Venerdì 6 novembre 2015 sono stato a vedere 87 Ore di Costanza Quatriglio, un documentario sul caso Mastrogiovanni, realizzato con le vere immagini dell’ospedale.
Sto parlando dell’Ospedale San Luca di Vallo della Lucania, dove Franco è stato torturato e ucciso.
Sono andato alla proiezione del film dopo una lunga giornata di lavoro, stanco, con lo stomaco attoppato alla meno peggio da un pezzo di pizza ingollato camminando. Credo sia stata la prima proiezione pubblica, ma non vorrei dire sciocchezze.
Arrivo al Palladium alle 22;00. Sto in giro dalle 7 della mattina. Sono a pezzi ma dovevo esserci. La proiezione avviene nell’ambito dell’Arcipelago Film Festival. L’Arcipelago lo conosco, nel 2005 assegnò il premio per il miglior montaggio al documentario Romanina blues di Stefano Romani, di cui avevo scritto le musiche, dedicato a Paolo Coppini (il montaggio è di Mauro Passaretti).
Sto là fuori circondato da gruppetti di persone che chiacchierano e fumano. Per lo più è gente che è stata a vedere i cortometraggi del concorso. Accanto a me c’è uno che dice a delle ragazze:
«Direi che ce ne possiamo andare, pare che adesso c’è un documentario di novanta minuti.»
Mentre respiro il fumo di sigaretta di questo tizio penso che non capisco perché tanta gente associ il concetto di documentario a quello di palloso, dato che molte delle cose più belle che ho visto negli ultimi anni sono documentari.
Quando finalmente ci fanno entrare resto davvero colpito: la sala è piena. E mi torna in mente quando lessi per la prima volta di Mastrogiovanni.
Era il 2009. All’epoca ero abbonato a A Rivista Anarchica. Credo fosse il numero estivo. Lessi questa storia allucinante. Le informazioni dovevano essere ancora frammentarie, ma era già chiaro quale orrore fosse accaduto.
Ogni volta che mi trovavo a cena con qualche amico o parente finivo col raccontare la vicenda e dovevo sembrare tipo quelli che attaccano i pipponi sui complotti per metterci i microcip sottopelle. Le reazioni erano per lo più del tipo «Ma va, non è possibile!»
Non avevo mai scritto una canzone su una storia vera e non mi passava per l’anticamera del cervello di fare una cosa simile. Ma col passare del tempo, il caso Mastrogiovanni mi è entrato dentro, mi ha scavato un solco. E così, tre o quattro anni dopo, mi sono ritrovato a scrivere i versi del Ballo del matto.
Dunque, 87 Ore è bellissimo, cercatelo e guardatelo. Tra l’altro usa un linguaggio decisamente originale ed è interessante anche come progetto cinematografico, al di là del contenuto. Ma non dico altro, perché non sono un critico. E poi non servirebbe, del film hanno parlato siti con qualche zero in più nel numero di visitatori giornalieri.
Voglio invece dire questo.
Sul Ballo del matto ho sempre avuto qualche “insicurezza”, ecco, diciamo così. 87 Ore mi ha aiutato a chiarirmi le idee sul senso della canzone che ho scritto.
Per prima cosa, nel ritornello dico che avrei voluto che Franco Matrogiovanni morisse annegato in mare, che non è una cosa bella. E questo è uno dei motivi per cui ho impiegato mesi, dopo la pubblicazione dell’album, per contattare i famigliari di Mastrogiovanni.
Bene, 87 Ore si apre con alcune inquadrature del mare del Cilento e si chiude col suono delle onde. E a un certo punto mette in contrasto immagini della natura, verde, rigogliosa, con la freddezza ossessiva dell’ospedale, coi suoi neon, con le scale di metallo, con le porte tutte uguali perfettamente simmetriche sul gelido corridoio.
E ho capito che Costanza Quatriglio deve aver pensato qualcosa di molto simile a quello che ho pensato io quando ho scritto il ritornello della canzone: che il senso della violenza cui è stato sottoposto Mastrogiovanni sta tutto nel contrasto tra la libertà della natura e l’alienante, orwelliana freddezza di quella struttura ospedaliera e di chi ci lavora.
Oggi dico che quella fuga in mare, quel disperato tentativo di cercare rifugio nella natura è stato tutt’altro che folle, è stato il gesto più umano che una persona in quella situazione potesse fare.
L’altro dubbio che avevo sulla mia canzone riguarda il fatto che è molto generica e in effetti potrebbe parlare di una qualsiasi persona morta per un trattamento sanitario obbligatorio.
Bene, alla fine della proiezione di 87 Ore, una signora del pubblico ha chiesto perché nel film non si fa alcuna menzione circa la storia precedente di Mastrogiovanni, che pure è una storia di persecuzione e abusi di potere.
Grazia Serra, nipote di Mastrogiovanni, ha spiegato che questa è stata una scelta precisa: perché suo zio nelle immagini delle telecamere di sorveglianza ha smesso di essere un individuo ed è diventato un corpo, è stato spogliato della sua storia.
Le immagini di quel corpo servono a testimoniare cosa accade agli esseri umani in alcuni ospedali. Perché in Italia ci sono stati e continuano a esserci altri casi Mastrogiovanni che non possono contare su un circuito di videocamere che dimostri la loro crocifissione.
Dunque raccontare questa storia serve sopratutto a dire che ci riguarda tutti, che Mastrogiovanni non è Mastrogiovanni: Mastrogiovanni possiamo essere tutti noi.
P.S. Il bellissimo disegno in alto a sinistra è di Simone Massi, realizzato per la locandina di 87 Ore.
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