Il soldato entrò sgocciolando sul pavimento. Dal mantello scendeva tanta acqua da formare una pozza. Era una serata di tempesta, pioveva a dirotto da ore. Un temporale estivo violento e infinito.
Il soldato era alto, con spalle larghe e braccia come tronchi. Su un fianco portava una spada, sull’altro un pugnale. Aveva la faccia dura di uno che ha fatto tante battaglie.
Mosse gli stivali in direzione del bancone bofonchiando bestemmie. Ma nessuno lo sentiva, per via dell’ubriaco che continuava a cianciare a voce alta e a ridere da solo:
«Una manata ci ho dato!», urlava. «E n’ho stecchiti cinquanta! Macché cinquanta, erano cento!». E poi scoppiava a ridere.
«Ma chi è quello fijo de na mula?», chiese il soldato all’oste con voce bassa e roca.
«Uno imbriaco come tanti, non ci abbadare.»
«E come faccio a non abbadarci, che strilla come no maiale nel giorno dello sgozzamento? Riémpime sto bicchiere».
Mentre l’oste toglieva il tappo di sughero alla bottiglia, il soldato s’era già girato verso l’ubriaco. Il suo grido fu un tuono:
«Aho! Dico a te, che ciancichi e te sbrachi! Abbassa lo tono della voce!»
Tutti si girarono verso il soldato. Lo conoscevano, era capo delle guardie del Governatore. E non era tipo da prendere sottogamba.
L’uomo sbronzo s’ammutolì e lo fissò. Passò in un attimo dalle risate sguaiate allo sguardo di sfida.
Un tipo abbandonò la mano di carte sul tavolo e se ne andò sotto la pioggia. L’oste imprecò a mezza bocca.
L’ubriaco si staccò dalla parete su cui stava appoggiato e camminò lentamente, con un bicchiere pieno in mano. Era rosso in faccia e barcollava in modo ridicolo. Arrivò a un passo dal soldato.
Singhizzò un paio di volte. Poi disse:
«Ma chi sei, ma che cerchi? Ma tu lo sai che n’ho ammazzati cento co na manata?».
Ondeggiava come se fosse su una barca.
Il soldato lo guardava con disprezzo:
«Attappa sta buca che tieni sotto lo naso», disse, «perché ce entra troppo vino e ce ne esce troppa voce. Ossinnò ti faccio passare la notte nella gattabuia. E se non dico lo vero non comando più le guardie de lo Governatore»
L’uriaco singhiozzò. Poi disse in tono solenne:
«Io sono Giovanni Benforte, de nome e de fatto! E tu comanda puro chi te pare, che me abbasta na manata e ve rompo l’osso de lo collo a tutti!».
E dopo questo discorso, sollevò il bicchiere colmo di vino e lo ingollò tutto d’un fiato. Buttò il bicchiere a terra e fissò il soldato dritto negli occhi. Per alcuni secondi.
Poi sbottò a ridere, piegandosi sulle ginocchia, perché trovava quello che aveva detto molto divertente. Rise fino a vomitare.
E vomitò addosso al soldato. [Read more…]