delle riserve sull’acquisto di un prodotto ancora prima di acquistarlo, proprio perché sarà la MIA versione del signore degli anelli. Tu stesso hai detto che la vecchia negli anni ha subito(per fortuna) delle rivisitazioni, quindi si spera che anche questa possa ricevere dei miglioramenti.
Mi dispiace che non trovi d’accordo con me invece con la possibilità futura di migliorare il lavoro di Fatica e che l’utilizzo dei nomi originali e magari spiegato in note a piè di pagina siano viste così male dai lettori italiani(forse per questo sono sparite e non è colpa degli editori taccagni), sicuramente recupererò la versione del 2020, perché costretto se voglio leggere il SDA e quindi mi dispiace anche che ti trovi in disaccordo per la questione dei diritti in mano a una sola casa editrice in Italia. Ma anche qui sono punti di vista con cui vivo tranquillamente lo stesso.
Il mio disappunto era proprio questo, conoscere la versione migliore attualmente disponibile ed è solo una, ovvero quella di ottobre 2020 che comprende tutti i volumi, le mappe e i disegni di Alan Lee ma con una semplice correzione a errori minore della traduzione di Fatica
Ultima cosa, il lavoro di Fatica non sarà 1:1 e avrò esagerato ma a sto punto i suoi sostenitori devono decidersi, perché spesso e volentieri si elogia come Fatica abbia fatto traduzione letterale in molte circostanze (non mi riferisco solo a te, il tuo articolo credo sia il più dettagliato e abbia messo più in crisi di altri la vecchia traduzione ma ho letto anche altri pareri dove si elogia questo metodo) cosa che per una traduzione di un romanzo simile non penso sia adatto sempre. Appena avrò modo di mettere mano su questa versione avrò finalmente una opinione completa, il problema è che per un nuovo lettore tutto sto casino è stato gestito male e non abbia portato benefici, anzi ma ripeto che il problema non è aver utilizzato una nuova traduzione ma la sua gestione.
Avrei solo un’ultima domanda da grandissimo profano delle opere oltre Lo Hobbit, sono presenti nomi vari che ritorneranno ma che sono stati cambiati? Mi spiego meglio nel Lo Hobbit e in tutte le altre opere nella terra di mezzo, abbiamo nomi che sono diversi invece nell’attuale versione italiana del SDA? Se si anche questo per me è un grosso problema per potermi approcciare in maniera definitiva a tutte le opere di Tolkien e crea molta confusione a chi giovane si approccia per la prima volta a questa saga.
Fortuna vuole che oggi uno si può leggere un estratto di un libro prima di acquistarlo e lo farò sicuramente prima di comprarlo.
Scusa Francesco,
ma io tendo a essere molto diretto: te stai a fà le paranoie. Vuoi leggere un libro? Compralo e leggilo!
Ma davvero ti sei messo a spulciare miriadi di commenti che preferivano una versione o l’altra? E perché hai deciso che entrambe non sono buone?!
Sono entrambe belle traduzioni, anche se per tutti i motivi che ho scritto io preferisco di gran lunga la nuova.
E poi hai deciso che la meno peggio era proprio quella introvabile!
(Per inciso: la vecchia traduzione è stata ritirata per volontà della vecchia traduttrice, ma credo tu lo sappia)
Sull’utilizzo dei nomi originali mi sono già espresso (positivamente ma con molti dubbi) nei commenti precedenti.
Non è una cosa facile.
Sulla faccenda della traduzione «letterale»: Fatica è stato più preciso nel riportare la sintassi e il senso del testo originale. Ma questo non vuol dire che il suo lavoro sia paragonabile a quello di un traduttore automatico!
Altrimenti Bompiani poteva risparmiare tempo e denaro usando Google, gratis.
Ci sono molti nomi che sono diversi nelle varie traduzioni delle opere di Tolkien. Un esempio per tutti è «Mirkwood», tradotto in tre modi diversi: Bosco Atro, Boscotetro e Boscuro. È normale che sia così, sono traduzioni diverse, fatte in tempi diversi, da traduttori diversi e pubblicate da editori diversi.
La soluzione per il «giovane consumatore», come dici tu?
Elasticità mentale.
Tradurre dall’INGLESE è una operazione abbastanza semplice. Lo fanno al giorno milioni di persone. Si parlano, si capiscono, dialogato tra di loro.
In libreria ci saranno miglia di volumi tradotti dal’Inglese all’italiano, che NON risentono minimante della traduzione. Si capisce il testo, si provano emozioni, o se è un testo “tecnico”, si capisce il significato e le spiegazioni date.
Tutta un’altra cosa è tradurre “qualcosa che ha dietro” dei ragionamenti, delle idee, delle soluzioni linguistiche, invenzioni letterarie, ecc…
Perché in questo caso cambiare una parola, può voler dire modificare il testo con il significato originale lo scopo che l’autore vuole dare.
Ancora peggio, è se il mezzo scelto è un vero e propio “Tour de Force” linguistico, di un testo che è stato redatto e modificato per decenni prima di essere revisionato una seconda dall’autore prima di “diventare definitivo”.
E a questo si aggiunge la difficoltà di dover tradurre NON tra due lingue MODERNE, ma tra una lingua moderna e una “più vecchia”.
Tolkien usa accezioni, verbi, sostantivi, e parole che spesso si rifanno ad un inglese arcaico, vecchio o caduto in disuso. Spesso stravolge la stessa lingua inglese, che “impariamo a scuola” nella formula della professoressa “Soggetto + Vero + Reasto della Frase”, o del “To Be …ing to”.
Qualcuno ha scritto che l’inglese di Tolkien sarebbe da “matita rossa” messa su un qualcuno compito di inglese. E secondo me aveva ragione. Certo NON per tutto il libro, non per tutte le frasi, ma la costruzione e le intenzioni di Tolkien sono ancora soggette di studi.
Quindi la difficoltà di tradurre un libro come il Signore degli Anelli è triplice.
Si deve capire il significato delle “parole in vecchio inglese”, e NON portarle in inglese moderno, per poi tradurlo. Ma capirle in inglese e portarle nel corrispettivo italiano. Impresa titanica già questa. Perché l’italiano è molto più esposto ad uso di parole che “suonano male, e vecchie”.
Per seconda cosa, di deve capire il PERCHE’ Tolkien usa center parole, se hanno un significato preciso, perché non ne ha scelte altre, perché non ne ha usate di moderne.
In rete si trova facilmente il perché SHELOB non è stato mantenuto come nome. Tolkien disse di tradurre i significati dei nomi, salvo quelli ALTI (di Elfi, di Gandalf, dei Re, ecc…). SHE-LOB. Lei-Ragno. LOB se si cerca nell’Oxford English Dictionary dice che ha come uno dei significati i ragno.
Quindi il nome che ha voluto dare Tolkien è RAGNA. Ma non lo si prende e lo si porta in inglese moderno facendolo diventare SHE-SPIDER, e quindi poi tradurlo. Lo si lascia nel “Modo Arcaico” usato da Tolkien e si cerca di renderlo in italiano “by-passando” la modernizzazione in lingua inglese.
Questo è quello che ha cercato di are Fatica. Si è trovato di fronte ad un testo di 70 anni fa. Scritto come se la stesura fosse stata fatta altri 70 anni prima.
La stessa critica che gli mossero per Moby Dick. Se il teso è del 1850, inutile usare un italiano del 2000. Se si vuole rispettare il testo si devono usare parola del 1850… e dare il senso che il testo che si legge è del 1850.
Altrimenti riprendiamo Dante, cambiamo Selva in Bosco, e traduciamo in inglese Wood. Chissà che non incontri Cappuccetto Rosso o il Lupo prima di centrare Virgilio.
Posso capire che NON piaccia leggere nomi cambiati, che si è abituati a leggere da 70 anni. Ma questa non è una scusante.
Nessuna delle due traduzioni è perfetta. Quirino Principe lo scrisse nella sua introduzione che si dovettero fare delle scelte. Da editor esperto come era, capi che i nomi tradotti sarebbero apparsi ridicoli: Sacconi, Felice, Borsa-Sacconi, ecc…. ma capì anche se avere dei toponimi in lingua inglese avrebbe reso più arduo il ricordare i luoghi. Altre scelte non sono state giustificate. Come l’invenzione di Gaffiere, che rimane.
Fatica compie la stessa scelta: alcune cose erano traducibile. Altre no. Anche impegnandosi allo stremo. lasciare tutto in inglese? Quindi Ranger lasciarlo Ranger, e mettere una nota? Allora avrebbero dovuto creare un Signore degli Anelli annotato. In cui compariva *Ranger: corpo organizzato di difesa dei confini boscosi dell’ovest i cui membri erano composti dai discendenti dei Dudenain, dalla lunga vita e dai sensi maggiormente sviluppati rispetto alla genia degli uomini.
Ma siamo seri? Questo per UN termine. Ci sarebbero voluti 3 volumi da 800 pagine per la traduzioni di Fatica, che avrebbe lasciato tutti i termini in originale ma con una Nota di Spiegazione a margine. Allora tanto varrebbe leggerlo in inglese, e fine.
Fatica ha avuto il merito e la COLPA secondo alcuni di “provarci sempre”: Anche quando in verità era una impresa impossibile. E in effetti non tutto gli è riuscito alla perfezione.
Speriamo solo che sia un PRIMO passo, di una revisione che verrò continuamente rivista… anche se dubito. Ma già per il Volume Illustrato sono stati corretto almeno 200 tra errori, refusi, ripensamenti. Il Monte Fiammeo, che appare pure sgrammaticato è stato lasciato in “bocca al solo Sam” che in effetti parla da “giardiniere”. Almeno non leggina Faramir che da del MESSERE a Sam, ma gli da del Mastro.
Ciao Matteo,
Sottoscrivo tutto, eccetto il fatto del lasciare i nomi in lingua originale, che secondo è un discorso più complesso, che avrebbe avuto pro e contro. Ma è argomento che andrebbe trattato a parte.
Non ho mai letto Il signore dei anelli. Non ancora. Ci sto pensando ora e mi serviva proprio un quadro chiaro sulla storia delle traduzioni. Grazie mille!
Grazie Milena!
Leggilo e non te pentirai!
In primis voglio ringraziare per l’approfondita analisi con 3 testi a fronte.
Sono un mezzonerd 23enne che finora non ha mai letto il Signore degli Anelli, né ha mai visto per intero i film. Conosco un po’ la storia, ma da giovane mi trovai a non aver visto il film nel periodo in cui iniziai a convincermi di voler prima leggere il libro. Prima di averne l’opportunità ero già nella fase di profonda avversione per le traduzioni italiane (chiunque abbia presente gli adattamenti agli anime più famosi capirà, agli altri tanta invidia), quindi avrei dovuto leggerlo in inglese. Bene, il mio inglese è buono: che si prenda in considerazione il vocabolario, la grammatica o quanto sono fluente dovrei oscillare tra B2 e C1… Già avrai capito dove voglio andare a parare, un conoscenza del genere non basta per leggere agevolmente un romanzo nel quale l’autore arriva ad inventarsi intere lingue e spazia tra estremamente colto (che vabbè, c’è il dizionario) ed estremamente “volgare” (in senso linguistico, ovviamente, che rischia di far perdere pezzi perché semplicemente non puoi tradurre agevolmente).
Fine 2018, mi rassegno. Prima di tutto però voglio sapere com’è la traduzione, e cerco. Cerco e trovo degli articoli, questi parlano appunto di una ritraduzione. Passano i mesi senza notizie, vedo sporadici articoli e saltano fuori i rimpalli tra Alliata e Fatica, lui un po’ troppo pieno di sé e lei… Mi astengo dal fare commenti, giacché quando qualcuno parte con gli sproloqui su “lobby LGBT e teoria del gender” mi rimangono solo insulti.
Nel corso dei mesi mi sono trovato a sentire pareri molto positivi e molto negativi, ma mai un’analisi così dettagliata, per la quale mi ritrovo (concettualmente, siccome non ho ancora letto nulla) in accordo forse all’80-90%. È stato bellissimo potermi veder chiariti esattamente i dubbi che avevo, mi sono letto molti commenti (se esiste un modo fisserei quello di Fabio, che è un ottimo modo per mostrare due punti di vista opposti entrambi ragionati) e direi che col rammarico di sapere già che cercando informazioni su internet avrò vita difficile a causa dei nuovi nomi, opterò per la nuova opera. Scelta che però faccio a cuor leggero sapendo che per lo meno c’è in linea di massima l’aderenza che apprezzo.
Vorrei intanto sapere se, alla luce della pubblicazione di entrambi gli altri volumi ci sia qualcosa in più da sapere che non è stato scritto più in alto, considerazioni interessanti e senza spoiler o comunque minime ritrattazioni o conferme di quanto scritto (tipo sapere che i registri sono resi anche meglio, o che sui nomi c’è stato un approccio diverso, etc.) e poi fare un paio di considerazioni, anche, volendo, da aggiungere all’articolo.
1) La poesia dell’anello. Le due righe incriminate non si salvano e fine, siamo tutti d’accordo e vabbè. Però a chi dice che senza metrica non ha forza consiglio di ascoltare la versione dei Clamavi de Prufundis, che mi è capitato di sentire ed ha una potenza pazzesca. Alla faccia del non poter rendere i versi liberi.
2) Sono toscano, che oltre a darmi un vantaggio assoluto sul linguaggio desuetocheperòèancheaulico e usatodaicontadiniquantodaicavalieri nonché vecchiterminichesisentonotuttora, venendo dalla provincia di Siena porge un insight su “quartieri”. Conosci senesi? Se non li conosci ringrazia, è gente che sa pensare solo alle sue mura e al Palio. Ecco, in tal proposito, il palio per forza l’avrai almeno sentito nominare: se loro hanno le loro dieci e spicci contrade, tanti paesini come Montalcino e Buonconvento hanno invece i quartieri. Sono cresciuto considerando il termine normalissimo e non ci vedo nulla di così assurdo… Eccetto l’aver pescato qualcosa così di nicchia per poi mettere al singolare quartierO e non quartierE come sarebbe corretto!
Spero di essere stato utile, seppur più prolisso dell’Alliata 🙂
Ciao Mattia e grazie per il commento e per le parole di apprezzamento per il lavoro che ho fatto.
Mi sono ripromesso di aggiornare questo articolo, dopo l’uscita degli altri due libri, ma non ho più avuto il tempo di farlo.
Giuro che lo farò.
Intanto posso dirti che, col cambio di ambientazione (Rohan e Gondor) mi sembra che tutto il linguaggio aulico di Tolkien esce fuori molto bene, alla faccia di quelli che dicevano che la nuova traduzione fa sembrare il SdA un libro young adult.
Sulla cosa dei «Quartieri» penso che Fatica abbia voluto discostarsi dal senso moderno di «zona della città» e allora abbia usato la forma antica con la «o».
Ottimo!
Mi sono appena ordinato la versione illustrata (anche perché è la più economica in circolazione, preferendo leggermelo in cartaceo), speriamo che i 2.7kg che pesa non siano un problema hahahaha
Capisco fin troppo bene il non avere tempo, buona fortuna 🙂
Hai fatto bene, anche perché, a quanto dicono, nella versione in volume unico hanno corretto alcuni refusi presenti nella prima edizione.
Io l’ho presa e confermo che è tanto pesante (in chilogrammi) quanto bella.
Premetto che sono venuto a sapere dell’esistenza di questa nuova traduzione solo di recente. Leggendo un po’ di blog e articoli qua e là, ho poi scoperto che si è scatenata una guerra tra fazioni a mio avviso del tutto insensata. Ho quindi apprezzato la disamina neutrale di questo post, e io stesso mi considero estraneo alla vicenda, e ritengo che il testo debba essere giudicato per quello che è, analizzando le singole scelte, senza criticare a priori un’intera traduzione per motivi di schieramento politico.
Devo ammettere però che anch’io quando ho letto per la prima volta le nuove traduzioni dei nomi, da Samplicio a Forestale, da Aragne a Cavallino Inalberato sono rimasto interdetto, e la mia prima reazione è stata d’istinto. Come potevano toccare dei nomi così iconici? Tuttavia dopo qualche giorno in cui proprio non riuscivo a farmeli andare giù ho iniziato a rifletterci più a fondo, andandomi anche ad informare sul perché di alcune di queste scelte traduttive, e mi sono sforzato di mettere da parte il pregiudizio iniziale. Il risultato è che in numerosi casi i nuovi nomi hanno cominciato a piacermi, ritenendoli una versione più fedele al significato in lingua originale. Inoltre la prosa fluisce bene, è naturale e scorrevole.
D’altra parte ho rilevato una serie di elementi in questa nuova traduzione che ancora non riesco a considerare come miglioramenti, e volevo discuterne e ascoltare le vostre opinioni a riguardo.
Partiamo con i nomi: vi riporto i casi la cui nuova traduzione mi sembra peggiore di quella precedente e non riesco quindi a capire per quali ragioni sia stata modificata.
Tolkien A/P F
Withywindle -> Sinuosalice -> Circonvolvolo
Questo mi sembra il caso di traduzione meglio riuscita di A/P e peggio riuscita di F.
Sinuosalice è a mio avviso davvero molto bello ed evocativo, in più mantiene sia l’idea di avvolgersi che quella di salice, che è un fondamentale riferimento al Vecchio Uomo Salice.
Black Gate -> Cancello Nero -> Porta Nera
Cancello nero non era più letterale? E poi mi sembrava molto più evocativo e trasmetteva meglio l’idea, mentre porta nera sembra una normale porta di un edificio, non certo l’enorme struttura fortificata Morannon.
Haunted Pass -> Passo Maledetto -> Passo Stregato
Anche qui maledetto mi sembra molto più consono per haunted visto che era chiamato così proprio per via delle creature maligne che vi abitavano, mentre stregato mi dà più la sensazione di qualcosa di fiabesco.
Stonewain Valley -> Valle Cavapietra -> Valle Carromatto
Qui una tiene l’elemento della pietra, l’altra quella del carro. Essendo però una valle che serviva al trasporto della pietra estratta dalle cave, Cavapietra mi sembra molto più esplicativo, mentre Carromatto non mi trasmette le stesse informazioni.
Evermind -> Ricordasempre -> Semprinmente.
Oltre alla difficile pronuncia di “nm”, Ricordasempre mi pare molto più adatto a un fiore che cresce sulle tombe, legato quindi alla memoria dei caduti.
Wilderland -> Terre Selvagge -> Selvalanda
Oltre alla minor evocatività (soggettiva), la nuova versione crea un po’ l’equivoco con selva, bosco, non mi appare immediato il significato di selvaggio.
Big People -> Gente Alta -> Grossa Gente
Ring-maker -> Creatore d’Anelli -> Facitor d’anelli
Ci sono poi alcuni nomi che non mi sono piaciuti per la sonorità, come Roccasa, Roccorno, Ranocchiana. Mi è sembrata invece ottima la nuova traduzione Riorombante.
Un inciso riguarda il nome Took, che non capisco perché sia stato riportato all’inglese, quando Tolkien stesso nelle appendici afferma che il nome hobbit era ‘Tûk’ e che lo ha reso in inglese come Took solo per una questione di suono in quella lingua. Sarebbe stato coerente fare la stessa cosa in italiano con Tuc, che ricrea naturalmente il suono originale nella nostra lingua.
In ultimo il discorso poesie. Se è vero che la nuova traduzione è molto più fedele in termini di metrica e ritmo rispetto alla A/P che si prendeva tante libertà, a volte questo va un po’ a discapito del senso generale. Nella famosa poesia dell’anello la ripetizione di One Ring era secondo me importante per dare centralità all’unico anello, mentre il sottinteso uno per, uno per mi sa un po’ troppo di lista della spesa…
Riguardo al pezzo “doomed to die”, reso con “dal fato crudele”: questo a mio avviso crea una contraddizione con il Silmarillion, in cui la morte è presentata come un dono di Iluvatar agli uomini, più che una crudeltà. Qui in realtà si potrebbe dire che non volesse trasmettere questo concetto, però forse lasciare in qualche modo l’ambiguità dell’originale, senza calcare su ‘crudele’ sarebbe stato più opportuno.
In ultimo, e poi chiudo, la poesia di Earendil è stata forse un po’ svuotata. Mettendo l’originale inglese e la nuova l’una accanto all’altra si nota che quasi tutti i versi sono visibilmente più corti, essendo stati tolti davvero molti aggettivi e termini descrittivi che arricchivano enormemente la narrazione. Capisco che questa poesia in particolare sia molto difficile da tradurre, ma ho l’impressione che pur di curare a tutti i costi la metrica si sia tralasciato davvero troppo contenuto. (Con questo non difendo la prima traduzione, che pur rispettando molto di più il contenuto perdeva davvero troppo il ritmo e le rime dell’originale).
Mi scuso per essermi dilungato tanto e sono curioso di sentire le vostre opinioni.
Articolo molto interessante e ben argomentato.
Complimenti.
Grazie Alessandro!
Voglio comprare i libri del Signore degli Anelli e volevo capire quale sarebbe stata l’edizione migliore da acquistare, ora penso che comprerò quella nuova.
Non li ho mai letti, ho visto solo i film (e li adoro), ma ho letto Il Silmarillion, Lo Hobbit e La Caduta di Gondolin, quindi non penso che avrò un grandissimo problema con la nuova traduzione dei nomi.
Il tuo articolo è scritto molto bene, mi hai fatto ridere oltre ad aver spiegato il tuo punto si vista in modo chiaro, educato e comprensibile.
Ora che è passato un po’ di tempo sono state aggiunte le mappe?
Grazie.
Ciao Anonimo,
al momento l’unica traduzione che puoi acquistare è quella nuova (a meno che non trovi quella vecchia in un negozio di libri usati), perché la vecchia traduzione non è più in commercio per volontà dell’autrice.
Nel frattempo è uscita l’edizione in volume unico che contiene tutte le mappe ed è anche molto bella (anche se molto scomoda da portare in giro, se per esempio sei uno che legge sull’autobus).
Grazie per il tuo apprezzamento e buona lettura!
Lettura interessante ma partigiana. Molte opinioni qui espresse soffrono delle stesse mancanze di quelle che vengono criticate, dando troppo peso a quel che si vuole chiudendo gli occhi sul resto. Allo stesso modo si danno spiegazioni basate su opinioni e prospettive politiche mentre si criticano altrettante opinioni e prospettive contrapposte, in pieno stile italiano. Si pontifica poi qui con tono d’autorità su cosa sia o non sia il fantasy e sui motivi che spingono gli altri a formulare le proprie critiche, ma non si danno quasi mai ragioni a supporto.
Personalmente reputo le traduzione letterali sbagliate, come mi è stato insegnato per i testi classici, e se da un lato condivido la critica sull’appiattimento dei registri e stili dei personaggi (del quale la presunta spiegazione addotta in questo post è davvero ridicola e miope), dall’altro il Gaffiere ed i Vagabondi sono termini molto più immaginifici di Veglio e Troll. Troll poi non ha nessun significato o assonanza per il lettore italiano, mentre Vagabondo regala molti richiami ed inoltre riporta il lettore ad un linguaggio più fiabesco che è molto in linea con il tono del primo volume. Tra l’altro sento usare Gaffiere (per Gaffer cioé responsabile luci) con riferimento al ruolo di overseer e persona senior con esperienza. Il Veglio è orribile. Lasciamo perdere la traduzione di Samwise, perché lì si rasenta l’incompetenza: se una traduzione che preservi il flavour non è possibile, andrebbe preferita una semplice translitterazione.
Ciao Erbestia,
non dovrei autorizzare il tu commento perché viola la regola che ho posto molto chiaramente: critichi il mio articolo senza dare alcuna prova di aver letto entrambe le traduzioni. Quindi sicuramente non l’hai fatto.
Lo pubblico per ribadire (per l’ultima volta) una cosa che dovrebbe essere ovvia ma chissà perché non lo è: non ho mai voluto essere imparziale e non vedo perché dovrei esserlo; questo è il mio blog e ritengo onesto dire come la penso chiaro e tondo.
Troll non ha significato in italiano? Ma non siamo nel 1930!
Buon giorno, articolo illuminante. Ero indeciso sull’acquisto del libro nella nuova traduzione dati i commenti negativi. Hai stimolato la curiosità e la voglia di leggerlo
Grazie per l’apprezzamento, Alessandro!
Ottima e lucida analisi. Ti aspetto al cavallino inalberato con passolungo e i forestali per andare a combattere aragna. Prima però passiamo da valforra e facciamo una bella gita alla montagna fiammea?
Grazie Samplicio!
Preferirei una birra e qualche vecchia canzone, ma se proprio c’è da combattere, si va!
Grazie dell’ottimo articolo. Non ho letto l’originale quindi mi appoggio a chi l’ha fatto per le considerazioni tecniche sulla traduzione. inoltre non sono un esperto, quindi la mia è opinione di semplice lettore. La nuova traduzione sgrassa il testo rendendolo più fluido e spesso (mi dici) più fedele al testo originale. Allo stesso tempo perde una nota epica che aveva la vecchia. Mi chiedo se le, profonde, differenze tra la nostra cultura e quella anglosassone non richiedano in effetti quel rimaneggiamento della vecchia per restituire la stessa atmosfera. Solo dubbi in questo – ed una personale sensazione. Insisto però sui nomi: sono i soggetti di quel testo, sono i soggetti di una memoria collettiva di mezzo secolo, giusti o sbagliati che siano ormai. Arrivo a dire che se l’operazione fosse stata dettata da questioni legali sarebbe stato meglio non farla proprio.
Intanto grazie a te per il commento, Giuseppe.
Secondo me la nota epica non la perde affatto, al contrario rende molto meglio l’ampia dinamica del linguaggio che passa dal colloquiale all’epico.
Riguardo i nomi, è vero che fanno parte di una memoria collettiva, ma non sono i veri nomi (come non lo sono quelli nuovi): solo gli originali sono i veri nomi dei personaggi (e infatti boh, forse sarebbe stato meglio lasciarli in originale); a me le nuove traduzioni hanno fatto l’effetto di farmi riflettere sulla natura di questi nomi; non perché siano migliori (in qualche caso lo sono), ma proprio perché, cambiando, ci costringono a vederli per quello che sono: delle interpretazioni degli originali.
Non son se mi sono spiegato.
Buongiorno!
Innanzitutto grazie per questa attenta e onesta recensione. Premetto che non ho mai letto ISDA ed è proprio per questo motivo che sono capitata su questo blog: mi accingo a leggere il libro per la prima volta (senza nemmeno aver mai visto i film) poiché credo sia arrivato il momento di confrontarsi con questo capolavoro. A fronte di quanto ho letto (anche i commenti) credo di aver deciso di acquistare per prima cosa la versione originale scritta da Tolkien e poi procedere con le due traduzioni ed elaborare poi in maniera critica il mio pensiero a riguardo. Purtroppo è abitudine piuttosto consueta giudicare e condannare per partito preso la novità, concordo tuttavia con quanto hai ampiamente scritto nell’articolo dicendo che un capolavoro (come è stato per la maggior parte dei “grandi classici”) non può fermarsi ad una sola traduzione, banalmente anche solo poiché la lingua italiana (come le altre) è in continua evoluzione e aggiornamento. Non ci si può fossilizzare su una determinata traduzione solo poiché ci si è affezionati, capisco sia difficile scindere le due cose, ma è il minimo se si vuole conservare un minimo di onestà intellettuale.
In ogni caso ho scritto questo commento per chiedere sinceramente un parere sulla difficoltà del testo inglese: è complesso da leggere? O con l’aiuto di un buon dizionario è possibile comprendere in maniera scorrevole il significato? (Aggiungo che ho un buon livello di inglese, ma ho poca conoscenza di termini arcaici e simili)
Ti ringrazio per lo scambio e la disponibilità!
Ciao Neofta,
il tuo approccio è quello giusto e lo ripeto da sempre: se uno preferisce la vecchia tradizione per me va bene, a patto che le abbia lette entrambe e si sia fatto un’idea onesta.
Sul fatto di partire dall’originale, posso solo dirti che dipende dal tuo livello di inglese; il mio non è molto elevato e su alcuni passaggi faticherei senza raffrontarli con le traduzioni italiane. L’inglese di Tolkien ha una dinamica molto ampia, cioè passa dal linguaggio colloquiale (sgrammaticature comprese) di Sam a quello epico dei Re e degli Elfi (con un raffinato uso di arcaismi).
Eventualmente potresti tenerti a fianco la traduzione per aiutarti nei passaggi difficili.
Considera comunque che, se non hai qualcuno che te la presta, faticherai a trovare la vecchia traduzione, perché per volontà della traduttrice è stata rimossa dal mercato.
Buongiorno. Dopo aver letto e riletto quasi tutto di Tolkien ho deciso con trepidazione di prendere tra le mani la nuova traduzione. All’inizio mi ha un po’ spiazzato soprattutto per i nomi diversi e per l’assenza di una mappa aggiornata. Per questo, sperando in questo senso di trovare qualcosa sul web, mi sono imbattuto nel tuo articolo e devo dire che l’ho apprezzato molto e mi ha illuminato per una migliore comprensione di questa nuova traduzione che certamente apprezzerò meglio. Ti ringrazio e spero che quanto prima una mappa aggiornata possa illuminare meglio quest’opera.
Ciao Frodo6,
intanto grazie a te per il commento.
Le mappe ci sono, ma nella edizione in tre volumi si trovano solo nel terzo volume e sono piuttosto piccole.
Invece nell’edizione più recente, quella in volume unico, sono finalmente pubblicate in un formato dignitoso; tra l’altro te la consiglio, non è molto comoda da leggere, perché molto pesante, ma è molto bella,
Insisti spesso sulle sgrammaticature e sulla “bifolcaggine” di Sam e sembri completamente dimenticare quanto il ragazzo avesse invece appreso da Bilbo! Non aveva imparato il Quenya, certo, ma suo padre protestava perché trovava inappropriato e fonte di possibili guai che un umile giardiniere sapesse leggere e scrivere e invece Sam sapeva farlo e, di più, conosceva a memoria un bel repertorio di versi tanto che Frodo se ne stupisce. Forse per sostenere la tua posizione stai dipingendo il personaggio molto più ignorante di quanto in realtà non fosse.
Poi mi taccio ma consiglio la lettura del seguente link per una seconda interpretazione della medesima materia scritta da qualcuno che, palesemente, mastica bene l’argomento https://tolkieniana.net/wp/il-signore-degli-anelli-e-le-sue-traduzioni/
Ciao Diletta,
prima di tutto complimenti, sei una delle rarissime persone che è venuta a criticarmi avendo letto davvero la nuova traduzione (almeno in parte, non so se l’hai poi terminata).
Ovviamente sono in totale disaccordo, non trovo per niente non-musicale la traduzione di Fatica.
E non capisco il discorso su Sam: mi sono limitato ad analizzare le frasi che gli mette in bocca Tolkien, mentre sei tu a fare congetture sul suo livello culturale (conosceva o non conosceva l’elfico, sapeva leggere e scrivere). Trovo bellissime le sue sgrammaticature, perché danno profondità a un personaggio meraviglioso, che per importanza è forse pari a Frodo. La ripulitura del suo linguaggio (che fecero Alliata/Prinicpe) per me è una cosa intollerabile.
Ho letto l’articolo che hai linkato: l’autore è molto competente, ma non sono per niente d’accordo.
Sicuramente io avrò fatto delle involontarie forzature, ma lui arriva a scrivere che nella traduzione di Fatica sembra che la spada ha appeso Bilbo al muro! Ma seriamente?!
Poi, scusami, ma in questo Blog abbiamo affrontato anche tematiche legate ai rapporti tra i generi e non posso non dire che la frase «le traduzioni sono come le donne, se sono belle non sono fedeli» è così maschilista, qualunquista (e ovviamente falsa) da essere veramente irritante. Sono sicuro che Éowyn te ne canterebbe quattro!
Diletta, il link che hai inserito secondo me è perfetto, e spiega in modo molto più puntuale e competente quel che ho cercato di esprimere io molti commenti sopra.
Riprodurre meccanicamente la sintassi dell’originale è il modo migliore di tradire anziché tradurre.
Spero con tutto il cuore che negli scaffali tornerà, prima o poi, la traduzione dell’Alliata…o ancora meglio una terza traduzione. 🙂
Questo lo spero anche io.
Ma definire la traduzione di Fatica «meccanica» non è proprio onesto.
Articolo molto interessante che spiega benissimo la questione, complimenti!
Mi sono svegliato tardi e così ho comprato, man mano che li trovavo, il terzo volume della serie oro Bompiani del 2007 a 2,50 euro, poi il secondo a 19 euro e ora ahimè il primo non si trova a meno di 35 euro… chissà se in un angolo di qualche libreria lo troverò per completare la serie. La traduzione di Alliata diventerà un oggetto da collezionisti.
Ma mi hai fatto venir voglia di leggere la nuova traduzione di Fatica.
Grazie Antonio!
Vabbè, 35 euro non è una cifra così alta, pensavo peggio.
Se puoi, io ti consiglio di leggere entrambe le traduzioni!
Salve, complimenti per l’articolo molto ricco e stimolante.
Ho letto il signore degli anelli nel 1987 a 11 anni. In 15 giorni. E me lo sono goduto dalla prima all’ultima pagina. Avevo letto lo hobbit poco prima, e non mi sembrava vero che avesse un “seguito” 5 volte più lungo! Scoprirlo è stata una festa! Negli anni 90 l’ho letto in inglese e me lo sono goduto uguale, forse di più. Ho apprezzato molto di più la parte più cupa, quella in cui Sam e Frodo vagano disperati e stremati alla ricerca del Monte Fato. Sarà stato per via dell’età? È uno dei pochi libri che ho letto più di una volta. Anche se mi rendo conto che non dovrei dire così forse, dato che l’ho letto due volte in due lingue diverse e dunque si tratta di due libri diversi. A 11 anni non potevo avere grandi riserve sulla traduzione, non ero abbastanza “sveglio”. Non mi ricordo cosa pensai all’apparire del Vagabondo nel bel mezzo di un combattimento forsennato (e mi piacerebbe tornare indietro nel tempo per rivedermi), può darsi che non me ne fossi nemmeno accorto dato che il libro lo ho divorato. Quando ho letto il libro in inglese mi sono reso conto che sam e credo Gollum non parlavano come gli altri. Ma non sono andato a fare confronti con la traduzione italiana. Ho divorato anche il libro in inglese! Successivamente, in occasione dell’uscita dei film sono andato a darmi una rinfrescata alla memoria rileggendomi in parte entrambe le versioni. Dato che nel frattempo ero diventato più “sveglio”, mi sono accorto di passaggi un po’ nonsense nell’italiano. Comunque il film aveva ridato il nome di troll alla creatura così chiamata. E rimesso le cose a posto. (Immaginiamo Gandalf con la voce del doppiatore italiano che mentre infuria la battaglia urla “è un Vagabondo” … io… vagabondo che son io! Ma forse la battuta era di Legolas. Certo Legolas che dice “è un Vagabondo” fa anche crociata contro i senzatetto e i barboni, tutti invisi alla destra. Per cui se il film di Jackson fosse uscito a ruota dopo la pubblicazione rusconi/alliata, Vagabondo sarebbe risultato in tono, ideologicamente). Per dare una conclusione al mio commento: ho trovato la pace dei sensi con la correzione di vagabondo effettuata nel film. Successivamente ho saputo che si parlava di ritradurre il libro e ho pensato “bene!”. Ma ormai il mio riferimento era l’originale inglese, idem per il film. Sono arrivato al tuo articolo perché ieri un mio cugino mi parlava di voler acquistare il libro. Ma era incerto per via delle riserve espresse sulla nuova traduzione. Gli ho chiesto: ma vagabondo c’è ancora? – No. – Allora compralo!
Grazie per questo commento, Giuseppe, è bellissimo vedere come questo libro sia entrato in modi diversi nelle vite di così tante persone!
Con “allora compralo” m’hai fatto morire!😂
Grazie per l’articolo.
Ero affezionato all’edizione bompiani volume unico, perché era quella di quando era uscito il film (o comunque mi ricordo quella), quindi ha ‘solo’ valore sentimentale. Sapere che non c’è più la vecchia traduzione forse frantuma un po’ l’idea che mi ero fatto del libro e di tutto la sua poetica (ma dall’articolo sembra che la nuova traduzione sia migliore solo da un punto di vista di traduzione – interesssnte e giusto soffermarsi sul concetto della traduzione: effettivamente è difficile capire o tradurre esattamente come vorrebbe l’autore originale!), ma questa è una mia comfort zone che devo imparare a mettere da parte. Il signore degli anelli rimane un’opera letteraria molto affascinante, riprenderla in mano è sempre una riscoperta oppure è come ripercorrere vecchi sentieri di montagna, ma con occhi diversi.
Volevo chiedere se a questo punto sono state fatte traduzioni nuove anche del silmarillon o lo hobbit o di altri suoi libri.
Ciao Tommaso,
grazie a te per il commento.
Per quanto riguarda Lo Hobbit, è stato ritradotto da Caterina Ciuferri sempre per Bompiani nel 2012, se non sbaglio. Io possiedo la versione «Lo Hobbit Annotato da Douglas A. Anderson» (che è veramente gustoso!).
Ciao! vorrei iniziare dicendo che il tuo articolo mi ha aperto la mente e mi ha reso molto più semplice la scelta.
Ho comprato il volume unico tantissimi anni fa e credo un po’ per l’età (avevo 13 anni) e un po’ per il suo peso l’ho -purtroppo- abbandonato.
A distanza di quasi sette anni mi sono recentemente riappassionata a questo mondo, e per comodità ho acquistato i tre libri singoli tradotti da Fatica, inconsapevole della nuova traduzione. Una volta aperto mi sono ritrovata davanti un mondo molto più chiaro rispetto alla vecchia edizione. Mi sono però resa conto di quanto fossi inesperta e in qualche modo ingenua anni fa, durante la mia prima lettura di questo capolavoro. Sarà forse perché al tempo non ero ancora tanto appassionata alla lettura ed ero molto giovane, ma mi sembrava di fare una fatica assurda durante la lettura. Questa edizione mi sembra più scorrevole e sicuramente sarebbe rientrata nei miei canoni da ragazza inesperta che ero. I ricordi che ho della traduzione Alliata-Principe sono come annebbiati, molto aulici per la me del passato.
La mia sentenza finale è: col senno di poi e crescendo (ho ormai quasi vent’anni, sono molto più consapevole) trovo affascinanti entrambe le traduzioni e avrei sicuramente letto senza problemi anche la traduzione passata. Ma non essendo in qualche modo affezionata alla vecchia mi sta – ovviamente – piacendo di più quella nuova.
Però ci tengo a precisare che sto leggendo tenendo sempre l’altro a portata di mano per un confronto e a sé sto scrivendo un quaderno con tutte le differenze di traduzione, i nomi originali (sia di personaggi che dei luoghi) e le parole che non mi sono chiare (tipo cotica, mi sono sbellicata e sono andata a vedere nel volume unico). Credo che la lettura ottimale, come ho potuto leggere nell’articolo, sia di avere tutte e tre le edizioni -inglese compreso- a portata di mano.
Questo commento non ha nulla di utile e forse non verrà nemmeno accettato, però ci tenevo a raccontare la mia esperienza da neofita di Tolkien.
p.s. rileggendo mi rendo conto di quante cose inutili io abbia scritto, ma ormai ho digitato e non ho voglia di cancellare ciò che ho prodotto
p.p.s. Avevo un po’ di timore nell’ammettere che la nuova traduzione mi sta piacendo di più della vecchia, ma per chi legge il mio commento: ricordate che è la mia “prima” esperienza di lettura e per me è tutto nuovo! non sono affezionata a niente, per così dire.
anche se il ricordo dei film in italiano cozza un po’ con ciò che leggo.
Luca – permettimi di darti del tu – buona lettura del mio commento, spero non violi le regole e non annoi troppo 😛
Ciao Lucrezia,
non so come ti sia venuto in mente che questo commento non fosse interessante!
È bellissimo che tu stia facendo una prima lettura comparando le tre versioni! E non devi nemmeno sforzarti di evitare i pregiudizi, perché non puoi averne!
Capisco bene che a 13 anni tu abbia abbondanto la lettura, a quella età avrei fatto lo stesso. Anzi, non avrei mai cominciato (sono stato un lettore pigrissimo fino alla soglia dei 17 anni, quando poi la voglia di leggere è esplosa tutta insieme; a tenere accesa la fiammella della lettura nella prima adolescenza sono stati i fumetti e i meravigliosi libri-game, grande invenzione caduta nel dimenticatoio, di cui un giorno parlerò nel blog).
Comunque anche io lessi la prima volta il Signore degli Anelli intorno ai 20 anni, il libro mi ha chiamato quando ero pronto per lui!
Caro Ricatti,
è vero che all’epoca della sua prima diffusione in Italia il SdA venne preso in ostaggio dalla destra. Era probabilmente inevitabile che ciò avvenisse, visto che le idee che questo capolavoro contiene erano lontanissime dalla sinistra di allora: esseri nobili per natura? Una tradizione regale? Una divisione netta e non negoziabile fra bene e male? Sam che chiama Frodo “padrone”? Eresia! Anatema!
Dato che dei lillipuziani non possono tenere in ostaggio un gigante, credo che il SdA si sia liberato ben presto, e che l’introduzione di Elemire Zolla non abbia in fondo avuto un grande effetto sui lettori. Certo che ci furono i “campi Hobbit”, ma quanta gente ci andò davvero? Non più di quella modesta percentuale di fanatici che esiste in ogni campo.
Venendo alla traduzione di Fatica, plaudo alla sua dedizione e alla cura che ci ha messo, posso essere d’accordo con l’impostazione generale di fedeltà al testo e ai diversi registri stilistici di Tolkien. I nuovi nomi però mi sembrano francamente brutti, ma forse è il mio orecchio ormai anziano e calcificato su quelli vecchi che li respinge. Avrei lasciato i nomi originali, ma forse a quel tempo era una scelta inconsueta. Alcune scelte mi sono francamente incomprensibili: al lettore italiano non si può proporre “Forestali” senza che questi pensi istintivamente alla Guardia Forestale, se non addirittura ai “forestali siciliani” delle vecchie polemiche leghiste. Del resto, l’originale “Ranger” a me richiamerebbe subito i fumetti di Tex Willer, quindi forse la traduzione della Alliata era più evocativa. Dovrò rileggere ancora un paio di volte la nuova traduzione (quella vecchia la rilessi una volta l’anno per quindici anni almeno), magari mi ricrederò del tutto.
Ciao Ermanno,
intanto grazie per il commento.
Che io sappia, ai Campi Hobbit partecipavano centinaia di ragazzi e manifestazioni simili sono andate avanti per una ventina d’anni. Non so a che generazione appartieni, io sono stato adolescente negli anni ’90 e posso assicurarti che la diceria che Il Signore degli Anelli fosse fascista era molto diffusa, tanto che io la misi in dubbio solo quando una sera, un amico molto più grande di me disse che non era vero (così, senza ulteriori spiegazioni).
E purtroppo temo di sì, i lillipuziani hanno tenuto in ostaggio il gigante a lungo, se per decenni l’unica critica tolkieniana in Italia è provenuta solo da quella area.
La sinistra, secondo me, neanche ci arrivava a dare le motivazioni che dici tu (che comunque sarebbero ben contestabili): le bastava l’idea del «fantastico» a bocciare un’opera, tanto che negli stessi anni Michael Ende affrontava lo stesso tipo di ostracismo da parte degli intellettuali (e, guarda caso, la destra italiana ha organizzato altre manifestazioni prendendo il nome dal povero Atreiu: e pensare che durante la guerra Ende entrò di una brigata antinazista!).
Per quanto riguarda i nomi, come credo di aver detto in qualche altro commento (ormai sono troppi, non so più cosa e scritto e dove!) sono quasi del tutto convinto che sarebbe stato meglio lasciare i nomi originali, nella nuova traduzione.
Perché è vero che Tolkien aveva dato indicazione ai traduttori di tradurre i nomi, ma è anche vero che il mondo è cambiato molto, l’Italia è cambiata molto, e che abbiamo tutta un’altra dimestichezza con i nomi anglofoni rispetto a 50 anni fa.
A chi mai verrebbe in mente di chiamare il protagonista de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco «Giovanni Neve»?!
O il protagonista di Guerre Stellari «Luca Camminatoreceleste»?!
O intitolare il romanzo di Stephen King «Esso»?!
Il problema di «Ramingo» è che (come tante altre cose nella vecchia traduzione) è nobilitante, forza il significato in una direzione diversa dall’orginale, che invece ha una sfumatura spregiativa. «Ranger» sarebbe potuto non piacere a molti vecchi lettori italiani, ma nessuno avrebbe potuto contestarlo, perché è così che ha scritto Tolkien.
Buongiorno,
senza addentrarmi nel dibattito, ché mi sembra già sufficientemente animato. In questi giorni sono andato a rileggere alcuni brani del Signore Degli Anelli nella prima traduzione italiana, perché l’avevo sotto mano, era quella che avevo letto più di trent’anni fa e cercavo semplicemente di orientarmi velocemente riguardo alle modifice fatte dall’autore alla prima edizione de Lo Hobbit per renderla coerente con il Signore Degli Anelli.
Mi son ritrovato di fronte al seguente passo:
Costringeranno quei disgraziati a fare chissà quale malvagità: Billy Felci, e qualcuno di quei forestieri, e forse anche Harry, il guardiano
del cancello. Hanno discusso a lungo assieme, lunedì, al cancello occidentale. Li stavo osservando, e ho visto che Enrico era pallido come un cadavere e tremava tutto, quando se ne andarono».
Harry diventa Enrico in due righe…
Avendo letto negli anni la versione originale, sono andato a verificare: appare chiaro che la traduzione si prende parecchie libertà e manca di precisione, almeno in questa parte.
Ora, una seconda traduzione è senz’altro legittima, sempre; a volte, come dall’esempio qui sopra, risulta persino benvenuta. Forse leggerò la nuova traduzione, un giorno, ed esprimerò un giudizio riguardo alle emozioni che suscita, e se esse siano migliori di quelle che ricordo della prima lettura.
Rimane il fatto che, accingendosi a metter mano ad un’opera iconica, i cambiamenti apportati ai nomi propri intaccano proprio il cuore dell’icona. Se rendo la sintassi più prossima alla versione originale, o l’italiano più fluido, o lo stile meno uniforme, apporto dei benefici che potranno piacere o non piacere, ma, per così dire, lavorano sotto il cofano, non attentano all’essenza stessa dell’icona: il nome, invece, lo fa.
Non serve citare Eco per spiegarmi meglio; basta pensare allo sconforto che si prova quando si scopre che un telefilm qualsiasi della nostra infanzia, in francese per esempio, si chiama in un modo idiota (per noi; per i francesi, vale l’esatto opposto).
I giovani lettori se la passeranno benissimo con Passolungo o Valforra, come noi ce la siamo cavata con Gaffiere, che non sapevamo che cosa fosse, ma dal contesto l’abbiamo capito benissimo, alcun bisogno di trovarlo in un dizionario.
E le emozioni saranno magnifiche, come lo son state le nostre, anche se non era chiaro chi era Harry e chi Enrico; ma chi se ne importa, giriamo pagina e vediamo che cosa succede, ché son terrorizzato io per loro.
Se tuttavia posso esprimere un giudizio su quanto letto nell’articolo e nei commenti e non su quanto letto nella nuova edizione, direi che il lavoro di traduzione, doveroso dopo tanti decenni di monopolio, avrebbe potuto (notare tutti i condizionali che ci metto per non sollevare un putiferio) essere più prudente quanto ai nomi propri, che rappresentano in un certo senso l’essenza di un personaggio, di un luogo, di una categoria.
I vecchi nomi hanno dato prova di efficacia lungo i decenni; forse, anche i nuovi lo faranno. Ed è probabile che il problema sia rappresentato solo dai lettori che vogliono rileggersi la nuova versione, dato che i nuovi non vedranno la differenza. Ed è altresi possibile che la traduzione di un nome proprio più vicina all’originale non sia per questo più efficace letterariamente; forse, c’è andata meglio a noi anziani con Ramingo, che ai nuovi con Forestale (sono il solo a cui richiama un membro del corpo della forestale col suo Panda 4×4?).
Insomma, forse si poteva proporre un approccio completamente differente (e sicuramente aggiustare ciò che non andava) senza essere così iconoclasti sui nomi propri, col rischio di essere sì più rispondenti all’originale, ma anche e purtroppo meno in armonia con l’opera in Italiano.
Ciao Gianluca e grazie per il commento.
No, io cosa fosse un Gaffiere non lo capivo proprio e continuo a pensare che sia stata una scelta proprio infelice.
E per restare alla tua metafora automobilistica, resto convinto che quello che conta sia proprio il «lavoro sotto il cofano»; perché è la scorrevolezza e la dinamica di un testo a rendere un romanzo più o meno coinvolgente.
Rileggendo le risposte ai commenti di questi anni, mi accorgo che mi sono via via convinto sempre di più che sarebbe stato molto più saggio mantenere i nomi originali (non quelli di Alliata, ma proprio quelli anglofoni), almeno nella maggior parte dei casi.
Sarebbe stato più saggio mantenere Samwise, Rivendell e simili.
Ma soffermarsi sui nomi non ha senso, quello che conta è il romanzo.
Ad ogni modo, a me «forestale» non mi fa impazzire, ma ricordiamoci pure che l’originale è «ranger», che fa comunque venire in mente un tizio in divisa su un fuoristrada (o, peggio, la faccia ingrugnata di Chuck Norris!).
Sono abbastanza in disaccordo con la natura e l’essenza di questo articolo. Posseggo una versione del 2000 circa, con traduzione Alliata, decido una volta finita la serie Amazon ( stradiscussa) di recuperare gli scritti, e non avendo gli altri 2 volumi che completano l’opera, li cerco sul web. Mi imbatto nei volumi Bompiani attualmente sul mercato in versione digitale, inizio a leggere, e alla fine del secondo capitolo, chiudo l’e book e prendo il mano il volume dell’Alliata di 20 anni fa…mamma mia.
Sicuramente Fatica avrà avuto piu perizia nel convertire letteralmente dall’inglese, forse la sua in alcuni passi risulta più scorrevole, moderna? è questo di cui ha bisogno un romanzo di questa caratura scritto durante la guerra? modernità? “CHETICELLA” per voi questo modo di trascrivere è realistico nella terra di mezzo? trovo che la traduzione di Fatica almeno nei primi capitoli da me letti, soprattutto in quello in cui Gandalf torna da Frodo per metterlo al corrente di ciò che sà sull’anello sia davvero ridicola, credo che ridicolizzi del tutto la figura, seria ed anziana di Gandalf, di esempi ne potrei citare a decine tra le pagine che ho letto, vi lascio soltanto con IL raffronto della stessa frase che apre il 3 capitolo del primo volume, traduzione dell’Alliata : “Dovrai andartene silenziosamente, e dovrai andartene presto” Fatica: “Dovresti andartene alla chetichella, e dovresti farlo presto”. Se come sottolineato dall’autore di questo articolo, mettiamo il fatto che si tratta di una traduzione degli anni 70 in cui l’autrice era molto giovane, alla quale credo si possano perdonare per questo motivo alcuni errori, o licenze che sicuramente le vanno evidenziati, vi sembra forse più adeguata ai tempi, ma soprattutto allo spirito del romanzo quella di Fatica? io dico assolutamente no, e anzi sono certo che ci sarà una caccia serrata alla ricerca sull’usato della vecchia traduzione, che per mia opinione rimane assolutamente superiore, più adatta e adeguata al contesto e all’ambientazione.
Ciao Emanuele,
l’autore dell’articolo sono io, preferirei che evitassi di scrivere come se non fossi presente!
Confermo che gli errori dell’Alliata sono ampiamente giustificabili per la sua età e per il periodo storico. Ma siccome, dopo 50 anni, Il Signore degli Anelli è diventato forse il più grande classico della letteratura del ‘900, non sono più ammissibili.
La traduzione di Fatica non è «più moderna», è semplicemente fatta meglio.
Non ho capito il fatto di «chetichella», che sembri scambiare per un termine gergale o popolare, mentre è semplicemente un avverbio poco usato al giorno d’oggi.
Viene dall’aggettivo «cheto», che a sua volta viene dal latino «quietus», che è l’origine etimologica della parola inglese usata da Tolkien nella frase che citi, «quietly».
Fatica ha spiegato (mi pare che ne abbiamo già parlato) che in alcuni casi ha utilizzato parole desuete o poco utilizzate o dal suono antico per compensare il fatto che a volte Tolkien usa termini inglesi arcaici o con significati arcaici intraducibili in italiano.
Ho letto con molto interesse questo articolo, di cui ringrazio l’autore. E’ stato molto onesto nel riportare non solo tutte le voci in gioco, ma soprattutto la sua opinione debitamente argomentata.
Vorrei porre l’attenzione però, ancora, sulla questione dei nomi, per me l’unico vero “problema” di questa traduzione (dopo si capirà perchè ho usato le virgolette.
Premessa importante: non sono una traduttrice, nè una linguista. Sono cresciuta con la traduzione Alliata-Principe, ma non ho mai avuto nulla in contrario con una nuova traduzione del Signore degli Anelli, anzi.
Le nuove traduzioni sono sempre imprese editoriali interessanti e necessarie.
Il mio entusiasmo si è però spento non appena ho visto tutti i cambi apportati ai nomi e per una ragione molto specifica: il traduttore, che ha fatto un innegabile attento lavoro, ha però dimenticato un fenomeno fondamentale che a volte può verificarsi nelle opere che possiamo definire cult, il fenomeno che io chiamo “del Grande Cocomero”.
Il nome deriva dalla celebre striscia a fumetti Peanuts di Charles Schulz, in cui uno dei personaggi più famosi, Linus (quello della coperta), ogni anno nella notte di Halloween, si mette in un orto di cocomeri (il più sincero orto dei cocomeri) ad aspettare questa entità misteriosa chiamata Grande Cocomero, che però puntualmente non si presenta.
Questo nella versione italiana.
Ora, nella versione originale, il Grande Cocomero è “the Great Pumpkin”, la Grande Zucca, e quindi anche l’orto è un orto di zucche come si vede peraltro nei disegni, e questo tra l’altro è perfettamente coerente col fatto che la gag si svolga nella notte di Halloween. In italiano non solo la traduzione è palesemente sbagliata (un cocomero non è una zucca), ma crea anche una discrepanza tra ciò che si legge (l’orto dei cocomeri) e ciò che si vede (i disegni delle zucche) e per di più non fa capire il nesso tra il Grande Cocomero e Halloween.
Eppure, il Grande Cocomero rimane il Grande Cocomero in ogni nuova edizione e traduzione dei Peanuts, perché ormai questo nome si è consolidato così tanto nell’immaginario che ogni altra traduzione non sarebbe accettabile.
Il consolidarsi di certe traduzioni, anche se sbagliate, è quello che io chiamo “il fenomeno del Grande Cocomero”. Penso che per un linguista questa sia una cosa inaccettabile, roba da farsi venire l’orticaria, ma nel confrontarsi con un’opera letta, vista, giocata, immaginata come Il Signore degli Anelli, penso che non possa essere ignorato.
Giusto per citare un altro esempio piuttosto recente: quando il (famigerato) Gualtiero Cannarsi cambiò i nomi dei “cattivi” del cartone animato giapponese cult Neon Genesis Evangelion da Angeli ad Apostoli, secondo lui più corretta come traduzione, per la nuova distribuzione della serie su Netflix, ci fu una sollevazione così ampia che Netflix dovette rimuovere la suddetta versione e tornare sui suoi passi (attualmente in tutte le versioni si usa la parola Angelo).
Credo che con Il Signore degli Anelli ci siano tutti gli estremi per farlo ricadere nell’ambito di applicazione del “fenomeno del Grande Cocomero”, soprattutto dopo l’uscita della trilogia cinematografica che riprende i nomi della traduzione Alliata-Principe. Sono venti anni che i lettori de Il Signore degli Anelli ritrovano determinati nomi sugli schermi e che invece gli spettatori sentono determinati nomi e li ritrovano nei libri (per chi dopo il film decide di leggere i libri). Penso che questa spirale crossmediale sia estremamente importante per il consolidamento di un immaginario e che qualunque nuovo traduttore si sarebbe dovuto confrontare con ciò che il pubblico ritenesse consolidato (anche a torto).
Quindi, per quanto io sia convinta e sinceramente persuasa che quella di Fatica sia una traduzione più curata e ragionata, non posso fare a meno di pensare che forse avrebbe dovuto tenere in considerazione “il fenomeno del Grande Cocomero”, mordersi le labbra, mettere da parte il comprensibile fastidio per una traduzione inesatta e continuare ad usare i nomi dell’Alliata-Principe, quantomeno quelli principali (penso ad esempio a Gran Burrone o Shelob, del “Gaffiere” penso si possa benissimo fare a meno). Ripeto, solo i nomi.
Sarebbe stato di certo un compromesso e avrebbe significato tenersi le inesattezze che ben sappiamo, ma forse ne sarebbe valsa la pena.
Avrebbe potuto mettere delle note alla traduzione in cui spiegava come deve suonare a un orecchio inglese uno specifico nome e come eventualmente secondo lui si sarebbe dovuto tradurre.
Questa la mia opinione, sempre ribadendo che una nuova traduzione è sempre un evento desiderabile.
Grazie ancora per l’articolo.
Ciao Anna e grazie davvero per questo commento, hai decisamente arricchito la discussione con concetti fertili per ulteriori riflessioni.
Il discorso del «Grande Cocomero» è interessante e sensato, ma ci sono dei distinguo da fare, secondo me.
Nel caso delle strisce dei Peanuts, si tratta di una produzione seriale, la modifica di un nome significa che letteralmente un personaggio si chiama prima in un modo e poi in un altro.
Nel caso della ri-traduzione di un romanzo, invece, il nome nuovo è presente dall’inizio alla fine, quindi è possibile godere della lettura senza incappare in incoerenze (un problema così c’era stato, invece, nelle prime traduzioni di Harry Potter, dove, per esempio, la casa dei «Pecora Nera», da un romanzo all’altro era diventata improvvisamente «Corvo Nero»).
Ora, sono d’accordo con te sul sul discorso della combinazione «crossmediale» tra libri e film, trovo anche questa molto stimolante e ti ringrazio per averlo portato qui: l’universo tolkeniano è ormai parte della cultura pop globalizzata in cui siamo immersi e il cambio dei nomi costringe a uno slittamento all’interno di questo immaginario che può essere spaesante e fastidioso.
Però, in questo articolo ho provato a fare un discorso che andasse oltre e devo dirti che, a distanza di qualche anno da quando l’ho scritto, la penso ancora così (e io sono uno che sulle cose ci rimugina e rimuginare fa spesso cambiare idea).
I nomi che leggiamo in italiano, quelli vecchi e quelli nuovi, sono stati e resteranno sempre traduzioni, cioè non sono i «veri nomi». Sono un tramite tra noi e la storia scritta in lingua inglese: non in una lingua sconosciuta, ma in inglese, che è la lingua delle relazioni internazionali, la lingua che parliamo coi turisti che vengono in Italia e che parliamo all’estero per farci capire.
The Lord of the Rings è un capolavoro famoso in tutto il mondo globalizzato, scritto nella lingua della globalizzazione.
Se tieni sempre a mente questo, la ri-traduzione suona come un campanello: non si è mai chiamato «Gran Burrone», si chiama «Rivendell» e lo sai benissimo, perché non siamo più nell’Italia degli anni ’70 e tu l’inglese un po’ lo mastichi, anche se magari non riesci a leggere tutto il romanzo in lingua originale.
Insomma, uno sta lì ad accapigliarsi sulla scelta tra Grampasso o Passolungo, ma tanto poi si chiama «Strider». Il risultato, se la vedi così, diventa uno stimolo a saltare su un piano più profondo, a guardare al romanzo, ai film, al mondo del fandom e tutto ciò che ci ruota intorno in modo più vasto e più ricco. E così ti trovi a riflettere sul fatto che Samvise in realtà si chiama Samwise, ma che Fatica l’ha tradotto come Samplicio per provare a restituire il senso originale di «mezzo-saggio»; può anche non piacerti «Forestale», ma chi avrebbe mai indagato, in Italia, sui molteplici significati della parola inglese «Ranger», se Fatica avesse lasciato il vecchio «Ramingo»?
Moltiplicare i punti di vista, in definitiva, è sempre un arricchimento. Poi ognuno si fa la sua opinione, ma intanto abbiamo tutti scoperto cose nuove.
“forestale” mi fa troppo ridere, lavorando in un comune ne vedo tanti che fanno questo lavoro e mi immagino Aragorn stile boscaiolo. comunque come già commentato, concordo con anna. ringrazio nuovamente per tutte le vostre opinioni. si impara sempre qualcosa di nuovo.
Sì, questo lo capisco, ma come già detto più volte, ricordiamoci che l’originale è «Ranger».
Chiaro che se sei stata abituata a «ramingo» fa ridere anche questo, ma è una distorsione data dalla vecchia traduzione in cui è stato nobilitato un termine che invece nell’intenzione dell’autore voleva essere anche un po’ denigratorio.
«Ramingo» è un aggettivo legato alla letteratura romantica (Manzoni, Foscolo, che credo sia stato il primo a utilizzarlo), lontano anni luce dal «ranger» di Tolkien. Per la gran parte degli abitanti della Terra di Mezzo, i ranger-raminghi-forestali sono dei vagabondi armati e pericolosi, dei mezzi delinquenti da cui stare alla larga, mica dei romantici poeti.
Grazie a te per il tuo contributo!
Ho letto Il Signore degli Anelli quarant’anni fa, ai tempi dell’università, ci fu segnalato dal prof. Lombardi Vallauri di filosofia del diritto. Poi è stato anche uno dei libri culto di mio figlio, ovviamente appassionato anche del film. Non sapevo della nuova traduzione, non so se la leggerò, ma mi hai fatto venire voglia. Anche io non riuscivo a comprendere la ragione per cui fosse un testo caro alla destra (il nemico a oriente?), mentre mi pareva plausibile come testo ecologista/hippy.
Avendo amici che di lavoro fanno il “traduttologo” ho imparato quale debba essere il criterio delle traduzioni da una lingua straniera, ed è conforme al tuo contributo.
Grazie.
Grazie Stefano!
A prescindere dalla traduzione, Il Signore degli Anelli vale comunque la pena rileggerlo, ci scopri cose nuove a ogni rilettura!
Lessi la prima volta Il Signore degli Anelli nel marzo 1989, in un momento difficile durante il quale mi trovai da solo ad affrontare una delle tante prove della vita.
Ancora oggi non so se fui io a trovare il libro in mezzo a tanti altri o se piuttosto fu il libro a trovare me che cercavo forza e coraggio.
Ma ci trovammo ed io ebbi la fortuna di scoprire quel giorno Tolkien, la sua straordinaria immaginazione e tutto quello che aveva abilmente creato.
Non dimenticherò mai e di questo sarò grato per sempre.
Oggi sto facendo qualcosa che avevo in animo di fare da tempo, leggere e tradurre le parole scritte in inglese dal Professore e contestualmente sbirciare tra le due traduzioni, Alliata e Fatica, prendendo dove serve il meglio al momento.
Lo faccio per puro amore del genere fantasy, di Tolkien, degli hobbits e della Contea e certo che lui, il nostro caro Professore, fosse uno di loro. Un hobbit sereno e tranquillo, affacciato alla finestrella della sua casetta sul suo bel giardino fiorito in un mondo pieno di bontà.
Grazie per questo bel commento, Onofrio e in bocca al lupo per il tuo lavoro!
Comunque Luca, per aggiungere qualcosa alla diatriba sui nomi e sulla scrittura, io credo di aver trovato, almeno per me, la quadratura del cerchio. Mi riscrivo man mano la mia versione nella quale non c’è posto per i nuovi nomi introdotti da Ottavio Fatica dato che abbiamo tutti gli originali di Tolkien e alcuni irrinunciabili di Vittoria Alliata. Quindi Brandybuck rimane tale, lo stesso Hobbiton, Bywater, Brandywine, Took, etc. etc. ma al contempo non riesco a rinunciare alla parola Decumano che ho sempre trovato affascinante specie quando pronunciata da Gandalf, e vale per Ramingo, Granburrone e altre.
Gaffiere o Veglio ?
A me piace Vegliardo.
Invece apprezzo enormemente il lavoro fatto da Ottavio Fatica nella riscrittura, più scorrevole e meno prolissa, sicuramente più vicina alle parole scritte e alle reali intenzioni di Tolkien.
E un plauso sopratutto per aver riscritto usando i diversi toni linguistici in funzione dei personaggi come aveva voluto e fatto Tolkien.
Insomma, man mano che procedo nella lettura della nuova traduzione, non posso non pensare che sia un gran bel lavoro ma non riesco nemmeno ad accettare mentalmente che Sam si chiami adesso Samplicio o che lo spettacolare Granburrone sia stato fatto diventare una Granforra..come scriverebbe Tolkien: “It beats me!”
Chiudo con una riflessione. Meno male che a nessuno è mai venuto in mente di tradurre Tom Sawyer in Le avventure di Tommaso Segantino.
Guarda, concordo con te, meglio i nomi originali ovunque sia possibile. Vegliardo già meglio di Veglio, che suona proprio troppo aulico(secondo me ci voleva qualcosa tipo Mastro o simili, che come significato si avvicina abbastanza all’originale). Ramingo invece, alla luce di quanto detto sopra, penso sia giusto cambiarlo (forse, nell’impossibilità di trovare un equivalente, si potrebbe lasciare l’originale Ranger e buonanotte).
Anche Rivendell l’avrei lasciato originale, per me è bellissimo così com’è.
per me ormai ramingo è storico
Man mano che si va avanti, tutto diventa sempre più interessante.
Non c’è alcun dubbio che l’arrivo della nuova traduzione abbia aperto parecchie porte mentali a tanti di noi che ignoravano molte cose e molte altre nemmeno le immaginavano.
Nel mio caso sono rimasto per decenni assolutamente convinto che la traduzione Alliata/Principe dovesse essere, per forza di cose, quella più vicina a quanto scritto da Tolkien fino a dovermi un pochino ricredere adesso che sto leggendo tutti e tre i libri contemporaneamente, ma sopratutto sto leggendo e gustandomi le parole originali di Tolkien.
Quale delle due traduzioni è la più apprezzabile per il lettore italiano?
Ho maturato la convinzione che difficilmente usciremo da questo dubbio con dei punti fermi.
Sono forse troppe le cose che ormai ostacolano la possibilità di poter dare una risposta chiara.
La soluzione migliore?
Imparare bene fin da piccoli la lingua inglese affiancandola alla lingua italiana così da poter leggere e godere di ciò che è stato scritto in lingua originale.
Almeno l’inglese.
Forse pura utopia..
Intanto documentandomi ho trovato le indicazioni che Tolkien aveva dato ai traduttori nelle diverse lingue.
E qui leggo subito la direttiva/consiglio di lasciare invariate tutte le parole non presenti nella lista da lui fornita.
……………….
All names not in the following list should be left entirely unchanged in any language used in translation, except that inflexional -s, -es should be rendered according to the grammar of the language.
………………………………………….
Tra queste parole non sembra essere presente la parola STRIDER,
tradotta poi in GRANPASSO e PASSOLUNGO.
Ma nemmeno la parola RANGER.
Mi sfugge qualcosa?
Se non mi sto sbagliando ed è davvero così, non sarebbe stato meglio attenersi a quanto indicato da Tolkien?
Alla luce di questo, ho deciso di procedere per i nomi seguendo quanto le direttive dell’autore.
…
Tuttavia consiglio a tutti di fare quello che sto facendo io, leggere l’originale in inglese e tradurlo, considerando come ovvio i propri limiti ed il fatto che non si è traduttori professionisti, e man mano leggere e confrontare le due traduzioni ufficiali tra di loro e congiuntamente con le parole scritte da Tolkien.
È una operazione interessantissima.
Sono d’accordo con te Onofrio, laddove non strettamente necessario, secondo me ha più senso lasciare invariati i nomi originali.
Ritradurre un intero libro (così lungo, oltretutto) non è cosa da tutti, purtroppo, non tanto per un problema di conoscenza della lingua (avvalendosi delle due traduzioni è fattibile pur senza essere ferrati), quanto per un problema di tempo, che in questa epoca è un bene decisamente scarso.
Però tu fai benissimo a proseguire nella tua operazione!💪
Sono d’accordo al 99% su tutto quanto hai scritto. Quasi nessuno, anzi praticamente nessuno, ha fatto un paragone “Opera Originale in Inglese” vs “Traduziobe Alliata-Principe” vs “Fatica”. Tutti si sono fermati a leggere “pezzi” della nuova Traduzione per poi traree conclusioni sull’operato di Fatica. Nessuno, e ripeto nessuno che abbia anche solo paragonato la traduzione di Fatica con quella di Alliata-Principe per verifcare da dove venissero le differenze. E sopratutto nessuno ha mai cirticato la vecchi traduzione. Nel primo capoverso ci sono due esempio che da soli dimostrano quello appena riportato. Alliata-Principe cmabiano Hobbiton in Hobbiville. Forse Alliata, di nobili origini, sentiva melgio la desinenza Ville che Town. Una modifica gratuita che nessuno ha mai considerato come un errore gravissimo. Come cambiare Ghotam City, in Ghotam Città, o in Ghotam Town. O Gotin City. Fatica si impegna a tradurre con Undicentesimo, il compleanno di Bilbo, perché così ba scritto Tolkien. La vecchia tradizione si “accontenta” di usare Centoundicesimo. La traduzione di Fatica ha dietro di se uno studio, più o meno lungo, più o meno riuscito. Shelob divneta Aragne, perché per Tolkien esso era SHE (lei) LOB (Ragno).
Ho detto che sono d’accordo al 99%. Un paio di precisazioni: Alliata ha tradotto l’opera per Astrolabio. Ha tradotto tutto in italiano. Merry divento Felice. Baggins in Sacconi. La Poesia dell’anello era molto diversa. Quirino Principe dovette revisionare da zero la traduzione. Secondo lui alcuni termini in italiano erano risibili se non peggio. Non consoceva Tolkien (come non lo consoceva a 15 anni la Alliata); non sapeva nulla di lui. Era un semplice nome a inzio libro. Gli studi sulla sua semantica, sulla sua prosa, scrittura e poetica, sarebbero giunti molto anni dopo. Resta il fatto che la colpa degli erri della vecchia traduzione sono da imputare sia ad Alliata e alle modifiche soggettive di Principe. L’operazione di revisione di un testo di una quindicenne senza avere le basi per capire un autore, è ststo di per se un errore madornale. Ma la Rusconi voleva pubblicare quel libro e così fece. Forse si perse nei meandri delle opere di autori dimenticati, fino a quando grazie prorio alla trilogia cinematografica il Mondk avrebbe visto il genere Fantasy come qualcosa di “non rivolto solo ai bambini”. Da quel momento c’è stato un Boom per la letterarura Fantasy, sopratutto in Italia dove solo l’editrice Norda aveva pubblicato qualcosa.
Altra cosa che non condivido da grafico: la scelta del suolo di Marte. Potevano usare le vecchie copertine o i disegni di Tolkien, non prendere immagini gratuite dal sito delle NASA. Hanno ripetuto l’errore anche pe r,’ediizone in brossura, dove senza l’effetto oro, l’immagine e ancora più inadatta. E hanno perdurato anche con l’ultima edzione in volume unico in brossura: effwtto metallizzato azzurro, senza immagine, solo titolo e autore; dimostrando che non sanno nulla sulle edizoni straniere e delle sclete stilistiche e grafiche. Frodo alla fine del libro scroverà le su memorie su un diario. Di pelle rossa. Il colore che si può dare ad un libro de Il Signore degli Anelli, come fanno in UK, è il rosso, non l’azzurro. La vecchia redazione Bompinai, prima che fosse ceduta a Giunti era più attenta e queste cose le sapeva. Rusconi creò una edzione tutta rossa, come pure Bompiani almeno per la cover. Dal punto di vista grafico, senza usare i disegni di Tolkien (o potendoli usare) la vecchia edzione vince a mani basse contro la nuova. Esteticamente abbiamo avuto un vero calo di qualità che, per me, non è in discussione.
Ciao Matteo e grazie per il commento.
Condivido il tuo giudizio, però non applichiamo il punto di vista moderno all’operazione fatta da Rusconi tanti decenni fa: erano altri tempi, la letteratura fantastica era bollata col triste aggettivo «escapista», a nessuno sarebbe venuto in mente che un romanzo simile avesse bisogno di tanto approfondimento. Come ho scritto, tutti gli errori tecnici di quella traduzione secondo me erano giustificabili per l’epoca in cui fu fatta, ma non erano più tollerabili oggi e per questo era necessaria una nuova traduzione (non è invece giustificabile l’operazione culturale-politica che fu fatta, quella proprio no).
Per quanto riguarda l’aspetto estetico delle nuove edizioni non condivido il tuo giudizio. Ho scritto che le vecchie illustrazioni di Pietro Crida erano bellissime, ma nessuna delle vecchie edizioni Rusconi-Bompiani aveva la cura che è stata messa in quelle nuove. Certo se nelle nuove edizioni «marziane» non c’è l’effetto oro quelle copertine non hanno proprio senso, sono d’accordo, ma quelle che possiedo io (rilegate e con l’effetto oro) sono libri di buona fattura e impaginati molto meglio della media dei libri che si trovano in giro.
L’edizione in volume unico poi è veramente bellissima, grande, stampata su carta pesante e di qualità, con ampio margine bianco intorno al testo e con le illustrazioni di Alan Lee. Sì, forse il rosso sarebbe stato preferibile al blu, ma non c’è dubbio che sia l’edizione più elegante del Signore degli Anelli mai pubblicata in Italia fino a oggi. Sono sicuro che all’estero si possa trovare qualcosa di ancora più bello, ma intanto diamo a Cesare quel che è di Cesare!
Gaffiere?
Arrivato alla parola “Bounders”
sono andato a cercarne la traduzione
non trovandola coerente al resto.
Tutti e due, Alliata e Fatica,
hanno tradotto con “Confinieri”.
Così ho dato un’occhiata su Treccani
e con grande stupore, sembrerebbe che la parola Confiniere non esista in lingua italiana.
Possibile?
Ciao Onofrio,
ma «bounders» esiste in inglese col significato che gli ha dato Tolkien?
Non vorrei scrivere delle castronerie, ma trovo che la parola BOUNDERS in inglese significa qualcosa di non attinente con chi per occupazione controlla confini e frontiere.
In lingua italiana invece, cercato sulla Treccani sembrerebbe che la parola CONFINIERI non esista.
…correggetemi se sbaglio.
Anche secondo me è così.
Da quel poco che ho visto io, Tolkien a volte usava parole comuni ma con significati antichi e desueti. Non so se in inglese anticamente «bounder» potesse avere un significato tipo «guardia di confine»; ma potrebbe anche aver voluto usare questa parola dandole un significato inventato da lui. Con molte sfumature, però, perché, fra le altre cose, in inglese significa anche «maleducato», «canaglia» e simili: forse Tolkien ha voluto giocare anche con questi significati?
In effetti «confiniere» a me non dispiace, è una parola che sembra esistente ma non lo è e quindi ricalca un po’ il gioco linguistico inglese, anche se non ne contiene tutte le sfumature.
Doverosa premessa: non ho letto ancora Il signore degli anelli. Sono affascinato dall’universo di Tolkien, ho amato le versioni cinematografiche e mi accingevo a comprendere da quale traduzione partire per colmare la lacuna letteraria. Devo dire che all’orecchio mi era arrivata principalmente la questione di come Fatica abbia alterato i nomi propri, che a esser sincero continuo a ritenere delicata sicché molti di essi sono talmente radicati nell’immaginario collettivo da risultare più un atto di protagonismo del traduttore, e lo dico senza alcuna velleità di polemica. Sono stato però molto rassicurato da tante tue considerazioni che hanno iniziato a farmi vedere l’edizione più recente in un modo completamente nuovo. Dai confronti che mostri sembra evidente una maggiore fedeltà all’originale in termini di scelta lessicale, livelli linguistici, musicalità. Se così fosse, la tanto bistrattata opera di Fatica sarebbe l’ottimo lavoro di cui, spesso in questo Paese, non si parla mai abbastanza o con cognizione di causa. Ti ringrazio per avermi dato la curiosità per prendere in mano questi benedetti libri del Professore una volta per tutte.
P.S. E già che ci sono, da un cantautore ad un altro, procedo anche ad ascoltare qualcosa di tuo!
Grazie Francesco,
sonno davvero contento di esserti stato utile. So che i cambiamenti di nomi hanno un effetto respingente e purtroppo sono stati usati come leva per denigrare la nuova traduzione per motivi ben diversi.
Buona lettura!
Finalmente mi son deciso a prenderlo, e ho iniziato a leggere. Premetto che non sopporto le faziosità politiche, in un senso e nell’altro.
Sono all’inizio, alla casa di Tom Bombadil, e prima di leggere questo articolo mi sono “scontrato” con alcune di queste novità. Scontrato nel senso che, abituato alla vecchia traduzione, è tutto nuovo, e devo cercare di leggerlo come se non lo conoscessi; però mi piace. Mi piacciono le scelte dei nomi e il modo in cui i personaggi parlano, mi piacciono Brandaino e Landaino, e mi piace il Veglio.
Per me è diventato un libro che potrei leggere a mia nipote, a cui saprò rispondere alla domanda “che cos’è un veglio?” a cui prima, con gaffiere non avrei saputo replicare. Anche se ormai, per me sarà sempre il Gaffiere xD
Ciao Riccardo e grazie per il tuo commento.
A me invece «il Veglio» è una delle poche cose che non mi è piaciuta.
Era molto meglio vegliardo.
Vegliardo s. m. (f., solo scherz., -a) [der. di veglio; cfr. il fr. vieillard, der. di vieil «vecchio»], letter. – Uomo di età molto avanzata; più spesso riferito a vecchio la cui figura ispira rispetto e venerazione: il grande, l’augusto, il santo vegliardo; i v. che ai casti pensieri Della tomba già schiudon la mente (Manzoni).
grazie per la tua profonda analisi, mi è servita molto. soprattutto per vari pregiudizi che avevo in partenza. concordo con la maggior parte delle cose che hai scritto tu, tranne tristemente al discorso “nomi”, che a quelli italianizzati inizialmente ci sono più legata e mi sono più scorrevoli. avrei gradito maggiormente a questo punto, lasciarli com’erano. tuttavia sì, varie traduzioni fatte in precedenza non seguono per niente Tolkien quindi sono contenta sia stato riadattato. grazie
Grazie a te per il commento!
I nomi sonno sempre la nota dolens.
Ottimo articolo, analisi accurata. Tuttavia ho iniziato a leggere Il signore degli anelli con la nuova traduzione e l’ho trovato francamente illegibile al punto da chiedermi perché tante persone lo apprezzassero. Probabilmente più fedele all’originale ma alcuni tratti si leggono davvero a fatica. Avevodeciso di smettere di leggerlo, poi ho scoperto la vecchia traduzione e ho apprezzato il romanzo. Decisamente scorrevole, piacevole. Probabilmente uno stile non fedele all’originale ma come prima lettura consiglio la vecchia traduzione. La nuova traduzione solo per appassionati ed per riletture successive.
Ciao Alessandro e grazie per il commento.
Almeno qui sei il primo che ha letto entrambe le traduzioni (anche se solo parzialmente) e ha preferito la vecchia, perciò sarebbe interessante se ci spiegassi: in cosa la nuova è «illeggibile» o «non-scorrevole»?
E come hai scoperto la vecchia traduzione, che è stata ritirata dal commercio nel 2020 (se non erro)?
Ricordo solo che Tolkien era credente e cristiano, valori e singoli del crostassimo sono inferiori nel testo volutamente dell’autore e negarne la presenza è trattore il suo pensiero. Nulla a che fare con fascismo o estrema destra naturalmente, ma visto che questi temi sono colpevolmente snobbati è bene ricordarlo, lo stesso infatti fece in maniera molto più evidente Lewis con i libri de Le Cronache di Narnia.
Salve Alessandro,
non mi pare proprio di aver negato la matrice cristiano-cattolica di Tolkien e delle sue opere, se non ne ho parlato è semplicemente perché non c’entra niente con l’argomento di questo articolo.
Ad ogni modo, attenzione ai paragoni con Lewis, che fa un uso decisamente più spregiudicato degli elementi religiosi nei suoi romanzi.
Ciao Luca,
grazie del lavoro svolto e della bella recensione. È un pò che vorrei rileggere il SIgnore degli Anelli e, dopo un primo momento di pura “chiusura mentale” sarei quasi convinto a leggere la nuova traduzione… Non fosse che il tuo articolo mi ha fatto sorgere un quesito…: E se leggessi direttamente l’originale???
Quello che desidero chiederti è: Il mio livello di conoscenza della lingua inglese è medio-alto, ciononostante sicuramente non ho il vocabolario necessario a comprendere tutti i termini che saranno contenuti nell’edizione originale del libro… Dovrò quindi cercare molti termini durante la lettura…
Inoltre secondo me, lo scopo di una traduzione è anche rendere EMOZIONANTE il testo per un nativo di una certa lingua, a cui una lingua stranieta potrebbe, anche quando compresa perfettamente, non trasmettere messaggi emotivi. Tu cosa mi consigli? Leggere il testo originale resta comunque godibile, emozionante ed epico alla lettura o diventa solo un esercizio linguistico e di studio?
Fammi sapere cosa ne pensi, in alternativa leggerò “il Fatica”.
Grazie mille!!
Ciao Francesco,
la mia conoscenza dell’inglese (almeno al momento) non è ancora così buona da consentirmi una lettura integrale della versione originale: per scrivere questo articolo ho letto solo alcuni brani, che poi ho confrontato con le due traduzioni.
Proprio perché, pur non essendo così bravo, sono riuscito a leggere interi brani (anche se con l’aiuto del dizionario), credo che non sia affatto una lettura impossibile per chi è un po’ più ferrato.
Tuttavia, a meno che non hai una conoscenza molto profonda della lingua (soprattutto dell’inglese britannico), credo che sia comunque necessario avere sempre a portata di mano un vocabolario, perché Tolkien uso spesso parole desuete oppure usa parole comuni ma con significati antichi. Inoltre c’è tutta la parte centrale (quella ambientata tra Rohan e Minas Tirith, per capirci) in cui il tono sale molto e il linguaggio diventa piuttosto aulico.
Forse dovresti procurarti una versione inglese e dargli un’occhiata, per capire se è alla tua portata.
Ad ogni modo secondo me, per una prima lettura, è meglio partire da una traduzione, per non rischiare di perdersi il piacere della sospensione dell’incredulità dovendo fare su e giù dal vocabolario.
Poi chiaramente dipende da te.
Ciao Francesco, non lo hai chiesto a me, ma intrufolo.
Valuta se iniziare con “the Hobbit”, sicuramente più facile del “Lord”.
Ciao Luca,
ho appena terminato la lettura della nuova edizione del signore degli Anelli tradotta da Ottavio Fatica. Premetto che lessi, poco più che adolescente, il Signore degli Anelli per la prima volta nella sua edizione di Rusconi del 1989; la traduzione di Vittoria Alliata di Villafranca mi è quindi entrata nel cuore e non vuole proprio uscirne, nè desidero che lo faccia. Giova anche premettere che la mia conoscenza dell’inglese è talmente scarsa da non poter valutare la fedeltà all’originale di qualsivoglia traduzione; ero comunque molto dubbioso, e mi sono cimentato in questa nuova lettura, anche dopo aver letto il tuo articolo (intanto posso di sicuro confermare che l’edizione completa in copertina rigida è pesantissima! Avranno forse voluto rappresentare appieno la “Fatica” nel leggerla?). Devo dire che, da ignorante quale sono, leggendo il testo ho ritrovato, ed apprezzato, molto di quanto scrivi: effettivamente nella traduzione di Fatica il registro linguistico cambia, sia tra un personaggio e l’altro (tra gli hobbit e gli elfi ad esempio), sia nel proseguire della storia, quasi a rappresentare la scoperta dei protagonisti (ed in particolare dei nostri affezionatissimi “piccoletti”, ma non solo) del vasto mondo che si cela oltre l’uscio di casa. Tutto sommato quindi, nonostante la diffidenza iniziale ed alcune scelte che qua e là ho trovato discutibili, devo dire che la traduzione mi è piaciuta, risultando in alcuni punti anche più centrata ed affascinante di quella precedente. Il risultato è che, dopo un primo approccio basato su un continuo confronto fra le due versioni, ho messo amorevolmente da parte la versione della Alliata e mi sono goduto quella nuova. Una cosa però, proprio non mi è andata giù: la resa della toponomastica, e più in generale della traduzione dei nomi. Mi è parso che spesso si sia voluto cambiarli per il mero gusto di farlo, spesso senza neanche seguire una regola costante, lasciando in alcuni casi i nomi in originale, ed in altri no. Ad esempio la città di Brea è stata lasciata come Bree (così come la famiglia Took), ma la Terra di Buck è stata tradotta in Landaino, Brandybuck in Brandaino, essendo però indicata Buckburgo come Borgo Buck. Perchè queste continue giravolte? Non sarebbe stato forse meglio, salvo alcuni lodevoli cambiamenti (la bella Valforra in luogo di Gran Burrone, o Acquariva in luogo di Lungacque) lasciare i nomi tal quali? In quasi tutti i casi, a prescindere dalla questione della fedeltà di traduzione, ribadisco che in me (a ragione o a torto, lo riconosco) si è fatta largo la sensazione che il traduttore abbia voluto quasi dimostrare che fosse assolutamente necessario cambiare, anche dove onestamente non sembrava ce ne fosse bisogno. A tal proposito, a titolo di esempio cito anche via Saccoforino diventata via Scarcasacco, o il Puledro Impennato trasformatosì in Cavallino Inalberato, o anche l’erba pipa che diventa erba piparina. In conclusione il mio personale pensiero è che, a fronte di un registro linguistico con numerose ed azzeccate novità, la sempre avvincente e piacevole lettura spesso si inceppa proprio di fronte a questi ostacoli, a questi nomi propri che provocano, soprattutto nel lettori che hanno conosciuto l’opera con la vecchia traduzione o che hanno visto i film della trilogia, un’attenzione ed una sensazione davvero poco lusinghiera; questo per me rappresenta l’unico grosso neo di una traduzione che ritengo invece interessante ed oso dire, nonostante la diffidenza iniziale, bella.
Ciao Angel e grazie molte per questo commento approfondito.
Come ho ormai scritto varie volte qui nei commenti sono convinto che la scelta più saggia sarebbe stata non tradurre affatto i nomi anglofoni, almeno i toponomastici.
Da una parte immagino che il nuovo traduttore si sia trovato davanti a traduzioni oggi improponibili (i decumani) e altre perfettamente accettabili e si sia dovuto chiedere se sarebbe stato giusto cambiare alcuni nomi e altri no. Non possiamo sapere se sulla scelta abbia inciso anche l’atteggiamento bellicoso adottato dalla vecchia traduttrice mentre la nuova versione era ancora in fase di stesura: Fatica potrebbe aver scelto di tagliare tutti i ponti con la vecchia versione per non dare appigli a chi già stava minacciando querele a destra e a manca. Ma ovviamente sono solo mie ipotesi.
Nel voler ritradurre tutto, ci sono state alcune scelte felici e altre meno, come era stato con la vecchia traduzione. Per esempio, secondo me, in alcuni casi i nuovi nomi suonano troppo letterari e inconciliabili con la naturalezza dei toponimi italiani, fortemente legati al linguaggio parlato, come nel caso che hai citato del «Cavallino Inalberato»; oppure di «Passolungo» al posto del più naturale «Grampasso».
Premetto che non ho mai letto la prima traduzione italiana, che non mi importa assolutamente niente della diatriba politica, e che ho acquistato quest’ultima versione, tradotta da Fatica, solo perché non ho trovato il libro in lingua originale.
Non avendo poi mai letto questa specifica opera di Tolkien in inglese, non posso fare un raffronto sulla fedeltà della traduzione, ma ho notato già dalle prime pagine la spiacevolissima traduzione di nomi propri in lungo e in largo.
Avendo letto Lo Hobbit in lingua originale, vedere cose come “Brandivino” e “Valforra”, o forse ancor peggio “forestale”, mi lascia veramente l’amaro in bocca.
Mi chiedo il perché di questa usanza così radicata in Italia di tradurre i nomi a tutti i costi, ma è veramente necessario che un “Samwise” diventi “Samplicio”?
Venderò il libro, che sono comunque riuscito a terminare chiudendo un occhio e mezzo durante lettura, appena riesco a mettere le mani su una versione in inglese.
Ciao Federico,
scusa ma trovo un po’ improbabile il fatto che uno legga la traduzione in italiano perché non riesce e procurarsi una versione in inglese di LoR, che su Amazon te le tirano dietro, di tutti i prezzi, le forme e le dimensioni.
Detto questo, l’articolo è dedicato al raffronto tra le due versioni, mentre il tuo commento riguarda l’abitudine italiana di tradurre i nomi. È un argomento che abbiamo affrontato più volte fra i tanti commenti qui presenti e la conclusione cui siamo giunti con diversi utenti è che probabilmente sarebbe stato più saggio lasciare i nomi originali.
Ma la faccenda è spinosa, non si può ridurre a una battuta.
Oltretutto, come già ribadito molte volte, l’opera di Fatica è stata lunga e complessa e parlare solo dei nomi è sbagliato e ingiusto.
Grazie per questo interessante articolo!
Avendo letto tutte e tre le versioni (Alliata, originale in inglese e Fatica) concordo con la tua visione.
Globalmente, l’esperienza che ho fatto leggendo Fatica è più simile a quella che ho fatto leggendo l’originale e, per questo, preferisco la traduzione di Fatica.
Grazie per la tua testimonianza!
Tante cose da dire. Affinchè non si insinui il dubbio che io non abbia la nuova traduzione, dico che sto leggendo a mio figlio “seienne” – sotto sua richiesta – il signore degli anelli nella nuova edizione illustrata. Graficamente ed editorialmente è ben fatta, ma questa nuova traduzione è insopportabile. La trovo farraginosa, con moltissimi termini incomprensibili, cosa assurda per una traduzione così moderna. Siamo ancora a pagina 150, ancora dobbiamo arrivare al “Forestale” e ora che ho letto di questo abominio credo proprio che continueró sulla vecchia traduzione.
Venendo a questo articolo trovo molto fastidioso che a dispetto delle sue premesse, gran parte del suo giudizio sia influenzato da una fede politica fin troppo marcata. Se condivido con lei che sia equivoco e limitante considerare il signore degli anelli come un libro di destra, è evidente che non si debba criticare la vecchia traduzione solo perchè difesa da persone di destra. È, semplicemente, una traduzione infinitamente più godibile. È lampante a chiunque le abbia lette entrambe. Non dubito che quest’ultima sia più fedele, dico che è palese che sia molto più leggibile la vecchia traduzione. Voler silenziare ogni voce contraria considerandola influenzata politicamente non le fa onore, e scredita tutto l’impegno che ha messo nel redigere questo articolo.
Salve Jeff,
se hai dato un’occhiata ai commenti, avrai letto che più di qualcuno ha raccontato che da giovane aveva abbandonato la lettura perché trovava la vecchia traduzione troppo verbosa.
Dunque quando dici che è «lampante a chiunque» direi che sei un po’ fuori strada.
La nuova traduzione ha usato un registro più basso in alcune parti e più alto in altre, provando a restituire la dinamica del linguaggio usato da Tolkien, che passa dal bassissimo all’altissimo. In alcuni casi tende ad alzare troppo il registro, questo è vero e l’uso dei termini desueti in alcune parti è eccessivo.
Da parte mia posso dirti che leggo romanzi ai miei figli da anni; spesso devo fermarmi a spiegare il significato delle parole anche in libri per ragazzi, figuriamoci in quelli per adulti. Perché il SdA è un romanzo per adulti, e Tolkien era uno scrittore colto e raffinatissimo. Se hai trovato difficili le prime 150 pagine, non sai cosa ti aspetta nei libri Terzo e Quarto e Quinto.
Per quanto riguarda la politica: se dici che ho criticato la vecchia traduzione solo perché difesa da persone di destra, non hai capito niente.
Lo ripeto per l’ennesima volta: l’ho criticata perché usa un registro mono-tono e trasforma continuamente la prosa di Tolkien piegandola e plasmandola. Inoltre, la vecchia traduzione e, soprattutto, l’orripilante introduzione che l’ha sempre accompagnata avevano anche una funzione di supporto a quanto sostenuto dagli intellettuali di destra.
Considerare il SdA un libro di destra non è «equivoco e limitante», è falso.
Nel primo periodo dopo la pubblicazione la nuova traduzione è stata attaccata praticamente solo per motivi politici, è un dato di fatto.
Nell’articolo ho manifestato il mio disprezzo per i fanatici di un passato vergognoso della nostra storia e per le esternazioni omo-transfobiche della vecchia traduttrice. Non va bene? Disprezzare fascismo e omotransfobia significa avere una «fede politica troppo marcata»? Seriamente?
Essere democratici e tolleranti non significa stare zitti davanti posizioni antidemocratiche e intolleranti: è esattamente il contrario.
Allora, da mosca bianca quale pare che io sia, mi impegnerò a confrontare altre pagine con la vecchia traduzione. Ammetto che non leggo da molto tempo il SdA nella vecchia traduzione, può essere che abbia un ricordo errato. Tuttavia mi sembra che già alcune righe di quelle che ha riportato lei stesso siano indicative:
“Potevi startene qui a manducare il meglio fieno”
“era un paese di erba e di corta cotica elastica”
“Lo compulsò a lungo, senza dire nulla”
“Il sole iniziò a volgere da mezzogiorno a occaso”
Queste e altre le trovo decisamente poco leggibili. Probabilmente la nuova traduzione è meno verbosa e più snella della precedente, per l’abitudine ai “doppi aggettivi” della vecchia traduttrice, ma mi sembra meno piacevole.
Ripeto, confronterò meglio le due versioni, e tornerò a fornire il mio fondamentale contributo a questa discussione 🙂
Per quanto attiene al discorso politico, temo che lei non si accorga che, se da una parte vorrebbe apparire “super partes”, è in realtà lei che ne fa una questione politica, quando afferma che “la nuova traduzione sia stata attaccata praticamente solo dall’estrema destra italiana”. Si sente fieramente nel giusto nel contrastare fascismo e omotransfobia, ma non si accorge che il suo giudizio è viziato da un’aderenza politica fieramente schierata. Nulla di male ad avere una posizione politica, intendiamoci, ma è scorretto pretendere di fornire un’analisi scevra da pregiudizi ideologici bollando al contempo tutte le critiche come “critiche di estrema destra”.
Lo dico da persona non schierata politicamente, tanto per essere chiari.
Saluti.
Capiamoci, però.
Qui dobbiamo chiarire se quello che vogliamo leggere è Tolkien o una sua rivisitazione. Ovviamente nessuna traduzione potrà mai essere identica all’originale, ma negli esempi che ha estrapolato è evidente che la nuova traduzione è molto più simile al testo originale del Professore o comunque cerca sempre di riproporre il tono generale. La vecchia traduzione, In confronto, sembra molto più una «interpretazione».
Il caso di Sam che parla col cavallino è eclatante: nella vecchia traduzione Sam sembra triste, nella nuova è arrabbiato, come è nel testo originale.
Quando ho scoperto questa differenza sono rimasto sbalordito! Che senso ha fissarsi sul verbo «manducare» di fronte a una simile deformazione?
Io lo trovo assurdo.
Tolkien non era uno scrittore in cerca di vendite facili, era uno studioso di lingue antiche che scriveva narrativa per passione. I suoi libri sono pieni di termini colti. Fatica ha provato a restituire questa caratteristica con cose come «compulsare» o «occaso». È probabile che gran parte dei suoi lettori anglofoni si siano fermati di fronte a certe parole, insicuri sul loro significato. A me sembra giusto che sia così anche per noi.
Per quanto riguarda la politica, ripeto che questo è il mio blog, non è un programma RAI. Nessuno mi obbliga a essere «super partes» e non ho proprio capito dove avrei cercato di sembrarlo.
Questo articolo è stato pubblicato la prima volta alla fine del 2019 e il suo titolo è sempre stato lo stesso: «Un Parere». È la mia opinione e non ha mai preteso di essere altro.
Per quanto riguardo lo «schieramento», non ho mai capito cosa si intende. Cosa significa «non essere schierati»? Cioè, lei non ha un’opinione?
Io sono «fieramente schierato»? Perché ho trovato squallido che, nell’intervista su Il Giornale, la vecchia traduttrice ha cercato di infangare una traduzione che non era ancora uscita usando le persone LGBT come una sorta di categoria insultante?
Chiedere rispetto per le minoranze significa «essere schierati», come fosse una partita di calcio?
Sono anni che questo articolo è online, ho risposto a valanghe di commenti, tanti ho dovuto bannarli perché talmente insulsi da non meritare di essere letti. Mentre ci lavoravo ho letto (credo) tutto ciò che era stato scritto a commento della nuova traduzione. Quando dico che le critiche sono praticamente arrivate solo dall’estrema destra, non intendo ovviamente che si tratti del 100%. Ma mi pare di parlare con cognizione di causa.
Grazie Luca, bellissimo articolo, mi hai fatto appassionare a questa “polemica” tra traduttori.
Non ho mai letto Il signore degli anelli, ho preso proprio ieri l’ultima edizione di Bompiani, perciò non avrò termini di confronto (se non con i film).
Grazie Leonardo!
Ecco, molto interessante fino a che non inciampi su un fenomeno serio che arriva dagli USA, Cancel culture e wokismo che tanto male stanno facendo alla loro e alla nostra cultura arrivando ad abbattere statue e rimuovendo libri dalle università perché divisivi.
In quanto tu ti arroghi come altri il dovere di liquidare come gomblotto in una situazione come questa rende il tuo lavoro interessante ma anche no, sei uno dei tanti che si questo argomento potevi star zitto ma hai detto la tua.
Riguardo all’edizione Rusconi
Chi ha letto l’edizione Rusconi amerà quella traduzione
Chi leggerà le nuove traduzioni amerà le nuove traduzioni.
Fine li.
Ciao Uno a Caso,
accostare quello che ho scritto alla «cancel culture» è completamente forzato e privo di senso. Sei così fuori strada da essere imbarazzante.
Ho scritto che è un grosso danno alla cultura tolkeniana italiana il fatto che Alliata abbia costretto Bompiani a togliere la sua traduzione dal mercato. Io stesso conservo gelosamente le mie vecchie edizioni (ne ho tre) e non le darei via per niente la mondo.
Certo che potevo star zitto, ma ho detto la mia. Siamo in due, solo che io ci metto la faccia.
Ciao Luca.
Trovo molto interessante il tuo articolo.
Ho letto il libro italiano nel lontano 2009 e, fin dal primo approccio, ho considerato l’opera come una sorta di epopea. A distanza di diversi anni sto leggendo la nuova traduzione e… wow. Finalmente riesco a non trovare tendenzialmente pallosa la prosa (ampollosa, delle volte).
Per la questione dei nomi, pace. Son certo che prima o poi ci faremo tutti l’orecchio, ci son passato già con i 7 libri di Harry Potter.
Voglio permettermi di riportare una mia opinione:
Eseguire una nuova traduzione, più letterale e filologicamente più centrata, non è solo un atto di rispetto e di onore all’autore e all’opera che tutti amiamo, ma anche dare la possibilità alla nuova generazione, i nostri figli, di godere di un piacere più autentico e non legato alla nostra malinconia.
In conclusione, Samplicio rimane il mio personaggio preferito del cuore. ( per usare un registro più adatto a lui)
Grazie Juliuss,
mi piace molto questo concetto di traghettare il passato in una modo che abbia più senso per le nuove generazioni, senza farci influenzare dalla nostalgia.
Sam è il cuore del SdA, ne sono convinto.
Ciao,
intanto grazie per l’articolo che hai scritto,l’ho trovato molto interessante.
Devo dire che concordo quasi su tutto ma vorrei aggiungere qualche osservazione.
Anche io sono un “vecchio” lettore 🙂
Nel senso che ho letto durante l’adolescenza la “versione” Rusconi,in seguito riletto quella Bompiani e qualche “pezzo” in lingua originale ed ora sono approdato a questa ultima traduzione (ho finito da poco la Compagnia).
Come dicevo,concordo sul fatto che la nuova traduzione sia migliore.
L’ho trovata molto più scorrevole e “varia” rispetto a quella “originale”( che considere pur molto valida eh ) ma qualcosa non mi ha convinto.
Ci sono molte “situazioni” nelle quali la traduzione precedente risulta a mio avviso più efficace ed ho avuto l’impressione che si sia proceduto a cambiare non tanto per migliorare il testo ma solo perchè “andava cambiato”.
Potrei fare molti esempi ma ne cito 2 in particolare:
– la poesia dell’Anello: Tu giustamente fai notare che la nuova traduzione rispetta la metrica scelta da Tolkien.Vero ma il risultato in italiano è peggiore ! Nel senso che “suona” molto peggio ! Io credo (ma è una mia opinone) che quando si adatta un opera non si possa non tener conto delle fruibilità di quest’ultima.Certo la fedeltà al testo è la cosa piu importante ma non può essere la SOLA cosa importante ! Devi anche tenere conto di ciò che “funziona” meglio perchè non dimentichiamoci che io leggo il romanzo principalmente per “diletto” non per acquisire nozioni filologiche.
In ogni caso penso sarebbe stato molto piu sensato “sacrificare” la fedeltà alla metrica,che alla fine è un dettaglio in un opera del genere, in cambio di una resa per il lettore finale migliore.
– scelte di traduzione : Ho letto che anche altri utenti hanno sollevato questo aspetto e devo dire che concordo con loro.Ci sono alcune scelte veramente discutibili.
Cito il caso di Narsil…”la spada che fu danneggiata” …ma cos’è un sinistro stradale ? 😀 Tolkien scrive mi pare “sword that was broken …” Direi che ci sta meglio “la spada che spezzata o infranta”.Ma ci sono tanti altri esempi in effetti.
Insomma queste scelte sembrano acquisire un senso solo nell’ottica di una scelta di cambio “ideologico”.Io devo tradurre quindi cambio TUTTO. Sia quello che è tradotto “male” sia quello che è tradotto “bene”
Ti devo poi confessare che di tutta la diatriba politico/ideologica io non sapevo proprio nulla prima di leggere il tuo articolo,quindi mi puoi credere quando ti dico che mi frega poco di destra/sinistra ed egemonia culturale 🙂
Un saluto
Ciao Jarl,
grazie per il bel commento.
Ci tengo a precisare che anche io ho trovato alcuni dettagli che non mi hanno convinto nella nuova traduzione. Anche se l’ho scritto, è un fatto che nell’articolo passa inosservato per tutto il contesto e la diatriba. Come ho detto, a me «il Veglio» non piace, per esempio, e sono certo che se analizziamo frase per frase tutto il testo troviamo diversi dettagli tipo il «danneggiata» che dici tu, che è effettivamente brutto.
Ma penso anche che in qualsiasi altra traduzione di qualsiasi altro libro straniero troveremmo cose di questo tipo.
Il motivo per cui dico di preferire la nuova traduzione è l’andamento generale del testo, che tenta sempre comunque di riproporre la prosa di Tolkien. Questo sforzo si nota nelle costruzioni sintattiche ma soprattutto nelle variazioni dinamiche del testo.
Per quanto riguarda il «cambio ideologico», come lo chiami tu, non so se sia davvero ipotizzabile per tutto il testo: voglio dire che non penso che Ottavio Fatica abbia tradotto tutto il SdA ingaggiando una battaglia parola per parola con la vecchia traduzione, non avrebbe senso.
Per quanto riguarda la Poesia dell’Anello, consiglio questo video di Paolo Nardi ☞La nuova poesia dell’anello.
Riguardo Granpasso o Passolungo, secondo me sono non del tutto esatti (non voglio scrivere “totalmente sbagliati”, prego pure di correggermi), in originale si chiama Strider, giusto? La traduzione letterale sarebbe “chi cavalca”, quindi si poteva optare per un sinonimo di quest’ultimo termine, oppure prendersi totale libertà… Invece si è optato per un nome simile al precedente.
«To stride» significa «camminare a grandi passi», quindi «Strider» dovrebbe significare «colui che cammina a grandi passi», che in italiano è davvero difficile rendere con una parola unica. «Granpasso» è abbastanza azzeccato, secondo me e «Passolungo» ha lo stesso senso.
Ciao, ho apprezzato la nuova traduzione, più scorrevole (anche se alcuni passaggi sembrano “appesantiti”), mi sono accorto di un refuso a pag. 500 delle Due Torri, dove prima era scritto “e quelli cadono molli” ci dev’essere stata una modifica e ora si legge “e quelli WWW molli”, nelle prime edizioni la frase era giusta, con le ristampe è stato mantenuto l’errore, ho provveduto a segnalarlo a Bompiani.
Grazie per la segnalazione, Giuseppe
Carissimo Luca,
ho apprezzato tantissimo questo tuo articolo. Sto ascoltando la versione audio-libro de La compagnia dell’anello e già dall’inizio ho notato una differenza sostanziale rispetto al libro che ho letto e riletto negli anni. Sono andato a confrontare il testo che ascoltavo con quello che avevo in casa, la differenza salta subito agli occhi. Sebbene il contenuto spicciolo sia lo stesso, la nuova traduzione è molto più ariosa, scorrevole e precisa. Magari poi mi metto a fare i confronti come hai fatto tu con il testo originale inglese, ma magari anche no! 😉
Faccio fatica ad abituarmi ai nuovi nomi, lo ammetto, ma finalmente ci siamo liberati del gaffiere! E finalmente ho scoperto da dove arrivava questo termine che ho sempre trovato incomprensibile e molto irritante. Mi ha sempre fatto pensare alla gaffa, quella usata dai marinai, cosa che, visto il personaggio, non potrebbe essere più fuorviante.
Non ho ancora finito il primo volume, quindi non posso parlare per il resto, ma finora ho molto apprezzato questa traduzione, e sono partito pensando che l’avrei odiata! Ma non è magnifico avere l’opportunità di rileggere un nuovo testo del Signore degli Anelli, come se fosse la prima volta?
Che opportunità fantastica! Non vedo l’ora di comprare i volumi e leggermelo in santa pace. L’edizione audio-libro è molto bella (tralasciando Tom Bombadil che parla come Vittorio Gassman), ma leggere per conto proprio è un’altra cosa.
Ancora complimenti per il tuo post e grazie!
Grazie Osvaldo!
Bombadil-Gassman è una chicca, mi tocca andarmi a sentire l’audio libro, ah ah ah!!!
Mi inserisco sperando di non apparire troppo invadente, ma ho apprezzato molto il tuo commento, nel senso che… lo condivido in pieno!
Bombadil-Gassman è un pensiero che ci accomuna (ma non possiamo essere solo in due, è troppo Gassman!!) però dobbiamo anche ammettere che Popolizio è un fior fior di attore\doppiatore\lettore, e si lascia ascoltare eccome!
Buon proseguimento, e magari ci riconfronteremo alla fine.
Guarda, evito di commentare tutto perché ci vorrebbe un mese, ci sono pagine social dove confrontano tutte e tre le traduzioni e lì certi orrori sono evidenti.
Mi limito a commentare la poesia: va bene, è stata cambiata la metrica.
Ma vogliamo parlare del “per vincerli”?
Cioè sarebbe migliore la traduzione perché rispetta la metrica e poi si inventa le parole?
Però è più fedele dagli esempi selezionati che metti qui.
Va bene, dai, c’è un limite alla malafede.
Aggiungo solo che non basta rispettare formalmente la traduzione originale. Bisogna anche renderlo in un’italiano comprensibile ai più. Boh, sarò ignorante, ma compulsare o quello che è non l’ho mai sentito.
Tradurre significa rendere, quindi DEVE essere comprensibile, rispettando il testo.
E “forestale” è e resta una barzelletta, e questo ed altri esempi sono talmente faziosi che c’è poco da aggiungere. Forestale non solo è errato (sembra una delle cose che vengono criticate nell’Alliata), ma FA RIDERE da sentire in italiano per contesto e non se ne può non tener conto. Oltre a ridurre il nome del corpo degli esploratori ad UNO dei luoghi possibili dove operano. Si sarebbe potuto lasciare Ranger, mettere “esploratore”, “ricognitore”, quello che vuoi. Invece no, va bene per partito preso
Salve Keith,
evidentemente non hai letto la nuova traduzione e quindi non dovrei pubblicare il tuo commento, ma lo faccio lo stesso.
Non so a cosa ti riferisci quando parli delle pagine social che confrontano le «tre traduzioni». Parli della Poesia dell’Anello? Di quella, in realtà, so che ne sono state pubblicate quattro. Del SdA esistono due traduzioni.
Ad ogni modo, la traduzione di Fatica non è perfetta e non potrebbe esserlo. Neanche a me piace «per vincerli». Il punto è guardare al complesso: la traduzione di Fatica è migliore nel suo complesso e questo vale tanto per la poesia che per le oltre 1200 pagine di testo.
Non so cosa intendi con «per partito preso»: io lo direi di uno che commenta per aver visto qualche video e letto qualche post, che è quello che sembri aver fatto tu.
Io ho riletto la vecchia traduzione, ho letto la nuova, ho fatto confronti col testo originale, ho passato settimane a raccogliere informazioni e consultare vocabolari e solo dopo ho scritto cosa ne pensavo.
Ancora i nomi: se decidi di scrivere il 261esimo commento a un articolo, forse dovresti prenderti la briga di dare un’occhiata ai commenti precedenti, perché probabilmente abbiamo già parlato delle stesse cose più volte. «Forestale» non è perfetto e personalmente avrei preferito che fosse l’asciato l’originale «Ranger». Ma «Forestale» ha comunque un senso che si avvicina molto a quello dell’originale, decisamente più di «Ramingo», che è bello ma totalmente slegato dall’idea di Tolkien. Se decidi di usare la categoria di «ridicolo» per «Forestale», allora per onestà intellettuale la devi usare anche per «Pipino», per «Gaffiere», per «Vagabondi».
La storia editoriale del SdA in Italia è la storia del tentativo di avvicinare elementi di una cultura diversa alla nostra lingua e alla nostra storia ed è fatta di errori, ripensamenti, atti di coraggio. Il lavoro di Fatica ha sicuramente qualche punto debole, ma è innegabile che rappresenta un gigantesco passo avanti.
Il lavoro della Alliata e di Principe è stato fondamentale e degno di grandi elogi, ma oggi è superato. Perché sono passati 50 anni, perché l’Italia è per fortuna molto più connessa con la cultura internazionale e perché Tolkien è diventato forse il più importante scrittore del ‘900.
L’unica barzelletta sono quelli che, davanti a 1200 pagine di testo (che peraltro non hanno letto) urlano allo scandalo perché non gli piace un nome o una singola parola o perché non sanno aprire un vocabolario per cercare «compulsare».
Grazie per il tuo articolo, mi ha fatto venire voglia di provare a leggere la nuova traduzione anche se, lo devo dire, sono profondamente affezionato a Grampasso, Gran Burrone e al Gaffiere, perché sono questi i nomi dei personaggi e dei luoghi di cui mi sono innamorato quando per la prima volta lessi il Signore Degli Anelli e perché, dopo tutti questi anni, dopo i film, le serie TV, e le altre pubblicazioni questi nomi sono entrati nella cultura popolare e a mio parere potevano tranquillamente essere lasciati così com’erano).
Devo anche confessare, che uno dei motivi per cui il libro diventò probabilmente il mio libro preferito, fu anche il linguaggio e certamente la scelta del registro epico ed elevato della traduzione originale. Ora capisco che forse era meno vicina all’opera originale di Tolkien, però leggendo al volo in libreria qualche pagina della nuova traduzione, ho notato che il nuovo testo non mi trasmette la stessa sensazione. Sono un po’ spaventato, lo ammetto, e certamente una parte di me si oppone ad abbandonare alcuni nomi e alcuni aspetti della traduzione originale: è un po’ come rinnegare una vecchia amicizia. Magari sono davvero solo pregiudizi. Vedremo. La prossima rilettura la farò con la traduzione originale (in ebook).
Ciao Neff,
grazie per il commento. Come spiego nell’articolo, nella nuova traduzione il registro varia molto, ci sono parti più colloquiali e altre dal tono epico, ancora più alto di quello della vecchia traduzione.
e comunque Gaffiere su Google lo trovi eccome.
“In Ovestron il suo nome viene traslitterato come Ranugad Galbasi. Il soprannome Gaffiere deriva invece dall’inglese colloquiale “Gaffer”, spesso utilizzato per riferirsi ad un capo più anziano dei propri subordinati.”
Giuseppe, ovviamente intendevo dire che questa parola non è attestata in nessun dizionario online. Ai miei tempi non c’era ancora internet, quindi l’avevo cercata sul vocabolario cartaceo, ma oggi i dizionari si consultano online (anche perché sono sempre aggiornati). La definizione che riporti tu, presa da un sito italiano di fandom tolkeniano, non ha alcun senso. È un po’ come se io inventassi una parola e poi per dimostrare che esiste chiamassi i miei parenti e amici a spiegare cosa intendo io con quel termine.
«Gaffer» è un termine che non ha un corrispettivo esatto in lingua italiana, significa al tempo stesso «anziano», ma anche «esperto» e «capo», di solito, credo, in contesti di lavori manuali, tecnici. Nel mondo del cinema è usato per indicare il capo elettricista, se non vado errato.
«Gaffiere» fu inventato dalla traduzione Alliata-Principe. Ma, insomma, non mi pare proprio una buona soluzione risolvere l’intraducibilità di un termine colloquiale della lingua inglese inventando una parola che non esiste in italiano.
Dopo aver letto tutto l’articolo mi trovo costretto innanzitutto a dire che per quanto la sua volontà (mi rivolgo all’autore dell’articolo) di allontanare la propaganda politica in un’opera che non ha alcuna di queste mire, lei ha fatto lo stesso gioco di chi voleva far propendere in Tolkien un’ideologia personale. Lei ha creato un articolo basandosi interamente sulla volontà di proteggere e difendere la nuova edizione. Combattendo un’ideologia lei ne ha creata un’altra: difendere l’altro versante tanto criticato da “quelli di destra”, anziché tentare di comprendere quale traduzione sia più artistica. Così come non si dovrebbero mutare gl’intenti di Tolkien originatisi a seguito nella vecchia traduzione, al tempo stesso non si dovrebbe neppure ricorrere ad una preferenza personale per esprimere il proprio parere, poiché tale approccio ha sempre e comunque lo stesso e identico obiettivo: far cambiare idea. La traduzione di Fatica è senza ombra di dubbio il risultato di un grande professionista, ma un professionista che sembra non conoscere “l’anima” di Tolkien. Ne conosce ogni fibra linguistica, ma non ha né l’amore né il rispetto per l’autore e per i lettori. Mi spiego meglio. Faccio un esempio per non dilungarmi troppo. La Trilogia di Peter Jackson, di cui credo tutti noi apprezziamo ogni sfumatura, presenta una fisionomia che si accosta indubitabilmente più alla vecchia traduzione “cavalleresca” italiana che alla precisa filologia di Fatica. E non parlo dei nomi, ma del carattere dei personaggi. Samplicio (che tra l’altro è una delle pochissime cose che mi disturba davvero, poiché troppo centrale e importante nel romanzo per essere modificato), non ha niente a che vedere con il richiamo al “mezzo saggio”, poiché il nome suggerisce più l’immagine di un sempliciotto che di un uomo saggio nella sua semplicità. Inoltre Samvise per quanto non sia il nome originale, va ammesso che gli assomiglia molto e potrebbe comunque essere riferito poi al suo originale Samwise. Concludo, sullo stesso esempio, dicendo che Sam nel film esprime la sua grande bontà, gentilezza e saggezza, ma il suo modo di parlare (in lingua originale) è estremamente aulico, nobile, “cavalleresco”. E se un regista del calibro di P. Jackson, leggendo il testo originale, ha dato a Sam la fisionomia di un cavaliere antico, seppur hobbit, significa che il testo originale ne promuove l’immagine, suggerisce quel “sublime” dei lontani poemi antichi, quella prosa alta e somma, poiché la semplicità e saggezza di Sam non sta troppo, eccetto alcuni casi, nel suo modo di parlare, ma nel suo modo di vedere la vita. Fatica estrae come un minatore ogni verbo e parola e l’incastona nella giusta posizione, ma Alliata ha compreso a pieno l’anima dell’opera, ed è per questo che la maggior parte dei lettori protende e protenderà sempre sulla vecchia e “ufficiale” traduzione. Concludo dicendo che il suo modo di screditare l’approvazione dello stesso Tolkien sulla prima traduzione è uno dei motivi per cui ho trovato un po’ “scorretto” questo articolo. Non va sottovalutato affatto che un linguista e glotteta così disperatamente maniacale nella perfezione linguistica abbia apprezzato e APPROVATO la traduzione di Alliata. Sotto questi termini, è indifendibile qualsiasi altra forma di ragionamento, poiché se lo stesso autore è colui che ufficializza il suo stesso operato, è senza dubbio alcuno anche colui che ne ufficializza la traduzione.
Salve Luca,
mi deve scusare ma devo proprio essere sincero: questo commento mi ha fatto un po’ sorridere.
Non si capisce se lei ha letto entrambe le traduzioni o se ha addirittura visto solo i film di Peter Jackson e per questo motivo non avrei dovuto pubblicare il commento, attenendomi alla regola che mi ero dato. Però non ho resistito.
In soldoni la sua teoria è che siccome Peter Jackson ha reso Samwise «cavalleresco» (qualunque cosa voglia dire) questo legittima la traduzione Alliata.
Al di là del fatto che il discorso è ovviamente privo di qualunque senso logico, penso che potremmo riempire pagine e pagine con tutte le libertà che si è preso Peter Jackson nella sua reinterpretazione (che io comunque amo).
A proposito di «Samplicio», comunque, ho scritto a chiare lettere che avrei preferito che fosse lasciato il nome originale. Ho detto che però almeno significa qualcosa e non è solo un suono: se proprio bisogna tradurre questo nome, allora ha più senso che sia davvero una traduzione, non un’invenzione fonetica priva di significato (come con «gaffiere», d’altra parte).
Poi è curioso il concetto di «anima dell’opera» che il nuovo traduttore non avrebbe compreso. Ma che significa? Forse lei ha letto più volte l’opera in lingua originale e ha capito cose sull’«anima» del testo che a me sfuggono, però allora le deve spiegare. Da questo commento si capisce solo che le sono piaciuti i film di Peter Jackson.
Riguardo poi la faccenda della approvazione di Tolkien, mi pare di essermi espresso già abbastanza nell’articolo, non ha senso tornarci. Per me è scorretto strumentalizzare una vicenda di oltre mezzo secolo fa, quando ormai il mondo è cambiato, Tolkien è diventato un classico come lui stesso non avrebbe mai immaginato e il mestiere del traduttore si è per fortuna molto evoluto. A parte il fatto che non capisco il concetto di «traduzione ufficiale».
Ah, e per l’ennesima volta: ho scritto un articolo per dare il mio parere, non per dare un colpo al cerchio e uno alla botte. E dove per me ci sono delle criticità l’ho scritto.
Sono capitata qui perché sto ascoltando, con grandissimo gusto, la versione audiolibro con la traduzione di Fatica, con una lettura di Popolizio da brividi. E ho scoperto, da commenti vari, che il povero Fatica meriterebbe la crocifissione per aver osato stravolgere i nomi a cui eravamo abituati. Ho letto LOTR decine di volte nella precedente traduzione, l’ho letto in lingua originale e concordo molto con quello che hai scritto. Osservo solo che, in generale, chi ha letto Tolkien in lingua originale non può non cogliere la sostanziale differenza IN MEGLIO della traduzione e la innegabile maggior aderenza al testo (nei toni, nel ritmo in tutto) della versione di Fatica. Ma senza dubbio alcuno. I nomi sarebbero potuti rimanere in lingua originale? Sì e forse sarebbe stato meglio. Ciò non toglie che questa traduzione rapisca. SENTITO raccontare dalla voce di Voldemort, poi, è davvero qualcosa.
Ciao Cristiana,
grazie per questo tua testimonianza.
Sei già la seconda persona che viene qui a parlare bene della versione audiolibro.
In questi giorni sto rileggendo il cartaceo, appena finito mi sa che mi sparo anche l’audio!
Oh, sì, ascoltalo. E’ come tornare bambini!
Interessante articolo. Sono molto curioso di leggere la nuova traduzione.
Alcune cose faccio già fatica a comprenderle.
Forestale ci arriva chiunque che per un italiano suona come “dipendente statale”. Fatico molto ad accettarne la scelta. La traduzione deve tradurre non solo la parola ma anche la sensazione, l’emozione e l’immagine che porta.
Il cavallino inalberato è terribile.
Ok…Pony non è un puledro, però in Italia nessuno nel settore cavalli parla di cavallini, tutti dicono pony. Inoltre Prancing significa rampante o appunto impennato. Chi utilizzerebbe mai inalberato? Sembra una presa in giro.
Mi riservo invece per un giudizio personale complessivo.
Ciao Matteo e grazie per il commento.
Riguardo a «Forestale», posso essere d’accordo che ti fa pensare a una figura professionale del mondo di oggi. Però resta il fatto che è comunque molto più vicino all’originale «Ranger»; eppure nessuno si è mai lamentato di «Ramingo», nonostante sia una completa reinterpretazione, lontana anni luce dal senso originale.
Ci tengo a spedificarlo per l’ennesima volta perché l’argomento principale riguardo alla discussione sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli sembra essere sempre lo stesso: tanta gente attaccata con le unghie alla vecchia traduzione fingendo di non vederne i limiti, anche dove introduceva improbabili endiadi dantesche, termini dell’antica Roma in luoghi ispirati alla campagna inglese e nomi dal sapore romantico-foscoliano al posto di termini militareschi. Mentre a quella nuova si fanno lue pulci su ogni singolo dettaglio.
Ciao Luca
Ti ringrazio per questa tua pagina, che mi ha svelato e spiegato più approfonditamente molti retroscena di cui ero proprio all’oscuro.
Non aggiungerò ulteriori pareri sul lessico di Fatica, volevo solo esternarti il mio apprezzamento per la tua, di fatica, che suppongo peraltro non remunerata.
Ciao Giorgio,
la mia sola remunerazione sono tutti questi commenti, gran parte dei quali sono composti da improperi e maledizioni, ma per fortuna ci sono anche quelli come il tuo. Te ne ringrazio di cuore.
Ho letto con molto interesse questo articolo, trovando ancora una volta numerosi spunti di riflessione sulla “commentatissima” opera tolkieniana, nonché sulle sue traduzioni in lingua italiana. Faccio alcune premesse, tanto per far capire il mio background: conosco l’opera de Il Signore degli Anelli fin da quando ero bambino (sono del 1990) grazie ai miei fratelli più grandi. Ho sfogliato e letto diffusamente più e più volte la ormai datata edizione della Rusconi in volume unico (quella che Luca Ricatti ha giustamente mostrato in foto). Preciso che, mio malgrado, non ho mai letto interamente il libro. Lessi anni fa circa metà del volume unico, per poi abbandonarne la lettura a causa degli impegni universitari. Ripresi la lettura anni più tardi a fasi alterne, senza però mai terminarla. Molte parti del libro mi piacquero molto, ma faticai a superare indenne la parte iniziale con Frodo e Gandalf, a tratti davvero pesante (persino mio fratello me lo confermò, pur avendo letto il libro più volte). Diversi anni fa, prima che uscisse l’edizione di Fatica, acquistai i tre volumi della Bompiani Oro, e colsi l’occasione per rileggere buona parte del libro (ahimé non tutto) e le Appendici. Quando uscì La Compagnia dell’Anello tradotta da Fatica, inizialmente venni a sapere dei molti commenti negativi, ed io stesso “faticai” ad approcciarmi ad essa (scusate il gioco di parole, non ho resistito!). Mi feci prestare una copia da un amico e lessi i primi capitoli, restando però parecchio deluso. Poi ne parlai con mio fratello che comunque mi esortò a darle una chance. Lui stesso, pur essendo affezionato alla versione Alliata-Principe, ha voluto approcciarsi a questa nuova traduzione per scoprire ciò che ha da offrire. Sebbene io non l’abbia ancora acquistata, penso proprio che lo farò, e so che forse sembrerà una balla (e vi giuro che non lo è!) ma proprio grazie a questo articolo ho iniziato a convincermi. Devo dire che, personalmente, la versione di Fatica mi lasciò deluso soprattutto per la resa dei nomi, a cui ero stato abituato fin da piccolo. Sono consapevole del fatto che non fossero i “veri nomi” dell’opera originale, ma una loro reinterpetazione, eppure abitudine e affezione sono difficili da scardinare, soprattutto per chi ha sentito pronunciare quei nomi sempre allo stesso modo! Forse molti dei lettori non lo sanno (o magari si) però nella seconda metà degli anni ’90, ben prima della trilogia Jacksoniana, esisteva un gioco di carte collezionabili noto come MECCG (Middle Earth collectible card game), del quale io e i miei fratelli coltiviamo ancora la passione, sebbene il brand sia fallito ormai da circa 25 anni. Ebbene le carte furono localizzate in varie lingue, tra cui l’italiano, e ovviamente ricalcavano nomi e termini della traduzione All-Pr (persino gli “orchetti” che davvero sembrano ridicoli se chiamati in tal modo). Per fortuna altri come i Troll restarono invariati. Tanto Vagabondi quanto Uomini Neri (ne Lo Hobbit) non si possono digerire.
Quindi, no, non ho ancora letto la versione di Ottavio Fatica, almeno non ancora, ma intendo farlo. Proverò a farmi coraggio sulla questione dei nomi, ma tolti quelli spero di poter apprezzare questa nuova traduzione.
Riguardo al confronto tra le due traduzioni vorrei dire qualcosa, tanto per commentare alcuni dei punti trattati in questo e in altri articoli:
– per quanto concerne i nomi, sicuramente la maggior parte di essi funziona solo se resta invariata rispetto all’inglese, ed in effetti molti nomi propri restano tali in tutte le lingue (es. Aragorn, Boromir, Theoden) eppure altri si è sentito il bisogno di tradurli, come Samwise oppure Rivendell, tanto per citarne alcuni tra i più noti. Penso che Samvise sia più vicino, graficamente e in parte anche foneticamente, all’originale, laddove Samplicio non riesco proprio a farmelo piacere. Nel caso di Rivendell non saprei dire, io lo avrei lasciato invariato. Noi tutti siamo stati abituati (“colpa” anche dei film) a Gran Burrone, sebbene non sia un nome eccezionale. Ricordo anche la traduzione Forra Spaccata, ancor più orribile. Secondo me Valforra è una via di mezzo accettabile. Non ho idea di come sia stato reso Omorzo Cactaceo (forse rimasto invariato?), perché in italiano mi ha sempre fatto ridere e lo trovo un nome astruso e impronunciabile. Ci sarebbe ancora tantissimo da scrivere, ma per il momento diciamo che se posso accettare di buon grado Forestali (grazie all’interessantissimo articolo linkato), resto molto perplesso pensando, ad esempio, a Shelob come Aragna (ma su questo ed altri nomi farò ulteriori ricerche in sede di lettura per comprenderne le scelte).
– riguardo la traduzione del libro in sè, le argomentazioni che trovo più convincenti a favore dell’edizione di Fatica sono quelle relative ai registri linguistici, e su cui non mi dilungo visto quanto è già stato scritto. Inoltre la questione delle endiadi propugnata dalla Alliata secondo me non regge proprio, ed è in effetti una critica condivisibile e fondata sulla vecchia traduzione. E lo dico da insegnante di italiano! Leggo e commento Dante da anni ormai e pur apprezzandone la bellezza, lo stile dantesco ha poco o nulla a che vedere con l’opera tolkieniana. In questo caso i doppi aggettivi possono si conferire enfasi al testo, ma lo snaturano dalla sintassi originale. In questo caso più che di traduzione si parla di libero adattamento, che può andare anche bene se sporadico, ma non se operato sistematicamente. Però vorrei sottolineare che tradurre un testo significa per forza anche adattarlo, e nel caso del SdA è un lavoro davvero mastodontico e oltremodo complesso. Va da sé, quindi, che una “traduzione perfetta” non può esistere, nella misura in cui nel passaggio da una lingua (originale inglese) all’altra (adatt. italiano), qualcosa viene certamente perduto! A quel punto se si vuole fruire dell’opera nella sua forma “autentica” la si deve leggere nella lingua in cui essa è stata concepita. Nel mio caso, però, ammetto che pur essendo ferrato in inglese non reggerei una simile lettura, preferendo fruire di una buona traduzione.
Se però la ver. All-Pr ha i suoi buoni difetti, credo che anche quella di Fatica abbia la sua parte di problemi, legati proprio al difficile compito a cui è chiamato un traduttore. Non voglio mettere in dubbio la professionalità e bravura di Fatica. Io stesso ho provato ad immedesimarmi nel traduttore e non oso immaginare quanta difficoltà abbia incontrato durante il lavoro, ancor più complesso se si pensa al “peso letterario” di tale opera, amata e nota in tutto il mondo. So che forse il buon Luca mi darà contro, perché mi permetto di scrivere commenti pur non avendo letto il libro di Fatica, però determinate rese in italiano, di cui ho letto, mi lasciano perplesso, tra tutte la traduzione di eleventy-first con undicentesimo. Se la parola Gaffiere effettivamente non esiste in italiano (e qui siamo tutti d’accordo) direi che però anche undicentesimo non ha un corrispettivo italiano, tanto più che un il suo significato dal latino “undicentesimus” è novantanovesimo. Ecco, questo è uno dei casi (spero pochi) in cui Fatica secondo me ha calcato la mano. Si sono spese parole anche su “piscioliava” e “palpeggiava” ma ripeto, se tali rese più eccessivamete letterali sono poche, diciamo che si potrebbe anche chiudere un occhio, se si ha la consapevolezza che la distanza dal romanzo in lingua inglese è generalmente più breve possibile. Ultima cosa da dire, anche se l’operazione di Fatica ha sicuramente tanti meriti, credo che egli abbia fin troppo offerto il destro ai suoi detrattori quando ha parlato di “500 errori a pagina” del versione Alliata-Principe. Mi pare che Fatica avesse anche premesso di non essere minimamente un fan e conoscitore di Tolkien, cosa che non fu presa tanto bene (ma smentitemi se ricordo male!).
Okay, lo so che ho scritto un papiro, ma davvero ci tenevo ad esprimermi su questo interessante ma spinoso argomento. Spero che il mio commento venga pubblicato e trovi seguito ad una o più risposte, in quanto sono curioso di trovare qui il giusto confronto/contraddittorio.
Davvero non si finisce mai d’imparare…
Io ero convinto che l’aggettivo riferito al cognome Tolkien fosse “tolkieniano”, invece scopro che è “tolkeniano”, che nel tuo articolo compare 16 volte.
Me ne spieghi il motivo?
Anche questa è una traduzione, un adattamento dall’inglese all’italiano?
Ciao Antonio,
sto lavorando da alcune settimane alla versione aggiornata di questo articolo (la terza), che sarà online il prima possibile e dove l’errore è stato corretto.
Ti ringrazio comunque per l’impegno che hai profuso, non avevo contato la ricorrenza dell’aggettivo.
Grazie a te per il chiarimento, Luca.
Buon lavoro
Ciao! Sono capitato per caso su questo articolo, ma sono molto felice di questa casualità. Ho letto tutto con interesse e adesso sono molto curioso di recuperare questa nuova traduzione.
Il signore degli anelli lo avevo letto alle medie, ormai secoli fa… quindi direi che ha senso dopo tutti questi anni re-immergersi in questo mondo (anche se senza dubbio la vecchia edizione a questo punto me la conservo ben bene e me la tengo stretta!). Grazie mille del tuo lavoro e di questa super recensione.
Grazie a te!
Leggo questo articolo e sezione commenti relativa per informarmi su quale traduzione scegliere per leggere per la prima volta Il Signore degli anelli. Non mi esprimo quindi nel merito delle due traduzioni, ma su una questione più fondamentale, ossia le diverse teorie di traduzione.
Forse mi sarei aspettato un cenno a questo aspetto, in un articolo dettagliato come questo, ma mi rendo conto che sono questioni da specialisti. Ne so qualcosa perché lavoro come traduttore dall’inglese e mi interesso di traduzioni bibliche in italiano (quindi dall’ebraico e dal greco, soprattutto quest’ultimo).
In breve, quando si traduce si deve operare una prima fondamentale scelta: si opterà per una traduzione a “equivalenza formale” o a “equivalenza dinamica” (la seconda teorizzata da Eugene Nida negli anni 60)? In termini più prosaici, una traduzione alla lettera o una traduzione del senso? Nessuna delle due è una scelta giusta, perché entrambi sono modi di interpretare un testo originale. E, in realtà, le traduzioni definitive non sono mai esclusivamente traduzioni letterali o traduzioni idiomatiche, ma una commistione di entrambi gli approcci, nel quale però emerge una chiara tendenza verso l’uno o l’altro polo. Quindi la distinzione fra queste due prospettive resta utile perché il singolo traduttore o la singola casa editrice è effettivamente orientata maggiormente in un senso o nell’altro.
La differenza fra le due scuole di pensiero, in parte, si basa su come si risponde alla domanda: Qual è l’unità di significato fondamentale? Eq. formale risponde: le parole. Eq. dinamica risponde: le frasi.
Forse in questo articolo e nel dibattito in generale aiuterebbe tenere a mente queste due prospettive, e usarle per inquadrare le scelte di traduzione di Alliata-Principe e Fatica. Mi sembra di capire che talvolta la prima preferisca traduzioni letterali e che la seconda reagisca con l’approccio opposto (è il caso di Samwise-Samvise-Samplicio), mentre altre volte la prima cerchi più la corrispondenza di senso e che la seconda nuovamente voglia distaccarsene preferendo la lettera (è forse il caso della Poesia dell’anello?). Se questo fosse vero, la tendenza dominante ravvisabile in Fatica non sarebbe nè la letteralità nè la modernità di linguaggio – ho letto entrambe le cose, ma mi sembra impossibile che si possa avere un approccio generale sia letterale sia moderno, piuttosto si tratterà di casi isolati di volta in volta più letterali o più moderni -, ma la volontà di distacco dalla precedente traduzione. Operazione non legittima, di più. Ancora, non sto esprimendo giudizi, mi interessa solo chiarire meglio i concetti retrostanti e usare un linguaggio più preciso.
Piccola nota finale: in generale è vero che il “testo vero” (come ho letto in alcuni commenti e risposte) è quello originale. Ma è anche vero che nel caso di fenomeni culturali come Harry Potter, Topolino o anche il Signore degli anelli, questa distinzione platonica fra l’idea pura e vera e le sue copie va un po’ sfumata, e bisogna riconoscere che anche certe traduzioni diventano, per l’area linguistica relativa, il “testo vero”. Siamo sul discorso del Grande Cocomero citato da un commento precedente.
Nella semantica è abbastanza accettato che il significato delle parole è ciò che le parole significano per le persone che le usano; il che significa che per sapere cosa significa “tamponare” devo sì cercarlo nel dizionario, ma ancora di più cercarlo nelle conversazioni e nei testi prodotti nell’area linguistica relativa: scoprirò che significa sì urtare l’auto davanti al semaforo, ma anche, dopo il Covid, effettuare un tampone in farmacia. I puristi possono protestare in piazza (e talvolta potrei essere fra loro), ma quando la loro generazione sarà passata, quella nuova considererà la “nuova” lingua l’italiano standard, punto. Ci vuole coraggio a cambiare “ramingo” in “forestale” (almeno i film li ho visti), ma la verità, credo, è che alla fine il verdetto spetta alla lingua come fenomeno collettivo: i prossimi film o serie TV su il Signore degli anelli useranno la toponomastica nuova o quella “storica”? E lì sapremo con certezza se l’operazione di Fatica è stata encomiabile o fallimentare. Sembra fatalista? A me no, sembra solo più realistico.
Un saluto
Ciao Gianluca,
ti ringrazio per questo commento, uno dei più interessanti ricevuti.
Io non credo che nella vecchia traduzione ci sia stata una scelta consapevole tra traduzione «a equivalenza formale» o «dinamica» (grazie per averci dato questi dettagli interessantissimi). Si è trattato di un’operazione fatta con mezzi molto limitati, senza alcuna esperienza, basata solo su una buona conoscenza della lingua inglese (ma non impeccabile, come testimoniano alcuni errori marchiani) e l’utilizzo di un dizionario.
Condivido totalmente il discorso sul significato in base all’uso, altrimenti non ci sarebbe differenza tra lingue «vive» e lingue «morte» e penso che idee simili le condividesse anche Tolkien, che infatti ha dato vita a un intero mondo per supportare le sue lingue inventate, che avevano bisogno di popoli che le parlassero.
Le future trasposizioni, però, che io sappia, non potranno essere riprova dell’efficacia delle nuove traduzioni, perché lì ci sono di mezzi questioni legali: non sono un esperto ma, da quanto ho capito, i diritti sono detenuti in Italia da Bompiani-Giunti e l’unica traduzione utilizzabile al momento è quella nuova di Fatica, quindi qualsiasi doppiaggio di una nuova trasposizione cinematografica dovrà per forza usare i nuovi nomi.
Mai visti tanti commenti in una pagina come in questo caso…
Comprai l’edizione del 2000 con traduzione aggiornata e lo lessi senza particolari problemi o sensazioni strane, pur non avendo mai letto la versione inglese.
Probabilmente se non si legge l’originale è come mon averlo mai letto.
Adesso lo sto rileggendo la seconda volta dopo aver preso in prestito in biblioteca l’edizione Rusconi (stampata nel ’97 e indicata a matita come dono).
Edizione comunque nuovissima per un libro molto a portata di mano nell’ingresso della biblioteca e li da parecchi anni.
La rilettura mi ha lasciato perplesso con gli orchetti che sembrano quasi creaturine carine e i vagabondi che mai avrei pensato fossero tipi di creature. Pensavo fossero uomini, falsando non poco la mia creazione mentale delle ambientazioni e personaggi.
Al netto dei nomi, effettivamente dopo aver letto questo articolo, mi sembra di perdermi il senso originale dell’opera con traduzioni troppo libere.
Mi sembra di percepire che al grande pubblico l’edizione del 2000 sia quella meglio accettata, pur avendo ognuna pregi e difetti.
Ciao Mirko e grazie per l’apprezzamento.
Neanche io ho mmi visto tanti commenti, in nessun dei miei post. Proprio per l’importanza che ha assunto, sto completando la nuova versione di questo articolo, molto più approfondita, sperando possa essere utile.
Ottimo articolo interessante.
P.s. Ho una mia idea tradutiva per tradurre il termine Ranger che adoperò Tolkien, sarebbe Scorridore, forse come retaggio delle mie antiche letture salgariane, sia pure di diversa ambientazione. L’immagine che evoca è quella di un personaggio che percorre senza sosta terre selvagge, un po’ come il marinaio che solca il mare, ma in questo caso l’elemento naturale è la terra stessa. Scorridore mi sembra suggerire una figura agile e svelta, che sa muoversi con discrezione nei paesaggi più inaccessibili, ma anche un po’ misteriosa, quasi leggendaria.
Questo anzitutto perché anch’esso è un sostantivo derivato da un verbo, in questo caso “scorrere”, inteso secondo “Il Grande Dizionario Della Lingua Italiana” del 1961:
Avanzare, transitare, aggirarsi per un determinato luogo per lo più a passo di corsa. – In senso generico: correre.
2. Spostarsi velocemente a piedi o a cavallo o in carrozza in un luogo o lungo uno schieramento o da un luogo a un altro. – Anche: accorrere. Leggenda aurea volgar., 387: Cavalcando uno figliuolo di Traiano per Roma, entro andava scorrendo molto villanamente, sì che intervenne che uccise il figliuolo d’una vedova. Berni, 57-18 (V-29): Oltre scorrendo come sbalorditi, / continuar la fuga più di un miglio. Garimberto,1-431: È grande accrescimento d’animo ai soldati, quando nell’atto del combattere sentono chiamarsi per nome dal capitano e che vedeno la persona sua scorrer in diverse parti dell’esercito. Caro, 11-755: Per tutta la città si va scorrendo / a le mura. Tortora, I-171: Nel Poitù i Cattolici erano scorsi alle parti marittime per difenderle da quelli della Roccella. G. Bentivoglio, 4-2159: Il re di Francia, tutto acceso in continuarlo [l’assedio], scorreva senza riposo da un luogo all’altro per adunare con ogni maggiore larghezza il danaro, la gente e l’altre provvisioni che a tal effetto si richiedevano. B. Corsini, 20-8: Il conte di Man- gone imperioso / scorrendo va tra fanti e cavalieri. Bru
-Viaggiare; girare per un Paese.
Straparola, I-45: Si partì e, scorrendo per diversi paesi, s’abbatté in colui che prima l’armaio comperato aveva. C.Gozzi, 1-1070: Crederemo noi, per aver trovato un’‘Eugenia’ e un ‘Disertor’ da tradurre…, di aver fornito l’Italia di divertimento teatrale per tutti gli anni e di aver fornito di opere sufficientemente forse venti comiche truppe, che scorrono per l’Italia?
4. Vagare, bighellonare.
Savonarola, 7-I-132: Li buoni religiosi stanno al convento e non vanno scorrendo tutto dì per le piazze. D.Bartoli, 16-2-44: Scorrono vagabondi e sono sempre in ogni luogo e non mai in niuno. F. F. Frugoni, VII-497: Voi altri giornalieri, sordescenti dell’ozio, boccheggiate in co- testa piazza tutto giorno e andate svagando per le case come rondoni e scorrendo per le strade come gattacci. F.Casini, I-587: La misera gente tuttavia scorre raminga senza un palmo di terra.5. Andare avanti lungo un itinerario, in un viaggio, ecc.; procedere, anche in una navigazione.Ca’ da Mosto, 248: Scorrendo… con vento largo per la detta costa, seguendo il nostro viaggio per ostro, scoprimmo la bocca d?un fiume largo forse un tirar d’arco, il qual era di poco fondo. Straparola, 1-2: Su e giù scorrendo a passo lento e tardo / uno scopersi che guardava in giù. Mercante in Persia, CII-III-475: Scorrendo un poco avanti, si truova un castello e una bella città nominata Sabran. Boterò, 1-2-6: Ingolfandoci nell’Oceano, che i marinari chiamano del Sur, scorreremo per il mare della China, delle Molucche, dell’Indie, delrArabia, dell’Etiopia, del Norre. Davila, 449: Scorrevano innanzi il gran Priore ed il Barone di Giurì successo nel luogo di Bachevilla con i cavalli leggieri. Guerrazzi, 1-733: Compreso del pericolo in cui si versavano i nostri, scorse oltre verso la città per affrettare lo aiuto. D’Annunzio, I-13: Pe ’l fluttisono mare la cipria / diva e le Grazie lievi scorreano.- Con riferimento a esperienze e a vicende spirituali
5. Andare avanti lungo un itinerario, in un viaggio, ecc.; procedere, anche in una navigazione.Ca’ da Mosto, 248: Scorrendo… con vento largo per la detta costa, seguendo il nostro viaggio per ostro, scoprimmo la bocca d’un fiume largo forse un tirar d’arco, il qual era di poco fondo. Straparola, 1-2: Su e giù scorrendo a passo lento e tardo / uno scopersi che guardava in giù. Mercante in Persia, CII-III-475: Scorrendo un poco avanti, si truova un castello e una bella città nominata Sabran. Boterò, 1-2-6: Ingolfandoci nell’Oceano, che i marinari chiamano del Sur, scorreremo per il mare della China, delle Molucche, dell’Indie, delrArabia, dell’Etiopia, del Norre. Davila, 449: Scorrevano innanzi il gran Priore ed il Barone di Giurì successo nel luogo di Bachevilla con i cavalli leggieri. Guerrazzi, 1-733: Compreso del pericolo in cui si versavano i nostri, scorse oltre verso la città per affrettare lo aiuto. D’Annunzio, I-13: Pe ’l fluttisono mare la cipria / diva e le Grazie lievi scorreano.
49. Tr. Percorrere, attraversare un territorio, uno Stato, il mare.
– Scorrere il paese, la campagna: menare la vita a proprio piacimento, fare ciò che si vuole.
Scorridori, che pur avendo anche altri significati in altri contesti, in quello specifico dei Dunedain può avere una propria dimensione. Esempio:
1) “He is one of the wandering folk, Rangers we call them.”
“È uno di quelli che scorrono le campagne, noi li chiamiamo Scorridori.”
2) But in the wild lands beyond Bree there were mysterious wanderers. The Bree-folk called them Rangers, and knew nothing of their origin.
Ma nelle terre selvagge oltre Brea vi erano misteriosi vagabondi. La gente di Brea li chiamava Scorridori, e non sapeva nulla delle loro origini.
3) “Lonely men are we, Rangers of the wild, hunters… but hunters ever of the servants of the Enemy; for they are found in many places, not in Mordor only.”
“Siamo uomini solitari, Scorridori delle terre selvagge, cacciatori… ma sempre cacciatori dei servi del Nemico; poiché essi si trovano in molti luoghi, non solo a Mordor.”
Da medievista, Signore Luca Ricatti, considerando che gli scorridori precedono l’esercito, svolgendo in parte funzioni di contatto e in parte di esplorazione, questa era, più precisamente, la funzione che i nostri cugini d’Oltralpe nella loro seconda traduzione di Lotr hanno associato al termine Ranger, traducendolo con Coureurs (omettendo de bois), mantenendo così il senso del vagare e il senso militare. E io ho fatto la stessa cosa.
Lei che ne pensa della mia alternativa tradutiva per tradurre il termine Ranger, Signor Luca Ricatti?
P.s. E chiedo venia per il lungo papiro.
Accidenti, che lavoro, complimenti.
È molto bello e anche suggestivo, però un dubbio ce l’ho: «ranger» è una parola di uso comune in lingua inglese ancora oggi, mentre «scorridore» credo che sia un termine che appartiene ormai al nostro passato, dunque il rischio è di non avere lo stesso effetto che hanno i madrelingua inglesi.
Capisco perfettamente il tuo dubbio su scorridore: l’ho scelto proprio per evocare un tono più arcaico e leggendario, che si avvicini all’atmosfera del mondo tolkieniano. In inglese “ranger” suona moderno, ma nel contesto di Tolkien ha già una sfumatura antica; con scorridore ho cercato di restituire proprio quella patina di passato del termine originale che in italiano contemporaneo rischia altrimenti di perdersi.
Ciao Luca,
rinnovo i complimenti per questo tuo lungo studio, che ti feci alla (mia) prima lettura commentando qui.
Concordo che ogni tanto la traduzione di Fatica abbia dei “singhiozzi” (li chiamo così, ma ognuno può usare il termine che preferisce) che rallentano il flusso della lettura.
Ti scrivo alcune chiose: le enumero per mia semplicità espositiva e per agevolare chi volesse rispondere a questo mio commento:
1. secondo me dovresti dare un poco più di spazio alla conferenza “la guerra di Tollkien”, tenuta alla biblioteca del Senato (soldi nostri), e patrocinata da Gasparri (come hai scritto). Particolarmente rilevante,secondo me, è che è stata tenuta ben prima che la traduzione Fatica venisse pubblicata.
2 . Tolkien scrisse, principalmente per i traduttori da lingue nordiche, una “Guida ai nomi” in cui spiegava che i in nomi inglese andrebbero tradotti nella lingua di destinazione, poiché sono (fittiziamente) tradotti da lui dall’Ovestron in Inglese. E dovrebbero essere tradotti per dare un senso di familiarità al lettore. La Guida è un elenco di nomi da tradurre (o da non tradurre). Elenco che mi lascia perplesso, a volte (Bolgher non va tradotto. Peccato, un bel Bolgheri/Bolgeri ce lo vedevo bene). Fatica ha seguito (o cercato di seguire) tale guida. Naturalmente si può criticare le sue scelte, discettare sul se e quanto sia riuscito ad essere fedeli a tale guida. Ma non si può non citarla, a mio avviso, quando si parla di traduzioni dei nomi.
Anche secondo me avrebbe dovuto tradurre Baggins e Gamgee.
Riguardo il “lasciare i nomi in inglese, avremmo gandalf che consiglia a Frodo di andare verso Rivendel; da dove forse avrebbe dovuto proseguire per raggiungere i “Cracks of Doom” di monte Doom (o mount Doom).
3 sulla “setta”. A distanza di più di 5 anni dall’uscita della traduzione Fatica, sui social (essendo “diversamente giovane” bazzico principalmente Facebook) ogni volta che si parla di Signore degli Anelli, di nuova o vecchia traduzione, di nuove opere di Tolkien, , di edizioni del Signore degli Anelli, appare qualche semplice di spirito (non so se reale o bot) con frasi lapidarie tipo “Traduzione Alliata tutta la vita”, “basta che non sia la traduzione Fatica (e magari si parla del Silmarillion, mai tradotto da Fatica, che però lo ha letto), “che fatica (talvolta maiuscolo) questa traduzione”… .
Sembra quasi che degli analoghi dei “firemen” del romanzo Farenheit 451 passino casa per casa per sostituire la traduzione Alliata/Principe con quella di Fatica.
Non ti piace la traduzione Fatica (sia che tu l’abbia letta, sia che tu non l’abbia letta)? Amen. Ma non sfondare le tasche al prossimo con inutili microcommenti. Se hai qualcosa da dire, articola il tuo pensiero.
Quindi sì, a mio avviso una “setta” c’è. Fortunatamente è solo una parte del fandom
4. Per me è grave che tutte le edizioni italiani non avessero le tre mappe; trovo particolarmente grave l’assenza della mappa della Contea. Ma non credo sia colpa di chi traduce. E’ colpa/scelta dell’editore. E credo anche io che se Bompiani avesse fornito a Fatica, per prima cosa, le mappe da tradurre, avrebbe agevolato il traduttore (oltre che il lettore, che le avrebbe trovate già dal primo volume). Traduttore che, per esempio, avrebbe potuto vedere che il villaggio di Bywater sorge sulla sponda di un laghetto (Bywater Pool) creato dal fiume Water.
Non ho idea se, mentre traduceva, Fatica avesse sott’occhio le mappe in inglese. Sicuramente aveva sott’occhio la traduzione Alliata/Principe (e, immagino, la relativa mappa
5. Hai giustamente riportato l’iperbole dei “500 errori a pagina”, che anche io trovo inelegante. Ma, come tantissimi altri commentatori, hai dimenticato di segnalare che Fatica ha anche elogiato l’opera di Alliata, dicendo che lui a 16 anni non sarebbe mai riuscito a fare una traduzione del genere.
Grazie per lo spazio che dedichi al mio commento,e buona domenica.
Ciao Norbert,
anche stavolta hai portato delle critiche intelligenti e circostanziate.
Hai ragione a dire che non ho citato la «Guida ai nomi», in effetti così manca un pezzo importante di tutta faccenda. Lo aggiungerò.
Per quanto riguarda i nomi dei luoghi, ho scritto che alcuni toponimi è giusto che vengano tradotti. Resto convinto però che italianizzare tutto poteva avere un senso 50 anni fa, ma che oggi sia anacronistico. Forse questo discorso dovrebbe valere per la sola Contea? Ci devo riflettere.
Sono totalmente d’accordo sui poveri di spirito, ne ho affrontati un bel po’ tra i commentatori di questo articolo, alla maggior parte di loro non ho autorizzato il commento perché per fortuna da casa mia posso permettermi di cacciarli.
Sul fatto della «setta», inizialmente avevo scritto la frase «ok, qualche matto c’è, ma quelli non mancano da nessuna parte». Forse dovrei ripristinarla. In ogni caso mi sbaglierò ma a me pare che, quando parla di «setta», Fatica si rivolga ai fan di Tolkien in generale, non solo a questi decerebrati troll da social. Altrimenti non mi spiego perché si prenda la briga di specificare a un gruppo di appassionati e studiosi di Tolkien riuniti in una sala universitaria che Il Signore degli Anelli «non contiene la verità».
Per quanto riguarda le mappe, spero che Fatica le abbia osservate quelle in inglese, mentre traduceva, secondo me sarebbe una cosa grave se non l’avesse fatto!
Il fatto che Fatica elogiasse la Alliata per il fatto dell’età non l’ho dimenticato, è che non mi pareva molto rilevante. Forse lo è, ma di solito quando un complimento è seguito da «però» il complimento non conta, conta solo quello che viene dopo il «però».
Ad ogni modo, spero che si capisca dall’articolo che per me la nuova traduzione è infinitamente migliore della vecchia, non c’è proprio storia. Ma che ha dei problemi e che questi problemi si sarebbero potuti evitare se ci fosse stato un atteggiamento diverso… (poso dirlo?) un pochino più umile, ecco su. Cioè Fatica è un grandissimo letterato, non ci piove, però su Tolkien c’è gente che ci studia da una vita.
Posso dire la mia, Signor Luca sulla traduzione dei nomi.
Ogni volta che penso a questa faccenda dei nomi di Tolkien, provo un’irritazione per me inusuale. È una combinazione letale:
la mancanza di rispetto verso l’artista, le sue idee, le sue creazioni, con una deliberata inosservanza delle sue indicazioni (la Guida dei traduttori ovvero la nomenclatura)(tutt’altro che assurde, anzi fin banali): se fossi uno scrittore e mi facessero questo, sarei arrabbiato e amareggiato;
il fatto che per un autore tanto celebre, amato, citato, studiato e notomizzato fin nel più minuzioso dei dettagli, la comunità italiana (lettori, editori, traduttori, critici, intellettuali) consideri normale, degno tutt’al più di un’osservazione marginale —un «lo sapevi che…?»— ma null’altro, che una parte tutt’altro che marginale della traduzione sia fatta andando contro il pensiero dell’autore (perché altrimenti i nomi italiani «ricordano le stazioni del treno pendolari»*).
E la mancanza di rispetto è particolarmente fastidiosa vista l’estrema cura che l’autore, filologo e linguista, metteva proprio negli aspetti linguistici, che costituivano forse l’elemento più intimo e peculiare del suo carattere creativo. Trovo che, nel concerto delle lingue e delle culture, come paese facciamo una pessima figura: una miseria, una meschinità intellettuale.
[*O, per citare Quirino Principe stesso, sarebbero «fuori tono». Interessante come le scelte d’uno scrittore siano fuori tono nell’opera di quello scrittore stesso, e vadano quindi cassate. :roll:]
Ottimo commento Norbert👍
P.s. Come avresti tradotto tutta la nomenclatura ovvero “Guida ai nomi” in italiano specialmente Baggins e Gamgee?
Interessante articolo.
P.s. Ti consiglio di dare un poco più di spazio alle interviste fatte dalla Radio La Voce Di Arda al vecchio traduttore Vittoria Alliata di Villafranca, che racconta aneddoti sulla sua traduzione:
Intervista alla Principessa Vittoria Alliata di Villafranca 19 giu 2020
Seconda intervista alla Principessa Vittoria Alliata di Villafranca 26 mar 2021
Sessione pomeridiana evento Macerata In diretta Vittoria Alliata 5 dic 2019
Sono assai interessanti.
Grazie per la segnalazione!
Non c’è di che.
P.s.Ti consiglio di recuperare anche dal canale YouTube Università Cattolica del Sacro Cuore questo video: Tradurre Tolkien. È molto interessante.
Ottima terza versione del vostro articolo Signor Luca. Quando farai una quarta versione aggiornata?
P.s. Se avessi tradotto io Shieldmaiden, l’avrei reso con un termine che traesse origine dalla cultura latina, come fece Tolkien attingendo alla sua cultura nordica/anglosassone, e che conservasse tutta la forza e la fierezza dell’originale, senza snaturarne il significato.
Forse qualcosa come virgo clipeata (traduzione latina per skjaldmær che si trova nel Lexicon poëticum antiquæ linguæ septentrionalis dello studioso islandese Sveinbjörn Egilsson, ed. 1860), oppure virgo o donzella bellatrice, per evocare al tempo stesso il coraggio, la dignità e l’identità eroica che la parola porta seco.
In alternativa, semplicemente donzella guerriera.
In fondo, tradurre non significa solo trovare un equivalente linguistico, ma trasmettere un’anima, un’immagine, un sentimento.
Voi che ne pensate, Signor Luca delle mie alternative per tradurre Shieldmaiden? E quale vi aggrada di queste alternative?
La terza versione è appena uscita e ci ho lavorato per mesi! Se mai ne verrà una quarta di penderà da quante buone idee mi dare qui nella sezione commenti!
Complimenti per la ricerca su shieldmaiden! Non credo di essere all’altezza di una risposta. Io penso che la cosa più importante sia usare sempre la stessa formula per ogni occorrenza di shieldmaiden nell’originale. Tendenzialmente eviterei il latino, perché forse suona strano in un contesto «nordico» come la cultura rohirrim. Però è molto interessante la ricerca sulle fonti antiche!
Grazie mille per l’apprezzamento, Signor Luca?
P.s. È singolare che il nuovo traduttore abbia scelto di mantenere la vecchia nomenclatura di Middle-earth tratta dalla traduzione precedente, considerando che i nomi propri e i toponimi originali sono tutelati dal diritto d’autore.
Secondo la Guide to the Names in The Lord of the Rings di J. R. R. Tolkien:
Middle-earth. Not a special land, or world, or “planet”, as is too often supposed, though it is made plain in the prologue, text, and appendices that the story takes place on this earth and under skies in general the same as now visible. The sense is “the inhabited lands of (Elves and) Men”, envisaged as lying between the Western Sea and that of the Far East (only known in the West by rumour). Middle-earth is a modern alteration of medieval middel-erde from Old English middan-geard (see Isengard). The Dutch and Swedish versions correctly use the old mythological name assimilated to the modern languages: Dutch Midden-aarde, Swedish Mid-gård.
Per quanto riguarda la resa italiana, si possono ipotizzare diverse traduzioni. Terra Media, come nella versione spagnola, costituisce una scelta letterale e immediata, ma risulta forse troppo convenzionale. Un’alternativa più originale potrebbe essere Terra Mediana, oppure, con inversione dell’ordine, Media Terra — o anche Mediaterra, forma che richiama analogicamente Medioevo.
Un’altra possibilità è Mediterranea, traduzione latina di Miðgarðr, attestata nel Lexicon poëticum antiquæ linguæ septentrionalis dello studioso islandese Sveinbjörn Egilsson (edizione del 1860). Tale termine potrebbe costituire, a mio avviso, un valido equivalente concettuale. Tuttavia, considerata la sua natura aggettivale, Mediterranea si presterebbe meglio come base per una retroformazione nominale, da cui derivare Mediterra.
Lei che ne pensa signor Luca?
Salve Martino,
come ho scritto nell’articolo, girano voci riguardo al fatto che probabilmente la casa editrice ha imposto delle regole circa la traduzione dei nomi, alcuni dei quali probabilmente dovevano essere mantenuti uguali. D’altra parte sonno immutati anche «Barbalbero» o «Omorzo», che d’altra parte funzionano bene.
Su «Middle Earth» devo dire che a me «Terra di Mezzo» piace. Penso che Middle Earth suoni assolutamente immediato, quasi colloquiale ai lettori di lingua inglese e dunque la traduzione italiana deve esserlo altrettanto. Però è molto suggestivo l’accostamento tra «Mediterraneo», «Mid-gård» e «Middle Earth», carico di significati e spunti di riflessione!
Grazie per la risposta, Signor Luca!
Sì, in effetti la questione delle direttive editoriali è molto plausibile — e spiegherebbe bene certe scelte apparentemente incoerenti nella traduzione dei nomi.
Concordo anche sulla resa di Middle Earth: Terra di Mezzo restituisce quella semplicità e naturalezza che in inglese risulta quasi colloquiale, e al tempo stesso mantiene il tono mitico che Tolkien intendeva evocare.
L’associazione con Mediterraneo e con Midgard è davvero affascinante — ci mostra quanto il linguaggio tolkieniano sia stratificato e radicato nella tradizione linguistica e simbolica europea.
P.s. La traduzione del cognome Baggins nelle versioni straniere de Il Signore degli Anelli seguono la guida.
Secondo The Guide to the Names in The Lord of the Rings, redatta da J. R. R. Tolkien come guida per i traduttori, il cognome Baggins doveva essere tradotto, poiché contenente un significato implicito.
Molti traduttori stranieri seguirono le indicazioni fornite dall’autore, che scriveva:
“Intended to recall ‘bag’—compare Bilbo’s conversation with Smaug in The Hobbit—and meant to be associated (by hobbits) with Bag End (that is, the end of a ‘bag’ or ‘pudding bag’ = cul-de-sac), the local name for Bilbo’s house. (It was the local name for my aunt’s farm in Worcestershire, which was at the end of a lane leading to it and no further). Compare also Sackville-Baggins. The translation should contain an element meaning ‘sack, bag’.”
Nelle lingue romanze – o neolatine – il cognome Baggins è stato tradotto in modi differenti. In francese, nella prima traduzione di Francis Ledoux, divenne Sacquet; nella più recente versione curata da Daniel Lauzon è stato invece reso con Bessac. In spagnolo, il nome è stato tradotto come Bolsón.
In tedesco, il cognome è stato reso con Beutlin. Quest’ultimo è un nome di fantasia formato dall’unione del sostantivo der Beutel (“borsa”) con il suffisso diminutivo -lin, riduzione di -lein. La traduzione tedesca risulta particolarmente efficace, poiché riesce a riprodurre non solo il riferimento semantico agli elementi bag e sack dell’originale inglese, ma anche il carattere lievemente comico e familiare che Tolkien intendeva evocare.
Per quanto riguarda l’italiano, nella storica traduzione de Il Signore degli Anelli realizzata da Vittoria Alliata di Villafranca – all’epoca diciassettenne e alla sua prima esperienza professionale – la traduttrice cercò di seguire le indicazioni di Tolkien, che suggeriva di rendere i nomi degli Hobbit nelle lingue locali. Di conseguenza, il cognome Baggins venne tradotto come Sacconi.
Di tale traduzione, tuttavia, nel 1967 fu pubblicato soltanto il primo volume, La Compagnia dell’Anello, dall’editore Astrolabio. Quest’ultimo, non potendo proseguire l’impresa editoriale, cedette in seguito i diritti a Rusconi, che riprese la pubblicazione nel 1970 dopo aver sottoposto il testo di Alliata a un’attenta revisione a cura di Quirino Principe. Quest’ultimo, tra le altre modifiche, reintrodusse in forma inglese alcuni nomi di personaggi e luoghi.
Nella più recente traduzione di Ottavio Fatica, il cognome Baggins è stato mantenuto nella forma originale, senza tener conto delle indicazioni fornite da Tolkien nella sua guida.
Seguendo le istruzioni dell’autore, in italiano sarebbe tuttavia possibile proporre traduzioni come Borsi, Borsari, Borsoni, Borselli, Borsetti, Borsini o Borsin (quest’ultimo cognome, tipico del Veneto, presenta inoltre una fonetica simile a quella del nome originale Baggins).
Secondo The Guide to the Names in The Lord of the Rings (“La guida ai nomi e ai luoghi del Signore degli Anelli”) redatta da J. R. R. Tolkien per i traduttori, anche il cognome Sackville-Baggins avrebbe dovuto essere tradotto.
Tolkien, nella Guide to the Names in The Lord of the Rings, scrive infatti:
Sackville-Baggins. Sackville is an English name (of more aristocratic association than Baggins). It is of course joined in the story with Baggins because of the similar meaning in English (= Common Speech) sack and bag, and because of the slightly comic effect of this conjunction. Any compound in the language of translation containing elements meaning (more or less) the equivalent of sack/bag will do.
Secondo le indicazioni dell’autore, il cognome Sackville potrebbe essere reso in italiano con forme quali Sacchi, Sacca, Sacconi, Saccavilla (considerando che il nome normanno Hauteville è stato tradotto in Altavilla), oppure Sacchetti, in riferimento anche all’omonima famiglia nobile fiorentina.
Lascio dunque a lei Signor Luca, l’ardua sentenza.
P.s.s. Il cognome Saccavilla lo trovai nel
libro di Tina Giandola: Potere feudale e conflitti giurisdizionali a Sannicandro nella prima età moderna – edito dalla casa editrice Conte nel 1998
Ciao Martino,
come la penso sulla traduzione dei nomi l’ho scritto nell’articolo. Hanno fatto tutti benissimo a seguire le indicazioni di Tolkien. Ma Tolkien aveva scritto la «Guide» molti decenni fa. Oggi il mondo è molto cambiato, secondo me non ha più molto senso tradurre tutti i cognomi dall’inglese.