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Prima Puntata☜
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
Avevano completamente smarrito il senso del tempo. Mino, Aldo e Gigi camminavano forse da venti minuti, forse da un’ora. Il buio era pressoché totale e l’unico modo per non perdere la strada era camminare a tentoni. Se sentivano l’erba sotto i piedi significava che erano usciti dal sentiero. Stavano attaccati l’uno all’altro, parlavano pochissimo e avevano le orecchie tese a sentire gli ululati che giungevano da chissà dove.
«Arièccoli!», disse Mino con la voce strozzata. L’ululato sembrava più vicino, ma poteva essere un effetto del vento che aveva girato.
«Se questi sò cani io sò un sorcio», commentò Aldo.
«Ahó, io ciò paura!», disse Gigi con voce incrinata perché gli veniva da piangere.
Non avevano dove rifugiarsi, stavano scendendo il crinale di un prato montano battuto dal vento. Avevano anche gli stomaci vuoti, l’ultima volta che avevano messo qualcosa sotto i denti era stata poco dopo il mezzogiorno, quando avevano rimediato un mucchietto di albicocche dal contadino che scendeva verso Cinello col suo mulo. Eppure, mangiare non era tra le loro preoccupazioni. L’unica cosa a cui pensavano era non essere mangiati. Senza bisogno di mettersi d’accordo affrettarono il passo tutti insieme. La terra scricchiolava sotto i piedi.
«Ciò paura, ciò paura…», mugugnava Gigi sottovoce.
«Zitto!», lo redarguì Aldo a mezza bocca. Ma il suono dei loro passi era più forte di qualsiasi bisbiglio e di certo si poteva udire da lontano.
D’improvviso furono investiti da una raffica di vento fortissima e si fermarono coprendosi la faccia con gli avambracci, mentre capelli e abiti si scuotevano furiosamente. Finì all’improvviso com’era iniziata. Quando alzarono le teste udirono un fruscio: qualcosa si muoveva sul prato attorno a loro. S’irrigidirono tutti insieme, col fiato mozzo per la paura. Erano circondati. C’erano zampe che calpestavano l’erba e animali che ansimavano. Restare immobili in silenzio era l’unica cosa che potevano fare. I lupi erano perfettamente in grado di vederli al buio e di annusarli, ma d’altra parte fuggire era impensabile.
Discorsi di morte nelle tenebre
Mino non aveva mai provato una paura così. Si accorse quasi per caso di essersi bagnato i pantaloni. Non aveva importanza: di lì a breve lui e i suoi amici sarebbero stati sbranati vivi.
«Sono molto arrabbiato», disse qualcuno. Mino trasalì, perché sapeva a chi apparteneva quella voce. Sentì i suoi amici stringersi a lui, senza fiatare.
«Sapete quanto impiega un piccolo arbusto di faggio a diventare adulto?», proseguì la voce. «Più o meno mezzo secolo. Sono molto, molto arrabbiato. Con me stesso! Ho commesso un errore irreparabile a lasciare che un marmocchio temporeggiasse, mentre un evento catastrofico si preparava in segreto».
Mino cercò qualcosa da dire, ma boccheggiò in silenzio, col cuore che batteva fortissimo. In effetti non era nemmeno sicuro che fosse prudente parlare. Aldo e Gigi potevano sentire la sua angoscia, stavano avvinghiati uno al suo braccio destro, l’altro al suo braccio sinistro. Dovevano aver capito chi avevano di fronte. Anche perché due fessure, simili a due occhietti a mandorla, si erano accese di una luce bianca nella tenebra.
«È senz’altro colpa mia se è accaduto l’irreparabile», disse ancora la voce in un borbottio nervoso. Ma poi assunse un tono serio, quasi solenne: «A questo punto non posso più permettermi di tergiversare in oziosi giochini, è necessario che la vendetta si compia. I miei parenti sono furiosi e spaventati, la colpa è mia e devo porre rimedio. Stanotte, in questo luogo, prenderò le vostre teste e le porterò in dono alle vostre famiglie. Poi sterminerò l’intero villaggio e la pace tornerà in questi luoghi».
Mino, Aldo e Gigi potevano sentire il fiato dei lupi tutto attorno a loro.
«Ho dato ai miei amici, qui», proseguì il folletto, «il permesso di fare banchetto, a patto che lascino intatte le teste…» Ma poi si interruppe e la luce dei suoi occhietti s’affievolì fin quasi a spegnersi. «Voi…», mormorò.
Solo allora Mino si accorse di un rumore di passi alle loro spalle. Si voltò assieme a Aldo e Gigi e la prima cosa che vide fu una lanterna accesa. Quando la luce si fu avvicinata a sufficienza, mostrò la sagoma della persona che la portava: aveva indosso una mantella, ma si poteva intuire che si trattava di una donna. E non era sola, altre due figure la seguivano. Ora i ragazzi potevano vedere i lupi che li circondavano: erano cinque e il più grosso era cavalcato da un omino alto come un bambino di quattro o cinque anni, vestito come un nobile.
«Bonasera, Falerio», disse la donna.
«Taci!», strillò con voce acuta il folletto, mentre gli occhi si riaccendevano furiosi. «Cosa pronunci il mio nome, davanti ad altri!» Poi disse in tono più pacato: «Perché siete qui?».
«Pare che certi ragazzini sò venuti su da Lapile a chiede aiuto. Dice che uno spirito dei boschi je dà il tormento. Se ne vanno in giro da soli de notte. Ma è pericoloso, ce stanno i lupi».
«I ragazzini di cui parli mi devono le loro teste».
Il lupo grosso emise un ringhio basso e tutti gli altri si voltarono verso la donna.
«E che ce fai co le teste de sti marmocchi?», chiese lei, che poi si accovacciò e mostrò alle belve il palmo della mano. Immediatamente tutti e cinque gli animali si avvicinarono ad annusarla e la donna li accarezzò sul muso uno per uno, come fossero docili cagnolini. Il più grosso, quello col folletto sulla schiena, si mise a leccarle le dita. «Potemo fermà l’incendio», disse rialzandosi, mentre le bestie la fissavano scodinzolando.
«E come?»
«Il torrente»
«Impossibile, non ascolta nessuno»
«A me m’ascolta»
«Voglio comunque le teste dei ragazzini. Il padre di questo giovane infelice è colui che ha appiccato il fuoco. Lo aveva già fatto in passato e per questo avevo deciso di punirlo. Ma ho perso tempo in stupidi giochetti e quel malnato è tornato all’opera. Ho intenzione di consegnargli la testa del figlio su un piatto, prima di sterminare tutto il villaggio».
«Non pòi ammazzà tutti», disse una delle figure che stavano alle spalle della donna con la lanterna. Mino, Aldo e Gigi trasalirono, perché riconobbero la voce di Lella.
«Non posso? Certo che posso!», ringhiò il folletto. «E lo voglio! Lo devo!».
«Lascia perde i ragazzini», intervenne una terza donna. «E i paesani. A che te serve na strage de innocenti? L’incendio mica se ferma, se ammazzi tutti».
«Ho fatto una promessa, qualche anno fa. Lo sapete perché eravate presenti. Ho giurato che la punizione sarebbe stata spietata, se gli uomini avessero disturbato la foresta. La stanno distruggendo!»
«Ma forse la potemo salvà», disse la donna con il lume.
«Bene, fatelo», rispose il folletto. «Questo non mi dispensa dal mantenere il mio giuramento».
«E vabbè! Prenni i colpevoli, er padre de sto ragazzino e quelli che l’hanno aiutato. Ma lascia perde tutti l’altri».
«Non mi pare sufficientemente crudele», rispose il folletto.
«Sò sicura che lo trovi, er modo de esse crudele. Se fai così noi fermamo l’incendio. Ma se ammazzi i ragazzini tornamo a casa e non se ne fa niente».
Il folletto rimase in silenzio per alcuni istanti. I cuori di Mino, Aldo e Gigi battevano all’impazzata: in quei brevi istanti si stava decidendo il loro destino.
«Però allora il bamboccio deve farsi esaudire un desiderio», disse infine il folletto.
La lanterna fremette.
«Perché?»
«Gliel’ho promesso».
La donna puntò il lume sui volti dei ragazzi.
«Chi è? Chi è de voi tre?», chiese.
«Quello al centro», disse Lella. «È lui er fijo del colpevole».
Mino non poteva vedere il viso della sconosciuta, perché aveva la luce negli occhi, ma era certo che lo stesse fissando.
«È vero?», gli disse. «Hai chiesto un desiderio ar folletto?»
Mino balbettò:
«S… Sì… No… Embè, na sera… Stavo ai Sassi, da solo, era mezzo buio… Ciavevo paura… è sbucato da na grotta e m’ha detto ‘lo vòi che t’esaudisco un desiderio?’…»
«E j’hai detto de sì?»
«Me la stavo a fà sotto… Così me lasciava in pace, pensavo…»
La donna tacque per un istante, poi disse:
«Quando na creatura fatata fa na promessa la deve mantené. Te sei ficcato in un bel guaio». La donna si accovacciò. Posò a terra la lampada e mise una mano sulla spalla del ragazzo. «Come te chiami?», chiese.
«Massimo, ma me chiamano tutti Mino»
«E te chiamame Nannina. Ascoltame bene, Mino. I desideri sò cose potenti, come na specie de magia. Certe creature, come sto folletto qua, li possono usà contro de te. Devi sta molto attento a quello che dici».
«Siamo d’accordo?», incalzò l’essere fatato.
Nannina si alzò e lo guardò attentamente «Lui te dice il desiderio e poi lasci andà tutti e tre i ragazzini», rispose Nannina. «Noi fermamo l’incendio. Tutti i paesani innocenti sò salvi».
«Gli innocenti», sottolineò la creatura fatata.
«Gli innocenti», disse la donna, che poi si voltò verso le compagne:«Marietta, bisogna che vai avanti a vedé indove sò arivate le fiamme. Io e Lella annamo alla fonte del torrente. Aspettace là, arivamo all’alba».
Senza dire più niente, lei e Lella s’incamminarono e la terza donna si sollevò. I ragazzi sobbalzarono, vedendo la sua ombra salire verso il cielo stellato, allontanandosi dal cono di luce della lanterna.
«Queste sò streghe vere…», borbottava Aldo con la voce tremante.
«Vojo annà a casa…», piagnucolò Gigi.
«Fate silenzio!», disse il folletto imperioso. «Veniamo a noi. Tu, Massimo figlio di Fausto, esprimi il tuo desiderio ora. Non tornerete a casa se non decidi adesso. Ucciderò i tuoi amici, non sfidarmi ancora».
«Non pòi, l’hai promesso alle streghe!», disse Mino.
«È vero. Allora vediamo… Vi seppellirò dentro questo prato fino al collo e vi lascerò qui. Insetti e animali banchetteranno con le vostre facce. Questo non infrange la promessa».
«Dije qualcosa!», urlò Gigi strattonando Mino per un braccio.
«Facce tornà a casa!», disse Mino. «Desidero che ce fai tornà a casa subito!».
Gli occhi luminosi del folletto si sgranarono:
«Fai sul serio?», chiese tra il deluso e lo sbalordito. «Hai a disposizione tutti i desideri del mondo e mi chiedi una simile idiozia?»
I ragazzi si accorsero improvvisamente tutti insieme che c’era una lampada accesa in terra, davanti ai loro piedi.
«Vi lascio questa, i lupi vi guideranno per la via più breve, sarete a casa in un paio d’ore. Ma questo non conta, è un desiderio troppo sciocco. Adesso esprimine uno come si deve!»
«Pensa a qualcosa che te piacerebbe!», lo incalzò Aldo.
«La prima che te viene in mente!», supplicò Gigi.
«Devo sta attento!», disse Mino fra i denti. «Avete sentito la strega?».
«E dinne uno che cià solo cose belle!», ribatté Aldo.
«Tipo?»
«Che ne so, che sò tutti felici!»
«Zitti, fateme pensà…»
«Non ho tutta la notte», abbaiò il folletto. «Se non ti sbrighi giuro che vi seppellisco».
«Un attimo!», protestò Mino.
A quel punto, Aldo gli posò una mano sulla schiena, in un gesto di conforto. Ma Mino aveva ancora le ferite mezze aperte e fu colto da una fitta di dolore. E, d’improvviso, gli venne in mente suo padre: lo vide mentre si sfilava con calma assoluta la cinta dai passanti, mentre impartiva ordini a Cornacchia e agli altri suoi scagnozzi. Pensò a quanto dolore aveva provocato e avrebbe continuato a provocare.
«Lo so che vojo», disse il ragazzo.
Gli occhi del folletto dardeggiarono.
«Vojo che capisce. Mi padre. Vojo che capisce er male che sentono l’altri. Pe le cose che fa… Pe le cose c’ha fatto. Vojo che lo sa. Così magari la smette. Forse no, però vojo esse sicuro che lo sa quanto fa male. Lui pensa ai denari, alla terra… Alla gente che se scappella quanno passa lui… Ma tutte ste cose ce l’ha perché l’altri stanno male e io vojo che lo sa. Forse non je importerà niente, ma io vojo esse sicuro che lo sa». Tirò su col naso e con un gesto quasi rabbioso si strofinò una manica sulla faccia fradicia di lacrime. «Ecco, er desiderio mio è questo».
Ci fu un momento di silenzio. Gli occhi del folletto brillavano sempre più intensamente. Poi disse:
«Si può fare». Gli si accese un sorriso spaventoso. Poi la creatura fatata smontò dalla groppa del lupo e s’infilò nella notte, come se ci fosse stata una porticina invisibile.
Fiamme
Si muovevano nel fitto del bosco, tra cespugli di rovi irti di spine. Due lupi erano davanti a loro, gli altri tre li seguivano. Mino precedeva i suoi amici tenendo la lampada.
«Ahó, ve posso dì na cosa…?», disse Aldo «Io me la sò fatta addosso…»
«Io pure», rispose Mino.
«E io pure», fece Gigi.
«Sò malvagi, sti folletti», fece Aldo con la voce incrinata, uno strano tono a metà tra il pianto e la rabbia. «Nun ciò mai avuto tanta paura, porco diavolo! Ce voleva mozzà la testa a tutti e tre, quer maledetto!»
«Me fà sembrà simpatico perfino tu padre», disse Gigi a Mino.
«A sto punto se brucia tutta la foresta sò contento, così se ne vanno, sti folletti assassini», disse Aldo.
«Se non era pe quelle streghe…», fece Gigi, che però s’interruppe, perché andò a sbattere alle spalle di Mino. «Perché te sei fermato?»
«Sò i lupi che se sò fermati», rispose Mino.
In quel momento il capobranco emise un guaito, poi s’infilò tra due cespugli di rovi. Lo seguirono tutti. Dopo un attimo giunsero in una radura e lì il branco si riunì in gruppo. Alla luce fioca della lanterna, i ragazzi videro che le bestie annusavano l’aria. D’improvviso si udì un fruscio e un rumore di zoccoli: una cerva spuntò dagli alberi con un balzo. I lupi non le saltarono addosso, né la seguirono e la cerva scappò nella direzione opposta da quella da cui proveniva. Le belve continuavano ad annusare l’aria, facendo strani versi gutturali. Poi si udì un frusciare di foglie ancora più forte, accompagnato da terribili gemiti. Fu un suono terrificante, lì nella tenebra della foresta. Dal buio spuntò un branco di cinghiali. I ragazzi gridarono, Mino fece un passo indietro urtando Gigi e tutti e tre ruzzolarono a terra. La lampada andò in frantumi. I cinghiali correvano come furie, nella stessa direzione in cui era fuggita la cerva. Alcuni dovevano essere cuccioli, ma era tutto troppo buio. L’ultimo del gruppo, un esemplare adulto e molto grosso, guaiva più forte di tutti: aveva la pelliccia in fiamme. S’infilò in mezzo ai cespugli e sparì. I Lupi cominciarono ad abbaiare come cani e a ululare. Il cespuglio in cui s’era infilato il cinghiale in fiamme si accese e in breve fu avvolto dal fuoco. I lupi presero a correre.
«Seguiteli!», gridò Mino.
+++FINE DELLA QUINTA PUNTATA+++
☞SESTA PUNTATA
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