Questo è un racconto a puntate, per leggerlo integralmente devi partire dalla
Prima Puntata☜
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
D’improvviso fu immersa in un silenzio rotto solo dal suono di gocce che stillavano dalla roccia. Era un passaggio stretto, in cui si doveva cercare la via tastando la parete fredda e bagnata. Nannina ringraziò di avere delle vere scarpe ai piedi, ma faceva piccoli passi per assicurarsi di non affondare in un buco e sperando di non calpestare chissà cosa. Dopo alcuni metri la mano che seguiva la roccia trovò il vuoto e la bambina capì che nello stretto corridoio se ne apriva un altro. Lì dentro, la roccia rifletteva un chiarore che danzava su fessure e prominenze: da qualche parte ardeva una fiamma. Seguì il secondo tunnel, sempre poggiando le mani lungo la pietra, controllando ogni singolo passo e, dopo pochi metri, trovò la caverna.
Era piccola ma molto alta, con pareti che curvavano formando una cupola quasi perfetta, forata da un piccolo buco che evidentemente si apriva sul fianco della montagna. Al centro si consumava un falò e tutto intorno c’erano oggetti di uso quotidiano, coperte, legna da ardere, barattoli e pentole, tante pentole. C’era perfino una piccola vecchia madia, sopra la quale erano accatastati alcuni libri. Altri libri stavano impilati sopra degli stracci stesi sul pavimento.
Accanto al fuoco c’era la vecchia, china a rimestare in un pentolino.
«Hai portato er pane?», chiese.
Nannina, che credeva di essere stata silenziosa, sobbalzò per lo spavento. Poi balbettò qualcosa e tirò la tracolla della sacca che portava sulla schiena, per girarsela sulla pancia. Snodò il laccio e tirò fuori una grossa pagnotta, sfornata dalla madre proprio quella mattina. Aveva mandato Ettore a rubarla da casa, prima di lasciare il paese. Si avvicinò alla vecchia senza dire niente e gliela porse.
«Poggiala sul mobile», disse quella senza guardarla.
Nannina obbedì, andò a posare il pane sulla madia, accanto ai libri.
«Te posso fà vedé na cosa?», chiese.
La vecchia non rispose subito, continuò a fare le sue faccende per alcuni minuti. Infine disse:
«Famme vedé».
Nannina si avvicinò e le porse la collana con gli ossi e la clessidra che Renzo aveva rubato al padre.
La vecchia se la rigirò tra le mani, poi disse:
«Era tanto, tanto tempo… Alla fine è arivato pure qua, quell’infame…» Riconsegnò la collana alla bambina, poi chiese: «Sai lègge?».
«Un po’», disse Nannina con voce incerta.
«Che vole dì un po’? O sai lègge o non sai lègge», fece la vecchia con tono distratto. Poi tirò su il mestolo dal pentolino e assaggiò una brodaglia bollente risucchiando rumorosamente. «Viè qua», disse.
Nannina si avvicinò e la vecchia le porse il mestolo:
«Soffia che scotta».
«Che è?», chiese Nannina.
«Che te frega? Sei venuta a chiede favori, perciò te tocca fà quello che dico io. Bevi e zitta».
Nannina soffiò due o tre volte per prendere tempo, ma alla fine fu costretta a mandare giù un sorso di brodaglia: era amara, molto aromatica.
«Tutta», fece la vecchia.
Pur desiderando con tutta se stessa di sputare e lanciare il mestolo, Nannina ne inghiottì tutto il contenuto, più velocemente che poteva. Un calore improvviso le invase il petto, come se le avessero appiccato un fuoco dentro e pensò che la vecchia l’avesse avvelenata.
«Ma che m’hai avvelenata?»
«Ma che avvelenata e avvelenata! Me manca solo de dovemme trascinà fòri un cadavere, co sta schiena che ciò. Va’ a vedé sul mobile. Ce sta un libro grosso e marrone, sulla copertina ce sta una serpe, niente titolo. Pagina trecentonovantaquattro, me pare».
Nannina andò al mobile e trovò il libro. Non dovette cercare, era già in cima agli altri e c’era un pezzo di stoffa logora infilato a mo’ di segnalibro, posizionato alla pagina che aveva detto la vecchia. Il che era una gran fortuna, pensò la ragazzina, perché quel numero sembrava davvero difficile da trovare. Ora, però, avrebbe dovuto leggere e questa era tutt’altra faccenda. All’inizio della pagina c’era un bellissimo disegno colorato, al centro del quale riconobbe una grossa lettera A; dentro questa c’era una uomo con una lunga barba e una lunga tunica, fermo davanti a una porta chiusa e con due grosse chiavi in mano; accanto a lui, in terra, c’erano un cane che lo guardava e una lanterna che conteneva una fiamma ardente; tutto intorno alla grande A si stagliava un perfetto arcobaleno. Era un capolettera dipinto a mano, ma Nannina non sapeva cosa fosse un capolettera.
«Và alla settima riga», disse la vecchia.
Nannina, poggiò il dito indice sulla prima riga della pagina. Il testo era interamente vergato a mano. Fece scorrere il polpastrello sul foglio: uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette; si fermò su una parola che iniziava con la S maiuscola. Ma in quel momento percepì qualcosa con la coda dell’occhio. Si voltò a destra e, nell’angolo buio al fondo della parete, vide una farfalla colorata che batteva le ali.
Fiori e farfalle
La farfalla volò verso Nannina, le girò attorno alcune volte e tornò verso la parete buia. Voleva essere seguita e Nannina la seguì. Quando giunse al fondo della parete, vide che c’era un ampio varco aperto su un prato assolato, pieno di fiori colorati come la farfalla, cespugli e alberi. La farfalla si posò su uno dei fiori e si voltò verso Nannina. Siccome la ragazzina esitava, la farfalla volò verso di lei, le girò attorno e poi tornò a posarsi sul fiore. Allora Nannina la seguì e quando giunse trovò un’orchidea viola come l’ultimo cielo del tramonto. La farfalla riprese il volo e si posò sul fiore successivo ad attendere la bambina che, quando la raggiunse, vide che si trattava di una camelia, bianca come una solitaria nuvola d’estate. Poi venne un papavero grande come il palmo di una mano e poi una rosa azzurra.
Nannina continuava a seguire la farfalla, ma questa seguitava a spostarsi ogni volta che le si avvicinava.
«Dove me porti?», le chiedeva, ma appena si fermava la farfalla si metteva a girarle attorno e poi andava a posarsi su un altro fiore. Nannina la seguiva, continuando ad allontanarsi lungo dolci prati assolati e pieni di colori che non avevano fine.
«Non posso, devo tornà, i bambini m’aspettano e devo chiede aiuto alla vecchia!». Ma la farfalla continuava a invitarla e Nannina si lasciava attrarre da altri fiori, ancora e ancora. Intanto sembravano passare ore, eppure il sole splendeva sempre alto e il cielo era sempre azzurro.
«Farfalla, dimme indove me porti! Devo continuà a guardà i fiori, sempre altri fiori? Non c’è una fine?» E la farfalla ancora le girava attorno per chiamarla e poi la conduceva a un tulipano, a un giglio, a una calendula. E sembravano passate ore, giorni, settimane.
«Farfalla, bella farfalla, io vorrei restà qua co te a passà da un fiore all’altro pe sempre, ma m’aspettano! Devo andà via da sti prati», disse. La farfalla prese a girarle attorno alla testa e Nannina provò a ignorarla, ma quella le si mise davanti agli occhi, per impedirle di vedere la strada del ritorno e costringerla a voltarsi verso i fiori. E stava per farlo ancora, Nannina ma poi, chissà da dove, le apparve il viso di suo fratello Ettorino che le chiedeva di andare a giocare. E pensò che lui e i suoi amici la aspettavano da ore, mesi, forse anni.
La farfalla le voleva mostrare un ultimo fiore, ancora uno.
«Ce ne sta sempre un altro, non è mai l’ultimo», disse la voce di Ettorino nella testa di Nannina.
Allora la bambina cacciò la farfalla con le mani e si mise a correre indietro, per tornare alla grotta della vecchia.
E scoprì che si trovava esattamente lì.
Lettere
All’improvviso non c’erano più prati assolati, né colori, ma solo la fioca luce del falò e il tepore umido della caverna. Nel buio improvviso, Nannina si trovò a sbattere gli occhi e a girarsi intorno frastornata. Era tanto confusa e iniziò a pensare di aver fatto un sogno, ma così vivido da sentire ancora il profumo dei fiori nelle narici e la luce del sole nelle pupille. Cercò a tastoni il ripiano della madia dove era poggiato il libro, per sostenersi, visto che la testa le girava tanto da farle temere di perdere l’equilibrio. Gli occhi si riabituavano molto lentamente alla penombra, ma ora riusciva a distinguere alcune forme.
La prima cosa che vide fu la grande lettera A circondata dall’arcobaleno e l’uomo con la lunga barba e la lunga tunica intento a usare le sue chiavi.
Ne girò una nella serratura e la porta si spalancò su un prato assolato con fiori e farfalle, l’erba ondeggiava in un vento tiepido e l’aria profumava di primavera…
«La settima riga!», tuonò la voce della vecchia. Fu di nuovo penombra e il suono scoppiettante del fuoco e il rumore del mestolo nel pentolino. Nannina si voltò:
«Ecco, sto qua… ma c’era quella farfalla, voleva che la seguivo… E poi questo signore con la barba lunga, qui…» Nannina guardò il disegno, ma l’uomo era fermo, con le chiavi strette nella mano, e la porta era ancora chiusa.
«Ma che stai a dì?», chiese la vecchia con aria distratta, apparentemente concentrata solo sulla brodaglia che ribolliva. «Io non t’ho mica detto niente».
«La settima riga!», tuonò ancora una voce nella testa di Nannina. Ma non era sicura che fosse quella della vecchia, che d’altronde se ne stava tranquilla a trafficare sul pentolino.
Guardò alla sua destra e vide chiaramente che la parete della caverna non aveva alcuna apertura. E poi come avrebbe potuto passeggiare in un soleggiato prato fiorito, quando era autunno inoltrato e fuori tirava un freddo vento di tempesta?
«La settima riga!», sentì ancora gridare, ma stavolta la voce era chiaramente quella di suo fratello Ettore. Ma Ettore non era lì e Nannina prese a toccarsi il viso e il collo, cercando di capire se stesse sognando o fosse sveglia. La sensazione del tocco delle mani le sembrò normale e reale: era tornata in sé?
Si girò ancora verso la vecchia e disse con voce tremula:
«Ma che m’hai dato da beve?»
«Ahó, ma quante domande che fai! Quello che voi sapé sta scritto su quella pagina. Mó se sai lègge, leggi, sennò lasciame fà, che ciò tante de quelle cose pe la testa!»
Nannina, tornò a guardare la pagina scritta. Ora la vedeva chiaramente, perché gli occhi si erano di nuovo abituati alla penombra, Ma, siccome nel frattempo aveva perso il segno, contò di nuovo strisciando il dito sul foglio: uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette. Poi cercò di ricordare il suono di quelle lettere. Nella mente tornarono i segni tracciati col gesso bianco sulla lavagna: sei mesi di scuola, questo era tutto ciò di cui disponeva.
Saper leggere
L’arrivo in paese della maestra, un anno e mezzo prima, era sembrato il segno di un grande cambiamento, un’opportunità per i bambini e i ragazzi e c’erano adulti che giuravano che avrebbero partecipato alle lezioni insieme ai più piccoli. La maestra tuttavia se ne andò sei mesi dopo, odiava stare lì, odiava i bambini e l’odore di campagna che si portavano addosso; nessuno se ne stupì perché non faceva mistero del suo disprezzo per i paesani, giovani o vecchi che fossero. Con la sua bella gonna e le scarpe di buona fattura era salita sul carro di un venditore per farsi riportare in città in una mattina di maggio, quando i papaveri erano in fiore.
Ma le lettere vergate col gesso erano ancora lì, sulla lavagna comprata con una colletta, e ogni volta che i ragazzi entravano nella vecchia stalla che era stata la loro aula, Nannina guardava i segni e ne ripeteva i suoni, decisa a non dimenticarli.
Ora guardava quella settima riga, ma le parole erano strane, tracciate da qualcuno vissuto tanto, tanto tempo prima, quando forse si scriveva e si parlava in modo differente. Faticò a lungo per interpretare quelle poche righe, perché le lettere sbocciavano nella sua memoria come sbocciano i fiori nei prati, quando è il tempo giusto e non prima.
Ecco cosa c’era scritto:
«Solo colui che ha lo core puro puote trouare la porta naſcoſta; egli dourà attendere la fine de una grande pioggia e recarſi nello loco deſcritto nella mappa. Giunto colà havrà da tracciare lo segno magico & recitare la formola. Così ei giungerà là oue alzaſi lo arcobaleno»
Sotto queste righe trovò un disegno, un cerchio che conteneva un quadrato. Nella parte inferiore del cerchio, attaccate alla sua circonferenza, c’erano le seguenti parole:
IRIDISOS TIUMMA PERIRE
Nannina lesse le tre parole ad alta voce, provando a dar loro un senso, ma le sembrarono comunque troppo strane.
«Non sta mica là», disse all’improvviso la vecchia.
La bambina si voltò, ma non riuscì a dire niente, si limitò a guardare la donna con aria confusa.
«La mappa che dice il libro non sta mica là», ripeté e poi, da qualche tasca nascosta tra gli stracci che indossava, tirò fuori un foglio ripiegato di carta ingiallita. Nannina fece per avvicinarsi, ma la vecchia tirò indietro la mano e chiese:
«Te lo ricordi quello che hai letto?»
La ragazzina si voltò di nuovo verso il libro e lesse ancora, ad alta voce:
IRIDISOS TIUMMA PERIRE
«Non solo quello, tutto!», ammonì la vecchia.
Nannina la guardò, senza voltarsi verso il libro:
«Sì», rispose decisa.
La partenza
Ettorino se ne stava rannicchiato sull’erba vicino alla parete di roccia, abbracciato alle proprie ginocchia per proteggersi dal freddo. Accanto a lui c’era Renzo, poi Gianni, Marietta e Lelletta. Il vento batteva forte e stare fermi peggiorava le cose. «Ma quando torna?», chiedeva qualcuno. «Forse dobbiamo entrare a cercarla…», diceva qualcun altro. Ma poi restavano tutti con le teste chine, per non disperdere il calore, immobili e silenziosi perché erano bambini e avevano paura di entrare in una grotta abitata da una strega.
Così nessuno vide Nannina, quando uscì dalla fessura nella roccia. La ragazzina rimase in piedi davanti agli altri, pensierosa, perché non era sicura di cosa fosse giusto dire. Alla fine prese fiato e parlò:
«Bisogna fà la cerca dell’arcobaleno».
Tutti alzarono la testa di scatto e la guardarono a bocca aperta. Poi fu una gran confusione, balzarono in piedi tutti e le andarono a saltellare intorno tirandola e gridando:
«Ch’è successo?»
«C’era la Vecchia delle Pentole?»
«Che t’ha fatto?»
«Te voleva coce in pentola?»
«L’hai ammazzata?»
«Ahó!», gridò Nannina per zittirli e strattonando per liberarsi dalle loro prese. «Bòni un po’! Tocca fà una cosa. Stateve zitti che ve lo dico».
I bambini si calmarono un po’, ma fremevano. Nannina prese un altro respiro, prima di proseguire:
«Tocca fà un viaggio. È una cosa pericolosa e voi non potete venì. Ce vado da sola. Quindi mó tornate tutti a casa e io me ‘ncammino». Guardò Ettore: «A mamma e papà je dici che nollo sai ‘ndove sò andata, che tu stavi a giocà in piazza co gli amici e non m’hai visto».
«Ma ‘ndo devi annà?», chiese il fratello e aveva già le lacrime agli occhi. Gli altri rimasero zitti.
«A fà la cerca dell’arcobaleno», rispose Nannina.
«La che?», fu il coro di risposta.
«La cerca dell’arcobaleno. Vol dì che devo annà a cercà l’arcobaleno. Sarebbe a dì indove inizia, da dove nasce. Là ce sta la magia pe caccià quer nasone col cappuccio e il suo incantesimo. È il servo de un mago cattivo, me l’ha detto la vecchia». Guardò negli occhi i bambini uno per uno: «Non dovete dì niente ai grandi!», disse serissima. «Se lo scopre er nasone ce fa del male a tutti! Zitti dovete sta! E mó annatevene a casa»
«Manco pe niente!», strillò Ettorino e tutti si voltarono a guardarlo. «Manco pe niente ce vai da sola! Io vengo co te!»
Nannina lo guardò stupita, perché era l’ultima reazione che si sarebbe aspettata da suo fratello. Stava per obiettare qualcosa, ma fu interrotta da Renzo:
«Vabbè allora vengo pure io, che se è pericoloso è mejo che semo in tanti, no?»
«Ma che siete tutti matti?», strillò Lelletta. «Ma ‘ndo volete andà? Sò cose da streghe, se finisce morti ammazzati e dritti all’inferno!»
Si guardarono, erano tutti impauriti e allora Nannina disse:
«E infatti ce devo andà da sola. Qualcuno lo deve fà, perché i nostri genitori moriranno. La stregoneria der nasone dopo un po’ li ammazzerà, me l’ha detto la vecchia. Ce devo andà io»
«Manco pe niente ce vai da sola!», insisté Ettorino.
«Se ce va Ettore ce vado pure io!», ribadì Renzo: «E penso che ce dovemo andà tutti, perché non è giusto che fa tutto Nannina. È na cosa che ce riguarda a tutti!»
«Io vado co Nannina!», disse Marietta. E siccome era la più piccola del gruppo, tutti immediatamente si chiesero se dovessero impedirglielo. Il fratello Gianni era titubante, ma sapeva che Marietta avrebbe fatto il diavolo a quattro per seguire Nannina in capo al mondo.
«Siete tutti matti», protestò Lelletta.
«E daje, Lellé», disse Gianni un po’ incerto.
«Non me chiamo Lelletta», rispose lei.
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Elisabetta says
Bene sono contenta di aver trovato due puntate nuove insieme e così avvincenti! Ora Luca dovrai fare presto a finire di scrivere la quinta perché vogliamo sapere cosa succede a questi piccoli eroi
Mentre leggevo le ultime puntate immaginavo questa storia ambientata in un borgo e sui monti della Sabina
Bello?
Luca Ricatti says
Grazie!
La Quinta è in dirittura di arrivo.
Leonardo says
Ciao Luca, complimenti davvero.
Sono un accanito lettore di racconti di varia tipologia e sono rimasto impressionato dal tuo stile.
Non mi stupirei di vedere un tuo testo pubblicato su una collana come Urania della quale aono apppasionato.
Continueró a seguirti aspettando il seguito della tua opera.
Luca Ricatti says
Ciao Leonardo,
un grazie di cuore per queste bellissime parole!
Gianni says
Bello anche questo episodio Rimango in attesa del prossimo sperando di non dover aspettare troppo. Bravo ti rinnovo i miei complimenti.
Luca Ricatti says
Grazie, il prossimo è quasi pronto!
Gianni says
È una bella favola che sa di tempi antichi. Ho rieletto tutta la storia dall’inizio un po perché la mia memoria fa cilecca un po per entrare completamente nell’atmosfera di quella realtà fantasiosa che ti sei immaginato e che hai rappresentato con maestria, coinvolgendo il lettore. Sei riuscito a creare una cosa bella. Complimenti
Luca Ricatti says
Grazie!!!