Qual è il significato de La Storia Infinita, dell’Auryn, del viaggio di Bastiano nel mondo di Fantàsia? Proviamo a farci un giro anche noi?
Questo non è un articoletto da leggere in trenta secondi, sappi che ho intenzione di rapirti e portarti in giro molto a lungo: se te la senti, prepara le valigie.
Anche perché fra i vari temi che emergono ne La Storia Infinita ce n’è uno particolarmente attuale, che ci riguarda tutti da vicino.
Insomma La Storia Infinita sarà anche una scusa per parlare d’altro.
Siccome è un articolo molto lungo, ho deciso di dividerlo in due parti, per facilitare la lettura.
Mi rendo conto di chiedere molta pazienza a lettrici e lettori, perciò mi sembra corretto spiegare in cosa consiste.
In cosa consiste questo articolo
Prima c’è una breve introduzione sul testo e sull’autore, giusto un minimo per capire di che stiamo parlando.
Poi passiamo ad analizzare i temi affrontati nell’opera, il più importante dei quali è il rapporto tra noi esseri umani e le narrazioni.
La Storia Infinita è un libro pieno di «cose», alcune delle quali possono apparire un po’ naïf ai lettori più esigenti. Eppure vi ho trovato diverse corrispondenze con testi scritti da intellettuali in anni recenti e mi è sembrato utile riportarle, per due motivi:
1) non hanno alcun legame con La Storia Infinita, non si tratta di testi scritti «in difesa di»; si tratta di pure corrispondenze di pensiero e questo secondo me ne avvalora il contenuto;
2) siccome sono testi molto recenti, non si può dire che siano «datati» o «superati» o figli «della stessa epoca».
Ah, logicamente questo articolo
+++CONTIENE SPOILER+++
Cos’è La Storia Infinita e la sua pubblicazione in Italia
In Italia, il titolo La Storia Infinita è famoso soprattutto per il film del 1984 diretto dal regista tedesco Wolfgang Petersen, ispirato all’omonimo romanzo pubblicato nel 1979: quest’ultimo è un’opera molto strana, perché è al tempo stesso un godibile libro per ragazzi, ma anche un testo di grande complessità, che esplora il concetto di metanarrazione spingendolo a limiti estremi.
L’autore di questo romanzo è Michael Ende e anche lui era tedesco.
Non prenderò in considerazione il film (un grande classico che ho comunque amato moltissimo), perché ha modificato molti dettagli rilevanti e, soprattutto, ha troncato letteralmente a metà la vicenda: siccome però «troncare a metà» una storia infinita suona come un rompicapo matematico, diciamo soltanto che il film ha impoverito il senso del racconto originale.
In Italia il romanzo fu pubblicato per la prima volta da Longanesi nel 1981, con la traduzione di Amina Pandolfi.
Questa qui sotto è la mia edizione stampata nell’82.
Trovo bellissima l’illustrazione della sovracopertina, di Roswitha Quadflieg, una visione prospettica del giardino-labirinto che conduce alla Torre d’Avorio, che risplende sullo sfondo.
La copertina interna, invece, è fatta per ricordare il libro rubato da Bastiano nella bottega del Signor Coriandoli, «di seta color rubino cupo», con l’Auryn al centro (quello vero, ma ne parliamo più sotto).
In realtà la tengo solo per collezionismo, quando leggo il romanzo uso la mia edizione da battaglia, quella in brossura dell’editore Corbaccio.
L’illustrazione di copertina è di Claudia Seeger, con alcuni dei principali personaggi del romanzo.
In casa mia c’è anche l’edizione Salani, ha voluto comprarla mia figlia per sé quando aveva otto anni: avevamo letto il libro insieme come storia della buonanotte e le era piaciuto così tanto che ne volle una copia tutta sua.
Purtroppo (come era già successo con l’edizione TEA del 1988) non ha il testo bicolore: il romanzo infatti deve avere parte del testo scritta in rosso e parte in verde-azzurro. È una mancanza proprio imperdonabile, ma a mia figlia piace perché ha un formato più piccolo: i bambini adorano i formati piccoli, li sentono più a loro misura.
L’illustrazione di copertina è la stessa usata da Corbaccio, circondata dai due serpenti che formano L’Auryn.
Nessuna delle edizioni italiane ha mai usato i meravigliosi capolettera originali creati da Roswitha Quadflieg, forse perché, essendo colorati, costa molto stamparli; sono stati sostituiti da quelli disegnati circa duecento anni fa dal pittore italiano Antonio Basoli. Belli, certo, ma non c’entrano niente con La Storia Infinita.
Questo qui sotto è il primo capolettera del romanzo, coi protagonisti del primo capitolo: il fuoco fatuo, il minuscolino, l’incubino e il mordipietra.
I lettori italiani non hanno mai potuto godere di questi ventisei piccoli capolavori della Quadflieg.
Ma stavamo parlando di come il film abbia in gran parte tradito le intenzioni del romanzo.
A causa di tali modifiche Michael Ende si arrabbiò così tanto che pretese di far rimuovere il suo nome dai titoli della pellicola (cosa che non gli fu concessa, per fortuna).
Comunque, già questo ci dà la misura del personaggio con cui abbiamo a che fare.
Michael Ende
Michael Ende nacque in Baviera nel 1929, quattro anni prima dell’avvento al potere del partito della svastica.
Era figlio del geniale pittore surrealista Edgar Ende, che si vide confiscare le opere dal regime nazista in quanto «arte degenerata».
Fu un rapporto burrascoso quello col padre, soprattutto quando questi lasciò la madre per una ragazza coetanea di Michael. Lo scrittore, a un certo punto, arrivò a riconciliarsi col genitore e fu un momento decisivo anche per la sua vita artistica: la pittura surrealista ha influenzato moltissimo la sua narrativa e il tema del ritorno al padre è un elemento chiave de La Storia Infinita.
Nel Capitolo XXV – La Miniera delle Immagini, il protagonista Bastiano si trova in un luogo pieno di delicatissime lastre su cui sono impresse visioni che ricordano fortemente l’arte surrealista; scavando in una profonda miniera, trova la raffigurazione di un signore in camice da dentista (il padre di Bastiano) e questo lo conduce alla salvezza.
Ma, come dicevamo, tutto il romanzo è impregnato dell’influenza surrealista: i paesaggi, i personaggi, le situazioni sembrano uscite dall’immaginario di Salvador Dalì, di René Magritte o di Alejandro Jodorowsky. Le Paludi della Tristezza, oppure l’Oracolo del Sud, il terrificante Ygramul Le Molte, la città d’argento di Amarganta, il gigantesco leone Graogramàn e il suo deserto multicolore, la Città degli Imperatori o anche Donna Aiuola.
La Storia Infinita è un susseguirsi di immagini assolutamente spiazzanti, scaturite da una fantasia lasciata libera di fluire senza limiti, volontariamente spinta a perdersi nel sogno.
Nel Manifesto del Surrealismo del 1924, André Breton sosteneva che la dimensione del sogno ha importanza pari a quella della realtà. E che sfruttando l’onnipotenza del sogno si può arrivare a un livello superiore alla realtà chiamato surrealtà (da cui il nome del movimento).
È un fatto importante, ma per ora torniamo a Michael Ende.
Era un giovanotto quando la Seconda Guerra Mondiale stava volgendo al termine e la sconfitta della Germania era imminente. Come molti ragazzi fu costretto ad arruolarsi, ma disertò con una fuga rocambolesca.
Si racconta che, cercando di raggiungere casa di sua madre, Michael abbia percorso ottanta chilometri in una sola notte. Se questa storia è vera, deve aver corso ininterrottamente fino al mattino.
Io ci credo: non so voi, ma io potrei correre una notte intera, se avessi i nazisti alle calcagna.
Successivamente entrò nel Fronte per la Baviera Libera, un’organizzazione antinazzista.
Finita la guerra, la strada per diventare scrittore fu lunga e difficile.
Voleva scrivere per il teatro (era un fan di Bertolt Brecht), ripiegò facendo l’attore. Poi scrisse il suo primo romanzo, Le avventure di Jim Bottone.
Negli anni ’70 venne a vivere a Genzano di Roma con sua moglie, in una bella casa immersa nel verde (qualcuno dice che in passato fosse stata un rifugio di contrabbandieri, ma non ho capito se è vero). I coniugi la chiamarono Villa Liocorno e qui Ende riuscì a completare un romanzo a cui lavorava da anni: Momo.
Il centro della vicenda di Momo è un antico teatro, ispirato alle rovine del teatro romano che si trovano nell’area archeologica del Monte Tuscolo. Ci sono andato in un giorno infrasettimanale di pioggia, sperando di poterlo fotografare vuoto, ma l’ho trovato recintato e sbarrato: è accessibile solo di domenica per le visite guidate. Qualcuno ha scritto l’orario di apertura con un pennarello (sbiadito dalle intemperie), su un foglio di carta attaccato con lo scotch.
Ad ogni modo, Momo e i suo amici ci potrebbero andare a giocare solo di domenica.
Pagando il biglietto.
Invece di recente, a Genzano, un teatro all’aperto di proprietà del comune è stato restaurato e intitolato allo scrittore tedesco, così ora esiste un Anfiteatro Michael Ende.
Nel ’79 il nostro diede alle stampe il suo capolavoro assoluto, La Storia Infinita.
Visse in Italia fino al 1985, quando, alla morte della moglie, tornò in Germania.
Alla fine degli anni ’80 si trasferì in Giappone, terra che amava molto, e lì sposò la traduttrice giapponese de La Storia Infinita. Ma morì di cancro poco tempo dopo, a 65 anni.
Michael Ende è stato un uomo costantemente ribelle: un disertore in tempo di guerra, un autore di letteratura fantastica quando si chiedeva agli intellettuali realismo e impegno politico. Criticato duramente dai letterati del suo tempo (con la solita accusa di escapismo che già era stata rivolta a Tolkien e a tutta la letteratura fantastica) Ende fece spallucce, godendosi l’ammirazione di bambini e ragazzi di tutto il mondo.
E quando l’industria cinematografica provò a fare di lui lo scrittore del momento, se ne andò sbattendo la porta.
In una fase storica di fortissima accelerazione come quella del secondo ‘900, Michael Ende scelse come animale-simbolo del suo approccio alla vita la tartaruga, presente in molte delle sue storie.
Ma c’è un altro elemento ricorrente nelle sue opere, assolutamente centrale ne La Storia Infinita: il rapporto tra noi esseri umani e la narrazione.
Ed è di questo che andiamo a parlare ora.
La Narrazione e i Mondi Paralleli
Quando ci immergiamo in una narrazione, entriamo in uno stato molto simile a quello dell’ipnosi.
Non è una provocazione o un’esagerazione, è proprio letteralmente così. Se sembra strano, è soprattutto perché siamo abituati a pensare all’ipnosi come a quella roba da mesmerizzatori col pendolo. Ne ho parlato ampiamente in un altro articolo, quindi ora non ci perderemo in chiacchiere su questa cosa (a chi interessa, deve cliccare qui ☞Trance Narrativa d’Ascolto).
Il punto è che lo stato di concentrazione profonda in cui ci immergiamo quando guardiamo un film, leggiamo un libro o assistiamo a uno spettacolo teatrale ci fa provare sensazioni fisiche, come se la finzione fosse realtà: cì capita a tutti di avere il batticuore durante una scena particolarmente forte.
Un pezzo della nostra mente sa che è tutto finto, ma solo un pezzo. Il resto di noi si immerge senza condizioni in un mondo parallelo.
Come vedremo più avanti, la narrazione è una sorta di magia, ogni racconto si comporta come un incantesimo.
Purtroppo, come tutti sanno, esiste anche la magia malvagia, che nasce allo scopo di piegare la volontà degli altri. Per fortuna, c’è un modo facile per riconoscere quest’ultima, la presenza del finale: nel senso che le storie nate con cattive intenzioni non ce l’hanno o comunque lo rimandano a un futuro lontano nel tempo che non arriva mai; sono progettate per andare avanti all’infinito. Si comportano come un ipnotista che dice «al tre ti sveglierai» ma non ha alcuna intenzione di pronunciare la parola «tre».
Ok, sto anticipando troppo.
E ora preparati, perché entriamo nel cuore pulsante della questione.
Il Mondo Parallelo
La narrazione è gioco e sogno: ci permette di sperimentare realtà lontane o impossibili e per questo espande la nostra comprensione della realtà.
In una delle scene più belle del romanzo Momo, un gruppo di bambini immagina che l’antico teatro sia una nave e loro siano un equipaggio di esploratori. In quelle pagine si apre il confine tra il racconto principale e l’avventura immaginata dai bambini e il lettore viene catapultato in una fantasia nella fantasia.
Quando il gioco dei bambini finisce, il lettore torna alla vicenda principale e il confine si richiude alle sue spalle.
Nelle opere di Michael Ende questo confine tra realtà e fantasia è presentato come un confine tra due mondi paralleli.
Su questo dualismo si struttura la Storia Infinita. Nel romanzo ne viene data una spiegazione completa da qualcuno capace di attraversare il confine tra i due mondi: il lupo mannaro Mork
Passare da un mondo all’altro
Poiché gli esseri umani non credono in Fantàsia, questa viene invasa dal Nulla, che divora ogni cosa. Il Nulla non è visibile, quando lo si guarda si ha la sensazione di essere ciechi.
Il Nulla è cecità.
Ma quando una creatura di Fantàsia cade nel Nulla, non sparisce: il Nulla è infatti la porta che conduce al mondo degli uomini, cioè la realtà.
Questo spiega il mostro Mork al giovane pelleverde Atreiu, che sta proprio cercando un modo per andare nel mondo degli uomini, ma scopre che non può.
«Se ci andate, poi ci dovete rimanere per sempre. […] E quando ci siete caduti dentro, vi rimane addosso, il Nulla. Siete come una malattia contagiosa, che rende gli uomini ciechi, così che non distinguono più l’apparenza dalla realtà. Sai come vi chiamano laggiù?»
«No», mormorò Atreiu.
«Menzogne!», abbaiò Mork.
Le Menzogne
Il termine storytelling in lingua inglese è utilizzato per indicare l’atto di raccontare una storia.
Sul sito dell’associazione americana National Storytelling Network leggiamo (traduzione mia):
«Lo storytelling è l’arte interattiva di usare parole e azioni per rivelare gli elementi e le immagini di un racconto mentre si stimola l’immaginazione dell’ascoltatore»
Insomma, per gli americani, lo storytelling è una forma d’arte che consiste nel narrare una storia usando la voce e il corpo, stimolando l’immaginazione di chi ascolta.
Semplice.
In anni recenti, però, la parola ha assunto una sfumatura tutta particolare.
Viene usata per indicare una tecnica di marketing applicata da aziende, da piccoli imprenditori e da uomini politici.
Nel libro Storytelling d’Impresa, la Guida Definitiva, Andrea Fontana scrive che:
«Storytelling non significa raccontare storie».
E poi più avanti (all’interno di una spiegazione complessa e anche interessante) che lo storytelling è «comunicare attraverso storie».
Capito? Non più raccontare storie, ma comunicare attraverso storie.
È una sfumatura di senso che cambia tutto.
In effetti, con un pizzico di creatività, si può comunicare qualsiasi cosa attraverso una storia, anche la bolletta della luce, per dire.
Un filino deprimente, però, se confrontato con la forma d’arte proposta dal National Storytelling Network. Perché di fatto riduce il concetto di storytelling a tecnica di comunicazione, a mero strumento per veicolare informazioni, visioni del mondo, ideologie.
Non so se mi sono spiegato.
Per gli storyteller americani lo scopo è la narrazione in sé, emozionare valorizzando personaggi e vicende. Si racconta «solo» per il piacere di emozionare. Basta, non ci sono secondi fini.
Per un marketer, invece, l’arte in sé non ha più importanza, è degradata a strumento di comunicazione, non è più il fine, ma il mezzo. Quello che conta davvero è vendere il prodotto.
Ok, dirai tu, ma perché parli di questo?
Ma perché lo slittamento semantico del termine storytelling è esattamente ciò che accade alle creature di Fantàsia quando cadono nel Nulla (in realtà ci si gettano, in preda a un’incontrollabile attrazione suicida).
Gli incolpevoli abitanti di Fantàsia, attraversando il Nulla, entrano nel nostro mondo e smettono di essere personaggi di racconti fantastici, per diventare invenzioni che servono a forzare la volontà degli esseri umani.
In pratica, escono dal campo dell’arte per entrare in quello del marketing.
Serviranno per «posizionare un prodotto, per dare significato commerciale a una marca, per ottimizzare un’identità digitale». Queste parole lo ho prese dal testo di Fontana, ma ricordano sinistramente quelle ringhiate da Mork allo sconvolto Atreiu:
«Resta calmo, piccolo sciocco. Non appena verrà il tuo turno di saltare nel Nulla, diventerai anche tu un servo del potere, senza volontà e irriconoscibile. Chi lo sa a che cosa potrai servire. Forse servirà il tuo aiuto per indurre gli uomini a comperare cose di cui non hanno bisogno, o a odiare cose che non conoscono, o a credere cose che li rendono ubbidienti, o a dubitare di cose che li potrebbero salvare. Con voi creature di Fantàsia, nel mondo degli uomini si fanno i più grossi affari, si scatenano guerre, si fondano imperi…»
Se mi hai seguito fin qui, cominci a intuire quanto il pericolo in cui versa Fantàsia è ben più di una buona intuizione narrativa, è il racconto di qualcosa che sta capitando a tutti noi.
E che le menzogne di cui parla Mork, quelle con cui «si fondano imperi», sono le stesse che ci vengono propinate tutti i giorni.
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