Questo è un racconto a puntate, per leggerlo integralmente devi partire dalla☜Prima Puntata
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
Era quasi mezzogiorno e faceva molto caldo. La primavera era esplosa sulle montagne, ma nella valle non c’erano fiori né insetti ronzanti. Non c’erano profumi e non si udiva il canto degli uccelli. Forse ancora qualche serpe strisciava tra i campi, ma soprattutto c’erano i topi, che si aggiravano nelle piantagioni in cerca di cibo.
E poi c’erano degli uomini a torso nudo sparpagliati tra i campi, sudati e stanchi: riempivano di oro grossi sacchi di iuta che poi caricavano sulle spalle e andavano a stipare su un carro.
Non c’era un alito di vento. La valle era un deserto dorato, le foglioline lanciavano riflessi abbaglianti in tutte le direzioni. Echeggiava un tintinnio costante.
Arrivò un grido a tagliare l’aria immobile, da uno dei tre uomini a cavallo che controllavano i raccoglitori.
«Tutti qua! Ohh! Fermi tutti! Qua!»
I lavoratori alzarono le teste stupiti e si incamminarono per avvicinarsi.
Nel giro di qualche minuto si riunirono a semicerchio attorno al capo che aspettava in silenzio. Gli altri due gli stavano uno a destra e l’altro a sinistra. I raccoglitori erano tutti stanchi, sudici, avevano le spalle scottate dal sole e indossavano stivali infangati. Tutti si tolsero il berretto.
«Prima di fare la pausa oggi vi devo dire una cosa importante», disse il capo da sopra al cavallo. Era alto, magro e con un naso troppo lungo. I lavoratori lo chiamavano Sorrisone, ma mai davanti a lui. «Perciò sentite bene! Quando tornate a casa dovete ripetere queste cose alle vostre famiglie!
«Il nostro Signore Sassosecco, che ha a cuore la vostra sorte, alcuni giorni fa ha mandato un paio di persone in città, per raccogliere informazioni dai migliori medici che stanno lì. Dovete sapere che in città la situazione è ormai sotto controllo, l’epidemia di tosse è scomparsa. Hanno scoperto da dove viene! E questo è molto importante, perché se sappiamo da dove viene la tosse anche noi possiamo evitare di prenderla e attaccarla ai nostri familiari.
«Tutti i migliori medici che lavorano in città e curano i più ricchi e importanti Signori sono d’accordo che la tosse la portano gli Spettri Neri.
«Quei grandi luminari hanno studiato a fondo la questione e hanno stabilito che gli Spettri Neri sono generati dagli effluvi della tosse. Per questo più persone muoiono di tosse, più aumentano gli Spettri. Quei fantasmi vengono dalla tosse e al tempo stesso ne sono portatori: la diffondono nell’aria e perciò basta respirare dove sono passati loro e ci si ammala!
«Dunque ricordate bene: non uscite mai dopo il tramonto, quando ci sono gli Spettri! Mai! E anche durante il giorno, uscite solo per importanti necessità! Voi che venite a lavorare, non dovete mai aggirarvi per le strade e la campagna: venite a lavorare e poi dritti a casa!
«Ricordate che siete dei privilegiati a poter lavorare e mettervi in tasca la paga.
«Chi verrà scoperto a infrangere queste regole verrà imprigionato! Il Signore Sassosecco non ama dover fare queste minacce, ma è necessario per il vostro bene: chiunque infrangerà queste regole porterà la malattia alla propria famiglia e ai compagni di lavoro, quindi non può essere tollerato.
È tutto chiaro?»
«Ma gli Spettri ce stanno da tanti anni!», disse timidamente uno dei braccianti. «È da quando sò nate le prime piantagioni de oro che sò apparsi li Spettri! Perché allora la tosse è iniziata solo da pochi mesi?»
Il capo lo fulminò con gli occhi. Sembrò che volesse mettere mano al fucile. Ma fece un improvviso sorriso comprensivo, quasi paterno:
«È quello che abbiamo pensato tutti, ovviamente! I grandi scienziati di città stanno ancora indagando la questione, ma si dicono convinti che qualcosa è cambiato nel tipo di fumi che compongono gli Spettri. In parole semplici, quello che prima non ci danneggiava, ora è diventato mortifero. Il perché ora non ci riguarda! A chi importa di questi complicati discorsi di scienza? Quello che conta è che proteggiamo la nostra salute e quella dei nostri familiari, dico bene?». Nel dire questo si voltò di nuovo in direzione del bracciante che aveva parlato. E anche tutti gli altri si voltarono a guardarlo.
E nessuno ebbe più nulla da obiettare.
Ordine pubblico
Il giorno dopo Franchino, questo era il nome del bracciante che aveva parlato, scendeva gli scalini che dalla bottega del fornaio portavano ai lavatoi, passando per l’arco tra casa sua e quella di sua sorella Enzina. Era quasi il tramonto e il Paese era immerso nel silenzio.
Casa di Enzina era chiusa da più di una settimana e Franchino aveva deciso che doveva andare a vedere cosa ne era di sua sorella e il marito. Aveva forzato la porta con un gran fracasso, ma tanto chi poteva sentirlo?
Enzina e il marito stavano sul letto, abbracciati.
Uno dei due doveva aver visto l’altro spirare e gli era rimasto aggrappato aspettando il suo momento.
Franchino avrebbe dovuto scaricare i corpi nella fossa comune. Ma strapparli a casa loro, al loro ultimo abbraccio per gettarli in mezzo a dozzine di altri cadaveri in putrefazione, non aveva avuto il cuore di farlo.
Così aveva richiuso la porta di casa alla bell’e meglio intenzionato a tornare a nascondersi in casa, ma poi si era guardato le mani: non è che toccare le cose che avevano toccato i malati faceva venire la tosse?
Allora aveva pensato che prima era meglio andare a darsi una bella sciacquata al lavatoio, che era proprio lì dietro.
I suoi passi sugli scalini misero in agitazione i topi che sostavano ammassati nell’ombra a ridosso del muro. Uno gli finì in mezzo ai piedi e Franchino lo schivò imprecando. Ricordava bene cosa gli aveva detto il Dottor Nino, molti giorni prima, quando ancora girava per le case bussando a tutti per sapere come stavano: il Dottore diceva che erano i topi a portare la tosse.
Franchino non ci credeva che era colpa degli Spettri. Erano tanti anni che gli Spettri giravano per la campagna, tutte le notti, terrorizzando chiunque si avvicinasse ai campi d’oro dopo il tramonto.
Cinque anni prima il cuginetto era sparito insieme a una ragazza di cui si era innamorato. Lui aveva sedici anni, lei quattordici, una notte erano semplicemente spariti nel nulla. Tutti sapevano la verità, anche se nessuno la diceva per rispetto delle famiglie: si appartavano al buio nei campi, di nascosto. Finché una volta gli Spettri se li portarono via.
Franchino aveva lasciato scorrere l’acqua per qualche minuto sulle mani e si stava lavando le braccia e la faccia, quando sentì rumore di zoccoli di cavallo alle sue spalle, all’improvviso.
«Che stai facendo?»
Quando si voltò e vide Sorrisone insieme a uno dei suoi, il cuore gli balzò in gola.
Rimase a balbettare indicando la fonte, pensando a cosa dire. Non voleva che quegli sbirracci irrompessero a casa di Enzina per gettare i cadaveri nella fossa. E poi se avessero saputo che si era avvicinato a dei morti di tosse lo avrebbero chiuso in casa e non avrebbe più potuto lavorare.
«Non te la sei portata l’acqua a casa?»
«Eh sì, ma però…»
«E se ce l’hai perché ti vieni a lavare qui?»
Sorrisone non sorrideva.
Franchino lo guardò, poi guardò l’altro, non riusciva a trovare una scusa buona e quelli lo fissavano da sopra i cavalli.
Poi Sorrisone guardò lo scagnozzo, senza dire niente. E quello scese dal cavallo, prese un bastone corto che portava appeso alla sella, afferrò Franchino per un braccio e cominciò a colpirlo.
«Non è difficile da capire: non devi uscire di casa», diceva tranquillamente Sorrisone. «Tu sei un po’ duro a capire le cose».
Franchino fu trascinato, pesto e sanguinante, alla prigione che stava negli scantinati della Villa dei Sassosecco.
Lo scaricarono nell’unica cella, dove c’erano già due persone: due moribondi che tossivano forte, un adulto e un ragazzino.
Riunioni
C’erano sedici uomini e sette donne, Adele contò due volte per essere sicura.
C’erano un dozzina di lampade accese, ma erano piccole e nello scantinato regnava la penombra. Il Sor Filippo, un ometto che viveva di piccole riparazioni e vendeva stracci, batté tre volte le mani per attirare l’attenzione. Quando tutti si furono voltati parlò:
«Lo so che ciavete da raccontavve tante cose, ma questa riunione è segreta! Lo sapete mejo de me quello che succede se ce trovano tutti insieme! Perciò bando alle ciance! Sentiamo che cià da dire il nostro Dottore.
Il Dottor Nino si alzò dalla sedia su cui stava rannicchiato. Era anziano e stanco e, anche se era guarito, la malattia l’aveva indebolito molto.
Al suo apparire tutti sorrisero e qualcuno applaudì. Aldo l’oste era venuto con una borsa di bottiglie di vino e tutti erano stati ben contenti di bere, dopo tanto tempo, un bicchiere che non fosse allungato con l’acqua. Qualcuno era andato ben oltre il primo bicchiere.
«Abbiate pazienza, ma non ciò tanta voce», esordì il Dottore. «Due cose ve devo dire.
«La prima è che stare tutti insieme qui stasera è pericoloso. Qualcuno di voi potrebbe essersi preso la tosse, anche se non lo sa. Se è così, tra pochi giorni sarete tutti malati. Ma questa riunione andava fatta, perché molte cose importanti hanno da essere dette, non solo da me.
«La seconda cosa che vi devo dire è che dalla tosse si può guarire: ciabbiamo la cura. Io stesso stavo pe andà all’altro monno. Invece da ieri ho ripreso a visitare i malati, di notte, per non essere veduto da quell’infami de li scagnozzi del Signore Sassosecco. Che se li straportasse la peggiore morte, bastardi maledetti. Dicevo della cura: funziona, ecco, i malati stanno meglio».
«E se te beccano li Spettri?», lo interruppe la Sora Checca.
«E se me beccano li Spettri me se portano via. Ho fatto il medico tutta la vita, mica posso smette proprio mó! Comunque, fino a oggi, in paese ne ho visti pochi»
«Nun ce vengono quasi mai, ar paese, infatti», intervenne Oreste. «Io pe venì qua stasera non ne ho visto manco uno»
«Nemmanco io», confermò qualcuno all’altro lato della cantina.
«Ma è vero che sò li Spettri a portà la tosse?», intervenne Fernanda. La domanda fu seguita da un brusio generale. Il Dottor Nino alzò la mano per chiedere silenzio, poi parlò:
«La tosse non la portano gli Spettri. La tosse la portano i topi! Me lo avete sentito dire già tante volte, ma purtroppo ce sta gente che va raccontando una storia diversa. Non ce dovete da crede a quei balordi! Chi di voi ha cacciato e mangiato un topo?»
Tutti rimasero in silenzio. Il Dottore aspettò qualche istante, poi riprese la parola:
«Nessuno di voi ha mangiato topi, è per questo che non ve siete ammalati! Tutti quelli che se sò ammalati hanno maneggiato le interiora de topo oppure sò stati troppo vicini a gente che ha maneggiato le interiora de topo.
«Forse sarebbe stato utile se qualcuno che sta nella Villa me fosse venuto a chiedere un parere!»
«E allora perché Sorrisone va dicenno ste frescacce?», gridò uno dei braccianti, seguito dal borbottio di tutti.
A quel punto Adele si alzò in piedi e disse:
«Te lo dico io perché!»
Calò il silenzio.
Adele attese qualche attimo, prima di parlare. S’era alzata per un impeto di rabbia, ma poi l’aveva colta l’imbarazzo.
«Perché ce vojono spaventati!», disse e poi si fermò a vedere l’effetto delle sue parole. «Perché quanno semo spaventati diventamo tutti più fessi! E così è più facile facce fare quello che vojono loro!»
«Ma chi?», la interruppe la Sora Checca tra il polemico e il curioso.
«Sorrisone!», intervenne Oreste. «O no?»
«Embè, che è che vole, Sorrisone?», insistette Checca.
«Quello che vuole dire Adele», intervenne Sor Filippo lo stracciarolo, «è che Sorrisone lavora per Il Signore Sassosecco e fa gli interessi del suo padrone. E i Sassosecco hanno sempre voluto na cosa sola: coltivà l’oro. Tanti de noi in questi anni hanno iniziato a protestà, perché non ce sò più campi de grano, dobbiamo portà la farina da fòri, è diventato difficile trovà pure un cespo de insalata! Quanti de noi ciavevano un campo e l’hanno dovuto cede ai Sassosecco? Mi padre ciaveva dieci ettari de tera, lo sapete tutti, ciavevamo mele, pere, ciliegie, l’orto e la vigna! E me sò ritrovato a venne li stracci!»
«Casa mia era l’ultimo pezzetto de terra rimasto senza oro», riprese la parola Adele, «lo sapete tutti! Cianno fatto la guerra a me e mì marito, pe facce annà via! Quer maledetto de Sorrisone è venuto a casa mia a raccontà che mi marito era morto, pe convinceme a venne tutto! Sto farabutto!»
«Embè? E infatti tu marito è morto!», ribatté la Sora Checca.
«Veramente no». Una voce s’era levata dal fondo della sala. Da dietro le spalle di Adele si alzò un uomo che indossava un mantello verde scuro col cappuccio calato sul viso. «Me sento tutto acciaccato, ma mica morto!», disse e si levò il cappuccio.
«Ma chi è questo?», mormorarono nella cantina.
Essere riconosciuti
Antonio aveva alzato in alto un bulbo di giglio:
«Questa è la cura della tosse», aveva detto. E poi aveva iniziato a raccontare la sua storia. Quelli che lo conoscevano da quando era bambino erano sconvolti nel vederlo così invecchiato. Molti altri negavano che potesse essere lui, il cantastorie che vendeva formaggio in giro per i paesi.
Antonio raccontò di quello che aveva visto in città:
«Non ciavete idea de quanto sò ricchi i Signori laggiù. Case ricoperte de oro da cima a fondo!». Poi li spaventò parlando dei cadaveri lungo le strade: «Ce inciampavo de notte, mentre li Spettri me rincorrevano! La città è morta, date retta a me che ce sò stato, nun è vero niente che l’epidemia è scomparsa!». E quando raccontò del folletto qualcuno si mise a ridere, ma intervenne un vecchio che era stato in silenzio:
«Ve stupisce sentì parlà de folletti, però non ve fa strano vedé li Spettri che girano de notte. Io i folletti l’ho visti da ragazzino e ve dico che le vecchie storie sò vere. La foresta era piena. E quanno sò stati tagliati tutti l’alberi cianno giurato vendetta!»
Il vecchio si rimise a sedere imbronciato, perché qualcuno ridacchiava.
«Potete pure pensà che è una frescaccia», riprese Antonio «me importa poco. Quello che conta è che possiamo guarì i malati de tosse. Il Dottor Nino ve l’ha detto, non dovete crede a me». E dicendo questo mostrò ancora una volta il bulbo di giglio.
«E perché non lo vai a dì al Signore?», disse l’oste. «Perché ce dici ste cose de nascosto?»
«Aldo», rispose Antonio «Me conosci da quando ero un ragazzino, venivo all’osteria co mi padre pe sonà le canzoni a tutti voi, manco bevevo vino, pe quanto ero giovane. Pe anni ho girato ste montagne e v’ho raccontato i fatti dei paesi, avete sentito dalla bocca mia tante storie e l’avete sempre credute vere. Mó scegliete voi se crede pure a questa: ste rughe che me vedete in faccia me lo sò fatte lottando e ammazzando uno Spettro Nero.
«Sto qua per dirvi come possiamo salvarci, come salvare le nostre famije. Come salvare la Valle! Perché se non facciamo niente, faremo la fine della città! E ve lo giuro che laggiù la morte ha vinto.
«Aldo me chiede giustamente perché non vado a bussare alla villa dei Sassosecco per mostrargli la cura del nostro male. Io vi dico che non servirebbe perché i bulbi non sò la cura al nostro male! Perché il nostro male vero non è la tosse. Il nostro male vero sta proprio lì dentro alla villa!
«Il nostro male sò i Signori che pe tanti anni cianno costretti a bruciare la terra dei nostri nonni! Hanno raso al suolo la foresta e riempito la valle de oro. E de chi è tutto st’oro?
«Abbiamo chinato la testa pe paura della fame e siamo diventati più affamati de prima! Abbiamo distrutto la nostra valle pe paura della povertà e semo più poveri de prima! E abbiamo scatenato forze che stavano nascoste bel buio!
«L’ortica d’oro è morte! È una maledizione! Li Spettri Neri sò l’anime dei Signori morti che vagano nei campi, condannati a fà la guardia al loro oro per sempre! Dobbiamo interrompe sta maledizione! Dobbiamo ridare vita alla terra nostra e riparare ai danni fatti dai nostri vecchi!»
A quel punto la Sora Checca s’alzò, prese una bottiglia del vino che aveva portato Aldo, riempì un bicchiere e lo porse ad Antonio:
«Quanno ero ragazzina ho incontrato un folletto, nella foresta. M’ha chiesto se volevo esaudire un desiderio, ma io l’ho mannato a quel paese e sò scappata. Perché me l’aveva detto tu nonna».
Antonio mandò giù il vino, mentre la Sora Checca allungava un bicchiere anche ad Adele. Ma in quel momento qualcuno bussò con violenza alla porta.
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Elisabetta says
Riuscita a leggere 7a puntata!
Siamo quasi al finale spero e la suspence è sempre più alta!
Bene in attesa del finale ancora complimenti!
Luca Ricatti says
Grazie!
Sì, siamo quasi alla fine!
Titti says
Sempre emozionante e ora quanto dovrò aspettare per sapere chi ha bussato? Grande Luca alla prossima…
Luca Ricatti says
Manca poco! Grazie mille, Titti!