Per Natale ho voluto preparare un gioco da regalare agli amici e a tutti quei pazzi che mi danno credito, ascoltano le mie canzoni e leggono i miei articoli. Si chiama Giga sequencer ed è un programma di musica elettronica per suonare musica folk. Sì sono impazzito, ma non da ora: giuro che questa frase ha un senso. [Read more…]
Corpi, materia, sudori e vibrazioni
Un tipo di quelli coi capelli bianchi ma l’animo da ragazzino. L’ho conosciuto qualche giorno fa. A metà della chiacchierata mi butta lì: “sono musicista”. E io rispondo: “anche io”. Esce fuori che è uno tosto: un pianista concertista e compositore di roba d’avanguardia novecentesca. Uno così non lo incontri tutti i giorni. Ha una voglia di parlare di musica che se lo mangia e io ovviamente lo assecondo volentieri. Ma il tempo è tiranno e siamo costretti a tagliare presto.
Freme, mi vuole parlare di un argomento. Non sopporta l’idea che ci sia gente che va dicendo che il pianoforte è in declino e presto sarà considerato poco più di una reliquia museale, come il clavicembalo o il liuto rinascimentale. [Read more…]
Eddie Lang: bastava dire: “Pensaci tu, Eddie!”
Eddie Lang è la storia della chitarra moderna, ne rappresenta le fondamenta, con la sua vita incredibile e il suo genio tanto grande quanto sottovalutato.
“Durante le trasmissioni radiofoniche capitava spesso di dover improvvisare delle modulazioni che nessuno aveva mai provato. Allora Paul Whiteman, sotto lo sguardo ammirato e preoccupato dei musicisti, diceva:
«Pensaci tu, Eddie!»”
A parlare è Frank Trumbauer detto Frankie, che suonò per molti anni nell’orchestra di Paul Whiteman, una mega-band di 40 elementi. L’Eddie in questione è quello che io considero uno dei più importanti chitarristi di sempre: Eddie Lang.
Questo è uno dei tantissimi ricordi presenti in questo libro storico scritto da Adriano Mazzoletti, dal tittolo Eddie Lang, Stringin’ the blues
A farmi conoscere Eddie Lang fu Paolo Coppini. Il jazz degli anni ’20 era una delle sue specialità.
Anni dopo volli approfondirne la conoscenza, ma non era facile, perché su di lui si è scritto pochissimo. Sapevo dell’esistenza del libro di Mazzoletti, ma non lo avevo mai letto. Poi un giorno, facendo un giro tra le bancarelle della Festa dell’Unità di Roma, a Caracalla, mi imbattei in una copia usata di questo volume.
Comprata al volo.
Ho fatto spesso di questi affari nelle bancarelle.
Quella di Eddie Lang e del suo grande amico Joe Venuti è una storia su cui si potrebbe fare un filmone della madonna. Una storia di riscatto sociale, di amicizia, di talento, di successo, notti brave, risse, scherzi. Una storia di italiani che spazzano via lo stereotipo dell’italoamericano mafioso a suon di accordi alterati e virtuosismi mai sentiti prima.
Facendo un sacco di soldi, tra l’altro.
Eddie Lang era uno pseudonimo (preso dal nome di un giocatore di basket, tale Eddy). All’anagrafe si chiamava Salvatore Massaro. Quando suonava blues per i neri (i dischi cosiddetti race records) si faceva chiamare Blind Willie Dunn (mitici i duetti con un altro talento chitarristico dell’epoca, il bluesman nero Lonnie Johnson).
Perché tutti questi nomi? Probabilmente per celare all’americano medio la cruda verità: che il figlio di due immigrati molisani gli faceva il culo a stelle e strisce a tutti, bianchi wasp e bluesmen neri.
Per lui era facile, cresciuto in una famiglia dove tutti suonavano qualche strumento e il padre era un mezzo liutaio.
Eddie/Salvatore ha inventato l’uso della chitarra solista nel jazz (all’epoca la chitarra era usata solo per l’accompagnamento dai cantanti blues o come strumento ritmico nel jazz). Salvatore imbracciava la sei corde e suonava quello che c’era da suonare, con una tecnica solida come il granito, lasciando tutti a bocca aperta.
Se accompagnava un cantante famoso, gli suonava sotto accordi mai sentiti e improvvisava spettacolari contrappunti sulla corda singola.
E il suo amico Joe Venuti non era da meno. Matto come un cavallo, rissoso, sempre in vena di scherzi assurdi, col suo violino era capace di suonare qualsiasi cosa con un tocco impareggiabile. Insieme incantavano pubblico e musicisti.
Lo stile di Eddie Lang, secondo me, è unico. I paragoni coi grandi chitarristi venuti subito dopo mi sembrano forzature. C’è troppa differenza col fraseggio frenetico e travolgente di Django Reinhardt o con quello dolce e ispirato di Charlie Christian.
Secondo Mazzoletti invece Lang ha avuto un’influenza determinante proprio su questi due. Va detto che è stato probabilmente il primo a usare accordi diminuiti e scale esatonali. Il suo tocco è semplicemente perfetto: elegante, pulito, solido, ma anche originale, intriso com’è di musica popolare italiana, chitarra classica (pare che non abbia mai perso un concerto americano di Andrès Segovia) e blues (certe notti se ne andava ad Harlem e si metteva a suonare insieme ai neri, in un periodo in cui le orchestre miste erano rarissime).
Eddie Lang è morto giovane, per un caso di mala sanità. Gli hanno fatto una anestesia che si è rivelata letale. Lo stavano operando per togliergli le tonsille. Era il 1933.
Oggi la figura di Eddie Lang è in corso di rivalutazione (vedi anche l’Eddie Lang Jazz Festival di Monteroduni). In parte forse ha contribuito anche il testo di Mazzoletti, che è un’opera storicamente importante. La seconda metà del libro è dedicata alla discografia completa: una ricerca così è amore puro.
Sulle solite lagne
Tutte le mattine incrocio dozzine di persone con le cuffiette, nella metropolitana o lungo i marciapiedi di Roma. I bassi delle canzoni che si sparano nelle orecchie hanno un raggio di un metro e mezzo. Canzonette alla moda sono ovunque: nei bar, nelle stazioni, nei negozi di abbigliamento, dai parrucchieri. Gli spot pubblicitari fanno a gara per trovare il brano più cool con cui incantare i consumatori. In una situazione del genere uno penserebbe che quello del musicista sia un mestiere molto richiesto. [Read more…]
Definizioni
A detta di quelli che di marketing musicale se ne intendono, la cosa più importante che un musicista deve fare, prima ancora di cercare un palcoscenico, è preparare una definizione della propria musica. Che deve essere rigorosamente semplice, chiara e breve. Dovrai avere la risposta pronta quando qualcuno ti chiederà:
«Che genere fai?»
Non sia mai che rispondi:
«Beh, dovrei fartelo ascoltare.»
Mica pretenderai che la gente si arrischi ad ascoltare della musica senza prima sapere a cosa va incontro?
Saper vendere il prodotto è più importante del prodotto in sé.
Avvilente ma così va il mondo. [Read more…]
Lavori in corso
Sto lavorando da molti mesi, ormai, alle nuove canzoni. Non è semplice, dopo poco meno di dieci anni passati a fare musica elettronica, rimettere le mani sulla chitarra. Spesso il pollice destro si perde sul sentiero di un walkin’ bass, i polpastrelli sinistri gridano vendetta, il cervello si è dimenticato come si sta dietro a un metronomo. Ma mi piace. Sto riscoprendo che suonare è anche fatica, schiena dolorante, gola bruciata. Anzi anzi che, in tutto questo tempo, grazie alle insistenze di Coppini ho mantenuto un certo contatto con lo strumento. [Read more…]
Paolo Coppini
Paolo Coppini irrompe nella sala all’improvviso. Gli avventori del locale restano col bicchiere a mezz’aria, tutti con la bocca spalancata. Non capiscono se è una specie di scherzo o se si tratta di un matto pericoloso.
«Bonasera, sò Coppini!», grida con tono irruento.
«E me presento perché non me conosce veramente nessuno… Eppure sò trent’anni che canto ste canzoncine…
“E se vede che te sei promosso male – me fa uno l’altra sera – Le canzoni sò carine, demenziali… “.
Ma come demenziali – j’ho risposto – che cominciamo subito co l’etichette?! Guarda che l’òmini passano, ma l’etichette restano… »
A questo punto si dà una mano sulla faccia e bofonchia:
«… Ma no, volevo dì esattamente er contrario… ».
Nessuno capisce la battuta, nessuno capisce che sta recitando un copione.
Nessuno ride, stanno ancora tutti col bicchiere sospeso.
Partiamo con le canzoni e Paolo sfodera la sua voce sempre al limite della stonatura.
Il pubblico si ammorbidisce, ma solo un pochino. Qualcuno ride, qualcuno riprende a chiacchierare. Il tipo del tavolo a sinistra del palcoscenico sghignazzerà per tutto lo spettacolo. Riderà di Paolo Coppini, non delle sue battute.
Nessuno dei presenti immagina da dove venga quel modo di irrompere nella scena, quel modo di cantare e di mescolare teatro e canzoni. È un pubblico casuale, abituato alle canzoncine pop delle autoradio e dei centri commerciali.
Sono quasi tutti giovani, la maggior parte di loro non ha mai sentito neanche nominare Gaber e Jannacci. Nessuno di loro è mai stato a teatro in tutta la vita.
Nessuno immagina che molti anni addietro i giornali, quelli veri, i grandi quotidiani a tiratura nazionale scrivevano di Paolo Coppini descrivendolo come una versione più stralunata di Paolo Conte. Lo definivano bislacco, spudoratamente stonato e felice di esserlo, naturalmente esilarante.
Stefano è mio cugino, è un film maker e si è messo in testa di seguire Coppini per riprenderlo durante gli spettacoli e durante le sue giornate lavorative. Così quella sera è venuto con noi e ha piazzato un paio di videocamere ai lati del palco.
Qualche tempo dopo pubblicherà un documentario dal titolo Romanina Blues.
Romanina blues
La Romanina è una delle tante periferie della capitale nate per pura speculazione edilizia. Chilometri di caseggiati sorti intorno a una vecchia borgata povera, con più centri commerciali che fermate di autobus.
Paolo Coppini raccontava di essere finito a vivere a La Romanina per un naturale processo di estromissione dai quartieri centrali, colonizzati dalla ricca borghesia.
Coppini raccontava sempre i dettagli della sua vita tra il serio e il faceto, era sempre difficile distinguere la verità dalla battuta detta per il puro gusto dell’autoironia.
Romanina blues racconta la marginalità di un talento creativo relegato alla periferia della Storia, dei grandi processi economici e sociali. Ha vinto dei premi.
La cosa più importante che ha fatto, probabilmente, è stato far nascere una grande amicizia tra Paolo e Stefano, ma ha anche il merito di aver trascinato Coppini fuori da quei localini pieni di avventori annoiati, distratti, malignamente sghignazzanti.
Al termine delle proiezioni in vari festival, quando era presente, Coppini veniva immancabbilmente fermato da qualche spettatore che gli chiedeva dove poterlo acoltare dal vivo o acquistare un suo CD. In più di una occasione seguirono richieste di esibizioni dal vivo, soprattutto presso i circoli politici della sinistra. [Read more…]
Bottegasonora chiude
Bottegasonora chiude i battenti.
Riassunto delle puntate precedenti.
Bottegasonora era un progetto nato con l’obiettivo di autoprodurre musica elettronica in lingua inglese e diffonderla attraverso internet. Insomma una cosa con aspirazioni internazionali, nato in rete e per la rete. Bottegasonora è stato una sorta di nickname per la rete mondiale; l’idea era quella di immettersi nel villaggio globale partendo da casa mia e parlando una lingua comune: musica elettro-pop in inglese.
In tutto questo tempo (dal 2005 ad oggi) ho guadagnato diversi ascoltatori, sparsi nel mondo. Persone, tuttavia, con le quali per lo più non ho mai avuto nessun tipo di contatto. Oltretutto, considerando il bacino d’utenza rappresentato dai navigatori di internet (centinaia di milioni di potenziali ascoltatori), i risultati sono da considerarsi tragicamente modesti, per una fatica grande. Questo mi ha portato a riflettere. [Read more…]
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