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Prima Puntata☜
☜Indice dei Racconti della Foresta d’Oro
Nell’ora del tramonto, sei bambini calpestavano l’erba bagnata del pascolo sotto la vetta del Monte Muto, preceduti dalle loro ombre lunghe come deformi esseri magici. Non avevano idea di dove andavano né di quanto c’era da camminare, non sapevano neanche cosa cercavano. Il buio avrebbe potuto trovarli mentre erano ancora in viaggio e questo li spaventava, ma erano determinati ad andare avanti. Almeno quasi tutti. Se alzavano il naso all’insù vedevano un cielo terso, ma di fronte a loro pesanti nuvole sovrastavano le cime orientali scaricando pioggia.
«Eccolo, eccolo là!», gridò Marietta col braccio teso e il dito indice puntato verso i monti.
«È il più bello che ho mai visto!», disse Renzo.
«È lontanissimo e il sole tramonta!», protestò Lelletta. «Che famo quando fa buio?»
«Dobbiamo per forza arrivà prima che fa buio», rispose Nannina, che guidava il gruppo. «Quindi forza, allungamo il passo».
Era effettivamente l’arcobaleno più grande che si fosse mai visto. I colori erano così intensi che sembravano dipinti nel cielo da un immenso dio delle montagne.
«A me me sembra che diventa più grande», disse Gianni.
«E più colorato», concordò Ettore.
«Vole dì che ce stiamo avvicinando?», chiese Marietta.
«Non pò esse, l’ha detto la maestra quel giorno a scola, non ve ricordate?», intervenne Lelletta. «Quel giorno che pioveva e dalla finestra se vedeva l’arcobaleno, ha detto che è un effetto del sole, che non ce se pò arrivà!»
«Non dovemo arrivà all’arcobaleno», replicò Nannina. «Dovemo arrivà a un cerchio: na roccia, un recinto, qualcheccosa de tondo».
«Perché?», chiese Renzo.
«C’è disegnato così, sulla mappa che m’ha dato la Vecchia delle Pentole», rispose Nannina.
«Uno cerchio de terra non va bene?», chiese Ettore.
«Un che?»
«Una cosa tipo questa!». Ettore indicò uno spiazzo di terra brulla proprio davanti a loro.
«È tondo», disse Gianni.
«Sì, è tondo», concordò Nannina, che allora aprì la mappa, che era disegnata su un foglio dall’aspetto molto antico, ma conservato bene. Mostrava delle montagne nel lato superiore, in quello sinistro c’era il sole che tramontava dietro alcune cime e una linea tratteggiata orizzontale attraversava il disegno fino a raggiungere un cerchio; nel lato destro del foglio c’erano disegnate altre montagne, sovrastaste da nuvole e da un arcobaleno stilizzato.
Nannina abbassò la mappa, pensando che lo spiazzo di terra senza vegetazione che aveva davanti somigliava al cerchio disegnato sulla mappa. Oltre lo spiazzo vedeva le montagne, sovrastate dalle nuvole e dall’arcobaleno.
«Vabbè, tanto vale provà», disse.
Iridisos Tiumma Perire
Prese un sasso e tracciò un grande cerchio nella terra umida, poi un quadrato i cui angoli toccavano la circonferenza
«Che stai a fà?», chiese Ettore.
«Ce sta scritto nel libro che m’ha fatto vede la vecchia», rispose Nannina.
«Ma te mica sai lègge!».
«E invece sì! Cioè, un po’. Comunque è così che ce sta scritto».
«Ma è na magia?», chiese Marietta.
«Boh, me sa de sì», rispose Nannina.
«Aho, Nannina sta a fà na magia!», gridò la piccola e allora anche Gianni, Renzo e Lelletta corsero a vedere cosa succedeva.
Nannina si mise fuori dal cerchio, insieme ai suoi amici. Con la mano sinistra stringeva quella di Marietta, con la destra quella di suo fratello. Si tenevano tutti per mano, avevano spontaneamente formato una catena.
«Iridisos Tiumma Perire!», gridò Nannina. Aveva continuato a ripetere a mezza bocca per tutto il tragitto la formula letta sul grimorio della vecchia, per paura di dimenticarla. Aveva imparato a fare così ai tempi della scuola, quando tornava a casa dopo la lezione nella stalla ripetendo sottovoce tutte le lettere dell’alfabeto, per fissarle nella testa. Era diventata brava a imparare le cose a memoria.
Il vento soffiava forte, spazzava i prati e agitava i capelli dei bambini.
«Che deve succede?», chiese Renzo.
«Non lo so», rispose Nannina. «Dovemo trovà una porta, credo». Poi gridò più forte: «Iridisos Tiumma Perire!».
Non accadde nulla.
«Sei sicura che la formula è giusta?», chiese Gianni.
«Io non me scordo le cose», rispose secca Nannina. «Iridisos Tiumma Perire, Iridisos Tiumma Perire, Iridisos Tiumma Perire!», gridò sempre più forte. Ma tutto era sempre uguale.
Allora Ettore urlò a sua volta: «Irisos Tumma Pire!»
«No, è Iridisos Tiumma Perire», lo corresse la sorella. Ma siccome Ettorino faticava a pronunciare la formula, la ripeté insieme a lui, più volte. Allora si unì anche Marietta. E poi li seguirono Renzo e Gianni.
«Iridisos Tiumma Perire, Iridisos Tiumma Perire, Iridisos Tiumma Perire!», gridavano tutti in coro. Tutti tranne Lelletta. Gianni, che le teneva la mano, se ne accorse e la fissò negli occhi strattonandola finché non la convinse a pronunciare la formula insieme agli altri.
«Iridisos Tiumma Perire, IridisosTiummaPerire, IridisosTiummaPerire!», urlavano tutti e sei i bambini e all’improvviso sembrò che il quadrato che Nannina aveva disegnato all’interno del cerchio non fosse più in terra, ma dritto davanti a loro. Rimasero inebetiti. No, doveva essere un effetto della luce, o forse la stanchezza. Era un solco nella terra, eppure non era nella terra.
Renzo balbettò: «Ma che…»
«Shhh!», lo zittì Nannina. «Iridisos Tiumma Perire!», disse ancora, agitando le mani di Ettore e Marietta che stringeva nelle sue, per incitarli a imitarla.
«Iridisostiummaperire, Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire!»
No, forse non era esattamente un quadrato, era più alto e stretto.
«Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire!»
Continuavano tutti sbattere le palpebre e a strizzare gli occhi, perché un solco non può stare in quella posizione.
«Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire!»
E in effetti, a guardare meglio, forse era qualcosa di più solido.
«Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire!»
Tipo una cornice.
«Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire!»
Sì, era decisamente una cornice!
«Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire!»
Ma perché stavano fissando una cornice vuota, alta più di uomo e piantata al centro di uno spiazzo di terra brulla in un pascolo?
«Iridisostiummaperire! Iridisostiummaperire! Iridis Ostium Aperire!»
Si zittirono tutti contemporaneamente. No, non era nemmeno una cornice, ma una porta di legno bianca dalla vernice piuttosto scrostata.
Oltre la porta
Marietta fece uno scatto in avanti. Mentre tutti gli altri erano ancora imbambolati a fissare la porta, chiedendosi se fosse stata sempre lì o se la stessero immaginando, la piccola aveva già oltrepassato la soglia.
«Marietta!», gridò il fratello che le corse dietro per primo. Ettore e Renzo andarono subito ad affacciarsi per vedere cosa succedeva a lui e alla sorella. Nannina stentava ancora a capacitarsi di cosa fosse successo. Aveva fatto una vera magia? La porta non c’era quando erano arrivati, aveva disegnato un cerchio e un quadrato in uno spiazzo di terra, ne era certa. Ora però quello spiazzo era occupato da una vecchia porta bianca. Era stata lei a farla comparire? No, non da sola, l’avevano fatto tutti insieme. La porta era lì perché avevano recitato la formula magica tutti insieme. Lei da sola non era abbastanza forte. Se suo fratello e i suoi amici non fossero stati così testardi da volerla seguire, avrebbe fallito, ora le era chiaro. Stava per muovere il primo passo per raggiungere gli altri, ma sentì mormorare alle sue spalle:
«È na cosa da streghe… è na cosa da streghe… annamo tutti all’inferno… tutti all’inferno annamo!…». Era Lelletta, piuttosto sconvolta, che continuava a fissare la porta borbottando fra sé e sé.
«…È na cosa da streghe… è na cosa da streghe!»
Nannina le si avvicinò, le afferrò un braccio e la scosse:
«Aho?! Ma che te prende?»
Lelletta si voltò e la guardò come qualcuno che si sveglia di soprassalto, con uno scatto così improvviso che per poco non cadde.
Ma Nannina non vi badò:
«Dobbiamo andà, dobbiamo esse tutti insieme, se no la magia non funziona… Ma che t’ha preso? Daje, annamo!». E siccome Lelletta sembrava incapace di fare qualsiasi cosa, se la trascinò dietro, fino alla soglia della porta. Ettore e Renzo erano lì affacciati. «Annamo», ripeté anche a loro, scostandoli con decisione per farsi strada e oltrepassando la porta, insieme a Lelletta. I due ragazzi le seguirono.
Non c’era assolutamente nulla di diverso. Una volta attraversata la porta sembrò semplicemente ridicolo aver pensato che conducesse chissà dove. Ettore e Renzo continuavano a girarle intorno e a passarci dentro, avanti e indietro, correndo nell’erba come due cagnolini che annusavano e scodinzolavano eccitati. A Nannina parve di vedere che avevano la coda e due grandi orecchie dritte sopra la testa. Però non erano due cani, no, ora che guardava bene erano due lupi! Anzi tre, perché Gianni lasciò la sorella per andare a unirsi a loro, correndo a perdifiato. Marietta, d’altra parte, non si curava del fratello, se ne andava svolazzando con le braccia aperte come ali, sembrava una rondine e attraversava il cielo in virate improvvise e picchiate vertiginose. Quando le sfrecciò accanto, Nannina fece un balzo indietro, poi fu trafitta da un raggio di sole, che le passò attraverso la testa come una freccia: lo sentì conficcarsi nel terreno, da qualche parte dietro di lei. Si voltò e lo trovò infilzato nell’erba. Era una lunga lancia di luce scagliata da un essere che viveva sulle lontane montagne dell’ovest o forse sulla superficie del sole. La raccolse e quella si dissolse in una nube di luce variopinta, come migliaia di piccole lucciole di tutti i colori che si disperdevano nella sera. L’arcobaleno non era mai sembrato così vicino ed era immenso.
«Ce semo arrivati!», disse Ettore. I bambini si erano raccolti tutti accanto a Nannina.
«È più alto de tutte le montagne, è più alto del cielo!», disse Marietta. «Hai visto che ce se pò arrivà?», aggiunse rivolta a Lelletta, che però aveva lo sguardo fisso verso il basso e non rispose.
«Ma perché la vecchia cià mandato qua?», disse Renzo. «Dobbiamo arrivà all’arcobaleno o dobbiamo cercà qualcos’altro?»
Nannina fece un sospiro:
«Non lo so, m’ha detto solo che…»
«Ahó, avete visto l’erba?», s’intromise Renzo. «Che sta a succede all’erba?»
Tutto il prato, fin dove riuscivano a vedere, ondeggiava al vento cambiando colore, dal verde smeraldo passava al blu, poi lampeggiava di viola, di rosso, di arancione, di giallo e poi tornava al verde. Da quanto era così? Come potevano non essersene accorti prima?
«È bellissimo!», mormorò la più piccola.
«No, fa paura», disse Lelletta con la voce tremante.
«Ma quando è diventato così?», disse Gianni.
«Adesso!», affermò Ettore.
«No, non adesso!», assicurò Nannina.
«Non è vero, prima era normale!», intervenne Renzo.
Dopo alcuni minuti ripresero ad avanzare, ma non riuscivano ad alzare gli occhi dall’erba. Lelletta disse di voler tornare indietro e per convincerla a proseguire faticarono diversi minuti. Aveva qualcosa di strano nella pelle e nel colore dei capelli, ma nessuno si soffermò troppo su questo, anche perché continuava a tenere lo sguardo verso il basso.
C’era una collinetta, davanti a loro. La risalirono rapidi e Nannina li guidava come una giovane maga coi capelli selvaggi che ora erano lunghi fino ai piedi. Ma mentre stavano ancora risalendo l’ultimo tratto, sentirono chiaramente uno sbuffo, un pesante respiro animalesco.
«Avete sentito?», chiese Gianni.
«Questo è un cinghiale!», disse Renzo.
«Non è un cinghiale, i cinghiali sò diversi», rispose Ettore.
«E che ne sai te, dei cinghiali?», lo rimbeccò Renzo.
«Io n’ho visti un sacco, de cinghiali!»
«Ma quando?»
«Te dico che l’ho visti, almeno sei!»
«Ma se sai contà solo fino a cinque!»
«Annamo a vedé e basta», l’interruppe Nannina. E quando giunsero sulla cima, quello che trovarono li lasciò tutti senza fiato.
Il corno color avorio svettava dalla fronte così lucido da lanciare barbagli. La bestia aveva il manto bianchissimo, la criniera e la coda d’argento e gli occhi neri. Li fissava emettendo un nitrito basso e vibrante, cui fece seguire uno sbuffo.
«Che bello», disse Marietta.
L’animale batté uno zoccolo a terra, poi si voltò e se ne andò al passo, diretto al versante opposto della collinetta. Ma si fermò dopo pochi passi, girò il muso verso i bambini, sbuffò ancora battendo lo zoccolo e poi ripartì.
«Vole che lo seguimo…?», disse Gianni.
«Me sa de sì», rispose Nannina. «Sembra quasi che ce aspettava».
«Non ce posso crede, ‘n unicorno vero!», disse Marietta, che corse dietro all’animale. Gli altri la imitarono, ma dopo pochi passi si fermarono tutti insieme, perché di fronte a loro si aprì il panorama più strabiliante che avrebbero mai visto in tutta la loro vita: un immenso altopiano circondato dalle montagne e ricoperto d’erba iridescente, al centro del quale nasceva un arcobaleno, tanto luminoso da essere quasi abbagliante e tanto immenso da svettare fino a svanire tra le nuvole. Era di una bellezza così grandiosa che non si riusciva a smettere di guardarlo.
«Ce semo arivati!», mormorò Nannina.
«È qua che nasce l’arcobaleno», aggiunse Ettore.
«Secondo voi se pò toccà?», chiese Renzo.
«E se scotta?», chiese Gianni.
«Perché?», fece Marietta.
«E che ne so, sembra luminoso…»
«Però se scottava l’erba se bruciava», osservò Ettore.
«Per me non scotta», disse Marietta.
«Io non lo tocco», rispose Gianni.
L’unicorno sbuffò. Li fissava con uno dei suoi occhi neri e batteva lo zoccolo.
«Annamo», disse Nannina.
La criniera e la coda argentate dell’animale sembravano d’oro, nella luce obliqua del sole. Nannina guidava il gruppo, coi capelli castani immensamente lunghi che si agitavano dietro la schiena, Marietta volava come una rondine in ampi cerchi, mentre i tre ragazzi battevano la prateria correndo avanti e indietro e fiutando l’aria come un branco di lupi.
Il grande arco era a poche centinaia di passi da loro, quando Ettore, Renzo e Gianni cominciarono a ringhiare e si compattarono attorno alle ragazze. Anche l’unicorno s’era fermato. I ragazzi emettevano un ringhio basso e continuo, eppure Nannina e Marietta si guardavano intorno senza notare alcun motivo di allarme. Passò quasi un minuto prima che riuscissero a scorgere una figuretta arrivare da lontano camminando. Attraversava i prati battuti dal vento con un’andatura un po’ ciondolante e passeggiava con la calma di qualcuno che ha tutto il tempo del mondo.
«Questa poi!», disse quando fu abbastanza vicino. Aveva una buffa vocetta nasale e si era accomodato su un grosso sasso, coi piedi a penzoloni dentro un bel paio di scarpe lucide. Era chiaramente un adulto, ma era molto piccolo, non più alto di un bambino di quattro anni. Indossava un paio di calzoni marroni e una giacca con sotto un panciotto dello stesso colore, di ottima fattura. Sopra la testolina stava una gran massa di riccioli neri che dondolava nel vento e con la mano accarezzava il muso dell’unicorno, che gli si era accovacciato accanto.
«Sei bambini! In effetti è proprio il numero giusto!»
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Anonimo says
Bello aspettiamo la sesta puntata fiduciosi
Luca Ricatti says
Grazie!
Elisabetta says
Le immagini si susseguono man mano che si legge e si vedono la determinazione dei bambini la loro forza e le loro paure le loro metamorfosi e la loro crescita per salvare le famiglie e poi arriva l’unicorno e l’esplosione dei colori dell’arcobaleno ….
Chi sarà l’,omino misterioso?
Bello!
Luca Ricatti says
Grazie!
Carolina says
Ciao, ogni quanto escono le puntate?
Luca Ricatti says
Appena riesco a completarne la revisione. Nelle intenzioni è una al mese, ma sono quasi sempre in ritardo…
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