Molti fan si sono chiesti se Stranger Things è femminista. Dato il successo mondiale della serie, la questione è rilevante. Vi dico la mia.
Mi sono sforzato di scrivere in un modo che potesse essere godibile sia per gli appassionati sia per chi non l’ha vista e non è interessato a vederla.
A essere sincero, Stranger Things è solo un pretesto per parlare di qualcos’altro.
I racconti, in qualsiasi forma, non son mai solo racconti: veicolano messaggi e valori. Anche politici.
E i racconti fantastici sono spesso veicoli di valori di avanguardia.
Ma prima avvertimento d’obbligo: questo articolo CONTIENE SPOILER!
Strenge che?!
Stranger Things è una serie TV scritta e diretta (quasi tutta) da due gemelli americani, i Duffer Brothers, per la piattaforma Netflix.
È solitamente descritta come di fantascienza, ma in realtà sconfina nell’horror ed è impregnata di riferimenti all’universo fantasy. È ambientata negli anni ’80 ed è intrisa di citazioni di film, musica, giochi e serie TV di quel periodo.
Gli autori l’hanno descritta scherzosamente come «un film di Steven Spielberg su un romanzo di Stephen King ritrovato dopo molti anni» e vedremo più avanti quanto sia azzeccata questa descrizione.
Comunque, messa così sembra una roba da sabato sera coi popcorn sul divano.
E lo è, anche.
Molti blog e pagine dedicati a cinema e serie tv concordano che l’orientamento generale di Stranger Things è femminista, ma a me pare che il rapporto tra i sessi sia affrontato in modo più articolato di quanto non credano la maggior parte dei commentatori che ho letto. Al punto che non sono del tutto convinto che si possa parlare propriamente di «femminismo».
Dietro l’apparentemente ennesima storia di una supereroina che salva il mondo, si cela una forma di critica al patriarcato radicale, complessa e ricca di rimandi. Mi rendo conto che può sembrare provocatorio dire che una serie televisiva scritta e diretta da uomini e i cui personaggi principali sono quasi tutti maschi, sia in qualche modo radicale nella critica alla struttura patriarcale.
D’altra parte non stiamo parlando di un saggio filosofico, ma di un prodotto pop, nato per scopi commerciali e di puro intrattenimento.
Mi azzardo a dire che, nel corso di questo articolo, riuscirò a smentire entrambe queste obiezioni, dimostrando ampiamente che la critica al partiarcato deve venire prima di tutto dal punto di vista maschile e che la cultura pop è portatrice di valori culturali e filosofici.
Lo ripeto: commenteremo Stranger Things, ma in realtà sarà una scusa per parlare di altro.
Riassuntino prima di proseguire
Protagoniste della serie sono tre generazioni di personaggi: un gruppetto di ragazzini secchioni, dei ragazzi delle superiori e alcuni (pochi) adulti.
Ma più protagonisti degli altri sono i ragazzini, quattro maschietti nerd, appassionati di scienza e di fantasy, a cui si aggiunge una ragazzina speciale, fuggita da un misterioso laboratorio dove si fanno strani esperimenti e nel quale un tizio, che lei chiama papà, la teneva prigioniera e la sottoponeva a strane e terrificanti ricerche.
Lei ha i capelli rasati a zero e si chiama Undici, dal numero 011 che ha tatuato su un braccio.
Ed è speciale perché ha il potere della telecinesi e, concentrandosi, riesce a entrare nella mente delle persone, trovarle e scoprire i loro più intimi pensieri.
È soprattutto grazie a lei (ma non solo), che i protagonisti riusciranno a sconfiggere i mostri terrificanti giunti da un’altra dimensione.
Chi ha detto che Stranger Things è femminista?
All’inizio della prima serie i ragazzini nerd nascondono Undici e la proteggono (soprattutto Mike, che la ospita in casa sua e che si innamora di lei); ma ben presto i ruoli si invertono.
Undici prima salva i suoi nuovi amici dai bulletti, che avrebbero provocato la morte di Mike, e poi salva (a più riprese) tutta la città dal vero nemico: mostri ed entità oscure giunte dalla dimensione chiamata Sottosopra.
Nella generazione dei ragazzi più grandi è invece Nancy, la sorella maggiore di Mike, ad avere un fondamentale ruolo da protagonista nella lotta contro il Demogorgone, il Mind Flyer e gli altri mostri del Sottosopra.
Si toglie letteralmente i panni della brava ragazza obbediente e superficiale, per indossare quelli della combattente, si arma e va ad affrontare i mostri, scortata da un timido innamorato un po’ nerd.
Tra gli adulti, infine, è Joyce (interpretata di Winona Ryder), madre di due ragazzi protagonisti, a guidare la guerra contro il Sottosopra.
Joyce è stata abbandonata dal marito e cresce due figli lavorando tutto il giorno.
I maschi, insomma, pur essendo più numerosi ed essendo comunque molto presenti, ricoprono tendenzialmente ruoli da aiutanti. Sono le femmine a guidare la lotta. E fra loro è la più piccola, Undici, la guerriera più tosta; una ragazzina alla scoperta della propria identità: identità anche di genere, perché scopre lentamente cosa significhi essere una ragazza.
È quindi abbastanza evidente che gli autori hanno voluto raccontare una storia che mette fortemente in discussione i rapporti fra i sessi. Per questo molti vanno dicendo che Stranger Things è femminista.
In realtà, Stranger Things parla anche di ragazze, ma non solo.
Il tema principale sembra riguardare le molte possibilità di ripartire i ruoli.
Oltretutto, la maggior parte degli articoli che ho trovato online (soprattutto in lingua italiana) si riferiscono solo alla Terza Stagione della serie.
Per esempio questo qui, oppure questo qui o ancora questo qui.
Ma, come abbiamo accennato, in questa narrazione il ribaltamento dei ruoli di genere è strutturale e inizia fin dalle prime puntate.
Siamo sicuri che Stranger Things è femminista?
Personalmente no, non sono sicuro che il concetto di femminismo sia quello migliore per spiegare l’insieme di valori che emerge dalle vicende e dai personaggi.
Questa non è una storia in stile Wonder Woman o Captain Marvel: non è la vicenda di una donna forte che da sola sconfigge un esercito di maschi sciovinisti e prevaricatori. Secondo me, dire che Stranger Things è femminista è limitativo
Certo, qui le ragazze spaccano, non c’è dubbio. E non c’è dubbio che ci sono vistosi richiami al diritto all’emancipazione femminile.
Quello che non c’è, però, è una contrapposizione maschi-contro-femmine, che è l’elemento chiave delle narrazioni tipiche del femminismo mainstream.
In Stranger Things i personaggi femminili sono calati in un contesto di relazioni molto più complesse con la sfera maschile: alcuni maschi sono degli stronzi, altri no, alcuni sono dalla parte delle ragazze ma a volte hanno comportamenti prevaricatori e poi se ne pentono.
Questione psicologica
Carol Gilligan e Naomi Snider, nel loro libro Perché il Patriarcato persiste?, hanno spiegato in maniera molto efficace il meccanismo di diffusione e sopravvivenza del sistema patriarcale.
Il patriarcato è alla base delle moderne democrazie come delle dittature più sanguinarie. Prevede il dominio di alcuni uomini su tutti gli altri e di tutti gli uomini sulle donne.
(Poi ovvio che il patriarcato si innesta sul sistema delle classi sociali e delle divisioni razziali, per cui la faccenda non è mai così schematica).
Nel loro libro la Gilligan e la Snider spiegano come ha fatto il patriarcato a sopravvivere per millenni, nonostante tutte le grandi rivoluzioni politiche, scientifiche e culturali.
Il motivo è che si basa soprattutto su un condizionamento psicologico che viene imposto ai ragazzi e alle ragazze tra l’infanzia e l’adolescenza.
Riassumendo in soldoni, femmine e maschi vengono condizionati da millenni a rinunciare ad avere relazioni profonde ed appaganti pur di essere accettate/i nella società degli adulti.
Per avere relazioni, ragazze e ragazzi devono rinunciare ad essere totalmente sincere e sinceri.
In particolare:
– i maschi devono rinunciare a provare empatia nei confronti degli altri e sacrificare tutto per il lavoro e il ruolo sociale;
– le femmine devono rinunciare a dire cosa pensano, per essere totalmente a disposizione dei genitori, del marito, dei figli, del capo.
Per millenni abbiamo dato per scontato che crescere significasse accettare di separare la ragione dai sentimenti.
«Non piagnucolare, fa’ l’uomo!»
«Non dire certe cose, devi essere una brava ragazza!»
Ma questa separazione ha molto in comune con il concetto di trauma.
L’unica possibile via per un definitivo superamento del patriarcato sembra passare per una qualche forma di interazione tra sentimenti, ragione, fantasia e creatività.
I ragazzini
La vicenda parte da quattro amici delle scuole medie, secchioni e appassionati di fantasy.
Hanno ribattezzato il tetro bosco che costeggia la loro cittadina Bosco Atro (esatto, come quello che attraversa Bilbo ne Lo Hobbit).
Passano i pomeriggi nello scantinato di uno di loro, Mike, a giocare a Dungeons and Dragons, un celebre gioco di ruolo di ambientazione fantastica.
La riscossa degli sfigati
Perché i Duffer Brothers abbiano deciso di ambientare Stranger Things negli anni ’80 lo sanno ovviamente solo loro.
Ma ci sono alcune cose su cui vale la pena riflettere.
È stato fatto notare (in questo articolo, il più interessante che ho trovato online) che gli anni ’80 sono stati il decennio che ha visto il trionfo dello sfigato/secchione come eroe.
I ragazzini di Stranger Things somigliano moltissimo ai protagonisti del film culto degli anni ’80 The Goonies.
In effetti a me pare che nella cultura popolare degli anni ’50, ’60 e ’70 l’eroe emarginato e sfigato solitamente otteneva la sua rivalsa dopo una trasformazione.
Mi viene facile pensare a due fumetti della Marvel che leggevo da adolescente: L’Uomo Ragno e Capitan America.
Entrambi subiscono una radicale trasformazione e solo allora diventano eroi.
Prima non lo erano.
Ma negli anni ’80 (dai bambini di E.T. ai Ghostbusters, passando per Bastian de La Storia Infinita), gli sfigati diventano eroi proprio perché sono emarginati: non subiscono alcuna trasformazione, sono eroi già così come sono, in quanto a causa della loro diversità sono gli unici in grado di affrontare la loro missione.
Nel loro essere diversi, hanno la capacità di vedere al di là del velo, per così dire.
Occhio a questo passaggio: la diversità è una predestinazione a combattere il male.
Quindi non essere diversi significa essere acquiescenti, se non addirittura complici del male.
A me viene da pensare alle dittature nazifasciste: i pochi diversi che non accettavano il pensiero dominante erano i predestinati a combattere il male, tutti gli altri, acquiescenti, consentivano al male di esistere.
Si può credere che sia solo un caso se, la prima volta che compare sullo schermo, Undici sembra fuggita da un campo di sterminio? Ricordiamoci che il suo nome è un numero tatuato sul braccio.
Gli anni ’80 e gli stereotipi genere
Gli anni ’80 sono solitamente descritti come anni di riflusso, di superficialità, gli anni della Thatcher e di Regan, gli anni del trionfo degli stereotipi di genere: maschi muscolosi e pronti alla guerra, donne procaci e sottomesse.
Ed è vero.
Ma contemporaneamente (e forse proprio per questo), sono anche gli anni in cui quegli stessi stereotipi vengono fortemente messi in discussione.
Basti pensare alla musica pop.
Negli anni ’60 e ’70 la stragrande maggioranza delle rock star è composta da uomini. E anche se alcuni di questi amano giocare con movenze e look androgini (David Bowie, Robert Plant, Mick jagger), è solo a partire dalla fine degli anni ’70 che questo diventa progressivamente una moda.
Gli ’80 sono il decennio dello Hair Metal, dell’abbigliamento ambiguo delle pop-band, dei Queen vestiti da donne nel video di I want to break free, di Morrisey, di George Michael, di Boy George che canta Do you really want to make me cry, di Robert Smith dei Cure che si mette il rossetto (sbafato) e canta Boys don’t cry (i ragazzi non piangono).
Ma soprattutto è quello il decennio in cui le ragazze escono finalmente fuori!
Sono gli anni di Madonna che sbatte in faccia al mondo il suo desiderio sessuale, di Cyndi Lauper che porta al successo un vecchio brano dimenticato: Girls just want to have fun. Sono gli anni di Siouxie Sioux e di Kate Bush.
Nella quarta stagione una delle protagoniste, Max, si salva da un mostro assassino ascoltando Running up that Hill (a Deal with God), la celebre hit di Kate Bush, in una scena di grande impatto emotivo, (anche grazie alla bellezza del brano, chiaramente).
Running up that Hill è una canzone sui ruoli di genere, in cui l’autrice vorrebbe fare un patto con Dio per poter scambiare la sua posizione con quella del suo compagno, così da arrivare a una più profonda comprensione reciproca.
«Se solo potessi fare un patto con Dio
Gli farei scambiare i nostri posti».
Persino in Italia arrivano al successo giovani donne che scardinano gli stereotipi; penso a ragazzacce come Loredana Berté o Donatella Rettore o artiste ricercate come Giuni Russo o Teresa De Sio.
Alcune di loro si lasciano andare a disinibiti sfoghi sui loro legittimi desideri.
Penso a Gianna Nannini che canta «Dammi tutto il tuo sapore, no ti prego no non ti asciugare, se nella notte hai ancora un brivido animale». O al Kobra della Rettore, che non è un serpente, «ma un pensiero frequente che diventa indecente quando vedo te… quando amo».
Insomma, la cultura di massa degli anni ’80 è piena di sessismo e di conformismo.
Ma, come una rete a maglie troppo larghe, lascia passare una rivolta radicale che mette tutto in discussione.
(Aggiornamento di settembre ’23: a riprova del fatto che le donne hanno dovuto attendere gli anni ’80 per avere ruoli di protagoniste nella musica pop, ha destato grande scandalo un’intervista al fondatore del celebre magazine Rolling Stones, Jann Wenner: ha candidamente affermato che negli anni ’60 e ’70 non faceva interviste ai musicisti neri e alle musiciste, perché [testuale] «non rappresentavano lo spirito del tempo» e perché «non erano sufficientemente eloquenti a livello intellettuale»).
Negli ’80 arriva un nuovo genere di eroi: deboli e disadattati, ma intelligenti, empatici, studiosi, fantasiosi, che rivendicano il loro diritto a non essere machi, tosti e obbedienti, e a mostrare il loro lato femminile.
Intanto, le ragazze cominciano a dire quello che pensano, a urlare i propri desideri.
Parliamo di E.T.?
In tutta la prima stagione di Stranger Things si sprecano i riferimenti a E.T..
Nel capolavoro di Spielberg un ragazzino sensibile protegge l’alieno nascondendolo dentro casa sua e poi lui e i suoi amici lo salvano da un esercito di soldati e scienziati scappando sulle biciclette.
L’alieno ha poteri telecinetici
Le similitudini non si fermano alla superficie della trama.
E.T. è la storia di un bambino che prova empatia per qualcuno che è molto diverso da lui. Eliot percepisce letteralmente tutto ciò che prova l’alieno!
La Gilligan e la Snider direbbero che quel bambino non ha ancora subito il trauma indotto dal patriarcato ed è ancora in grado di provare empatia per gli altri.
In Stranger Things la vicenda è ovviamente molto simile, con una differenza che non può essere trascurata.
Mike non prova empatia per uno strambo alieno, ma per una ragazza.
Quella che ne esce fuori è una alleanza di adolescenti non accora sottomessi alle regole del patriarcato.
Parliamo di It?
Riguardo le possibili fonti di ispirazione della trama e dei temi di Stranger Things, non credo si possa prescindere da quello che è probabilmente il più importante libro di culto degli ‘80: It di Stephen King.
Il protagonista dei Goonies ha la mania di spruzzarsi la bocca con un nebulizzatore per l’asma. La stessa cosa che fa uno dei protagonisti di It .
The Goonies è uscito nel 1985, lo stesso anno in cui è ambientato It (per quanto riguarda il presente, ma gran parte delle vicende sono ambientate nel passato, durante un’estate degli anni ’50). It fu pubblicato nel 1986, ma è stato scritto tra il 1981 e il 1985.
Le due storie nacquero indipendentemente una dall’altra e uscirono a un anno di distanza, avendo tantissimo in comune.
Lo spirito degli ‘80…?
Comunque, protagonisti di It sono sette undicenni che abitano in una piccola cittadina del Maine (nord-est degli Stati Uniti), che si trovano ad affrontare un mostro assassino, che sono bullizzati da un gruppetto di ragazzi più grandi e che chiamano se stessi club dei perdenti. Sono tutti maschi tranne una ragazza, vittima di una feroce violenza patriarcale: più scorge in lei i segni della femminilità che fioriscono, più suo padre la picchia.
Il romanzo affronta una quantità di temi molto ampia, molti dei quali hanno a che fare con l’emarginazione e il bisogno di riscatto: il razzismo, il maschilismo, la violenza domestica, l’omofobia, il body shaming e l’antisemitismo. Ognuno dei sette protagonisti subisce una di queste cose e l’esclusione sociale assume tratti anche fortemente politici.
Nonostante siano bambini degli anni ‘50, tutti i sei maschietti hanno le caratteristiche tipiche dei nerd degli anni ‘80.
Fantasia e Ragione
L’abbinamento tra fantasia e razionalità può apparire bizzarro.
Ma chiunque sia stato o abbia conosciuto un ragazzino nerd sa che è del tutto normale: chi ama usare la ragione ama anche evadere e giocare con la fantasia.
In Stranger Things gli unici ragazzini coetanei dei protagonisti sono i bulli, gretti, maneschi e crudeli.
In sostanza, in questo universo narrativo sembrano esistere solo due tipi di ragazzini: gli emarginati (amanti del fantastico e della scienza), che sono i buoni; e i bulli, ottusi e ignoranti, che sono i cattivi.
Nella seconda stagione i quattro amici festeggiano Halloween mascherati da Gostbusters: sono quattro, sono nerd, sono buffi, sono incompresi e combattono i mostri.
Ma se al pur meraviglioso film del 1984 vanno rimproverate diverse imbarazzanti battute sessiste (tipo: «la troia preistorica» e altre simili), il registro in Stranger Thing è completamente diverso, i protagonisti non farebbero mai battute sessiste.
Non sono ancora stati condizionati dalle leggi del patriarcato che impongono ai maschi quel cortocircuito mentale secondo cui è obbligatorio desiderare e al tempo stesso disprezzare le donne.
Questi ragazzini sono eroi proprio perché non hanno ancora subito questo lavaggio del cervello.
Riescono ad affrontare il male proprio perché sono diversi dagli altri (leggi: emarginati), perché possiedono delle chiavi interpretative degli eventi straordinari che gli capitano (fantasia) e perché possiedono delle conoscenze tecniche (razionalità).
A proposito di razionalità, due parole su Hopper, lo sceriffo che diventa padre-adottivo di Undici.
È grosso, rissoso, rappresenta l’autorità. Eppure, fin dalla prima stagione, si comporta sempre in modo che gli altri poliziotti, i suoi sottoposti, non capiscono.
Fa una cosa che loro non fanno: riflette.
E le sue riflessioni lo portano a prestare attenzione alle farneticazioni di Joyce, che per tutti gli altri è solo una madre impazzita per la scomparsa del figlio.
Ma nell’universo anti-patriarcale di Stranger Things, le farneticazioni di una donna (apparentemente) pazza sono cose perfettamente sensate e un poliziotto arguto lo capisce.
Ma veniamo alla eroina principale.
Undici e il potere del pensiero
Il connubio ragazza adolescente-disadattata e telecinesi-telepatia risale ovviamente a Carrie, romanzo di esordio di Stephen King.
È stato affrontato in un’altra interessante variante anche da un’altra serie Netflix che mi è piaciuta proprio tanto, ma di cui (maledettiiii!!!) non si è mai prodotta una seconda stagione: I am not okay with this, tratta dalla graphic novel di Charles Forsmann.
Aveva anche il pregio di affrontare un tema tabù: l’omosessualità femminile.
Se mi hai seguito fin qui, forse il simbolismo alla base dell’abbinamento ragazza adolescente-poteri mentali ti è già chiaro.
Il patriarcato costringe le adolescenti al silenzio, impone loro di accettare le decisioni degli altri (padri, mariti, capi), senza mai esporre il proprio punto di vista.
Ma quante ragazze hanno dentro un universo? Quante ragazze hanno intelligenza e sensibilità sopra la media, ma sono costrette a non usarle, schiacciate da ambienti maschilisti?
Insomma, restando nella metafora fantastica, quante ragazze hanno poteri mentali che devono tenere nascosti?
Occhio però: tutto ciò che viene represso rischia sempre di esplodere, con conseguenze potenzialmente devastanti.
In Carrie avviene una strage, in I am not okay with this un bullo fa una fine orrenda.
In Stranger Things, gli esperimenti mentali che lo scienziato «Papà» compie nel suo laboratorio/prigione provocano involontariamente da parte di Undici l’apertura di un varco dimensionale che sarebbe stato molto meglio se fosse rimasto chiuso.
La differenza tra Undici e Carrie, però, sta in quello che viene dopo.
Undici, pur essendo la causa (involontaria) del disastro, è anche la soluzione, perché è l’unica in grado di fermare i mostri.
E questo avviene perché attorno a lei si crea una rete di relazioni umane, fatta di persone che contravvengono le regole del patriarcato.
A volte, questi «maschi-antipartiarcato» ricadono nei vecchi errori, per esempio quando il padre adottivo di Undici, lo sceriffo Hopper, si comporta da ottuso padre-padrone: la reazione della ragazzina gli fa sgranare gli occhi dal terrore: «Gli amici non mentono!», gli urla in faccia lei facendo tremare tutta casa.
Potrebbe polverizzarlo con la sola forza della mente, ma non lo fa, perché gli vuole bene.
Perché, nonostante tutto, questo omone grosso e irascibile, che sembra incarnare il perfetto stereotipo dei condizionamenti maschili, alla fine sceglie sempre di fare la cosa giusta, di ascoltare le donne-ragazze. Per questo Unidici non è Carrie, perché Hopper è diverso dalla madre del romanzo di Stephen King.
Stranger Things è femminista in modo banale?
Ho letto online che alcune si sono lamentate di una forma di femminismo banalotto nella Terza Stagione, soprattutto riguardo una scena che è stata secondo me fraintesa: quando Mike cerca di impedire a Undici di affrontare l’ennesimo mostro uscito dal Sottosopra e le ragazze insorgono rimproverandolo che lei sa badare a se stessa.
Ma la chiave di quella scena, secondo me, sta nella reazione di Mike, che esplode nel grido: «Io la amo!», lasciando tutti basiti, in una situazione spiazzante tra il comico e il romantico.
Quella scena credo sia la chiave del rapporto tra i due ragazzini: Mike sa benissimo che la sua ragazza è troppo potente (fuor di metafora, leggi: intellettualmente dotata) per essere controllata e in ogni caso non ha alcun interesse a farlo.
Ha semplicemente paura che la persona che ama posa morire.
Dico che è una scena chiave perchè spiega definitivamente la natura del loro rapporto: le regole del patriarcato restano fuori dalla porta, qui c’è una ragazza che è l’eroe forte e un ragazzo che mostra i suoi sentimenti «da femminuccia» davanti a tutti.
Il ribaltamento è completo, qui la femmina va a salvare il mondo e il maschio resta alla finestra preoccupato, (poi le cose non andranno esattamente così, ma è così che appaiono in quella scena).
Insomma, si potrebbero fare esempi per ogni singola puntata, ma non finiremmo più.
La sostanza si è capita.
Il tema centrale, qui, non è l’emancipazione femminile, ma il superamento di tutti gli stereotipi di genere.
Per concludere: Stranger Things è femminista?
A me pare abbastanza evidente che gli autori della serie avevano in mente un’idea di critica alla società molto simile a quella proposta da attiviste femministe di avanguardia come Gilligan e Snider: una critica alla struttura patriarcale che vede i maschi come oppressori, certo, ma al tempo stesso vittime di un sistema che impedisce loro di esprimere se stessi in modo sincero e completo. E hanno intelligentemente individuato negli anni ’80 l’epoca in cui la cultura pop giovanile ha iniziato a prendere coscienza di questo, forse per la prima volta nella storia umana.
Insomma, prima di chiedersi se Stranger Things è femminista, bisognerebbe chiedersi cosa si intende per femminista.
O, per dirla meglio, a quale tipo di femminismo ci si riferisce, perché non ne esiste solo uno.
La risposta potrebbe essere sì, a patto di intendere il concetto di femminismo in modo molto allargato, cioè inteso come lotta al patriarcato e a tutti gli stereotipi di genere, come affermazione di libera determinazione delle identità sessuali e di una dissoluzione dei ruoli di genere.
La risposta diventa no, non è vero che Stranger Things è femminista, se intendiamo il femminismo esclusivamente come lotta per l’emancipazione femminile: che è una lotta sacrosanta, intendiamoci, ma è solo un tassello di una trasformazione molto più grande che ci attende.
Alla fine della Terza Stagione, uno dei ragazzini canta insieme alla sua fidanzatina (tramite un avventuroso collegamento radio) le parole della bellissima canzone scritta da Giorgio Moroder per la colonna sonora del film La Storia Infinita. Che, ricordiamo, è la pellicola di ambientazione fantasy di maggior successo degli anni ’80.
La scena è così potente che ha portato a un revival della canzone e alla pubblicazione di un remix che ha girato parecchio in radio.
Come adulti, dobbiamo porci il problema dei condizionamenti che imponiamo alle nuove generazioni.
Dobbiamo smettere di porre limiti alle possibilità nostre, dei nostri figli, del mondo.
Fuori dagli stereotipi di genere c’è un universo di alternative infinite in cui declinare la nostra esistenza. E se noi adulti abbiamo preso troppe sberle per avere ancora la voglia e la forza di esplorarlo, non abbiamo il diritto di precluderlo alle nuove generazioni.
Dobbiamo smettere di essere l’esercito che rincorre Eliot che scappa in bicicletta per proteggere una creatura indifesa.
Dobbiamo smettere di essere la madre di Carrie, che la colpevolizza per la forza della sua mente.
Un futuro migliore può arrivare nei modi più inaspettati, ma solo se gli si lascerà lo spazio per arrivare.
Voltati,
Guarda ciò che vedi
Negli occhi di lei
Lo specchio dei tuoi sogni
Raggiungi le stelle
Fa’ volare la fantasia
Sogna un sogno
E ciò che vedi sarà realtà.
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Adriana says
Eccellente, Luca.
Luca Ricatti says
Grazie Adriana!
marco z says
mamma mia che analisi interessante e approfondita…. sono impresionato complimenti!
Luca Ricatti says
Grazie. Marco Z!
donato says
E’ attraverso il desiderio di capire la realtà che ci circonda che diventiamo migliori. La capacità introspettiva, il porci delle domande e cercare le risposte il più possibile sincere renderà più consapevole chi è disposto a percorrere questo viaggio che chiamiamo vita.
Ritengo però che questa volontà sia prerogativa di pochi lasciando inalterate e non risolte le contraddizioni che inevitabilmente sorgono durante.
E’ molto interessante la tua narrazione anche se non ho visto neanche un episodio della serie.
Un saluto da un batterista – chitarrista mancato
Luca Ricatti says
Grazie Donato per il tuo bel commento!
Paolo says
complimenti, bellissimo articolo che mi ero perso, su una serie tv assolutamente TOP. grande!
Luca Ricatti says
Grazie Paolo!